272-IVEONTE E TIONTEO SALVANO L'ADOLESCENTE TUNGO DA UNA PANTERA
Un'ora più tardi, le tenebre, come erano abituate a fare ogni giorno alla giusta ora, ritornarono a dominare dappertutto. Allora Iveonte e Tionteo, dopo aver consumato una frugale cena ed essersi mimetizzati conformemente all'ambiente, ossia ricoprendosi di frasche e trasformandosi in autentici elementi arborei, lasciarono il loro campo. Mentre si immergevano nella folta boscaglia circostante, essi apparivano degli arbusti ambulanti, che avanzavano molto cautamente nell'aggrovigliato ammasso vegetale della foresta. In quella circostanza, i due amici facevano il minimo rumore nei loro spostamenti felpati, cercando di non dare nell'occhio. Inoltre, siccome avevano i corpi totalmente nascosti dai cespugli, si confondevano benissimo con i rami verdi che intorno a loro crescevano abbondanti. Anzi, camuffati com'erano da tali elementi, perfino il chiarore della luna piena non riusciva a smascherarli in qualche modo. Si poteva affermare che il loro abito arborescente li rendeva invisibili pure a quegli animali che, come i felini, erano dotati di una vista acutissima. Ciò dimostrava che il loro travestimento era riuscito alla perfezione e veniva a svolgere a regola d'arte la funzione a cui veniva adibito. Sebbene il loro mascheramento mimetico li sottraesse ad ogni occhio indiscreto, ugualmente Iveonte e Tionteo evitavano di esporsi più del necessario ed andavano studiando i loro movimenti, scegliendo quelli che potevano risultare i meno sospetti. Infatti, non sapendo con quali nemici avrebbero avuto a che fare ed ignorando il loro grado di intelligenza, entrambi erano attenti a non fare passi falsi. Perciò evitavano di commettere il benché minimo errore e di produrre il più tenue rumore. Soprattutto si guardavano dal permettersi qualche distrazione, perfino quella da loro considerata la più irrilevante. Anch'essa, a loro parere, poteva farli scoprire da chi era in agguato sul loro stesso sentiero.
I due giovani oramai avevano lasciato il loro campo da quasi due ore e se ne erano allontanati all'incirca qualche miglio. Fu a quel punto che la luna piena raggiunse la sua massima altezza, collocandosi nel cielo pressoché verticalmente alle loro teste. Allora le loro ombre si accorciarono a tal punto, da scomparire interamente ai loro occhi, quasi si fossero rifugiate sotto i loro piedi e vi venissero adesso schiacciate da tali parti anatomiche. Per questo, almeno per breve tempo, esse rimasero come inesistenti; anzi, si mostrarono in una forma così compressa, da apparire abbozzate, divenendo in un certo senso irriconoscibili, per non dire inesistenti. A quell'ora della notte, come si constatava, la profusa luce del bel satellite terrestre appariva eccezionale, siccome produceva sulla foresta sottostante degli effetti luminosi impressionanti. Invece, in quei posti dove si infiltravano i suoi raggi argentei, essa, con la collaborazione di una leggera arietta che spirava da nord, dava origine a dei giochi chiaroscurali di una spettacolarità fantastica, facendoli apparire quasi irreali. Ma a mezzanotte in punto, lo spettacolo offerto dalla luna non fu il solo ad attirare l'attenzione di Iveonte e di Tionteo, poiché le loro orecchie furono colpite all'improvviso da un fenomeno acustico inatteso. Esso, dopo essersi fatto avvertire, non accennava a venir meno. Difatti, mentre i due prudenti amici si gustavano il magico effetto dei raggi lunari sulle copiose ramificazioni della foresta, gli echi di sordi rulli di tamburi vennero ad insediarsi nei loro padiglioni auricolari. Tali percussioni ininterrotte ed echeggianti, in un certo senso, sembravano essere soffocate da qualcosa, che per il momento poteva essere giustificato dalla sola lontananza. Comunque, si poteva osservare che esse si esprimevano non con strepiti caotici ed assordanti, bensì con delle cadenze ritmiche incalzanti ed assai frenetiche. Secondo il parere del giovane eroe che non andava trascurato, essendo esso di un buon intenditore, si era di fronte a delle vere danze tribali. Perciò esse, da parte di coloro che le eseguivano, volevano significare l'estrinsecazione concitata e voluttuosa del trionfo degli istinti primigeni sulla temperanza e sulla ragione.
Intanto che si presentavano incessanti, tumultuosi, travolgenti ed esasperanti, quei rulli, che a volte erano smorzati, si rivelavano dei persecutori della calma notturna, seminandovi agitazione ed inquietudine. Allora, a tale fenomeno in espansione, la numerosa e varia famiglia animale della foresta si ridestò all'istante e rimase in allarme nei loro nidi, nelle loro tane o in altri tipi di rifugio usati da loro come abitazione. Più di tutti, però, si allarmarono le femmine dei grandi mammiferi, che avevano prolificato da poco. Ciascuna di loro, istintivamente, subito badò a proteggere i propri piccoli. Perciò, lanciando in ogni direzione acuti sguardi indagatori, cercava di fiutare da che parte il pericolo potesse provenire ai suoi cuccioli, allo scopo di prevenirlo in tempo e di salvare la sua numerosa cucciolata. Ma il cupo e persistente rullare, che era esploso nel cuore della notte, poteva soltanto spingere Iveonte e Tionteo a darsi ad una intensa riflessione. Infatti, essi iniziarono a meditare sull'evento, dopo essersi appartati in un luogo che avevano stimato meno esposto e più sicuro. Perciò adesso i due perlustratori notturni erano certi che la Foresta della Paura aveva i suoi abitatori, ai quali erano da imputarsi le sparizioni improvvise dei loro due uomini. Inoltre, essi si andavano torturando il cervello, al fine di comprendere quali messaggi oscuri ed iniqui derivassero dal rullio di quegli infuriati tamburi. In principio, essi immaginarono che gli esseri misteriosi di quella foresta avessero stabilito di darsi alla caccia e di assalirli; ma prima di dare l'assalto, gli stessi avevano bisogno di scatenarsi in tribali danze di guerra. In quel modo, venivano ad aversi nei loro animi un furore più aspro, nonché una lotta più spietata ed accanita contro tutti coloro che si trovavano a transitare da quelle parti. Allora, se quello era il vero significato di tanti rulli interminabili, sarebbe stato meglio ritornarsene presso il loro campo. Così vi avrebbero preparato un piano di difesa, mettendo i loro uomini nella disposizione d'animo più ottimale. Probabilmente sarebbe bastata la loro sola presenza in mezzo a loro ad infondere nei Lutros un maggiore coraggio e un ardimento più acceso. Una simile osservazione, in verità, era di Tionteo, il quale adesso la stava sostenendo, mentre parlava all'amico che gli era accanto, adducendogli anche le seguenti motivazioni:
«Iveonte, è meglio che noi due ce ne ritorniamo immediatamente al nostro campo. In quel luogo, almeno potremo organizzare una discreta difesa, nel caso che essi tentassero l'assalto al campo in quantità soverchiante. Inoltre, saremo in grado di organizzarci meglio e di far fronte ai nostri nemici, respingendoli senza troppe perdite. Sono sicuro che ben presto essi si rifaranno vivi per attentare questa volta anche alla nostra sicurezza, come già hanno fatto con quella di Iapuo e di Vantua. Prova a immaginare cosa accadrebbe, se essi attaccassero i Lutros durante la nostra assenza dal campo! Lo smarrimento li renderebbe facile preda dei loro aggressori, i quali finirebbero col farne un grande sterminio. Invece la nostra presenza saprà renderli più coraggiosi, oltre che spronarli ad essere più combattivi nell'eventualità di una furiosa lotta contro gli ignoti assalitori!»
«Neppure io, Tionteo, sono contrario a quanto asserisci. Ma voglio prima cercare di apprendere qualcosa di più concreto sui nostri nemici, perché esso ci possa poi tornare utile. Desidero farmi un chiaro concetto di loro, siccome meglio li conosciamo e maggiormente ci mettiamo nella condizione di poterli dominare e sconfiggere. Una volta acquisita una conoscenza sufficiente degli abitanti di questa foresta, è probabile che dopo saremo noi a fare la prima mossa, magari aggredendoli nel loro stesso rifugio. Molte volte l'attacco di sorpresa permette a forze numericamente inferiori di avere il sopravvento su quelle più ingenti. Amico mio, devi sapere che in una battaglia spesso la vittoria è una questione di tattica e di strategia. Ecco perché, prima di far ritorno al nostro campo, ad ogni costo dobbiamo accertarci dell'entità numerica dei nostri nemici. Come pure ci gioverà moltissimo venire a conoscenza delle armi da loro possedute e dell'ubicazione della loro dimora. Così in seguito sapremo con esattezza quali dovranno essere le nostre precauzioni difensive per non venirne sopraffatti. Soprattutto avremo la consapevolezza degli interventi offensivi e punitivi che dovremo adottare contro coloro che attentano alla nostra vita.»
«Non ti sbagli, Iveonte, per cui approvo sia le tue considerazioni sull'argomento sia le cose che ti proponi di fare per sconfiggere i nostri nemici. Comunque, mi domando quanto altro cammino ci verrà ancora richiesto, prima di raggiungere il loro covo! A giudicare dai rulli dei tamburi, essi dovrebbero trovarsi parecchio lontano da questo luogo. A tuo parere, da quale distanza provengono le vibrazioni sonore che vengono emesse da tali strumenti a percussione? Secondo me, da non meno di due miglia!»
«In verità, non saprei dirtelo, Tionteo. Penso anch'io che il loro viaggio via etere non sia inferiore alla distanza da te stimata. Ma può darsi che la fonte della loro propagazione non sia poi così lontana, come sembra. A volte, ho la sensazione che i rulli siano nello stesso tempo vicini e lontani. In certi momenti, mi pare addirittura che essi affiorino da sottoterra, anziché giungere fino a noi per via aerea. La qual cosa, facendomi preoccupare molto seriamente, mi fa ritenere che i nostri nemici siano più vicini di quanto non pensiamo. Ma non posso garantirtelo con assoluta certezza!»
«Iveonte, vuoi forse darmi ad intendere che essi abbiano la loro dimora proprio sotto i nostri piedi, cioè in località sotterranee dove nessuno possa vederli e spiarli? Se la realtà fosse questa, ciò giustificherebbe anche l'apparente lontananza dei rulli di tamburi. Infatti, si sa che uno spesso strato di terra, posto tra la sua fonte e la sua destinazione, potrebbe attenuare qualsiasi fenomeno acustico, alterandone la reale lontananza! Per cui quanto tu hai immaginato alla fine potrebbe palesarsi una ottima teoria!»
«Invece, Tionteo, per il momento possiamo fare soltanto un sacco di 'ipotesi e di congetture, senza mai riuscire a conseguire alcun risultato concreto. Allora sta a noi indagare sui diversi fenomeni, che ci si manifestano intorno, per cercare di comprenderli meglio possibile. Perciò noi, con l'utile ausilio dei nostri preziosi cinque sensi, possiamo tentare di scoprire ciò che di vero viene ad esserci in ciascuno di loro!»
Dopo quelle loro prime riflessioni, le ricerche proseguirono nel pieno della notte, senza sosta e quanto mai meticolose. I due giovani non avevano intenzione di perdere tempo e volevano conseguire dei risultati tangibili al più presto, prima di rientrare nel loro campo. Dove intendevano disporne, quando gli abitatori della foresta non avevano ancora stabilito di assalirli in grande stile.
Erano passate circa due ore dalla mezzanotte e le ricerche venivano condotte con ritmo serrato, allorché Iveonte e Tionteo si arrestarono di botto. Entrambi avevano avvertito davanti a loro, tra gli sterpi del sottobosco, dei passi che si muovevano spediti e per niente cauti. Allora ne arguirono che qualche essere vivente, precipitandosi attraverso la fitta boscaglia, avanzava proprio nella loro direzione. La sconosciuta persona notturna si dava a correre, come se cercasse di sfuggire a qualcuno o a qualcosa. Erano stati i suoi frettolosi passi a fare percepire la direzione del suo ininterrotto spostamento. Chi poteva darsela a gambe levate in quella foresta, a quell'ora della notte? Da chi o da cosa egli stava scappando, cercando di sfuggirgli? Volendo avere le risposte alle loro domande, i due giovani attesero di vedere apparire, da un momento all'altro, la persona, la cui corsa a perdifiato faceva notare la sua presenza. Ma prima ancora che ci fosse la sua comparsa, venne a farsi sentire nelle vicinanze anche il ruggito di un grosso felino. Lacerando spaventosamente la quiete della notte, la belva cercava imporre ad ogni cosa e ad ogni essere vivente della foresta la sua legge prepotente e malvagia. La quale era basata sul principio naturale, secondo il quale il più debole deve soccombere davanti al più forte. A quel verso terribile, Iveonte e Tionteo ne dedussero che il fuggitivo, che abbastanza presto sarebbe apparso dinanzi ai loro occhi, con molte probabilità era inseguito dalla temibile fiera. Per cui lo sventurato tentava di sottrarsi con la fuga ai suoi artigli mortali. Il qual fatto li sollecitò ad armarsi subito dei loro archi, volendo colpire a morte il feroce felino, non appena avesse fatto la sua comparsa tra il fogliame situato davanti a loro.
Pochi attimi dopo, si fece avanti un giovane trafelato in abito adamitico, la cui età poteva aggirarsi intorno ai sedici anni. Le sue condizioni fisiche erano da considerarsi disastrose, poiché la sua lunga corsa lo aveva letteralmente sfiancato e stremato. Quanto al suo respiro, esso era affannoso e lo si poteva sentire anche ad una notevole distanza. Invece le sue gambe erano stanche e si rifiutavano di andare oltre. Anzi, esse minacciavano di farlo crollare da un istante all'altro, facendolo piombare giù al suolo, precisamente in quel posto dove si trovava in quel momento. Egli, però, riuscì appena a fare qualche altro passo, allorché si verificò di repente ciò che si era ipotizzato poco prima. Infatti, il poveretto era a breve distanza dai due giovani, quando fu visto arrendersi al peso della stanchezza e stramazzare al suolo di colpo, però senza perdere coscienza. Perciò, mentre se ne restava per terra supino e con le braccia allargate, egli faceva sentire il suo respiro irregolare e profondo. In verità, non si accorse minimamente di loro due, siccome essi erano camuffati da autentici arboscelli.
Scorgendo il fuggitivo in quello stato penoso, Tionteo subito provò una grande pietà per lo sventurato. Così, senza perdere tempo, decise di recargli il proprio soccorso, essendo ansioso di prodigarsi per lui come meglio poteva. Ma la sua filantropica iniziativa all'istante fu bloccata da Iveonte. Egli, afferrandolo per un braccio, intervenne a trattenerlo con tempestività. Una volta che lo ebbe arrestato, lo riprese con tali parole:
«Dove ti precipiti, Tionteo?! Cerca di pazientare ancora un poco e di evitare qualsiasi gesto inconsulto! Vuoi forse metterti nella sua stessa situazione? Hai dimenticato che il ragazzo è inseguito da una belva? Oppure vuoi che essa sorprenda pure te in una situazione precaria, la quale potrebbe precluderti ogni difesa e costarti perfino la vita? Quindi, badiamo innanzitutto ad eliminare la sanguinaria inseguitrice e poi potremo pensare ad elargire allo sfortunato le cure di cui egli avrà bisogno. Tra breve tempo, il perfido felino ci si mostrerà tutto intero. Dopo averla inseguita per lungo tempo, sicuramente esso vorrà aggredire la sua agognata preda, che si trova chiaramente in difficoltà. Noi, però, non gli daremo modo di porre in atto la maligna sua azione. Prima che l'avrà raggiunta, lo fulmineremo con le nostre frecce mortali! Ci siamo intesi?»
Iveonte ebbe appena terminato di parlare all'amico Terdibano, allorché un movimento sospetto si avvertì in quella parte della boscaglia da cui era sopraggiunto lo sconosciuto adolescente. Poco dopo i due giovani si resero anche conto che qualche animale, avanzando tra la sterpaglia, si dirigeva proprio verso di lui. A quel rumore in avvicinamento, prodotto dagli sterpi mossi e dallo scricchiolio delle foglie secche calpestate, essi rimasero zitti ed immobili, come se fossero due alberelli. Comunque, si tennero assai calmi e pronti ad intervenire con i loro archi infallibili. Di lì a poco, una grossa pantera melanica, dopo essere sbucata da alcuni rami fronzuti, apparve loro feroce come non mai. Mentre emetteva i suoi versi tremendi, i quali squarciavano perfino l'aria circostante, essa faceva roteare i suoi occhi di fuoco. Inoltre, attraverso le sue enormi fauci spalancate, mostrava una doppia fila di bianche zanne acuminate, le quali contrastavano parecchio con il suo manto, che si presentava totalmente nero.
Alla vista della sua impotente preda, la cui infelice situazione le bloccava ogni tentativo di fuga, il nero ed agguerrito felino le lanciò contro un bramito ancora più terribile. Con quel suo schiamazzo malvagio ed impressionante, forse aveva voluto annunciare al malcapitato che finalmente stava per diventare il proprio pasto desiderato. Così, dopo essere avanzata ancora di alcuni passi, che apparvero ben studiati, l'impaziente belva spiccò il suo lungo balzo assassino. Se lo si voleva valutare con obiettività, esso era da considerarsi diabolicamente calcolato, visto che l'avrebbe fatta cadere esattamente sull'inerme giovinetto. A meno che non fossero sopravvenute delle circostanze avverse alle sue intenzioni a frustrare la sua ingorda voracità. Le quali, come si poteva prevedere, sarebbero risultate favorevoli al ragazzo. Allora, prima che la pantera potesse raggiungere lo scalognato sconosciuto ed affondargli nel corpo i suoi artigli esiziali, agendo in sincronia, i due amici scagliarono contro di essa le loro frecce già incoccate. Per la precisione, quella di Tionteo le trapassò il fegato da parte a parte; mentre quella di Iveonte le si conficcò nella tempia sinistra. Ovviamente, i colpi dei due giovani si dimostrarono l'uno più mortale dell'altro, per questo arrecarono alla belva una morte fulminea. Per la qual cosa, la si vide stramazzare a terra esanime, senza che restasse nel suo corpo neppure un alito di vita! Da parte sua, nel vedersi aggredire dalla bestia feroce, il giovinetto, pur essendo malmesso, d'istinto aveva operato un rapido rotolamento del proprio corpo sull'erba, al fine di sottrarsi al suo brutale inchiodamento. Così c'era mancato un pelo che egli non venisse schiacciato mortalmente al suolo dal peso esorbitante della belva. Infatti, la pantera, dopo essere stata ammazzata al volo dai due giovani, era piombata sull'erba, come se si fosse trattato di un grosso e pesante macigno.
Non appena scorse accanto a sé il terribile felino, il quale adesso non dava più alcun segno di vita a causa della sopravvenuta morte, il giovinetto fu colto da un grande stupore. In un primo momento, si soffermò a pensare come mai la pantera fosse morta senza una causa apparente. Poco dopo, invece, essendosi accorto delle due frecce che l'avevano trafitta mortalmente, si andò chiedendo chi fossero stati i suoi due uccisori. I quali, nello stesso tempo, erano stati anche i suoi salvatori. Alla fine il poveretto si convinse che gli arcieri, che lo avevano salvato dagli artigli della belva, potevano essere solo dei suoi amici. Per cui si tranquillizzò parecchio. Volendo poi ringraziarli per quanto avevano fatto per lui, egli si diede a gettare delle occhiate furtive di qua e di là, allo scopo di cercare di scorgerli in qualche parte del vicinato. Ma l'adolescente non riuscì ad avvistare nessuno, pur essendo Iveonte e Tionteo ad una decina di passi da lui. Difatti essi risultavano ben nascosti dalla frascata, che conferiva ad entrambi l'aspetto di due autentici cespugli. Quando poi i due amici cominciarono a muoversi e ad avanzare verso di lui, sempre restando nel loro mascheramento mimetico, il ragazzo credette che stesse sognando. Pensò perfino che non si fosse salvato dal feroce felino e che quindi stesse vivendo in quel momento i tanti incubi, che si presentavano ai defunti dopo la morte. Per questo, quanto più quegli arboscelli si avvicinavano a lui, tanto più egli avvertiva delle sensazioni gelide e paralizzanti, le quali non smettevano di attraversare l'intero suo corpo tremante. A quel punto, Iveonte, avendo compreso che il loro aspetto arboreo stava terrorizzando il poveretto più della pantera, si affrettò a sottrarlo da quella che per lui era una visione irreale. Perciò, mentre si liberava delle frasche, iniziò a parlargli così:
«Non aver paura, ragazzo, e non lasciarti suggestionare dal nostro travestimento da alberelli, poiché siamo degli esseri umani come te. Siamo ricorsi a questo riparo di frasche per renderci invisibili, non volendo farci notare da coloro che consideriamo dei nostri nemici. In effetti, siamo sulle tracce degli abitatori della Foresta della Paura, che hanno rapito due dei nostri uomini. Tu invece cosa ci fai qui tutto solo, completamente nudo e a quest'ora della notte? Ci spieghi ogni cosa, che hai da dirci su di te?»
«Miei generosi salvatori, io sto fuggendo proprio dagli esseri che voi state cercando, i quali non appartengono affatto alla razza umana. Essendo stato aiutato proprio da uno di loro, in questo momento sto scappando da quegli esseri orribili. Sebbene mi sia messo in salvo, lo stesso non sono felice, siccome la mia anima è in pena per la mia sciagurata sorella Kuanda, poiché ella è rimasta ancora nelle loro mani. Adesso, se volete accettare il mio consiglio, prendete gli altri vostri uomini e sparite di corsa da questa foresta maledetta, prima che termini il triduo delle danze di plenilunio dei Monki. Esso è iniziato a mezzogiorno dell'altro ieri e dovrà concludersi a mezzogiorno di domani. Durante questo periodo di tempo, a nessuno di tali esseri è permesso di uscire dal loro rifugio sotterraneo. Essi sono convinti che, se uscissero all'aperto in questa circostanza, commetterebbero un imperdonabile sacrilegio. Allora la loro dea Luna li castigherebbe in modo terribile, poiché è quanto essi credono.»
«Chi sarebbero i Monki, ai quali ti sei riferito, ragazzo? E perché dici che non appartengono alla razza umana?» Iveonte chiese allo sconosciuto giovinetto, il quale distrattamente si era dimenticato di dare le proprie generalità ai suoi due salvatori.
«Sono esseri fisicamente mostruosi, ma con una intelligenza parecchio superiore a quella umana. Siccome si ritengono provenuti dalla Luna, essi l'adorano come una dea, a quanto sembra! Atterrati sul nostro pianeta proprio nel cuore di questa foresta, all'inizio essi si accanirono solo contro gli animali che l'abitavano. Quando poi scoprirono che sul nostro pianeta, oltre agli animali, esistevano anche gli uomini, cominciarono a mostrare il loro crudele interesse esclusivamente verso la nostra razza. Così facendo, spinsero la gente a dare a questa boscaglia il nome di Foresta della Paura. Ancora oggi i Monki continuano ad essere spietati verso gli esseri umani. Infatti, dopo averli catturati, li condannano ad un tremendo supplizio, che nessuno può immaginarsi! Io l'ho appreso da mia sorella, la quale ne era venuta a conoscenza, per averne presenziato uno.»
«Adesso, ragazzo, vuoi spiegarmi come mai tu e tua sorella vi siete trovati a transitare per questa foresta, la quale vi ha fatti finire nelle loro mani? Secondo me, ci sarà stato senza meno un motivo.»
«Certo che c'è stato, mio salvatore! Noi non ci siamo venuti per volontà nostra; ma solo per sfuggire ad una mente perversa ed iniqua, qual è appunto quella di nostro zio Trasco. A causa della sua perfidia, fummo costretti a lasciare il nostro villaggio natio. Noi venivamo scortati da alcuni guerrieri di nostro padre. Scappando tutti insieme senza una meta, alla fine decidemmo di addentrarci nella Foresta della Paura, ad evitare di venire presi dai guerrieri del delinquente nostro zio. La sua penetrazione da parte nostra durò soltanto nove giorni, poiché al decimo cademmo in una imboscata dei suoi attuali abitatori. Così venimmo catturati nel modo che in seguito vi spiegherò in maniera approfondita.»
«Mi dici, ragazzo, perché vostro zio vi dava una caccia accanita?»
«La risposta alle tue domande, nobile forestiero, richiede il racconto di una lunga storia, nella quale i principali valori umani vengono calpestati e bistrattati con disumanità. In tale storia, inoltre, l'uomo riesce a far trionfare in sé quello che è l'arcaico istinto belluino, dandosi ad arraffare con la violenza quanto non gli spetta per naturale diritto. Non bastando ciò, egli, sotto la spinta dell'insaziabile sete di potere, travolge perfino le persone appartenenti al suo stesso sangue, senza farsene alcun problema. Ve ne renderete conto, dopo che ve l'avrò narrata con tutti i particolari!»
«Allora, ragazzo, ci racconterai la tua storia nel nostro campo, durante il pomeriggio di oggi, dopo che un buon sonno e un abbondante pasto ti avranno messo nella condizione ottimale di darti al tuo racconto. Ma ora le uniche cose che vogliamo sapere da te sono due. Prima ci devi dire qual è il tuo nome, visto che i nostri sono Iveonte, quello mio, e Tionteo, quello del mio amico. Poi desideriamo apprendere come hanno fatto i Monki a rapire due dei nostri uomini, pur restandosene nel loro segretissimo rifugio. Allora ci riferisci queste due cose, che per noi sono molto importanti?»
«Per adesso, Iveonte, rispondo solo alla tua prima domanda, mettendovi al corrente del mio nome, il quale è Tungo. Per quanto riguarda la seconda, potrete conoscerne la risposta durante l'intero racconto della mia storia, la quale verrà appresa da voi in modo chiaro ed esauriente. Perciò vi toccherà pazientare fino a quel momento, che è ormai assai vicino.»
«Se le cose stanno così, Tungo, non ci resta che trasferirci nel nostro accampamento, allo scopo di trascorrere nel sonno le poche ore notturne che ci restano. Ma ti avverto che non vedo l'ora di ascoltare la tua storia per due motivi: primo, voglio conoscere più cose possibili sui misteriosi Monki; secondo, desidero essere utile a te, a tua sorella e alla tua famiglia. Chiarite tali cose, adesso possiamo anche andare!»
Nel primo pomeriggio, a pranzo avvenuto e alla presenza anche dei suoi due amici, Iveonte invitò il ragazzo a metterli al corrente dei fatti che avevano riguardato lui e i suoi familiari. Inoltre, lo pregò di riferire pure quelli che concernevano il suo popolo di appartenenza. Allora il giovane Tungo cominciò il patetico racconto della sua compassionevole storia. Da essa, come vedremo, affioreranno, su uno sfondo di una brutalità inimmaginabile, le inesprimibili sofferenze, alle quali erano andati incontro parecchi innocenti, senza poter opporre ad esse le proprie ragioni e i propri diritti di persone libere! Per cui saremo costretti ad indignarci profondamente a causa di quelle persone che ne risulteranno gli scellerati ed iniqui autori.