275-LUPPON AIUTA TUNGO A FUGGIRE
Luppon si presentò di nuovo a Kuanda, tre giorni dopo che le aveva prospettato l'eventualità della mia liberazione. Egli andò a comunicarle che aveva messo a punto un piano, il quale avrebbe dovuto consentirmi di evadere dal loro rifugio. Perciò, una volta al suo cospetto, senza perdere un attimo di tempo, cominciò a parlarle, usando il seguente linguaggio:
«Rieccomi a te, graziosa Kuanda! In questi pochi giorni che ti sono mancato, sono stato impegnato ad elaborare un ottimo piano, il quale dovrebbe garantire la fuga a tuo fratello. Non appena ho terminato di pianificarlo, sono corso subito da te per riferirtelo. Esso gli permetterà di prendere il largo, senza correre alcuna sorta di pericolo. Adesso sei contenta del fatto che mi sono dedicato anima e corpo al benessere di Tungo? Ma come potresti non esserlo, siccome adori quel tuo caro fratellino!»
«Certo che lo sono, Luppon! Per prima cosa, quindi, voglio ringraziarti per esserti preso a cuore la sorte del mio germano minore e per come ti sei dato da fare per rendergli la futura evasione senza pericoli. Adesso, poiché sei ansioso di farlo, inizia pure a dirmi quale piano hai escogitato per permettere a Tungo di scappare da questo vostro rifugio!»
«Ti premetto, Kuanda, che la fuga di tuo fratello non potrà avvenire prima del prossimo plenilunio, avendo deciso di farlo fuggire nella nottata delle trasfusioni, dopo che esse saranno terminate e le danze avranno preso il loro avvio frenetico. Solo essa si presenta come la circostanza migliore che potrà farlo evadere da qui senza pericoli, anche perché mi consentirà di agire indisturbato. Difatti, durante lo svolgimento delle danze che si protrarranno fino al mattino, non ci saranno sentinelle davanti alla cella dei prigionieri. Prima, però, ho bisogno di incontrare tuo fratello per istruirlo sui dettagli della sua fuga. Perciò tra poco vado a prelevarlo dalla sua cella e lo condurrò qui da te. Così dopo potrò metterlo al corrente del mio piano di fuga, del quale egli potrà giovarsi, a condizione che lo segua alla lettera.»
«Allora corri subito da Tungo, Luppon, e torna presto da me insieme con lui! Lo sai anche tu che, ogni volta che devo incontrare mio fratello, l'ansia in me diventa così grande, da farmi quasi scoppiare il cuore! Per questo motivo affréttati a condurlo in mia presenza, per favore!»
All'ordine di mia sorella, il Monko si precipitò di corsa alla mia cella. In quel luogo, dopo aver chiesto alle guardie di turno ed ottenuto da loro la mia temporanea scarcerazione, mi condusse da Kuanda. La quale già mi stava aspettando con una trepidazione indicibile. Una volta che fummo giunti davanti a mia sorella, Luppon attese prima che si consumassero le effusioni affettuose tra me e lei. Quando infine esse ebbero termine, egli si diede a parlarmi con una certa discrezione, mettendosi a farmi presente:
«Stammi bene a sentire, Tungo. Devi sapere che ci sono buone possibilità che io riesca a farti fuggire dalla nostra dimora. Ma prima che ciò possa accadere, occorrerà attendere il prossimo plenilunio. Da parte tua, dovrai soltanto attenerti a ciò che già ti anticipo in questo momento. Visto che l'occasione più favorevole alla tua fuga sarà la prossima notte di luna piena, come ti ho già anticipato, essa dovrà avvenire proprio in tale circostanza. Come tu e gli altri Moian avete notato, durante quella notte non ci sono sentinelle a sorvegliare la vostra cella, poiché tutti i Monki prendono parte alle trasfusioni e alle danze. Io verrò a liberarti, non appena avrò l'occasione di sgattaiolare dalla sala del rito e di sottrarmi alla mia gente. Per questo, al mio arrivo, dovrai farti trovare già sveglio. Inoltre, i tuoi compagni di cella non dovranno venire a sapere per niente di questo mio piano, se non vuoi che esso vada in fumo e si mandi a monte la tua fuga. Tieni bene a mente che è di fondamentale importanza che nessuno sappia della tua fuga da me organizzata!»
«Perché, Luppon,» gli chiesi «non possono scappare con me anche i guerrieri di mio padre? Senza il loro prezioso aiuto, non so se sarò in grado di cavarmela in questa foresta inestricabile ed insidiata da varie specie di belve. A tale proposito, ti faccio presente che esse sono sempre pronte ad aggredire le facili prede come me!»
«Tungo, non se ne parli neppure! Se ho deciso di aiutarti, è perché tengo molto a tua sorella. Dunque, se vuoi salvarti dalla mia gente, devi sottostare a ciascuna mia condizione. Altrimenti ogni nostra iniziativa sarà compromessa e andrà a rotoli. Ti avverto che, nella notte in cui ti raggiungerò nel reparto di segregazione, neanche uno dei Moian dovrà essere desto, se vogliamo che tutto fili liscio!»
«Ma se qualcuno di loro» gli domandai «si sveglierà oppure sarà già sveglio, per il semplice fatto che egli non riesce a prendere sonno, cosa accadrà? Per favore, Luppon, non dirmi che in tal caso la mia fuga da te pianificata andrà a farsi friggere, con mia grande delusione! A questo non voglio pensarci nel modo più assoluto!»
«Non ti devi preoccupare di un fatto simile, Tungo, perché ciò non accadrà, avendo previsto pure questa eventualità nel piano riguardante la tua fuga. Inoltre, in quella evenienza, sarà scarso il numero dei guerrieri moianesi che rimarranno a farti compagnia in quella notte, poiché la maggior parte di loro sarà prelevata dalla cella due giorni prima. Comunque, quei pochi che vi resteranno a farti compagnia vi dormiranno profondamente fino al mattino seguente. Mi occuperò di persona, affinché ciò si verifichi nella vostra cella. Infatti, tratterò con sostanze narcotiche il vostro pasto serale, per cui esso li farà addormentare, subito dopo aver consumato la cena. A tale riguardo, devo avvisarti che quella sera ti toccherà digiunare, altrimenti cadrai anche tu in un sonno letargico, come accadrà ai tuoi compagni! Perciò tieni a mente tutte queste cose! Ci siamo intesi?»
«Va bene, Luppon,» gli risposi «mi atterrò alla lettera alle tue diverse raccomandazioni. In pari tempo, ti ringrazio per come ti stai prodigando per me, anche se sono a conoscenza che stai facendo questo, unicamente per farti bello con mia sorella! Non è forse vero che è come ho detto? Se mi sbaglio, puoi anche rinfacciarmi che non è come ho pensato io!»
«Bravo, ragazzo! Come vedo, sei un tipo abbastanza sveglio! Inoltre, mi sono accorto che non ti manca il buonsenso e sai bene adeguarti alla situazione. È così che ognuno di noi deve essere, se vuole farsi strada nella vita! Ma ora, Tungo, è giunto il momento di riportarti in cella, poiché ho altre importanti faccende da sistemare. Perciò abbraccia e saluta velocemente tua sorella e vieni subito via con me, senza altro indugio!»
Terminate le dimostrazioni affettuose tra me e la mia dolce Kuanda, le quali in quella occasione risultarono più brevi e meno intense del solito, fui riaccompagnato alla mia cella da Luppon. Dopo egli mi lasciò e se ne andò per i fatti suoi, avendo egli altri impegni da mantenere, in quella giornata che per lui appariva assai convulsa. In serata, però, il Monko andò a trovare ancora mia sorella. Nel suo nuovo incontro con lei, egli le fece uno strano discorso, il quale, per un verso, risultò alla poveretta alquanto ambiguo, mettendola quasi con le spalle al muro. Adesso ve lo riporto integralmente.
"Kuanda,» iniziò a dirle «a causa di tuo fratello, mi sto esponendo ad un grosso rischio, che neppure immagini! Esso potrebbe anche farmi rischiare la morte! Ma pur di esaudire ogni tuo desiderio, non temo pericoli di sorta. Anzi, sono disposto a sfidare qualunque avversità che me ne potrebbe derivare, compresa quella che metterebbe a repentaglio la mia stessa vita. Per me, tu rappresenti la cosa più preziosa dell'universo, sei entrata a far parte della mia esistenza e ti vivo nelle mie esperienze oniriche in modo ardito. Non oso neppure manifestarti come ti sogno, considerata l'inconfessabilità del loro contenuto! Se potessi ottenere nella realtà anche la centesima parte di quanto mi regala l'irrealtà del sogno, già sarei l'essere più felice dell'universo! Perciò, mia cara fanciulla, dopo che tuo fratello sarà riuscito a scappare per opera mia, spero che tu non deluderai le mie aspettative. Non sai quali salti di gioia farei, se potessi accarezzare palmo a palmo un corpo vero come il tuo, pur senza porre pensiero ad altro di più positivo! Mi basterebbe sfiorare e sentire sotto le dita la tua calda e vellutata pelle, per ricavarne delle sensazioni gradevoli ed ineffabili. Mi sto riferendo a quelle che per ora sono costretto a provare soltanto nei miei sogni audaci, dove le vivo irrealmente! Comprendi a cosa alludo, piccola mia?"
A quel punto, Luppon smise di fare a mia sorella le proprie confessioni od esternazioni, a seconda come le si vogliono interpretare. Esse avevano tutta l'aria di velate profferte d'amore. Poi, in attesa che in lei si avesse una qualche reazione, apparve frastornato ed intollerante delle frasi che le aveva pronunciato poco prima. In seguito, più il silenzio di Kuanda perdurava, più Luppon avvertiva nell'intimo quella situazione molto scabrosa, la quale andava peggiorando di attimo in attimo. Anzi, essa incombeva su di lui quasi schiacciante e demolitrice di gran parte del suo essere interiore. Infine egli decise di scrollarsi di dosso l'impossibile peso, il quale gli derivava dal suo disorientamento e dallo stato precario della sua sfera psichica del momento. Perciò intervenne a rompere il ghiaccio, creando fra loro due un'atmosfera diversa da quella che gli era parsa di intravedere, dopo il suo discorso introduttivo palesemente equivoco. Così, mettendo da parte ogni esitazione, si mise ad affermare alla sua silenziosa interlocutrice:
«Scommetto, Kuanda, che stai pensando a me come ad un miserabile essere che non conosce il senso della misura, avendo egli osato percorrere i sentieri dell'impossibile. Se è questo che pensi di me, non ti do alcun torto e hai la totale mia approvazione! Inoltre, qualora tu avvertissi il bisogno di mettere a posto questa mia testa bislacca a forza di bastonate, ti darei anche il permesso di farlo, magari fornendoti io stesso il bastone. Anzi, ti inviterei subito a mettere in atto tale tuo castigo nei miei confronti! Se poi la cosa non ti dovesse affaticare troppo, ti consentirei pure di raddrizzare la schiena a questo lucertolone bacucco ed illuso, quale appunto mi sono dimostrato pochi istanti fa, mentre ti parlavo a vanvera!»
Le nuove parole del Monko produssero un lieve sorriso sulle labbra di mia sorella. Soltanto allora ella si adoperò per rispondergli, facendolo con una certa cautela, ma anche ricorrendo alla diplomazia:
«Dovrei forse punirti per così poco, Luppon? Non mi hai scambiata mica con una ragazza sadica! Nessuno mai ti ha detto che nella vita non bisogna mai disperare? Gli attimi di follia sono in agguato in ciascuno di noi e possono venire fuori in ogni istante della nostra esistenza. Per questa ragione, conviene sempre dare tempo al tempo ed aspettare che esso si metta finalmente al bello per noi due! Non credi anche tu che sia la cosa migliore comportarci come ti ho asserito, lasciando posto alla rosea speranza?»
Le parole di mia sorella, pur non avendo voluto essere una promessa esplicita, però si manifestarono lusinghiere per il Monko suo amico. Il quale volle chiudere il discorso, subito dopo che gli era provenuta da lei un languido invito ad essere speranzoso nei suoi confronti. Così si congedò da lei in fretta e con un animo che appariva preda di una felicità indefinibile, poiché essa gli stava mettendo la psiche in grandissimo subbuglio. Senza dubbio, mia sorella Kuanda aveva usato un linguaggio scaltro e diplomatico nel rispondere all'infatuato Luppon. Da una parte, non gli aveva confermato apertamente la propria disponibilità a soddisfare certe voluttà da lui espresse, le quali non si erano rivelate neppure troppo spinte. Dall'altra, lo aveva incoraggiato a non perdersi d'animo, poiché le speranze a volte potevano concretizzarsi, quando uno meno se lo aspettava. Per la quale ragione, veniva ad esserci un pizzico di follia proprio in chi si ritrovava a gestirle, avendo l'uno o l'altra la facoltà di farle o di non farle avverare, a seconda degli eventi che si volevano accettare. Infatti, spesso accadeva che la pazzia e la speranza marciassero sullo stesso binario e se ne andassero a braccetto, facendo realizzare cose ritenute fino allora impossibili.
Come si era sentita mia sorella nel profondo del suo animo, intanto che Luppon le faceva il discorso che vi ho riferito? Inoltre, quali sentimenti aveva provato in quel momento nei suoi confronti? Stando alle parole da lei pronunciate nel rispondergli, senz'altro incoraggianti sotto un determinato aspetto, ella aveva lasciato intendere che non ne era rimasta particolarmente sorpresa e ferita. Al contrario, esse l'avevano perfino divertita nell'ascoltarle. Ma io volevo appurare se l'impressione data da Kuanda all'amico fosse davvero sincera. Magari si era solo trattato di un modo di fare, la cui intenzione era quella di tenerselo buono e di evitare che egli cambiasse idea, circa i suoi buoni propositi di aiutarmi a fuggire. Perciò, essendo desideroso di scavare a fondo nella psiche di mia sorella e di apprendere qualcosa di più su tale particolare, decisi di chiederlo a lei stessa, essendo la diretta interessata. Allora ella mi confessò la verità sul suo conciliante atteggiamento di quella circostanza.
Ebbene, come ebbi da apprendere dalla mia germana, quando Luppon aveva iniziato a farle il suo discorso spinto, ella si era sentita come tradita nel profondo del suo intimo. Il tradimento le proveniva esclusivamente dall'essere che aveva sempre dimostrato di nutrire per lei dei sentimenti di sana amicizia e di sentito affetto paterno. Verso di lui, perciò, come corresponsione, da parte sua non era mancata una venerazione filiale. In seguito, però, vedendo che il suo discorso andava avanti, dispiegandosi sempre di più all'insegna di una vera dichiarazione d'amore, Kuanda aveva dovuto fare i conti con una realtà differente da quella che aveva immaginata fino a quell'istante. Alla fin fine, certe pretese manifeste del Monko, le quali per fortuna non apparivano di una voluttà sfrenata, non l'avevano sconvolta più di tanto. Per cui non era stata sorpresa in modo significativo neppure da quella nuova realtà che le si presentava. Saltuariamente, ella aveva voluto prenderla in considerazione con superficialità, anche perché il desiderio di vivere non le aveva permesso di valutarla diversamente. Allora, pur definendola e vivendola come un'assurda arroganza, aveva evitato di reagire con durezza a chi, poco alla volta, gliela andava proponendo in modo larvato e per niente offensivo.
Quel suo comportamento era scaturito dal fatto che ella aveva sempre nutrito verso il suo interlocutore dei sentimenti molto belli, per cui dopo non se l'era sentita di troncare, di punto in bianco, la sua sana amicizia con lui. Perciò lo si doveva in parte giustificare, tenendo conto che l'inibizione in sé di ogni reazione forte era stata vista da lei come un atto dovuto. Inoltre, lo aveva ritenuto espressione della sua gratitudine verso chi stimava per diversi motivi. Kuanda non poteva dimenticare che Luppon si era prodigato prima per lei, salvandola da una morte certa, e poi per me, ripromettendosi di farmi scappare dalla loro dimora. Egli, oltre a farmi evitare il supplizio delle trasfusioni, mi aveva anche permesso di incontrarla. In più, adesso si stava mettendo a mia disposizione, essendo intenzionato a facilitarmi la fuga dagli altri Monki. Insomma, neanche lei aveva saputo risolversi e schierarsi convintamente dalla parte dell'una o dell'altra reazione. Invece aveva ritenuto opportuno farle conciliare fra di loro, finendo per contemperare la durezza della sua iniziale reazione interiore con la successiva sua comprensione. Se prima aveva considerato le parole dell'amico un attentato alla fiducia, che non aveva mai smesso di riporre in lui, dopo ella aveva cercato di comprenderlo, proponendosi di non contrariarlo.
Giunto il giorno precedente il plenilunio, ho cominciato a trascorrere una giornata maledettamente agitata. Ero combattuto da due sentimenti antitetici, l'uno di tristezza e l'altro di felicità, i quali mi trasmettevano uno stato d'animo inquieto, apprensivo e suscettibile al massimo. Anche i miei compagni di cella se ne sono accorti; ma invano essi hanno cercato di farmi palesare il motivo di quel mio insolito comportamento. Nel pomeriggio, due ore dopo il pranzo, si sono presentati alla nostra cella una ventina di Monki, proprio com'era avvenuto un mese prima. Questa volta essi sono venuti per prelevare dieci guerrieri moianesi e non sei, scegliendoli tra quelli che si presentavano fisicamente molto floridi. Dopo averli legati con le mani dietro la schiena, essi li hanno portati via con un fare risoluto e senza sentire ragioni. Allora siamo rimasti nella cella soltanto io e i quattro guerrieri sui quali non si era ancora abbattuta la scure del rito delle trasfusioni. Ma una volta che siamo stati privati della compagnia degli altri nostri conterranei, uno dei guerrieri rimasti in cella, preso dalla malinconia, non si è astenuto dal domandarsi ad alta voce:
«Chissà dove stanno conducendo i nostri dieci compagni! Ho il presentimento che non li rivedremo mai più, proprio come è avvenuto con gli altri sei portati via il mese scorso! Siccome credo di non sbagliarmi, quindi, il mese prossimo toccherà anche a noi cinque fare la medesima fine!»
«Infatti, Kumbo! Essi si affrettano a seguire la stessa sorte degli altri, bella o brutta che sia!» gli ha risposto un altro guerriero «Non sei in errore ad affermare che la prossima volta toccherà anche a tutti noi presenti andare incontro ad essa! Allora mettiamoci l'animo in pace e non ci pensiamo più, essendo noi impotenti a competere con i lucertoloni, poiché essi dispongono di armi magiche che li rendono imbattibili!»
«Hai ragione, Pelod, a pensarla in questo modo! Ormai il nostro destino è segnato e, per nostra sfortuna, nessuno mai potrà cambiarcelo! Comincio a credere che sarebbe stato meglio, se fossimo morti da veri guerrieri, combattendo contro i nostri nemici Surcos!»
Dopo il mesto botta e risposta dei due disperati Moianesi, nella nostra cella è subentrato il più profondo silenzio. Tutti si sono rinchiusi in un grande mutismo, il quale faceva leggere sul loro volto preoccupazione ed ansia. Invece il mio quadro clinico, a livello psichico, si è presentato più sconvolgente. Conoscendo la verità sulla sorte che attendeva i guerrieri di mio padre portati via, mi sono dato ad una sofferenza dell'animo incalcolabile. Mi è sembrato che stessi facendo il bagno in un dolore immane e in un patema agghiacciante! Per fortuna, ad alleviarmi l'immensa pena, c'era in me la ferma convinzione che presto sarei stato finalmente libero. Comunque, seguitavo ad ignorare in che maniera e con quali persone avrei goduto della mia libertà in arrivo.
Giunta la sera, in cui era prevista la mia fuga, ci è stata portata la cena, la quale è stata divorata dai quattro guerrieri miei coinquilini in brevissimo tempo. Dal canto mio, me ne sono ben guardato dall'assaggiarne anche il più piccolo boccone, nonostante venissi invitato con insistenza a mangiarla dai miei compagni di cella. Così, mezzora dopo aver consumato la loro cena e quella mia, ho visto i miei conterranei addormentarsi e mettersi a russare forte, come se fossero stati sorpresi da un sonno comatoso. Per cui, tra i reclusi della nostra squallida cella, sono stato l'unico a restare sveglio, anche se a malapena. Difatti il sonno, come per imitazione, voleva impossessarsi anche di me, pur sforzandomi di tenerlo lontano dalla mia persona.
Ad un'ora esatta dalla mezzanotte, le guardie hanno lasciato la cella. Allora mi sono ritrovato a vivere da solo quella che pareva una quiete sepolcrale. Essa, propinandomi del sonno, mi spingeva a chiudere gli occhi a qualsiasi costo, nonostante da parte mia cercassi con tutte le mie forze di tenere duro e di resistere fino all'arrivo di Luppon. Quando infine costui si è rifatto vivo, ero quasi in balia di un dormiveglia. Il quale alcune volte mi trasmetteva un gradevole sopore e altre volte, infondendomi parecchia paura, mi faceva destare di soprassalto. Appena è arrivato in quella sorta di prigione, il Monko subito ha aperto la grata della cella e mi si è avvicinato, invitandomi a destarmi completamente e a seguirlo. Quando egli ebbe richiuso la porta della cella, ci siamo diretti verso il luogo dove era ubicato il congegno di risalita. Esso, come già avevo appreso, conduceva direttamente all'aperto. Si trattava di un vano circolare di sei metri di diametro, nel quale un piano mobile di forma rotonda era in grado di sollevarsi e di ridiscendere con tutto il materiale che veniva a trovarsi sopra di esso. Vi si accedeva attraverso un'apertura rettangolare alta tre metri e larga due, sul cui lato destro sporgevano due pulsanti: quello superiore era blu, mentre quello inferiore era rosso. Altri due bottoni, i quali erano identici anche per quanto riguardava il loro colore, erano situati sulla superficie interna del vano. Essi, pur stando racchiusi in una piccola rientranza quadrata, erano facilmente raggiungibili. Una volta che siamo pervenuti in quel posto, Luppon, premendo il bottone blu, ha azionato un congegno che ha riportato alla base del vano la piattaforma circolare, che era ricoperta di erba. Allora vi siamo saliti sopra e, dopo che Luppon ha premuto anche il pulsante rosso, ci siamo visti portare su. Il piano erboso è risalito, fino a quando non ci siamo ritrovati in superficie, ossia nel cuore della foresta. Giunti poi all'aperto, egli, dando l'impressione di essere commosso, mi ha detto: "Tungo, adesso dovrai allontanarti il più possibile da questo angolo di bosco, se non vuoi correre il pericolo di essere ripescato dalla mia gente. Ti saluterò tua sorella. Buona fortuna!"
Dopo aver abbandonato la piattaforma mobile, mi sono voltato indietro per dare l'ultimo saluto al generoso Monko; ma il ripiano erboso, mentre sprofondava nel suolo, lo stava già riportando giù nel suo rifugio. A quel punto, mi è toccato affondare senza esitazione nella foresta che mi circondava. In quell'istante, una splendida luna piena la invadeva e, con il concorso dei rami mossi degli alberi, vi creava dei magici giochi di luce. Essendomi trovato poi solo nel folto degli alberi, ho preso una direzione qualsiasi, pur di allontanarmi alla svelta da quel luogo odioso. Così mi sono messo a correre a rotta di collo. In quei brutti momenti, in me dominavano la paura e l'ostinazione ad essere il più lontano possibile da quel posto degli orrori, del quale non ne potevo più. Ovviamente, la mia fuga non si è presentata scevra di ostacoli, poiché l'intrico della boscaglia non mi consentiva di sfrecciare come avrei voluto. Da parte mia, comunque, la corsa lo stesso è stata a perdifiato, anche se disturbata da un respiro affannoso, che mi diveniva quasi mozzo nella gola!
In verità, più che dalla spossante stanchezza fisica, venivo incalzato da una sintomatologia di tipo psicologico non di poco conto. Essa, ad un certo punto, è intervenuta a mettermi in soqquadro l'esistenza, sconvolgendomela in maniera paurosa. Per questo cercavo di cancellarla in me, correndo a più non posso. Non bastando ciò, per mia disavventura, è venuto ad aggiungersi anche il lacerante bramito di una belva, il quale mi ha rivelato che essa era sulle mie tracce con famelica ingordigia. La nuova componente del mio travaglio, rappresentata dal pericolo imminente del feroce felino, ha contribuito ad aggravare ulteriormente il quadro sintomatologico della mia precarietà organica e psichica. Allora ho cercato di centuplicare i miei sforzi, allo scopo di sfuggire alla sua ferocia, la quale adesso costituiva per me il pericolo più immediato e reale.
Così mi ero ritrovato a vivere dei momenti drammatici, durante i quali venivano a fondersi in me la spossatezza del fisico, l'angustia dell'animo e il terrore dello spirito, dando come risultato lo stravolgimento della mia totale persona. Per tale motivo, si vedeva benissimo che in me turbinava il terrore di un prossimo futuro, che mi si preannunciava dai risvolti tragici, spaventandomi la mente e pugnalandomi il cuore. Eppure ho anche cercato di distrarmi, affogando i numerosi miei strapazzi fisici e psicologici nella mia corsa sfrenata e senza sosta. Essa, ad ogni modo, aveva il pregio di non farmi pensare a nulla di brutto, neppure alla belva che ora mi era alle costole. Alla fine, quando la bestia feroce mi era già alle calcagna, mi sono sentito venir meno e sono crollato al suolo come un peso morto. È stato allora che il feroce felino si è trovato pronto per sferrare il suo assalto mortale contro di me. Invece il suo balzo assalitore è risultato esiziale a sé stesso, siccome le due frecce lanciate da voi due, miei magnanimi Iveonte e Tionteo, lo hanno trafitto e freddato durante il volo. Quando poi mi sono ritrovato sotto la vostra protezione, ho potuto considerarmi finalmente fuori da ogni pericolo. Inoltre, mi sono convinto che, da quel momento in avanti, per la mia persona le sventure erano definitivamente terminate.
Arrivato al punto in cui siamo, miei prodighi salvatori ed amici, si conclude la narrazione della mia travagliata storia, anche se la pena resta ancora dentro di me e quasi mi soffoca. Essa seguiterà a far soffrire il mio cuore, fino a quando mio padre e mia sorella Kuanda non mi saranno di nuovo accanto, entrambi liberi e con gli occhi luccicanti che fanno sprizzare la loro gioia infinita.