268-IVEONTE ERUDISCE SITRUO NELLA DOTTRINA TEOLOGICA
Una volta che Iveonte era ridisceso nella voragine per riprendere la sua lotta contro Zikul, i suoi amici erano rimasti abbastanza sereni ad attendere il suo ritorno in superficie. Dopo, però, in loro c'erano state meno preoccupazioni ed apprensioni rispetto alla sua prima discesa, considerato che egli aveva saputo tener testa brillantemente al mostro. Tionteo e Speon avevano soltanto temuto che la dimora di Zikul potesse riservargli dei tranelli mortali, contro i quali il loro amico avrebbe potuto non farcela. Per il resto, nei due giovani aveva regnato un'assoluta calma, la quale gli era derivata da una illimitata fiducia nel loro invincibile eroe. Verso il tramonto, essi erano stati raggiunti da una cinquantina di Lutr e dal loro capo Sitruo, i quali avevano condotto con loro anche un carro, come Iveonte aveva consigliato. Allora il lutroan si era affrettato a rivolgersi alle uniche due persone presenti che vegliavano nei pressi della voragine, lasciando intendere che erano in attesa che qualcuno ne uscisse da un momento all'altro.
«Chi di voi due è l'uomo, che il nostro vecchio Lenno ci aveva preannunciato come il Grande Eroe?» egli aveva chiesto ad entrambi «Comunque, essendo mio dovere farlo, passo subito a presentarmi, comunicandovi che io sono il padre di Esio, il capo di Lutriak.»
«Di noi due, Sitruo, nessuno è il Grande Eroe.» gli aveva risposto Tionteo «Si tratta del nostro amico Iveonte, se ti riferisci a colui che ha liberato i vostri ragazzi dal mostro Zikul. I nostri nomi, invece, sono Tionteo, che è il mio, e Speon, che è quello del mio compagno, che vedi accanto a me. Ti mettiamo al corrente che stiamo aspettando la risalita dal fondo della voragine proprio del nostro eroico amico. Stiamo aspettando il suo segnale convenuto per farlo tirare su dal suo cavallo. Adesso sai tutto quello che devi sapere sulla vicenda del mostro. Soddisfatto?»
«Come mai Iveonte si trova ancora nel baratro di Zikul? Sta forse avendo qualche difficoltà nella sua lotta contro il terribile mostro? Mi è consentito apprendere qualcosa in merito? Comunque, noi abbiamo la massima fiducia in lui, essendo egli il Grande Eroe annunciato da Lenno.»
«Sitruo, il nostro valoroso amico è dovuto scendere ancora nella voragine per recare la morte al mostruoso Zikul. Prima è stato costretto ad interrompere la sua lotta contro il mostro, siccome necessitava di una nuova torcia. Se lo vuoi sapere, è stato il tuo bravissimo primogenito a procacciargliene un'altra con la tecnica che tu gli avevi insegnata tempo addietro. Speriamo che essa tenga per tutto il tempo della sua lotta contro il mostruoso essere, come tuo figlio ha garantito a colui che voi chiamate il Grande Eroe! Puoi rassicurarci anche tu che la fiaccola da lui approntata possiede davvero le caratteristiche da lui tanto decantate? Oppure Esio ha esagerato nel definirla tale, a causa della sua acerba età?»
«Certo che mio figlio vi ha detto la verità, Tionteo! Devi sapere che una torcia simile, una volta accesa, neppure l'acqua riesce a spegnerla. Riguardo al vostro illustre campione, mia moglie e mio figlio mi hanno raccontato le poche cose che hanno appreso su di lui. Per questo sono ansioso di stringergli la mano e desidero che egli mi onori con una sua visita e si ristori nella mia umile casa. Il mio invito, naturalmente, è esteso ai suoi due amici, che siete voi, poiché tutti e tre sarete benaccetti presso la mia dimora! Infine intendo esprimergli la gratitudine del mio popolo. Esso già brama di fare la sua conoscenza, di stringergli la mano e di tributargli gli onori più grandi che esistono al mondo, poiché gli sono senz'altro dovuti.»
«Ti ringrazio anticipatamente, al posto del mio amico, capo Sitruo. Sono convinto che Iveonte di sicuro vorrà aderire al tuo invito, come pure vorrà accettare con piacere la tua ospitalità e quella del tuo popolo. Ma prima si dovrà attendere che il Grande Eroe, come voi lo chiamate, sconfigga per sempre il mostro e se ne ritorni indenne dalla voragine. Comprenderai anche tu che con il pericolosissimo Zikul non si scherza!»
«Lo capisco benissimo, Tionteo! Ma noi Lutr, dopo quanto ha già fatto, ti ripeto che abbiamo una fiducia immensa nel vostro amico eroe e non disperiamo della sua vittoria. Anzi, memori della profezia del nostro veggente, siamo persuasi che egli uscirà vincitore dalla lotta. Ciò motiva me e i miei uomini ad attendere fiduciosi con voi il suo vittorioso ritorno dall'interno della voragine. Sappi che, se occorrerà, staremo ad aspettarlo quassù anche tre giorni di seguito, facendoci portare il pranzo qui sopra dalle nostre donne. Esse, non per vantarle, sono delle ottime cuoche, essendo abituate e farlo anche con persone che non lo meritano! Te lo garantisco!»
Alla fine, facendosi tutti quanti compagnia, essi si erano messi ad attendere che il Grande Eroe ritornasse dalla dimora del mostro. Con l'arrivo della sera, i Lutr avevano anche badato a fare una grande luce intorno al ciglio della voragine con le loro numerose torce. In quel modo, si sarebbe scorto meglio il segnale che lo strenuo Iveonte era solito trasmettere agli amici tramite la corda dall'interno della voragine, allo scopo di farsi tirare su all'aperto. Le ore, logicamente, erano trascorse lente come non mai. Era quasi sembrato che il tempo in quella circostanza si fosse fermato: così grande era stata in tutti loro l'attesa, intanto che se ne restavano desti ad aspettare! Durante la loro veglia notturna, ogni minuto era parso un'ora! Ma intanto che attendevano, i loro sguardi erano rimasti inchiodati sopra la bocca della voragine; invece i loro occhi avevano fissato la corda, impazienti di vederla agitarsi e dare il segnale che li invitava a tirarlo su. Inoltre, ogni cosa era apparsa immobile per molto tempo in quel luogo, dove il silenzio era stato rotto soltanto dal respiro dei presenti, i quali, in quel momento, avevano vissuto nel loro intimo un vero trambusto psicologico.
Anche la raminga luna, senza dubbio, nel firmamento si era mostrata attenta ed interessata durante quell'atmosfera di trepidante attesa. Era sembrato che essa corresse nel cielo come una fiera aquila, che avanzava orgogliosa e solenne tra le frenetiche nuvole spinte da un vento moderato. Ma da parte di Iveonte, il segnale c'era stato un'ora dopo la mezzanotte, quando la luna si era posta verticalmente sulla voragine e il vento era riuscito a spazzare l'intera volta stellata del cielo da ogni residuo nuvoloso. Allora, non appena c'era stato lo scuotimento della corda da lui operato, erano stati in dieci a buttarsi immediatamente su di essa ed avevano iniziato ad operare un rapido tiro verso l'alto, facendogli raggiungere in pochissimo tempo la sommità della voragine. La cui parte interna, durante il sollevamento dell'eroe, si era presentata illuminata dal chiarore lunare.
Adesso, però, ci conviene ritornare al presente della nostra storia e continuare a seguire il nostro eroe, mentre essa andrà avanti con i fatti successivi alla sua uscita dalla voragine.
Venuto fuori dal suo luogo di lotta, Iveonte annunciò a tutti i presenti che Zikul aveva cessato di esistere per sempre, poiché la sua spada era stata in grado di aver ragione del mostro. Inoltre, riferì ai Lutr che, se ci tenevano ad avere le sue teste, da parte loro bisognava scendere giù nella voragine e prelevarle. Ma dovevano rinunciare ad una di esse, essendo sprofondata nelle sabbie mobili insieme con il suo spesso tronco. A coloro che si erano proposti di dedicarsi a tale compito, tra i quali c'era anche Tionteo, diede le opportune istruzioni sulla disposizione delle gallerie. Infine, avvertendoli della natura infida delle medesime, non si astenne dal suggerire loro la maniera di superare le temibili sabbie mobili. Così il lavoro fu ultimato alla meglio, in un paio d'ore. Alla fine anche quelli che non avevano partecipato all'operazione del loro recupero poterono osservare cinque delle mostruose teste di Zikul e se ne spaventarono enormemente, solo a guardarle. Essi notarono che ciascuna delle cinque orribili teste di Zikul appariva identica a quella di un coccodrillo; però la dentatura marrone della sua bocca risultava omodonte, cioè con denti tutti uguali. Comunque, il temporaneo spavento non fece cambiare idea ai cinquanta Lutr, circa quanto si erano proposti. Perciò decisero lo stesso di caricare le teste del mostro sul loro carro e portarsele con esso nel loro villaggio, come dei preziosi trofei. In quel luogo, dopo averle aggiustate sopra una grande pira ed aver dato fuoco ad essa, avrebbero festeggiato l'avvenimento insieme con gli altri abitanti di Lutriak. Alla loro spaventosa vista, anche il capo dei Lutr, il quale in precedenza già si era presentato ad Iveonte, allibì all'istante. Invece un momento dopo, egli corse a buttarsi ginocchioni ai suoi piedi, mettendosi a parlargli in questo modo:
«Grande Eroe, uccidendo il mostro Zikul, hai reso al popolo lutrese il massimo dei servigi. Con la tua eroica impresa, lo hai riscattato da un torturatore implacabile, il quale ogni mese lo privava di sei piccole vite. Perciò, per i giovinetti lutresi, da oggi in avanti, tu rappresenterai il simbolo del loro riscatto dal feroce mostro. Inoltre, nella loro mente, rimarrà carissimo ed imperituro il tuo ricordo!»
Iveonte, invitando il capo di Lutriak ad alzarsi in piedi, gli rispose:
«Comprendo il tuo stato d'animo, Sitruo; però non ammetto che mi si parli in ginocchio. Io sono un comune mortale e non una divinità, degna di un simile gesto da parte dei miei simili. Neppure accetto alcuna riconoscenza e alcun ringraziamento da parte di nessuno. Egli non mi deve né l'una né l'altro, quando metto a sua disposizione il mio braccio, il mio cuore e la mia mente. Se sono venuto in aiuto del tuo popolo, l'ho fatto esclusivamente per il trionfo del bene e della giustizia, essendomi proposto di difendere l'uno e l'altra in ogni tempo e in qualsiasi luogo sarà necessario.»
«Allora mi chiarisci, Grande Eroe, che cosa ti spinge ad aiutare il tuo prossimo, anche di quello che ti risulta del tutto estraneo e sconosciuto?»
«Devi sapere, Sitruo, che soccorrere gli oppressi è diventato per me un imperativo categorico, il quale vige sempre nella mia coscienza. Anzi, essa trae il proprio alimento vitale esattamente dalla traduzione in atto di tale imperativo. Precisandoti ciò, ho voluto metterti al corrente della seguente verità: il mio intervento a favore dei Lutr, se fuori di me ha mirato a liberarli da Zikul, invece dentro di me è servito a mettermi in pace con la mia coscienza. Ciò non sarebbe avvenuto nel mio intimo, se non fossi intervenuto in vostro aiuto e fossi rimasto soltanto a guardare. Ecco perché la mia dedizione a quanti ne abbisognano equivale, in un certo senso, all'elevazione del mio spirito alla sua forma più alta di gratificazione e di serenità! Adesso sei riuscito a comprendermi, lutroan?»
Dopo un breve silenzio, il capo di Lutriak gli replicò:
«Illustre eroe, non credo che io abbia afferrato il significato esatto delle tue ultime frasi, forse perché mi manca la cultura adatta per recepirle appieno. Ma se non mi sono sbagliato, dal contesto del tuo discorso ho desunto che tratti come tuo effettivo fratello chiunque venga a trovarsi in uno stato di bisogno. Inoltre, agisci in questo modo, perché senti come un dovere l'aiutare il tuo prossimo. Per cui chi beneficia del tuo aiuto non ti deve alcuna riconoscenza e non è obbligato a ringraziarti. Se è questo che hai voluto farmi intendere, allora mi domando: Chi è che te lo impone come un dovere il soccorrere coloro che ti si rivelano oppressi e bisognosi del tuo aiuto? Se c'è un essere superiore, il quale ti spinge ad agire come fai, ti preghiamo di riferirci chi egli è. Così noi dopo ringrazieremo lui, per averti fatto capitare dalle nostre parti.»
«Bravo, Sitruo! Come vedo, hai assimilato benissimo il mio pensiero. Perciò sarò molto lieto di soddisfare la tua richiesta. Prima, però, desidero che tu risponda alla domanda che adesso ti rivolgo: Se ti trovassi ad attraversare un bosco e lungo il tragitto ti capitasse di incontrare una capanna bell'e fatta, penseresti che essa si sia costruita da sola oppure la riterresti l'indubbia opera di qualche altro essere umano tuo simile?»
«La riterrei senz'altro l'opera di un mio simile, Iveonte, siccome una capanna non può farsi da sola, non essendo una pianta! Le piante sì che possono rigenerarsi autonomamente, badando da sé alla loro nascita, al loro nutrimento e alla loro crescita! Spero che la mia risposta, così come te l'ho data, ti abbia anch'essa soddisfatto!»
«È stata proprio quella che mi attendevo da te, lutroan. Del resto, essa era assai prevedibile, dal momento che tutti gli uomini sono dello stesso parere, a tale riguardo. Alcune volte, però, ci troviamo di fronte a casi analoghi e non sempre da parte nostra viene data la giusta interpretazione a ciascuno di loro, sia esso un fenomeno naturale oppure una circostanza significativa. In merito al medesimo argomento, sempre che tu sia d'accordo, Sitruo, vorrei farti un serio discorso. Allora posso iniziare a fartelo adesso oppure intendi rimandarlo ad altra data?»
«Non preoccuparti, Iveonte, perché sono disposto ad ascoltare da te ogni cosa che vorrai farmi conoscere. Il mio popolo ed io ti siamo molto obbligati, per cui ogni tuo ordine per noi diventa legge! Adesso, però, ti ascolto non perché me lo ordini tu, ma perché ci trovo molto gusto a sentire come ti esprimi. Le tue parole mi giungono più melodiose del gorgheggio degli uccelli; soprattutto mi si palesano interessanti ed accattivanti, come nessun'altra musica esistente al mondo! Quindi, datti pure a riferirmi ogni cosa che desideri, poiché sarò tutto orecchi ad ascoltarti!»
Allora il giovane eroe, dopo aver chiarito al lutroan di Lutriak che non c'era alcun obbligo, da parte sua e del suo popolo, di fare alcunché con l'unico scopo di accontentarlo, infine si diede a fargli il discorso che gli aveva annunciato poco prima. Esso fu il seguente:
"Chissà quante volte, Sitruo, hai contemplato estasiato il sole, la luna e le stelle; nonché sei rimasto incantato davanti a qualche bellezza naturale del nostro pianeta! Chissà quante volte un'alba rosea o un tramonto infuocato ti ha penetrato l'animo e te lo ha fatto esultare di gioia! Chissà quante volte l'avvicendarsi del giorno e della notte, come pure quello delle quattro stagioni, ti ha incuriosito e ti ha fatto meditare a lungo! Ebbene, tutti questi fenomeni naturali sono avvenuti ogni giorno e ogni momento davanti agli occhi tuoi, facendoti anche riflettere, intanto che li osservavi basito. Eppure, nonostante ciò, non ti sei mai chiesto chi li permettesse, chi ne fosse stato l'autore, cioè il creatore che aveva dato loro l'input originario! Credi forse che l'universo e il nostro mondo si siano creati da soli? Credi che la pianta cresca da sola e non abbia già racchiusa in sé una forza allo stato potenziale che la fa nascere, crescere e sviluppare? Soltanto un ingenuo potrebbe credere ad un fatto del genere!
Sappi, lutroan, che la totalità degli animali e lo stesso uomo, non si sono autocreati. Inoltre, sono opere troppo grandi quelle che ci circondano e ci affascinano, per considerarle con ingenuità e credere che esse si siano create da sole! Perché allora il sasso non si riproduce, allo stesso modo delle persone, degli animali e delle piante? Devi anche convincerti che l'armonia, la quale è alla base dell'universo, è di una perfezione così straordinaria ed insuperabile, per pensarla provenuta dalla sua autogenerazione. Al contrario, essa deve essere attribuita ad una mente superiore, ossia alla mente egregia dell'Essere Supremo, al quale comunemente diamo il nome di dio. Egli ha creato l'universo e al suo centro ha posto l'uomo, perché lo dominasse a fin di bene e mai con l'intento di rovinarlo oppure di distruggerlo. Ci sono dei popoli che attribuiscono la creazione del mondo ad una pluralità di dèi, per cui la loro concezione religiosa è del tipo politeistico. Altri, invece, preferiscono farla derivare da un unico dio, per cui la loro religione viene definita monoteistica. Comunque, la cosa importante è che nell'uomo ci sia il sentimento religioso, il quale vale per lui più di un tesoro, e che egli si adoperi per vivere la sua vita in funzione di esso, perseguendolo con tutto sé stesso.
Quando ha creato l'uomo, l'Essere Supremo gli ha infuso nella coscienza la concezione del bene; ma lo ha lasciato libero di accoglierlo oppure di respingerlo. Inoltre, ha assegnato al mondo naturale delle cose una evoluzione spontanea. Nello stesso tempo, ha posto nell'uomo una intelligenza capace di modificare il processo spontaneo della natura, ogniqualvolta egli lo ritiene opportuno. Ritornando all'uomo, quando egli muore, non si inabissa nel nulla; ma si spoglia solo del corpo materiale. Il quale rappresenta la sua parte secondaria destinata a ritornare polvere, quella che esso era stato all'origine. Quanto al suo spirito, dopo la morte del corpo che lo ha ospitato, esso continuerà a vivere per l'eternità nella vita ultraterrena. Esso non vi condurrà una esistenza da essere contemplativo ed insensibile. Al contrario, vi vivrà nella sofferenza o nella gioia, a seconda se le azioni da lui compiute nella sua vita terrena si sono conformate al male oppure al bene, risultando per tale ragione rispettivamente malvagie oppure giuste.
L'Essere Supremo, che è il creatore dell'universo, non ha voluto creare l'uomo direttamente nel godimento del suo regno spirituale; al contrario, pretende che egli vi pervenga dopo esserselo guadagnato, seguendo i suoi giusti comandamenti. Essi sono stati scolpiti dentro di noi in modo da non lasciarsi confondere, per cui ci accompagnano durante l'intera nostra esistenza, appunto per guidarci ed illuminarci la via che conduce alla perfezione. Dei tanti comandamenti, quelli che brillano di una luce particolare sono i seguenti due: 1) riconosci l'Essere Supremo e temi il suo castigo; 2) renditi una sola persona con il tuo prossimo, specialmente quando ha bisogno del tuo aiuto. Perciò, in ottemperanza a tali divini comandamenti, ho abbracciato la vostra causa e ho stabilito di liberarvi dal sopruso e dall'ingiustizia, che oggi siete costretti a subire soltanto da parte dei prepotenti Tros. Ma anch'essi, come ho già deciso, non potranno più farlo, siccome li costringerò a recedere dalle loro nefandezze!"
Non appena Iveonte ebbe terminato il suo discorso, dal quale era stato attratto moltissimo, il capo Sitruo volle esporgli le sue considerazioni in merito. Per questo si diede a dirgli:
«Dunque, Grande Eroe, è l'Essere Supremo che noi dobbiamo ringraziare, ossia quello che il nostro popolo non ha mai voluto riconoscere! Il vecchio Lenno ha sempre avuto ragione, quando ci ha parlato di esseri soprannaturali, i quali avrebbero dato origine all'uomo e al suo mondo. Egli ci ha anche esortati a pregarli, affinché ci togliessero da sotto il giogo di Zikul e dei Tros. Noi invece non abbiamo mai voluto dargli ascolto ed ogni volta lo abbiamo fatto parlare al vento; anzi, sovente lo abbiamo perfino deriso. Ma perché avremmo dovuto credere a cose che per secoli non ci erano mai state tramandate dai nostri antenati? Ecco quanto la logica ci ha sempre fatto obiettare al nostro saggio Lenno, prode Iveonte. Perciò ce lo faceva considerare solo un autentico visionario, tutte le volte che ci parlava delle sue astratte divinità invisibili!»
«Sappi, Sitruo, che sbagliavate, quando vi comportavate nel modo che hai detto, senza darvi minimamente a ragionare per cercare di comprendere ciò che egli vi diceva!»
«Invece, dopo avere ascoltato te, Iveonte, ne sono convinto anch'io. Anzi, adesso che ci penso, in me c'è sempre stato un rimorso interiore, quando ho fatto qualcosa che io stesso reputavo ingiusto. Mentre ho provato una gioia immensa nel mio intimo, quando ho compiuto un'azione da me ritenuta giusta. Perciò, a voler bene considerare le due cose, chi, se non un essere superiore, mi forniva la concezione del bene e quella del male? Ecco perché è senz'altro vero che in noi c'è una scintilla del nostro creatore, alla quale hai tu fatto riferimento. Essa ci avvisa ogni volta che tentiamo di trasgredire la sua legge cardine, quella che propugna il bene e la giustizia. Quindi, è solo colpa nostra, se facciamo a meno di osservarla. Ma ciò che non ci faceva dar credito alle parole di Lenno era l'esistenza di Zikul, il mostro che da tanti secoli continuava a strappare alla loro immatura esistenza innumerevoli adolescenti lutresi. A nostro parere, se davvero ci fossero state delle divinità benefiche nel mondo, esse non gli avrebbero dato origine. Anzi, mostrando un minimo di pietà per i Lutr, non avrebbero permesso che tale mostro nascesse e recasse strazio a tutti noi. Per questo, Grande Eroe, mi sai tu dire quale bocca infernale lo aveva vomitato nel remoto passato?»
«Innanzitutto, Sitruo, voglio farti presente che devi chiamarmi semplicemente Iveonte, ogni volta che ti rivolgi a me. Rispondendo poi alla tua domanda su Zikul, penso che con molte probabilità esso sia venuto fuori dalla casuale mescolanza degli elementi naturali. Perciò, a metterlo al mondo, non fu l'Essere Supremo, la cui opera si prefigge esclusivamente di creare l'ordine e di fare prosperare il bene e la giustizia. Zikul, invece, è il mostro venuto fuori dal caos, poiché fa fermentare in sé solo azioni empie. Può essere anche che esso all'origine fosse provenuto dalla forza del male. Tu devi sapere che alla forza del bene, che è la Somma Divinità creatrice, si contrappone la forza del male, che è la Somma Divinità distruttrice. Quest'ultima è stata confinata dalla prima in un luogo dove le tenebre e i tormenti, oltre a riddare eternamente, torturano gli immeritevoli spiriti umani che vi pervengono. Essa riesce a far giungere tra noi e nella materia il suo influsso malefico. Il quale può trasformare la natura ed indurre in tentazione l'uomo, al fine di distrarlo e di allontanarlo dalla retta via, se non lo trova volenteroso di opporglisi.»
«Iveonte, il tuo parlare è meraviglioso e seduce più di una bella donna, forse perché tratta problemi avvincenti, quali sono appunto quelli che concernono il senso religioso. Mai nessuno ci aveva parlato dell'Essere Supremo, come ci hai parlato tu in questo momento. I discorsi religiosi di Lenno sono sempre stati molto vaghi e privi di un'adeguata preparazione sull'argomento. Ecco perché non sono mai riusciti ad attrarre il nostro interesse e ad attecchire nella nostra coscienza. Invece, dopo che è stato chiarito da te per bene, il concetto relativo alla religione può presentarsi dentro di noi come l'unica fonte, dalla quale possono derivare allo spirito umano i tesori più belli e più autentici. Non è forse così, invincibile generoso soccorritore degli oppressi?»
«Bravo, Sitruo! Hai incominciato a cogliere il vero concetto della religione! Perciò prevedo che essa assai presto attecchirà in tutto il tuo popolo, il quale se ne farà un fervido difensore.»
«Hai ragione, Iveonte; ma voglio farti comprendere in che maniera essa stia maturando in me! Dal senso religioso, a mio avviso, derivano ad un popolo la forza spirituale, unitamente all'intrinseca coesione che lo tiene unito e lo fa sopravvivere. La quale forza gli fa vincere le sue battaglie contro chiunque tenti di assoggettarlo e di ridurlo in schiavitù. Inoltre, sono sicuro che dalla religiosità ogni popolo trae anche l'orientamento della sua vita civile e morale. Grazie ad essa, il singolo cresce affrancato da ogni forma di abbrutimento e di depressione interiore. Invece la collettività, la quale è portata ad essere affratellata e schiva di faziosità, avverte soltanto l'esigenza di promuovere una comune opera di miglioramento sia spirituale che materiale. Perciò, a nome del mio popolo, ti chiedo di rivelarci la concezione religiosa della gente di cui fai parte. Così noi Lutr l'abbracceremo all'istante e ne faremo il fondamento della nostra esistenza! Allora, Iveonte, ci fai questo dono stupendo, permettendoci di conoscerla e di farla anche nostra al più presto possibile?»
All'ultima domanda del lutroan Sitruo, Iveonte intervenne a chiarirgli alcune cose che considerava preliminari e necessarie, dandosi a fargli il seguente nuovo discorso:
"Nella mia regione, la quale è l'Edelcadia, ci sono nove città. In tutte loro si adora lo stesso dio, che è Matarum, il quale rappresenta la forza del bene; mentre il suo rivale Strocton è considerato la forza del male. Ma soltanto nella città di Actina è stato dedicato al dio Matarum un tempio sontuoso, dove gli officianti sacerdoti svolgono le varie pratiche religiose in onore del loro divino benefattore. Costoro sono persone che si sono consacrate alla divinità, per la quale operano con spirito di abnegazione, disinteressandosi delle restanti altre cose appartenenti alla vita mondana. Il tempio, invece, è il luogo di culto, dove, oltre a svolgersi i vari riti sacri, i fedeli vanno a pregare il dio e ad implorargli le grazie, di cui hanno bisogno. La divinità, però, le dispensa alle sole persone che ne risultano meritevoli, cioè a quelle che non si sono mai macchiate di alcuna azione empia o sacrilega. Ogni due anni, nella città di Actina, si svolgono dei solenni festeggiamenti, i quali hanno lo scopo di glorificare e di magnificare l'eccelso dio. In tale occasione, la preghiera dei molti fedeli, che appartengono ai diversi popoli edelcadici, si leva unanime verso il loro divino Matarum per ingraziarselo. Ultimamente, sono venuto a sapere che il dio degli Edelcadi non è la massima divinità dell'universo e quindi non ne è stato il creatore. Invece il merito di aver dato origine al cosmo va solo a Splendor, il quale è il padre di tutti gli dèi e vive in Luxan, che è la sua dimora sovrasensibile. Creato l'universo, egli mise a capo di esso due divinità gemelle, ossia Kron, che è il dio del tempo, e Locus, che è il dio dello spazio. Entrambi adesso lo dominano sovrani con i loro illimitati poteri.
Dopo averti esposto questi preziosi argomenti religiosi, Sitruo, voglio dare a te e al tuo popolo dei suggerimenti che li riguardano. Sappiate che non è giusto che copiate tutto da noi, siccome in questo modo rischiereste di cadere in una copia conforme di religione. Per la qual cosa, la stessa divinità perderebbe ogni valore ed ogni fascino, risultando essa come presa a prestito da altri popoli. Invece voi dovrete avere il vostro dio esclusivo, cioè il primo che vi si manifesterà, dopo che gli avrete rivolto le vostre sentite preghiere. Per ovvie ragioni, egli lo farà attraverso colui che avrà scelto quale suo diletto servo. Unicamente in questa maniera, il vostro dio acquisterà presso il popolo lutrese un pregio inestimabile, come nessun'altra divinità dell'universo. Al suo nome, ognuno di voi si sentirà umile ed orgoglioso al tempo stesso, umile verso il prossimo ed orgoglioso del proprio dio. Inoltre, nascerà in voi una intensa fede in lui, per cui giammai smetterete di pregarlo e di chiedergli le grazie, di cui avete bisogno.
Per ultimo, voglio farvi presente che ciò che conta nella vita non è l'apparato esteriore, con cui la divinità viene rappresentata e magnificata; bensì varrà principalmente la devota e fedele pratica dei suoi comandamenti. A volte l'eccedere nella esteriorità crea soltanto temibili formalismi. Allora essi forzano il credente ad una religione puramente teorica oppure lo spingono verso il fanatismo. Esso non ha niente a che vedere con l'autentico spirito religioso, a cui l'uomo deve aggrapparsi con fede ed umiltà."
Quando le disquisizioni teologiche di Iveonte ebbero fine, il lutroan lo invitò nel suo villaggio insieme con i suoi due amici. Allora egli accolse il suo invito con molto gradimento. Ma la restante parte della notte fu trascorsa da tutti sulla collina di Zikul. In quel luogo, ognuno trovò un comodo cantuccio per dormirvi, nell'attesa che la luce del nuovo giorno ritornasse a ravvivare dovunque l'addormentata natura.
Con i primi chiarori dell'alba, si svegliarono tutti quelli che avevano dormito sulla collina. Allora, essendo già sistemate le pesanti teste del mostro sopra il carro, si partì alla volta di Lutriak. Giunti al villaggio, Iveonte e i suoi amici vi trovarono un'accoglienza festosa e assai calorosa da parte dei Lutr. Essi, per l'intera giornata, non smisero mai di inneggiare al Grande Eroe, visto che egli aveva affrontato ed ucciso il mostro Zikul. Da parte sua, Sitruo, non dando peso alla penuria di vettovaglie in cui versava la sua gente, ordinò che si festeggiasse con un lauto banchetto il prestigioso ospite, il quale aveva apportato tantissimo bene al popolo lutrese. In seguito, mentre nel proprio villaggio si banchettava festosamente, Sitruo chiese a colui che considerava un eroico guerriero:
«Quando tu e i tuoi amici pensate di lasciare il nostro villaggio, Iveonte? Per noi, potreste restarci per sempre, se non ci fossero i Tros! Come sai, essi rappresentano il secondo nostro problema e potrebbero prendersela anche con voi, se vi trovassero in Lutriak!»
«Rimanerci per sempre ci sarebbe impossibile, Sitruo, dato che altri impegni irrimandabili ci obbligano a lasciare al più presto il tuo villaggio. Comunque, non ce ne andremo da esso, fino a quando non vi avremo aiutati a liberarvi dalla prepotenza trosina, poiché non intendiamo lasciare a metà l'opera da noi intrapresa.»
«Ma è assurdo, Iveonte, da parte vostra, voler pretendere una cosa simile, allo scopo di farci del bene! Voi non potrete mai farcela a liberarci dal popolo dei Tros, poiché esso dispone di un esercito di oltre diecimila guerrieri, i quali sono anche forti e spietati! Mi dici su quale aiuto sperate di contare qui, tu e i tuoi due amici, nella vostra lotta contro i guerrieri trosini? Io non ne intravedo nessuno!»
«Invece contiamo semplicemente sul vostro aiuto, Sitruo.»
«Vi aspettate il nostro aiuto?! Ma dici sul serio, Iveonte!? Tu devi sapere che noi, oltre ad essere la metà dei Tros, non siamo neppure avvezzi alle armi. Inoltre, se lo fossimo o lo diventassimo con il vostro aiuto, mi sai spiegare come faremmo ad armarci? Dimentichi che non disponiamo neppure di un'arma? Perciò cerca di ragionare e scaccia da te questo progetto, che ritengo sul serio utopico!»
«Voi non dovrete preoccuparvi di niente, Sitruo, perché penseremo noi a tutto ciò che è da compiersi, compreso anche come farvi venire in possesso delle armi! Anzi, ti informo che, già a partire da domani, ci metteremo subito all'opera. Perciò, ad evitare che si perda altro tempo, ci daremo da fare già all'alba. Per quell'ora, metterai a nostra completa disposizione tutti gli uomini del villaggio che possono considerarsi validi a tale scopo. Quanto ai lavori campestri, per questa volta ci penseranno le vostre donne a condurli avanti, intanto che gli uomini si preparano alla guerra. Esse dovranno farlo, per tutto il tempo che gli uomini attivi del villaggio saranno impegnati ad apprendere il mestiere delle armi per diventare dei bravi combattenti. Le aiuteranno in tali lavori gli uomini anziani e gli adolescenti. Quindi, se volete liberarvi dai vostri oppressori trosini, dovrete avere la massima fiducia in me, obbedendo ciecamente ai miei ordini.»
«Se il Grande Eroe ha deciso così, non discuteremo i suoi comandi, che hanno come fine il nostro bene. A tale riguardo, Iveonte, posso conoscere da te ciò che ti proponi di fare e come intendi procedere per attuarlo? Dopo che me lo avrai detto con chiarezza, potrò riferirlo a tutti i miei sudditi, che sono i restanti Lutr. Allora attendo che tu me lo dica.»
«Poiché per un mese non dovreste ricevere più alcuna visita da parte dei Tros, ebbene, in questo periodo di tempo io e il mio amico Tionteo faremo del nostro meglio per rendere abili alle armi tutti gli uomini del villaggio. Mi riferisco a quelli che hanno una età compresa tra i sedici e i sessant'anni compiuti, facendoli allenare con dei bastoni di legno. Poi, alla prossima notte di plenilunio, durante le solite orge dei Tros, le vostre donne gli verseranno da bere molto vino contenente del sonnifero. Così, dopo che gli orgiasti trosini si saranno addormentati, noi irromperemo nel villaggio e li uccideremo tutti. Per i Lutr, quella sarà una buona occasione per venire anche in possesso delle armi, visto che essi potranno disporre di quelle dei loro nemici uccisi. Mediante le stesse, i tuoi uomini combatteranno e debelleranno l'altra metà dei Tros rimasti nel loro villaggio, secondo la tattica che nel frattempo avrò predisposta per lo scontro finale. Il quale seguirà a breve distanza di tempo, considerato che il loro capo Truco di sicuro vorrà rendersi conto del mancato ritorno dei suoi uomini a Trosiak. Dopo aver fatto armare tutti gli uomini che gli sono rimasti, subito egli si precipiterà a farci la sua visita. Ma noi li riceveremo come si meritano, attirandoli in una trappola mortale. Ecco il piano che intendo attuare, con l'obiettivo di rendervi degli uomini liberi e non più soggetti ai gravi soprusi dei Tros!»
Il lutroan di Lutriak si compiacque del piano strategico dell'eroico Iveonte, per cui fece fuoco e faville, affinché il suo popolo si impegnasse anima e corpo nei vari allenamenti preordinati dallo straordinario forestiero. Soprattutto invitò gli uomini abili a non disertare le diverse esercitazioni militari, che li avrebbero condotti a confrontarsi duramente con i loro nemici trosini. Egli stesso, volendo essere di esempio ai suoi uomini, fu il primo a prendervi parte. Anzi, vi si applicò con uno zelo così ammirevole, da suscitare in ciascuno dei suoi conterranei lutresi il forte desiderio di emularlo. Così nel villaggio di Lutriak seguì un mese di estenuanti esercitazioni e di faticosi allenamenti. Quando poi le une e gli altri ebbero termine, grazie soprattutto ai sovrumani sforzi sostenuti dagli amici Iveonte e Tionteo, si poté considerare oramai pronto per l'esecuzione il piano che doveva condurre i Lutr allo sterminio dei prepotenti guerrieri trosini. Perciò adesso gli abitanti di Lutriak attendevano con ansia che l'indomani giungesse presto per entrare in azione. Nello stesso tempo, essi si auguravano che ogni cosa in futuro si svolgesse secondo le loro previsioni e che alla fine ogni loro sacrificio e ogni loro sforzo venissero coronati dal massimo successo.
A quel punto, i Lutr non dubitavano più della loro vittoria sui Tros, poiché fidavano nell'indiscusso carisma di colui che aveva saputo dotarli di una discreta preparazione tecnica sia nell'uso delle armi che nella lotta corpo a corpo. Essi erano molto convinti che Iveonte li avrebbe guidati alla sicura vittoria sui loro millenari nemici, liberandoli definitivamente da loro. Lo stesso eroe dorindano, in un certo senso, non nutriva dubbi in merito, essendo più che persuaso che i Lutr, grazie al discreto addestramento che per merito suo e di Tionteo avevano acquisito nel combattimento ravvicinato, avrebbero avuto la meglio sugli odiosi Tros. Per il qual motivo non gli sarebbero servite una maggiore dimestichezza con le armi ed una preparazione più incisiva nelle manovre belliche. Infatti, l'una e l'altra avrebbero avuto un peso relativo, al momento del confronto armato con i nemici. Il motivo? Dall'altra parte della barricata, oltre all'amico Tionteo, c'era anche lui a sopperire alle carenze dei Lutr, le quali erano dovute ad altre giustificabili ragioni.