276°-I MONKI E LA LORO EVOLUTA CIVILTÀ

Prima di venire a sapere che cosa in realtà Iveonte sarà in grado di fare a favore di Kuanda, baderemo a conoscere i motivi che avevano spinto l’esiguo numero di Monki a trasferirsi sulla nostra Terra. Essi, come vedremo tra poco, ci metteranno davanti ad una drammatica realtà, che era scaturita dal loro elevato progresso scientifico e tecnologico. Il quale era stato raggiunto dall'uomo sopra un altro pianeta appartenente pure al nostro sistema solare, dopo essere trascorsi migliaia di anni. Il popolo dei Monki non era di origine lunare; invece la culla della sua civiltà c’era stata sul pianeta Marte, dove essa era germinata e si era sviluppata in modo straordinario. In seguito, sul pianeta rosso, la medesima era tramontata nel giro di pochi giorni. Ma il suo declino, come tra poco verremo a conoscenza, c’era stato per colpa di persone senza scrupoli. Esse, in modo folle e sconsiderato, avevano attentato alla sua fiorente e superba evoluzione tecnologica e scientifica.

Agli albori della loro civiltà, i Monki erano vissuti nelle capanne, allo stesso modo degli abitanti della Terra. Ma nel corso dei secoli, durante i quali i periodi di pace si erano alternati a quelli di guerra, si era avuto nella loro esistenza un tenore di vita, che aveva compiuto passi da gigante. Gli abitanti di Marte avevano perfino imparato a costruire case e città con blocchi di pietra e di marmo; nonché avevano arredato le loro abitazioni con mobili di legno e manufatti di pregio. Anche la loro arte, simultaneamente, aveva preso il volo, fino a conoscere splendori e successi inverosimili. Gli artisti marziani, come i poeti, i musicisti, i pittori e gli scultori, avevano voluto esprimerla in forme sempre più eclettiche. Per cui esse si erano presentate cariche di un espressionismo a volte classico altre volte stilizzato. Alla fine gli stessi avevano fatto sfociare il loro senso artistico in un futurismo, che non conosceva limiti. Quest'ultimo, a sua volta, aveva voluto consegnarla alle proiezioni di una fantasia che amava sbizzarrirsi nelle atemporali regioni dello spirito, esprimendo il massimo della loro gaia eccentricità. Ciò si era potuto conseguire, dopo che da parte loro si erano rifiutate ogni restrizione ed ogni forma dello statico immobilismo esistente.

Nel frattempo che i millenni affondavano nell’infinità temporale, si era assistito ad un progresso tecnologico e scientifico di altissimo livello, il quale, con una velocità sempre più sbalorditiva, era venuto a rivoluzionare l’intera civiltà marziana. Per questo i Monki e gli altri abitanti di Marte erano stati capaci di costruirsi città con palazzi talmente alti, da riuscire quasi a toccare le nuvole. In essi abbondavano meraviglie di ogni genere, capaci di rendere la loro vita confortevole in ogni senso. Ma non bastando tale benessere, il genere umano del pianeta in questione aveva colmato le loro abitazioni di congegni e di macchine stupefacenti. Queste, via via nel tempo, erano state in grado di supplire alle loro braccia nei tanti lavori domestici, finendo per sostituirli quasi totalmente. Comunque, la ricerca scientifica, procedendo di pari passo con il progresso positivo, aveva portato avanti sul pianeta rosso anche alcune scoperte ed invenzioni, le quali erano da considerarsi negative al massimo. Esse risultavano molto nocive alle popolazioni marziane, oltre che prospettare davanti a loro scenari apocalittici da fine del mondo. Ci riferiamo a quelle armi altamente specializzate e sofisticate, che erano in grado di distruggere vaste aree del loro pianeta, contaminandole con materiale radioattivo e batteriologico. Il quale, nel caso che non si fosse riusciti a controllarlo in tempo e nella maniera migliore, avrebbe facilmente potuto provocare negli esseri viventi delle gravi malattie. Oltre a ciò, esso avrebbe causato modificazioni profonde perfino del loro DNA, tramite propagazione di agenti mutageni sull'intero pianeta. L’arco di tempo, durante il quale era venuto ad agitarsi lo spettro di una catastrofe universale, era stato esattamente quello che era appartenuto allo scarso numero di Monki sbarcati sulla Terra. Perciò sarà utile approfondirlo e seguirlo più da vicino in tutta la loro triste vicenda. La quale aveva costretto i trecentododici viaggiatori dello spazio ad abbandonare prima il loro pianeta originario ed in seguito anche la Luna, che per breve tempo era diventata la loro nuova patria d’elezione.

Sul pianeta Marte, all’inizio del precedente secolo, era già venuta meno la distinzione di tanti popoli, in quanto ciascuno aveva rinunciato da tempo alla propria identità etnica. Per la quale ragione, esistevano sul pianeta due sole nazioni, quella abitata dai Monki e quella abitata dai Pulti. Le loro popolazioni, naturalmente dentro i loro confini territoriali, perseguivano dei propri fini ideologici, etici, culturali e scientifici. Essi, per sfortuna di entrambi i popoli, risultavano sempre in contrapposizione fra di loro. Così, tra i due blocchi contrapposti, ben presto era venuto a crearsi un clima di diffidenza a tutto campo. Il quale, a mano a mano che era divenuto più marcato e compromettente, aveva scardinato alla base anche il più piccolo spirito di collaborazione. Esso un tempo era riuscito almeno a non esagitare gli animi nei due schieramenti, pur riducendo sempre maggiormente gli scambi commerciali esistenti fra di loro. In verità, ciò che veniva a suscitare maggiormente un insanabile attrito tra i due popoli marziani, era l’esagerata esaltazione che ognuno faceva della propria ideologia. Infatti, tanto i Monki quanto i Pulti, si erano convinti che sul loro pianeta il proprio credo ideologico era quello che garantiva meglio e di più a tutti un ingente benessere, oltre che una vita serena.

Col trascorrere del tempo, erano iniziati ad esserci degli anni totalmente da guerra fredda, durante i quali il clima tra i due opposti blocchi planetari si era mostrato sempre più glaciale ed insofferente. Per tale motivo, l’uno e l’altro popolo, nei loro rispettivi stati, si erano dati a fare proliferare senza sosta le loro armi nucleari. Nel fabbricarle, essi dichiaravano che le medesime sarebbero servite a far fronte ad un eventuale attacco improvviso da parte dell’altro blocco. Nel frattempo, sia i Monki che i Pulti, erano riusciti anche a costruire veicoli spaziali capaci di raggiungere i satelliti del proprio pianeta, che erano Fobos e Deimos; nonché il vicino pianeta Terra e il suo satellite Luna. Alla fine la tensione tra i due blocchi contrapposti era salita alle stelle, divenendo del tutto insostenibile; anzi, era apparsa pronta a saltare e ad esplodere in un conflitto totale.

Così un brutto giorno essa non aveva più retto ed aveva indotto i Monki a commettere il primo errore nel loro sistema di difesa. Infatti, aveva permesso ad un loro missile con testate nucleari di sfuggire al loro controllo e di dirigersi verso i territori nemici. Allora i Pulti, non appena lo avevano intercettato, immediatamente si erano dati a lanciare contro i territori monkiani quasi l'intero loro arsenale atomico; né i Monki lo avevano atteso tranquilli e fatalisti, cioè senza reagire per niente. Anche da parte loro, viceversa, all’istante era scattata una reazione che aveva voluto essere anch’essa senza sconti. Perciò c'era stato l'invio immediato della maggior parte delle loro armi atomiche contro i territori nemici, perché li devastassero ed arrecassero ad essi la massima distruzione possibile. Ma prima che si compisse sui loro territori l’evento apocalittico, un gruppo di Monki, a bordo di una nave spaziale, era riuscito ad abbandonare Marte, facendo rotta verso il satellite terrestre. In quel modo, anziché viverla, essi avevano potuto assistere dallo spazio al flagello e alla distruzione del loro pianeta.

Dopo che sulla sua superficie erano state fatte esplodere un considerevole numero di bombe termonucleari, il pianeta non si era più prestato ad alcuna forma di vita, fosse essa animale o vegetale. Inoltre, sulla sua superficie, dopo che c’erano state le esplosioni radioattive, era seguita la fine del mondo, poiché vi si erano visti scatenare e turbinare diversi fenomeni naturali, i quali si erano espressi con la loro potenza più sconvolgente e con un’azione distruttiva esponenziale. Ovunque si era assistito ad un vento ciclonico, che si era messo ad infuriare ad una velocità impressionante. Per cui senza difficoltà aveva sradicato dal suolo l'intera vegetazione, compresi i giganteschi alberi secolari. Esso non si era mostrato neppure impotente a spazzare via intere metropoli, i cui grattacieli, mentre venivano scalzati dalle fondamenta e strappati al suolo, erano parsi di cartapesta. Perciò, sotto la sua forza impetuosa, molte cose erano state prima avulse dal loro posto di impianto e poi portate via alla deriva nello spazio circostante. Quest'ultimo, in quella terrificante evenienza, si dava solamente ad ingurgitare con la massima velocità ogni cosa che gli proveniva dal pianeta. Invece, seguendo una diversa destinazione, molte altre cose erano state sbattute in voragini più grandi di una città. Si trattava di baratri prodotti da un insolito fenomeno sismico del momento, il quale era cominciato ad aversi all’improvviso sulla superficie marziana. Il medesimo terremoto li faceva anche richiudere a breve distanza di tempo, ovviamente senza preavviso, seppellendo nel loro interno quanto prima vi era stato spinto o scaraventato con forza! Inoltre, in quello scompiglio generale, che poteva unicamente dimostrarsi immane e catastrofico, anche le acque dei mari, dei laghi e dei fiumi avevano subito una sorte pressoché identica. Quando non prendevano il volo per lo spazio profondo, esse venivano inghiottite dai baratri che si erano formati in superficie, per cui continuavano a fare la loro strage di persone e di cose. Alla fine, dopo che ogni fenomeno naturale era scomparso sulla superficie di Marte, si era assistito ad uno squallore spaventevole, poiché sopra di essa non c’era più alcuna traccia né di vita né di civiltà preesistenti. Ma all’indomani della catastrofe, dappertutto veniva scorto un suolo divenuto oramai un deserto rosseggiante ed arido, intorno al quale adesso erano assenti l'atmosfera e la forza di gravità.

Sulla nave spaziale monkiana, oltre all’equipaggio di bordo che comprendeva trentadue uomini, si erano imbarcate altre duecentottanta persone, tra minorenni e maggiorenni relativamente giovani, siccome nessuno di loro superava i quarant’anni. Perciò il numero totale degl’individui, che si trovavano a bordo della nave, era risultato di trecentododici unità, i quali erano metà maschi e metà femmine. Così, una volta che la loro astronave si era alzata in volo, per i Monki era iniziata una navigazione nello spazio non proprio allegra, dal momento che la loro mente continuava a tenerli inchiodati all’apocalisse che c’era stata sul loro pianeta, alla quale avevano assistito con un volto terreo. Essa aveva fatto terra bruciata del loro astro spento, rendendolo tomba di miliardi di persone appartenenti alla loro medesima razza. Gli esuli si prefiguravano anche l’orribile morte che era toccata ai poveretti, la quale aveva arrecato ad alcuni la disintegrazione totale, ad altri lo spappolamento del corpo, ad altri ancora asfissia e blocco cardiaco. Per questo, provandone una pena immensa, essi apparivano con i volti costernati e mostravano gli occhi che non avevano più una lacrima da versare per i loro parenti e per i loro amici, che erano stati straziati dalle migliaia di bombe atomiche e termonucleari.


Al termine di un mese di navigazione spaziale, i profughi monkiani erano giunti sul satellite terrestre, il quale era Luna, avendola scelta come meta del loro viaggio, per averne già sentito parlare da alcuni astronauti pionieri del cosmo, che vi erano sbarcati un quinquennio prima. Essi l’avevano decantata come un luogo incantevole allo stato primordiale; ma anche l’avevano descritta come un vero Eden, per cui era degno di essere visitato. Una volta che era avvenuto il loro allunaggio, anche i membri dell’astronave monkiana erano stati dello stesso parere, riguardo al satellite della Terra. Per questo avevano deciso di mettervi radici, di sceglierlo come loro patria di adozione, di colonizzarlo e di iniziarvi una nuova esistenza. Essa sarebbe dovuta essere il principio di una nuova civiltà positiva, dovendo adottare come credo l’aborrimento perpetuo delle armi e della guerra. Invece i loro buoni propositi erano destinati a fallire sul nascere, poiché delle forze avverse, le quali molto presto si sarebbero presentate nell'orbita lunare, si stavano preparando a minarli e a renderli inefficaci, già prima che venissero attuati.

Sul suolo lunare, i Monki si erano stabiliti all’interno di una radura, che era situata in una zona collinare, poiché avevano stimato il posto alquanto protetto da eventuali attacchi di belve feroci. Secondo loro, da quella modesta altura, che una passata autocombustione aveva resa spoglia di vegetazione, essi avrebbero tenuto sotto controllo la situazione. Infatti, nel raggio di due chilometri, nessun animale in avvicinamento sarebbe sfuggito ai loro strumenti di intercettazione collocati a bordo. Nel caso poi che l'ospite animale fosse risultato pericoloso, essi non avrebbero esitato a colpirlo a morte. L’unica circostanza, la quale avrebbe potuto rappresentare per loro qualche pericolo, sarebbe stata quella che li avrebbe spinti a cacciare nella vegetazione circostante, al fine di procurarsi le carni fresche necessarie al loro fabbisogno alimentare. Ma pure durante quelle ore, le loro efficientissime armi laser avrebbero ridotto al minimo il rischio di perdite tra i loro uomini. Esse, senza dubbio, li avrebbero protetti in maniera ottimale dagli assalti improvvisi delle belve, siccome queste potevano trovarsi nascoste e ben mimetizzate nella folta vegetazione. Nell’approvvigionamento dell’acqua, invece, gli addetti a tale incarico si sarebbero serviti di un ruscello, il quale scorreva poco distante dalla loro astronave. Perciò, almeno nel loro rifornimento idrico, essi avrebbero evitato ogni tipo di agguato da parte di aborigeni. Dall’astronave, infine, gli sarebbe provenuta la fruizione di tutti i comfort che erano propri di una civiltà altamente progredita. Si trattava di quella di cui essi avevano goduta sul loro pianeta Marte, prima che su di esso venisse scatenata l'immane catastrofe nucleare. Alla quale avevano assistito dallo spazio inorriditi ed in preda ad una immensa sofferenza.

I Monki, però, più che temere i rischi che potevano derivare al loro gruppo dal suolo selenico, avevano il pensiero fisso ad una minaccia ben più grave. Essa, siccome era da considerarsi ancora possibile, da un momento all'altro, poteva giungere esclusivamente dallo spazio. Per tale ragione, tenevano sempre un occhio fisso al cielo, volendo evitare sorprese da parte di quei Pulti che, come loro, dopo essere scampati all’olocausto, avrebbero avuto la loro stessa idea. Così, poco tempo dopo, la minaccia paventata dai Monki fino a quel momento si era presentata puntualmente, dando ragione ai loro sospetti. Ma essa si era affacciata, prima ancora che essi si fossero ambientati completamente sulla Luna. Perciò, di lì a poco, sarebbero andati a catafascio i loro bei progetti, grazie ai quali si sarebbe dovuta realizzare sul satellite terrestre una nuova civiltà con obiettivi assolutamente pacifici. Inoltre, perfino la loro sopravvivenza sarebbe stata provata duramente, poiché il loro corpo, dopo la nuova catastrofe che stava per abbattersi sul suolo lunare, non sarebbe stato più lo stesso.

Era trascorso un semestre dalla loro permanenza sulla Luna, quando il radarista dell’astronave monkiana, nello scandagliare lo spazio circumlunare, era riuscito a localizzare un incrociatore spaziale dei loro nemici. Esso si trovava ad una distanza non superiore ai centomila chilometri. Anche i Pulti superstiti si dirigevano verso il satellite terrestre; ma non si sapeva ancora se per stabilirsi su di esso per sempre oppure solo per effettuarvi un normale scalo, prima di puntare sulla vicina Terra, allo scopo di abitarla. L’avvistamento del veicolo astrale nemico aveva arrecato trambusto e preoccupazione tra i Monki. Costoro all'inizio si erano mostrati indecisi sul da farsi ed avevano tardato a prendere un provvedimento avverso nei suoi confronti. Alcuni erano stati dell’avviso che era meglio non intervenire contro di esso; in questo modo, non avrebbero aperto nuove ostilità contro i loro nemici giurati. Magari essi non si sarebbero neppure accorti della loro presenza sulla Luna e non avrebbero deciso di porre le tende sopra il suo suolo. Inoltre, il loro intervento armato li avrebbe fatti scoprire da loro, costringendoli a reagire senza esclusione di colpi, esattamente come era già accaduto sul loro pianeta Marte. Altri, invece, avevano temuto di venire intercettati dall’incrociatore nemico, il quale non avrebbe perso tempo ad attaccarli dallo spazio. Per tale ragione, avevano premuto perché fossero loro i primi a muovere l’attacco contro di esso, distruggendolo senza indugio oppure mettendolo in condizione di non poter più nuocere a nessuno, tanto meno a loro.

Alla fine avevano vinto i falchi della situazione, quelli che propendevano per l’attacco a sorpresa contro il veicolo spaziale nemico; ossia, bisognava abbatterlo, senza dargli il tempo di reagire. Com’era da aspettarselo, però, il lancio da parte dei Monki di tutti i missili a loro disposizione contro il loro incrociatore, non era affatto passato inosservato ai Pulti. Allora essi, vedendosi minacciati dall’incombente pericolo, all'istante avevano reagito, lanciando contro la Luna l’intero carico atomico che tenevano a bordo. Esso non era risultato affatto indifferente. Ma se era stato vero che i Monki erano riusciti ad abbattere l’incrociatore pultiano, era stato altrettanto vero che gli stessi non avevano potuto fermare i missili lanciati dai loro nemici Pulti. Essi, che erano forniti di testate nucleari, l’uno dopo l’altro, avevano raggiunto il suolo lunare e vi erano esplosi in modo catastrofico. Così avevano iniziato a suscitarvi lo stesso evento apocalittico che si era già verificato sul loro pianeta. Questa volta, però, siccome la loro astronave aveva subito dei danni alla strumentazione di bordo, i Monki erano stati costretti a restare molto più tempo sul satellite terrestre. La qual cosa aveva fatto sì che i loro corpi si esponessero alle radiazioni atomiche più a lungo di quanto era avvenuto su Marte, con le ineludibili conseguenze. I Monki, in verità, le avrebbero accusate soltanto tardivamente, ossia quando il loro viaggio non era ancora terminato. Infine il loro veicolo era riuscito a salpare, prima che il cataclisma nucleare investisse l'intero satellite ospitante e vi causasse la distruzione di ogni forma di vita esistente. L'evento disastroso aveva fatto anche rallentare il moto rotazionale del piccolo astro intorno al proprio asse. A causa di ciò, sulla sua superficie non ci sarebbero state più tanto la nascita quanto l'evoluzione di qualsiasi specie vegetale ed animale, come era avvenuto prima di allora sul pianeta Marte.


Il tragitto dalla Luna al pianeta terrestre era durato circa tre ore. Durante le prime due, c’era stata in loro una certa euforia di raggiungere il pianeta abitato da esseri come loro, anche se molto arretrati quanto a civiltà. Nella terza parte del loro volo interplanetario, invece, le cose per gli sventurati erano andate molto diversamente. Infatti, durante l’ora successiva alle prime due, era incominciato a verificarsi sul loro corpo un fenomeno incredibilmente strano e mortificante per lo stesso. Ossia il loro organismo, pur conservando la stazione eretta, era iniziato a modificarsi, trasformandosi in un essere mostruoso, il quale era molto somigliante ad una lucertola. Come essi si erano resi conto fin dal suo esordio, la metamorfosi che li andava trasformando in veri lacertidi, anch'essi con sangue freddo, era la conseguenza diretta della loro prolungata esposizione alle radiazioni atomiche, essendosi essa protratta oltre il tempo massimo consentito dal loro corpo. Allora la disperazione unanime, che ne era conseguita in tutti loro, era stata di quelle non quantificabili, avendo raggiunto un valore altissimo ed avendo dato luogo a dei turbamenti psichici di grado impossibile. Intanto poi che i minuti trascorrevano biechi e tremendi, nessuno dei Monki si era voluto accettare in quel suo nuovo aspetto esteriore e in quella sua nuova funzione fisiologica e biologica. A loro parere, tali effetti incutevano terrore al loro spirito e rappresentavano una offesa alla loro intelligenza. Addirittura, in quei momenti raggelanti, essi avevano rimpianto di non essere periti insieme con gli altri in quell’evento disastroso, che essi stessi avevano follemente provocato. La sola cosa, che in loro era rimasta identica, era l’intelletto, poiché esso continuava a farli pensare e decidere come in precedenza, senza evidenziare alcuna menomazione a livello psichico e spirituale. Il quale fatto, anziché alleviare la loro disgrazia, veniva ad acuirgliela maggiormente. Il motivo? Esso, facendoli rendere conto della loro attuale natura, peggiorava la loro situazione, siccome li spingeva a vergognarsi e a commiserarsi con una ingente pena interiore.

I Monki stavano vivendo quel loro difficile stato d’animo, quando l’astronave che li trasportava era atterrata nella foresta di nostra conoscenza. Essi avevano deciso di insediarsi in quel luogo in modo permanente. Ma avevano desiderato costruirsi la loro dimora nella sua parte sotterranea, volendo risultare invisibili agli occhi dei Terrestri che abitavano nelle zone circostanti. Vi avevano perfino nascosto la loro astronave, affinché nessun umano, che per caso fosse capitato in quel posto, potesse scorgerla ed incuriosirsene. Insomma, essi sarebbero dovuti risultare nella zona irreperibili ed inesistenti. In quel modo, avrebbero portato avanti indisturbati un progetto, che per loro sarebbe dovuto risultare di vitale importanza. Così, favoriti dalle loro macchine e dai loro strumenti di altissima tecnologia, i Monki avevano ultimato la loro dimora sotterranea nel giro di un anno. Dopo di che, essi si erano dati a tradurre in atto il progetto che gli stava di più a cuore, il quale, secondo alcuni di loro, li avrebbe fatti ridiventare esseri normali. Si trattava di ripetute trasfusioni di sangue caldo, a cui essi si sarebbero dovuti sottoporre una volta al mese e per un periodo di tempo imprecisato, ma sufficiente per fargli raggiungere il loro obiettivo finale.

Nei primi tre anni della loro permanenza nella Foresta della Paura, l’unico sangue caldo reperibile era stato quello dei soli mammiferi. Per questo i Monki erano ricorsi a tali animali per effettuare i loro prelievi di tale liquido organico e trasfonderlo nei loro corpi. In seguito, però, essi avevano scoperto che nelle vicinanze quasi spesso si trovavano a passare degli esseri umani; mentre molti altri di loro abitavano in villaggi non molto lontani. Ma a loro parere, gli uomini avrebbero potuto rifornirli di un sangue migliore di quello degli animali, risultando esso più efficace per ottenere in loro la regressione dell’avvenuta metamorfosi nel loro corpo. La quale, in pochissimo tempo, li aveva trasformati fisiologicamente in autentici rettili.

Era stato questo il motivo principale, per cui la loro caccia spietata dopo si era indirizzata prioritariamente agli uomini, che essi avevano reso facilmente loro prede, grazie alle potenti armi laser di cui disponevano. Una volta dissanguati dalle trasfusioni, i corpi delle vittime non venivano buttati via, come si potrebbe pensare. Invece i Monki, dopo averli macellati a modo loro, ne ricavavano delle ottime pietanze. Eppure essi non erano mai stati dei cannibali sul loro pianeta di origine, poiché la loro civiltà molto evoluta giammai li avrebbe condotti ad una devianza del genere. Invece era ipotizzabile che la metamorfosi avvenuta in loro vi avesse anche prodotto quella specie di aberrazione. Per cui essa in seguito aveva influito direttamente sul loro comportamento di sempre, spingendoli così a fargli ritenere l’antropofagia un modo di nutrirsi del tutto normale. Un’altra ipotesi plausibile a tale riguardo, poteva essere la nuova convinzione sopravvenuta in loro più tardi, secondo la quale essi, alimentandosi di carne umana, avrebbero potuto accelerare il recupero delle loro primitive fattezze. Comunque, si restava arenati in una moltitudine di congetture, le quali non potevano condurre a nessuna conclusione reale. Perciò l’unica realtà, nella vicenda dei Monki, si rivelava il solo cannibalismo.