271°-IVEONTE SULLE TRACCE DEI DUE LUTROS SCOMPARSI

Le albe e i tramonti si alternavano senza sosta; mentre tra le une e gli altri venivano ad interporsi giornate climaticamente incostanti e notti a volte rigide. Oramai l'autunno volgeva al termine; invece l'inverno, che era alle porte, si faceva preannunciare attraverso le sue smorte coloriture e i suoi incipienti rigori. Si trattava dei soliti cambiamenti stagionali che la natura, giorno dopo giorno, iniziava ad imporre ai paesaggi del luogo. Da quando Iveonte, i suoi amici e i cento Lutros accompagnatori si erano lasciati alle spalle il villaggio di Lutrosiak, la nascente aurora era la trentesima per loro. Da poco essa si era data ad invadere il firmamento con i suoi colori e adesso vi stava disseminando ampi strati turchesi, intercalati da lunghe fasce rosate. Così veniva a dotare il cielo di una visione che appariva quasi surreale. Allora, non appena il nuovo giorno recò il primo sorriso del sole, nel campo il risveglio si andò effettuando allo stesso modo dei precedenti mattini. Si assistette cioè ai consueti preparativi per la partenza al ritmo febbrile abituale, quello che accompagnava ogni giorno la loro esecuzione. Dappertutto il ritorno alla vita era dimostrato da un fervere di voci, di rumori, di movimenti e di attività diverse. Queste ultime si svolgevano nel campo, intanto che in ogni suo angolo si andavano dileguando gli ultimi sopori della notte. La quale si era appena diradata in un chiarore sempre crescente, fino a scomparire del tutto. In pari tempo, anche la vegetazione circostante iniziò a vivacizzarsi, via via che il sole l’abbagliava con i suoi raggi penetranti e vitali. Difatti i numerosi animali che vi si annidavano, dopo essersi destati ai primi chiarori dell’alba, erano venuti fuori ben riposati dai loro nascondigli, prorompendo all'improvviso in una indiavolata gazzarra. Perfino i cavalli, con i loro nitriti e con i loro scalpiti irrequieti, si mostravano impazienti di riprendere parte all'esuberante natura, che appariva in rinascita in alcuni posti e in fermento in altri. Insomma, essi non vedevano l'ora di sfamarsi in modo soddisfacente nei prati rugiadosi.

Iveonte, prima che il sole sorgesse, si era già svegliato da una mezzora ed aveva cominciato a pensare come organizzare il lavoro del sopraggiunto nuovo giorno. Per questo si era annotato sopra un rotolo di papiro i diversi compiti da distribuire ai suoi uomini per quella giornata. Ma dopo la visita dei primi tiepidi raggi del sole, il giovane fu raggiunto nella sua tenda dall'amico Terdibano. Allora ne approfittò per incaricarlo di preparare la partenza come di consueto, impartendogli quelle direttive atte a far procedere ogni cosa per il suo verso giusto durante le successive ore diurne. Ciò, ovviamente, dopo che ci fosse stata la prima colazione da parte di tutti quanti. Al termine della quale, intanto che i suoi uomini si davano da fare per tenersi pronti a sgomberare il campo, Iveonte se ne restò ancora nella sua tenda, dove continuò a tenere impegnata la sua mente, consegnando ad essa un materiale di tutt'altro genere. Questa volta i suoi pensieri volarono direttamente alla sua dolce Lerinda, siccome erano trascorsi vari mesi, da quando l'aveva lasciata a Dorinda e se ne era allontanato insieme con Tionteo. Anzi, per come si stavano mettendo le cose, chissà per quanto altro tempo egli sarebbe stato costretto a non incontrarsi più con la sua amata!

A quel meraviglioso trasporto della mente, all'improvviso il giovane avvertì l'esigenza di godersi il tenero ricordo della sua dolce fanciulla, di cui adesso sentiva tristemente la mancanza. Anzi, pensando a lei, si fece prendere da una mestizia angosciante, nonché da una struggente nostalgia. Allora, anche se in maniera irreale, egli rivisse parte del tempo trascorso insieme con lei e si creò così un presente fantastico. Nel quale riuscì poi a rivivere intensamente la sua adorabile Lerinda, proprio come se ella gli stesse accanto.

In un primo momento, il nostro eroe andò rintracciando quei magnifici istanti, che in passato lo avevano visto al centro di una gioia immensa. La qual cosa gli era stata permessa dal fatto che aveva avuto al fianco la sua seducente ragazza, poiché ella aveva saputo colorire di un incanto sublime ogni attimo della sua esistenza. Quindi, solo grazie al suo volto, il quale era ritornato a brillargli davanti agli occhi attraverso il momentaneo trasporto mentale, il suo animo riprese ad esultare di felicità. Il suo cuore, invece, lasciandosi invadere da un giubilo incontenibile, lo fece precipitare con la mente a raggiungere il suo amore, sebbene si trovasse a grandissima distanza dal loro campo. Iveonte, perciò, la immaginò tra le sue braccia, mentre la coccolava teneramente. Dal canto suo, ella si dava a penetrare in lui, ad immedesimarsi con lui e ad accenderlo di una passione indescrivibile, incantevolmente intensa di pathos. Alla fine le sue affettuose moine, le sue soavi carezze, i suoi caldi abbracci, ma soprattutto i suoi ardenti baci, tutti insieme comunque, si ripresentarono al giovane, appagandolo e facendosi avvertire da lui quasi come se fossero reali. Perciò egli volle accogliere quella valanga di ricordi bellissimi, covando nel medesimo tempo il forte desiderio di stringersela tra le braccia e di sentirla interamente sua.

Quando i preziosi trasporti della sua memoria vennero ad esaurirsi con una certa riluttanza, Iveonte passò a prefigurarsi il reale presente della sua ragazza. All’inizio, andò in solluchero, dato che venne a raffigurarsela con tutta la sua fragrante dolcezza e la sua grazia attraente. Si poteva affermare che tale visione gli procurava molto sollievo e qualche gaia tenerezza. In seguito, però, passò ad immaginarsela immersa in una cupa malinconia, per cui anch'egli ne soffrì parecchio e si sentì il cuore roso da un'angoscia spietata. Allora il giovane si convinse che la sua lontananza non poteva che farle un effetto molto squallido e brutto, oltre che renderle l'esistenza terribilmente insopportabile. Ma pur penando a dismisura per l'amara realtà che la sua Lerinda si ritrovava a vivere nel frattempo, egli si vedeva impossibilitato a liberarla dalla sua tortura. Quest'ultima, dopotutto, veniva ad affliggere pure lui intimamente, non potendo averla vicina, come il suo cuore gli dettava!

Iveonte, ad ogni modo, non rimpianse affatto di essersi allontanato di propria volontà dalla sua ragazza, dal momento che aveva voluto anteporre a tutti gli altri doveri quello di ricercarsi come persona avente un proprio nome ed una propria famiglia. Secondo lui, unicamente se posti in relazione a quello principale, gli altri doveri secondari avevano un senso e si determinavano in modo integrale. Ecco perché, pur di ricercarsi come persona con una propria identità e di riconoscersi quindi con delle proprie origini, egli si sottoponeva volontariamente a quello che per lui adesso risultava il massimo dei sacrifici, rappresentato dalla propria lontananza da Lerinda. Ella oramai era da considerarsi in assoluto la persona in grado di addolcirgli la vita e di trascinarlo in un mondo di incanto imparagonabile.

Poco dopo, l’eroico giovane stabilì di congedarsi da quel folto sciame di pensieri, i quali erano risultati a volte meravigliosi e piacevoli, altre volte tristi e malinconici. Fu proprio in quell'istante che Tionteo si ripresentò nella sua tenda. Egli venne ad annunciargli che i preparativi per la partenza erano stati già ultimati e che si attendeva un suo ordine per rimettersi in cammino. A quell’annuncio, Iveonte, dopo aver fatto smontare anche la propria tenda dagli uomini preposti a farlo, diede l'ordine della ripresa del viaggio, poiché egli avrebbe mangiato qualcosa lungo il cammino.

Per la verità, benché avessero dei validi cavalli, i tre giovani amici e i cento Lutros accompagnatori non potevano permettersi una vera e propria galoppata, siccome l'inagibilità della zona da loro percorsa imponeva alle bestie un'andatura quasi al rallentatore. Ciò, perché la vegetazione del luogo, dopo essere diventata sempre meno rada, ad un certo punto aveva finito per conservare intatto il suo stato primordiale. Inoltre, in alcuni suoi tratti, essa si presentava spaventosamente arcaica ed ingarbugliata. Infatti, vi si incontravano giganteschi alberi millenari, i quali si elevavano fino ad un'altezza vertiginosa, impedendo con le loro amplissime chiome la visione anche del più piccolo lembo di cielo. Invece le erbe e gli arbusti del sottobosco assumevano mille forme strane e a volte anche mostruose; ma anche le si scorgevano avvinghiarsi tra di loro in modo tale, da sembrare che si stessero lottando e contendendo il dominio di quell'ecosistema poco capiente. Con il loro intrecciarsi e con il loro aggrovigliarsi reciproco, i vari elementi floristici sembravano impegnati in una lotta infinita che riguardava solo loro stessi. In realtà, essi venivano a creare una serie di difficoltà di transito a coloro che intendevano penetrare l'intricata foresta. Per la quale ragione, tutti coloro che si prefiggevano di attraversarla, pur ricorrendo all'uso dell'utile machete, dovevano sfacchinare ugualmente parecchio, se intendevano farsi strada in tale intrico vegetativo che si diffondeva dappertutto, invadendo ogni angolo del luogo.

Dunque, i poveretti Lutros, che erano al servizio di Iveonte, dovettero sudare sul serio le proverbiali sette camicie, pur di riuscire a crearsi un varco in quel fermento vegetale dallo sviluppo preistorico. Perciò furono costretti a trascorrere gran parte delle ore della loro giornata in un logorante lavoro di troncatura di rami. Esso veniva effettuato da loro, ricorrendo a forti colpi di scure, perlopiù tutti dati all'impazzata. Comunque, gli sfibranti sforzi dei Lutros continuarono per una ventina di giorni, prima che la vegetazione iniziasse a diventare di nuovo meno fitta e meno inclemente. A quel punto, Iveonte concesse ai poveretti tre giorni di riposo per farli rifare delle dure fatiche sostenute e permettere al loro fisico depauperato di recuperare le tante energie faticosamente spese. Così si organizzarono nel campo diversi giochi, allegre danze, alcune gare e tanti altri divertimenti piacevoli. In seno ai quali, ognuno di loro trovò il modo di ricrearsi il fisico e lo spirito, facendo alla fine sparire dentro di sé la stanchezza accumulata nei giorni scorsi.


Anche il terzo giorno di riposo volgeva al termine, essendo oramai la giornata giunta al suo tramonto, allorché il lutrosino Pincio irruppe nella tenda dell'eroico giovane. Mostrandosi preoccupato, con voce abbastanza concitata egli si affrettò a riferirgli:

«Iveonte, nel nostro gruppo, il quale è il numero sette, è assente Iapuo. Dopo una nostra accurata ricerca, egli è risultato irreperibile anche presso i restanti gruppi. L'ultima volta è stato visto in compagnia degli altri nostri compagni, poco prima di mezzogiorno. Da allora, però, nessuno del nostro gruppo lo ha più rivisto. Sono sicuro che la sua sparizione è avvenuta durante la chiassosa gazzarra, che c'è stata nel nostro campo dopo pranzo. In quel momento, essendo tutti raccolti vocianti intorno all'albero della cuccagna, la confusione non ci ha permesso di accorgerci che qualcuno di noi si stava allontanando dal nostro campo per non ritornarvi più.»

Prima di andare avanti, a tale riguardo bisogna venire a conoscenza che Iveonte, quando la partenza da Lutrosiak non c'era ancora stata, aveva suddiviso in dieci gruppi gli uomini che gli erano stati messi a disposizione da Sitruo. Essi, che comprendevano dieci Lutros ciascuno, erano stati numerati da uno a dieci. Inoltre, a quelli che lo componevano era vietato restare separati dai loro compagni durante la consumazione dei pasti, lungo il cammino e nelle ore notturne. Nei ritagli della giornata, invece, avevano il permesso di frequentare anche gli amici che facevano parte degli altri gruppi. Quando in uno di essi veniva registrata l'assenza di un suo componente, Iveonte doveva esserne immediatamente informato. L'avveduto giovane aveva diviso i Lutros in gruppi, poiché in quel modo la scomparsa anche di un solo uomo in uno di loro sarebbe saltata agli occhi in breve tempo. In quel modo, si sarebbero esperite tempestivamente le opportune ricerche. A suo avviso, se i Lutros avessero formato un unico grande gruppo, difficilmente la mancanza di uno di loro sarebbe stata notata dagli altri. La qual cosa avrebbe permesso a degli ipotetici nemici di far fuori almeno una dozzina dei suoi uomini, prima di venire scoperti dagli altri. Adesso era stato proprio grazie al suo ingegnoso espediente che la scomparsa di un solo suo uomo era stata notata nel loro gruppo dai compagni con tempestività.

Ebbene, dopo aver ascoltato il rapporto del Lutros ansante, l’eroico Dorindano gli domandò:

«Pincio, mi sai dire se Iapuo avesse degli amici fuori del vostro gruppo? In caso affermativo, sei in grado di riferirmi pure i loro nomi, perché io possa andare ad interrogarli adesso stesso?»

«Iveonte, io l'ho sempre visto insieme con Vantua e con un altro suo compagno; ma di quest'ultimo ora non mi sovviene il nome. Comunque, entrambi fanno parte del gruppo numero cinque. Perciò ti conviene rivolgerti direttamente a loro due, se vuoi avere maggiori notizie di Iapuo, il quale, non si sa perché, stranamente risulta scomparso.»

«Grazie, Pincio! Non occorrendomi altro da parte tua, puoi ritornartene presso il tuo gruppo, dove per il momento cercate di stare bene all'erta. Io vi consiglio di stare sul chi va là, almeno fino a quando non si sarà chiarita ogni cosa sulla scomparsa misteriosa del vostro compagno. Durante questa notte, perciò, cercate di vegliare a turno nel vostro gruppo, ad evitare altre spiacevoli sorprese!»

Dato commiato al Lutros, Iveonte raggiunse Tionteo e lo mise al corrente della sparizione di Iapuo, il quale apparteneva al gruppo numero sette. Dopo gli raccomandò di fare il giro degli altri otto gruppi che non avevano per numeri il cinque e il sette, con l'incarico di allertarne tutti i componenti. Egli invece si condusse rapidamente presso il gruppo numero cinque, cioè dove avrebbe dovuto trovare gli amici dello scomparso Iapuo. Dopo aver raggiunto la loro tenda ed esservi entrato in gran fretta, Iveonte domandò:

«Chi di voi è Vantua? Mi è stato detto che l'avrei trovato qui!»

«Infatti, ci sono, Iveonte, poiché sono io! Ma posso sapere da te perché mi stai cercando?» il giovane eroe si sentì rispondere da uno dei dieci uomini del gruppo.

«Voglio sapere, Vantua, se Iapuo era un tuo amico.»

«Perché hai detto "era", Iveonte? Gli è forse accaduto qualcosa di brutto? Ad ogni modo, Iapuo è tuttora un mio amico, se si trova ancora nel mondo dei viventi!»

«A dire il vero, Vantua, attualmente non possiamo avanzare nessun tipo di ipotesi sulla sua salute: né belle né brutte. Perciò può essere tanto vivo quanto morto! Sappiamo solo che egli è sparito e non si trova più presente nel nostro campo. Ecco come stanno realmente le cose! Ora, però, vorrei che tu mi riferissi quando siete stati insieme l'ultima volta. Ma cerca di essere preciso, nel farmi un rapporto sul tuo compagno!»

«Per l'esattezza, Iveonte, ci siamo fatti compagnia ieri, dopo mezzogiorno. Facevamo entrambi baccano, intanto che tifavamo per il nostro compagno Ligol, il quale stava tentando di raggiungere la cima dell'albero della cuccagna. Poi, ad un tratto, avendo accusato dei forti dolori di pancia, Iapuo subito mi ha lasciato, dicendomi che si appartava per un bisogno corporale. In seguito non ho fatto più caso a lui e neppure mi ha insospettito il suo mancato ritorno. Anzi, ho creduto che egli fosse rientrato nel proprio gruppo, come da regolamento, senza neppure avvisarmi. Così, da quel momento in poi e per la restante parte della giornata, non ci siamo più rivisti; né poteva essere diversamente. Invece adesso vengo a sapere da te che egli risulta addirittura introvabile!»

«Sai dirmi, Vantua, quale direzione il tuo amico ha preso, quando ti ha lasciato, allontanandosi da tutti gli altri Lutros? Almeno questo dovresti sapermelo dire senz'altro!»

«Se ricordo bene, Iveonte, egli si è diretto verso nord, in direzione della parte opposta a quella da cui siamo venuti; ma non rammento il posto esatto del luogo.»

«Ti ringrazio, Vantua, per le preziose notizie che mi hai fornito. Per il momento, è tutto quello che volevo sapere da te. Comunque, domani organizzerò delle ricerche per capirci qualcosa di più sulla scomparsa del tuo amico. Così dopo potremo affermare con certezza se egli è rimasto vittima di qualche incidente non imputabile all'uomo. In caso contrario, dobbiamo sospettare che egli sia caduto nelle maglie di nemici ignoti, i quali ci spiano e ci tengono sotto controllo. Allora saremo costretti ad allarmarci e a prendere delle caute contromisure, al fine di essere preparati contro ulteriori rappresaglie da parte loro. Perciò, già dalla nottata in arrivo, esorto anche tutti voi di questo gruppo ad effettuare una vigilanza accurata, dandovi a vegliare a turno. Io vi consiglio di turnare perlomeno due per volta!»

Fatte tali raccomandazioni, Iveonte se ne ritornò presso la sua tenda, all'esterno della quale già lo stava aspettando Tionteo. Il giovane terdibano si era fatto trovare in quel posto, poiché era sicuro che l'eroico amico avrebbe voluto consultarsi con lui sulla sparizione improvvisa del lutrosino Iapuo. Ma era anche convinto che intendeva pronunciarsi su ciò che era da farsi l'indomani, alla luce di quella sparizione improvvisa. Egli non si era sbagliato affatto perché, quando l'amico lo trovò davanti al suo alloggio, subito lo invitò ad entrarvi insieme con lui. Una volta nel suo interno, Iveonte gli esclamò:

«Ecco che le sorprese sono iniziate, Tionteo! Chissà che fine avrà fatto il nostro Lutros, dopo essere sparito misteriosamente dalla circolazione! Tu ti sei fatta già la tua opinione in proposito, amico mio? Se la tua risposta è affermativa, inizia pure a farmela presente senza perdere tempo! Così dopo cercherò di valutarla nel senso giusto!»

«Iveonte, oltre al fatto che gli possa essere accaduta qualche disgrazia, non riesco ad immaginare nient'altro sul Lutros! Se poi è vero che Iapuo ha cessato di esistere, mi auguro proprio che sia stata qualche bestia feroce del luogo a procurargli la morte. In tal caso, eviteremmo di stare sotto l'incubo continuo di venire sorpresi nel sonno da parte di chi in qualche modo attenta alla nostra vita. Non pago di avere già catturato e forse anche accoppato un nostro uomo, lo stesso nostro nemico immancabilmente si adopererebbe a fare nei nostri confronti quanto ha fatto con lui! Non sei anche tu del mio parere?»

«Forse sì e forse no, Tionteo. Soltanto domani ce ne potremo rendere conto. All'alba, infatti, daremo inizio ad accurate ricerche nei dintorni e ne sapremo di più sulla scomparsa dello sventurato giovane lutrosino. Se poi esse ci indurranno a pensare che il nostro uomo sia stato rapito, in quel caso faremo di tutto per scovare i suoi rapitori e non gli permetteremo di riprovarci una seconda volta. Al contrario, dopo saremo noi a dare loro la caccia: dovesse trovarsi il loro rifugio anche sottoterra! Così, dopo averli stanati, li faremo pentire di essersi intromessi nelle nostre faccende, giustiziandoli senza pietà! Ecco ciò che ho stabilito per ora, amico mio!»

«Se ci troveremo davanti a forti sospetti di rapimento, agiremo proprio come hai detto, Iveonte? Non pensi ai rischi che ne potrebbero conseguirci? Secondo me, questi luoghi infidi ci ostacoleranno le ricerche e permetteranno ai nostri nemici di colpirci quando e dove vorranno, essendo pratici di queste zone malfide ed insicure!»

«I pericoli non contano, Tionteo, quando l'intento di chi li affronta diventa quello di lottare contro il male e di abbatterlo. È dovere di ogni uomo giusto intervenire contro chi cerca di sovvertire il naturale ordine sociale, al fine di eliminarlo drasticamente. Inoltre, se allontanassimo da noi l'idea di vendicare il nostro uomo, credi proprio che quelli ci lascerebbero andare indisturbati e senza tentare più di nuocerci? Stanne certo che non sarebbe affatto così! Ti assicuro che, se c'è un nemico a spiarci, esso non rinuncerà ad attentare alle nostre vite e si adopererà per sopprimerci tutti. Ti assicuro che le cose non potrebbero andare in modo diverso, amico mio!»

«Non posso darti torto, Iveonte, poiché esse avverrebbero proprio come tu hai detto. In quel caso, sarebbe meglio morire da leone che assale, anziché da coniglio che scappa. Ma mi dici ora se hai deciso ancora qualcosa per domani? Pensi di poter disporre già da questa sera di ordini? Sempre riguardanti Iapuo, naturalmente! Se ne hai, gradirei conoscerli adesso che mi trovo presso di te.»

«Per il momento, Tionteo, lasciami prima pensarci sopra! Comunque, soltanto dopo che avremo appurato la causa della scomparsa del Lutros, potremo risolverci in qualche modo. Perciò aspettiamo innanzitutto di avere tutte le carte in tavola e poi giocheremo la nostra partita nel modo dovuto. Precisamente, agiremo di conseguenza, se proprio si dovrà fare qualcosa da parte nostra! Per stanotte, quindi, possono bastare le sole avvertenze di buona guardia, quelle che già abbiamo impartite a tutti i gruppi! Ora che ci penso, chissà se Speon non possa fornirci delle informazioni preziose inerenti a questa regione! Perciò ci conviene domandarlo direttamente a lui. Ti rincrescerebbe, amico mio, se ti chiedessi di andare a chiamarlo e di farlo venire qui nella mia tenda?»

«Proprio per niente, Iveonte, poiché ogni tuo desiderio diventa anche mio! Mi precipito da lui e te lo conduco immediatamente qui, siccome sono anch'io ansioso di apprendere dalla sua bocca qualcosa di preciso su questa dannata regione. Speriamo che il nostro amico ci possa dare almeno lui qualche informazione utile sulla sua natura. Così potremo muoverci in essa con cautela e senza sorprese!»

Dopo che Tionteo ebbe fatto ritorno con il giovane borchiese, quando erano passati appena alcuni minuti, rivolgendosi a quest’ultimo, Iveonte si affrettò a domandargli:

«Sapresti dirmi, Speon, in quale regione ci troviamo attualmente e da quale popolo essa è abitata? Sono sicuro che già conosci il motivo della mia domanda, siccome la notizia si è già propalata in tutto il campo! Non è forse così, amico mio?»

«Non ti sbagli, Iveonte! Sono certo che è stata la scomparsa di Iapuo ad allarmarti: è vero? L'espressione del tuo volto mi dice che sono nel giusto. La sua sparizione mi è stata trasmessa poco fa da alcuni Lutros. Per quanto riguarda ciò che mi hai chiesto, ritengo che io possa fare ben poco per accontentarti, siccome non ci siamo ancora ricongiunti alla via maestra, quella che conduce all'Isola della Morte. Come sai, è quasi un mese che ce ne siamo allontanati, al fine di abbreviare il nostro viaggio. A quel tempo, se non te lo sei scordato, scegliemmo di addentrarci nella Foresta della Paura, per una chiara ragione. Il suo attraversamento rettilineo, ossia quello che stiamo seguendo adesso, ci avrebbe fatto risparmiare circa due mesi di cammino. Mentre la via maestra, facendoci lambire la foresta che stiamo attraversando, ci avrebbe obbligati a fare un tragitto lungo e tortuoso, allungando il nostro percorso dello stesso tempo. Stando così le cose, come vedi, non posso aiutarti per niente.»

«Speon, se invece avessimo seguito l'altro tragitto, cosa sapresti dirci?»

«Se avessimo seguito la strada normale, Iveonte, ossia quella che viene percorsa da tutti, stanne certo che avrei saputo dirvi quali tribù avremmo incontrato lungh'essa. In quel caso, considerandole nel loro ordine di successione, esse sarebbero state quelle dei Patva, dei Moian, dei Surcos, dei Tucar e degli Sceican. Ma visto che ci troviamo nel cuore della Foresta della Paura, che mai nessuno ha avuto l'ardire di attraversare, effettivamente non so cosa risponderti. Il mio augurio per tutti è che Iapuo sia rimasto vittima di qualche serpente velenoso o di qualche altro animale feroce!»

«Allora, Speon,» tese a concludere Iveonte «se le cose stanno come ci hai fatto presente, non ci resta altro da fare che metterci a dormire, rimandando a domani ogni nostro pensiero di riflessione sull’argomento! Per questo, augurandoti la buona notte, ti invito a ritornartene nella tua tenda; ma ti raccomando di stare molto attento, mentre stai con gli altri!»

Poco più tardi, anche Tionteo, dopo essersi congedato dall'amico con una calda stretta di mano, se ne ritornò nel proprio alloggio, dove non ebbe alcuna difficoltà ad addormentarsi. In merito alle strette di mano, bisogna far presente che Iveonte aveva pregato il suo anello di non fare scottare più nessuno in una simile circostanza.

Era oramai notte, quando il silenzio ripiombò sull’intero campo e caricò i cuori di molti Lutros di ansie e di preoccupazioni. Naturalmente, esse li avrebbero tenuti per delle ore in preda ad una folle agitazione. Sentendosi minacciati da un ignoto pericolo, del quale non si conosceva neppure la natura, essi non erano riusciti a darsi ad un sonno tranquillo. Ma anche se la notte era trascorsa nella più piena normalità e non aveva fatto registrare alcun caso di sospetto, il mattino dopo la sveglia non trovò tutti in ottima forma. La quasi totalità degli uomini aveva ancora gli occhi assonnati e presentava un'andatura quasi vacillante, per non aver fruito di un sonno sereno e riposante. A dire il vero, ciò era da aspettarselo. Da parte sua, Iveonte non diede peso al loro stato. Perciò, senza indugio, li sguinzagliò in massa sulle tracce di Iapuo. Alla fine, però, sebbene fossero state eseguite delle ricerche meticolose in ogni angolo circostante, quando esse ebbero termine, non riuscì ad avere da nessuna di loro il più piccolo indizio dello scomparso. Pareva che la foresta se lo avesse inghiottito! Non furono neppure segnalate nella zona orme appartenenti ad altri esseri umani, che potessero vivere in quel luogo. A meno che essi non riuscissero a tenere bene occultata la loro presenza in qualche zona della misteriosa foresta!

Essendo risultate infruttuose le ricerche fatte eseguire da Iveonte per quanto attinente alla scomparsa di Iapuo, andò prendendo corpo la fondata presupposizione del rapimento. La maniera intelligente di come esso era stato messo in atto faceva escludere assolutamente l'ipotesi che l'infelice scomparso potesse essere rimasto vittima di qualche belva o di un mostro. Lo stesso fatto che sul suolo non erano reperibili tracce né di sangue né di lotta indirizzava verso tale esclusione. Quindi, non restava altro da fare che motivare con un sequestro perfetto la sparizione del Lutros. Ma da parte di chi? Era possibile che in una foresta vergine come quella potesse abitare qualche popolo primitivo? Ammesso che fosse stato così, come mai esso non faceva rilevare in nessun modo la sua presenza in quel luogo e non l'aveva neppure fatta notare prima in qualche altra circostanza? Probabilmente, erano stati i suoi ignoti abitatori a spingere la gente dei villaggi viciniori a dare a quella foresta il famigerato appellativo di "Foresta della Paura"! Altrimenti perché era stato dato ad essa quel nome sinistro che, già da solo, riusciva a seminare un folle terrore? Si poteva anche conoscere come i fantomatici indigeni riuscivano a fare prigionieri quanti capitavano in quel subdolo territorio? E a quali torture essi sottoponevano in seguito le persone che incappavano nelle loro insidie? Queste e tante altre domande, investendolo da ogni parte, erano venute a bersagliare Iveonte.

A tale proposito, egli aveva fatto anche alcune interessanti considerazioni, che adesso vengono fedelmente riportate qui appresso. A suo avviso, quegli strani aborigeni, dei quali bisognava ora ammettere l'esistenza per forza di cose, riuscivano molto bene a celare la loro presenza in quella foresta, facendo sparire anche le loro tracce, dopo ogni effettuata missione. Le loro azioni risultavano totalmente invisibili ed avvenivano quasi come per incanto. Per tale ragione, essi dovevano essere senza dubbio degli esseri straordinariamente astuti, oltre che intelligenti. Inoltre, il mistero più fitto avviluppava e proteggeva la loro esistenza, i loro costumi, i loro comportamenti ed ogni azione della loro vita quotidiana. Tali abitatori della foresta, quindi, pur muovendosi in qualche modo ed agendo in qualche parte, sembrava che non si muovessero per niente e non agissero in nessun posto. Anche se c'erano, nessuno riusciva a scorgerli in qualche luogo. Insomma, chi potevano essere e dove si nascondevano in maniera perfetta? Queste riflessioni turbinavano ancora nella mente del nostro eroe, quando le ultime luci del giorno si stavano spegnendo, siccome il buio della notte le andava cancellando ovunque, sia sulla terra sia nel cielo. Quest'ultimo, poi, si era ridotto ad un chiaroscuro agonizzante, che oscurava ogni cosa ed ogni essere vivente!

Allora il valoroso giovane, smettendo di darsi ai suoi interrogativi e alle sue considerazioni, decise di raggiungere gli amici per consumare con loro il pasto serale. Egli stava per uscire dalla sua tenda per la ragione che abbiamo appresa, allorché Draguda gli si presentò trafelato e lo bloccò sull'uscio, dandosi ad annunciargli:

«Iveonte, ci siamo accorti che nel nostro gruppo è assente Vantua, l'amico dello già scomparso Iapuo! E non ci risulta che egli si trovi presso un altro gruppo, siccome ce ne siamo già accertati!»

«Sapresti dirmi, Draguda, da quanto tempo precisamente Vantua ha fatto registrare la sua assenza dal nostro campo?» gli domandò allora l’eroico giovane, rimanendo impassibile ed esternando la sua consueta imperturbabilità di ogni giorno.

«In verità, Iveonte, noi del gruppo cinque presumiamo che egli non abbia fatto per niente ritorno dalle odierne battute di ricerca. Infatti, è da quando esse sono cessate che nessuno più lo ha rivisto aggirarsi per il campo. Sarà stato il suo amico Ligol a vederlo per ultimo; ma sempre durante lo svolgimento delle ricerche odierne!»

«Allora ritornatene nella tua tenda, Draguda, e mandami Ligol, poiché intendo interrogarlo al più presto.» concluse Iveonte, congedandolo.

Allora il Lutros, dopo essersi allontanato da lui, subito corse a chiamargli il suo conterraneo. Quando poi l'amico di Vantua gli si presentò in fretta davanti, Iveonte gli disse:

«Voglio sapere da te, Ligol, quando, dove e come vi siete lasciati tu e Vantua, mentre erano ancora in corso le ricerche nei dintorni del campo. Mi raccomando, voglio da te un resoconto minuzioso, senza tralasciare neppure quei dettagli che, a tuo parere, potrebbero risultare insignificanti! Ti sono stato chiaro? Sappi che mi aspetto da te una risposta esauriente!»

«Io e Vantua, Iveonte, eravamo intenti insieme alle ricerche ordinate da te. Ma essendoci allontanati di poco dagli altri uomini del gruppo, all'improvviso ci è apparsa dinanzi una scimmietta di colore cinabro. La quale, pur di attirare la nostra attenzione, ha iniziato a fare moine e capriole a più non posso. Ad un certo punto, tenendosi ritta sulle sue zampette posteriori, essa non faceva altro che invitarci a seguirla con quelle anteriori. Allora Vantua ha deciso di darle retta, non tanto per la curiosità di sapere a che cosa essa mirasse, quanto per il desiderio di catturarla. Egli, non avendo mai visto una bestiolina di quel colore e così simpatica, le è andato dietro per eseguirne la cattura. Anzi, del tutto sordo alle mie lamentele e ai miei richiami, il mio amico si è lanciato all'inseguimento dello strano cebide, che si era messo a zampettare tra la sterpaglia. Alla fine, visto che invano lo rimproveravo per la sua avventata decisione e lo invitavo a riprendere le ricerche insieme con gli altri, ho ritenuto cosa giusta raggiungere il resto dei compagni. Ero sicuro che egli avrebbe fatto lo stesso dopo breve tempo. A quanto pare, però, mi ero sbagliato, poiché non è stato così!»

«Ligol, invece non avresti dovuto lasciarlo solo, come hai fatto! Lo sapevi benissimo che erano questi i miei ordini! Ma a questo punto, non serve recriminarci sopra.»

«Hai ragione, Iveonte; non avrei dovuto permetterglielo. Infatti, anche dopo parecchie ore che erano terminate le ricerche, egli non si era rifatto ancora vivo nel campo. Nel nostro gruppo, perciò, adesso siamo tutti addolorati per la mancanza di Vantua. Siamo preoccupati che egli possa essere caduto nelle stesse losche mani di quelli che hanno già rapito Iapuo. Inoltre, ci terrorizza anche il pensiero che, da un momento all'altro, possa accadere anche a noi la medesima cosa da parte di ignoti nemici nascosti!»

Fatto il suo resoconto sull'accaduto, il Lutros si mostrò nervoso. Allora Iveonte, con l'intento di infondergli coraggio e di risollevarlo dalla sua pena, cercò di rassicurarlo, dicendogli:

«Ligol, esorto te e gli altri appartenenti al tuo gruppo a non temere alcun pericolo, poiché entro domani riuscirò a scovare i rapitori dei tuoi amici, che sono Iapuo e Vantua. Questa notte stessa io e il mio amico Tionteo effettueremo un giro di ispezione. Vedrete che il risultato non sarà il medesimo di oggi. Il nostro esiguo numero, occultato dalle tenebre, non desterà sospetti in chi vorrà azzardarsi ad uscire fuori dal suo rifugio per spiarci. Sono sicuro che i nostri nemici di notte ci sorvegliano e di giorno agiscono con molta prudenza, per cui già stanotte faremo a qualcuno di loro la dovuta accoglienza. Adesso puoi andare a consumare in pace la tua cena, pregandoti di tranquillizzare tutti gli altri del tuo gruppo e di riferirgli che molto presto vi libererò da questo incubo, come già tempo fa vi liberai dal mostro Zikul e dai vostri nemici Tros! Vi garantisco senza meno che in seguito avverrà quanto vi sto promettendo!»

Nell'istante stesso che il Lutros lasciava la tenda di Iveonte, Tionteo vi entrava sollecitamente. Una volta in presenza dell'amico, dopo averlo salutato caldamente, si diede a parlargli così:

«Hai saputo, Iveonte, che nel campo c'è stata una nuova sparizione?! Adesso, secondo quanto mi hanno riferito, è toccato all'amico di Iapuo, ossia a Vantua. La qual cosa, oltre a sorprendermi, mi dà anche da pensare parecchio, se vuoi saperlo!»

«L'avevo appresa poco fa da Draguda, che ho invitato poi ad andare a chiamarmi l'amico dello scomparso, ossia Ligol. Così, dopo avergli fatto varie domande a proposito del compagno sparito, l'ho rimandato al suo gruppo. Lo hai visto pure tu, Tionteo, mentre lasciava la mia tenda per ritornarsene presso i suoi compagni.»

«Allora, Iveonte, cosa ne pensi di questa nuova sparizione? Non ti sembra strano il fatto che adesso sia toccato proprio all'amico di Iapuo? Ad esserti sincero, la coincidenza mi induce a qualche sospetto. Infatti, sono quasi portato a credere che essi, avendo deciso di non seguirci più e di ritornarsene insieme al loro villaggio, abbiano pensato di sottrarsi a noi astutamente, ossia uno alla volta e alla chetichella. Altrimenti, come si può spiegare il fatto che proprio loro due siano spariti dalla circolazione, a breve distanza di tempo l'uno dall'altro? Un fatto del genere, perciò, mi lascia supporre che ci sia stato da parte dei due Lutros un vero piano premeditato, allo scopo di lasciarci e di andarsene per i fatti loro. Magari avranno deciso di fare ritorno al loro villaggio di Lutrosiak, avendo avvertito la nostalgia dei loro familiari, dei loro amici e dei loro parenti!»

«A prima vista, Tionteo, sembrerebbe che le cose stiano esattamente come affermi tu. A chiunque viene di sospettare che ci troviamo di fronte ad un abbandono del nostro campo da parte loro. Il quale, come sembra, è stato prima progettato e poi attuato con scaltrezza dai due Lutros disertori. Ma non ne sono del tutto convinto per svariati motivi, i quali continuano a darmi molto da pensare.»

«Iveonte, mi dici quali sarebbero i motivi ai quali hai accennato?»

«Eccomi ad esporteli, Tionteo! In primo luogo, si possono accettare come una pura coincidenza le due sparizioni, visto che su un qualsiasi altro uomo del campo doveva avvenire la scelta per un altro rapimento. In secondo luogo, ci sono diversi fattori che si oppongono alla probabile intenzione dei due amici di lasciarci volutamente, ricorrendo ad un sotterfugio che non trova giustificazione in alcun modo. In terzo luogo, Iapuo e Vantua dividevano la loro amicizia con Ligol, per cui essi avrebbero cercato di coinvolgere anche il comune compagno nel loro piano di abbandonarci. Quest'ultimo, invece, è rimasto sempre all'oscuro della sua esistenza, ammesso che ci fosse stato. Ti posso garantire che egli non mente! Infine, i nostri Lutros non sono uomini da avere il fegato di andarsene per i fatti propri, essendo vissuti sempre succubi degli altri. Perciò giammai avrebbero tentato di abbandonarci, essendo coscienti che, se lo avessero fatto, sarebbero andati incontro ad infiniti pericoli mortali. Allora, amico mio, non li trovi dei validi motivi anche tu?»

«Senz'altro è come tu dici, Iveonte. Perciò vai avanti nelle tue sagaci argomentazioni, siccome esse mi stanno facendo cambiare parere sui due Lutros scomparsi, dopo averli giudicati ingiustamente colpevoli di una loro volontaria diserzione.»

«Sai benissimo, Tionteo, che noi li abbiamo accettati al nostro séguito, principalmente perché essi ci dessero una mano in certi lavori manuali ed artigianali. Come pure li abbiamo accolti, affinché privassero il nostro viaggio dell'immancabile monotonia, che sarebbe derivata senza meno dal nostro esiguo gruppo. Per concludere, essi volontariamente si sono offerti di accompagnarci nel nostro viaggio, grati di averli sottratti al loro orribile destino. Inoltre, dopo non c'è stata da parte nostra alcuna intimidazione nei loro confronti, minacciandoli di morte, se avessero manifestato l'intenzione di lasciarci. Infatti, non è prevista alcuna condanna per chi decidesse di tirarsi indietro e di ritornarsene al proprio villaggio lontano. Come liberamente i Lutros hanno accettato di accompagnarci fino alle coste che si trovano di fronte all'isola di Tasmina; così, in piena libertà e in qualsiasi momento, essi possono ripensarci e ritornarsene a Lutrosiak da veri uomini liberi. Ecco perché non vedo proprio alcuna ragione per la quale Iapuo e Vantua avrebbero dovuto lasciarci di soppiatto, come dei veri fuggiaschi!»

«Allora, Iveonte, cosa puoi affermarmi sulle due strane sparizioni, che ci sono state a breve distanza di tempo l’una dall’altra? Puoi dirmi qualcosa di più convincente?»

«Asserisco, Tionteo, che sono indubbi sia il rapimento dei nostri due uomini sia l'esistenza in questa foresta di esseri misteriosi. Costoro ci sorvegliano e, con intenti occulti, mirano a farci loro prigionieri. Ciò che non capisco, però, è perché essi cercano di catturarci uno per volta. A mio avviso, se i rapimenti perpetrati ai danni dei due amici lutrosini non sono la conseguenza di una fortuita coincidenza, la loro scelta è stata fatta dai nostri nemici con oculatezza. Essa c'è stata a bella posta, appunto per indurci a pensare che essi ci abbiano lasciati, dopo essersi messi d'accordo!»

Ascoltate le giuste ed inoppugnabili considerazioni dell’amico, il Terdibano gli domandò:

«Mi dici, Iveonte, come avrebbero fatto essi a sapere che Iapuo e Vantua erano degli ottimi amici? In un paio di giorni, non era mica tanto facile riuscire ad individuare i profondi legami di amicizia che c'erano fra loro due! Quindi, se proprio non vogliamo escludere il rapimento, sarei del parere che si sia trattato più di una pura coincidenza, che non di una scelta mirata ed operata per confonderci le idee! Non lo credi anche tu?»

«Nella Foresta della Paura, Tionteo, niente è da escludersi in modo assoluto, in quanto ogni cosa è possibile. Visto poi che ignoriamo del tutto le capacità intellettive dei suoi abitatori, non c'è nemmeno consentito di farci qualche idea plausibile sul loro conto. Perciò, anche se certe nostre supposizioni che li riguarda vengono ritenute assurde dalle nostre limitate conoscenze, non possiamo mostrarci al cento per cento increduli di fronte ad esse. È giusto mostrare dello scetticismo di fronte alla notizia che un bardotto abbia volato, poiché sappiamo che le possibilità di volo di questo equide sono nulle. Ma non è altrettanto ragionevole ritenere improbabili od impossibili, in un essere che non si conosce, qualità che sono ritenute paradossali da altri. Per questo ai presunti rapitori dei due Lutros, siccome ne ignoriamo la natura, possiamo attribuire facoltà non comuni, senza meravigliarcene per niente. Nello stesso tempo, occorre che ci adoperiamo per rendercene conto di persona, esaminandole nella loro effettiva realtà. Inoltre, dobbiamo proporci di distruggerle senza esitazione, qualora esse risultino pregiudizievoli nei confronti della salute degli esseri umani.»

«Come credi di riuscire a fare la loro diretta conoscenza, amico mio, se coloro che dovrebbero possedere tali facoltà superiori ci risultano completamente irreperibili? Hai già forse un ottimo piano per farli uscire allo scoperto e rendercene così conto?»

«Non preoccuparti per questo, Tionteo. Stanotte noi due ci addentreremo nella boscaglia circostante. Dove porremo la massima attenzione nel captare ogni più piccolo fruscio che ci possa rivelare la loro presenza. Se vorranno sorvegliarci anche questa notte, essi dovranno per forza uscire dal loro rifugio e farsi scoprire da noi due, che non aspettiamo altro. Così pure, se vorranno avvicinarsi al nostro campo, saranno obbligati a muoversi tra la sterpaglia, se non sono dei volatili. Perciò noi, nottetempo, dopo esserci camuffati alla meglio ed esserci appostati nel buio, staremo ad attenderli, allo scopo di individuarli e dare loro il benvenuto che si meritano. Sono convinto che sei d'accordo anche tu con il mio intelligente piano!»

«Certo che lo sono, Iveonte! Non possiamo mica attendere che essi ci portino via tutti gli uomini, senza fare alcunché! Agendo poi come hai proposto, sapremo una buona volta per sempre se questa foresta è abitata o meno dagli arcani esseri da noi ipotizzati. Se essi continuano a farla ritenere malfamata dai popoli viciniori, una ragione ci sarà senz'altro! Ma spero che essa non sia talmente nociva per noi, da farci pentire di esserci messi sulle loro tracce, anziché allontanarci il più possibile da loro e metterci in salvo lontano da questo posto. Il quale non ci rassicura neppure un poco!»

Trascorse un paio di ore dopo la cena, Iveonte e Tionteo erano già pronti per la loro perlustrazione notturna; ma prima di allontanarsi dai suoi uomini con l'amico, il giovane eroe fece accendere dai Lutros diversi falò tutt'intorno al campo. La loro luce doveva servire a far scoprire in tempo reale ai suoi uomini quegli eventuali intrusi che avessero tentato di introdurvisi, uccidendoli così sul colpo con le loro frecce. Agli stessi raccomandò di stare bene all'erta e di tenersi riparati dietro l'abbattuta affrettata a scopo difensivo, al fine di controllare meglio qualche improvviso attacco nemico. I tronchi d'alberi formavano una cerchia che aveva un diametro di cinquanta metri; invece i grandi fuochi, distanziati l'uno dall'altro una decina di metri, bruciavano a quindici metri dalla barricata. In precedenza, Iveonte aveva fatto tosare la zona cespugliosa che si trovava tra il campo e i fuochi, ossia l'aveva fatta liberare dalle erbe e dai cespugli che vi crescevano abbondanti. In quel modo, si sarebbe evitato che qualcuno potesse nascondersi in essa oppure strisciarvi all'interno senza essere scorto da nessuno, intanto che avanzava. Ricorrendo a tali precauzioni, senza dubbio Iveonte aveva accresciuto le percentuali di salvaguardia a favore di quanti dovevano restare a vegliare nell'interno del campo. Nel medesimo tempo, aveva anche diminuito le percentuali dello stesso tipo a sfavore di coloro che avessero tentato di aggredirli di nascosto, senza farsi scorgere da quelli che stavano per assalire.