267-IVEONTE AFFRONTA DI NUOVO ZIKUL E LO UCCIDE
Raggiunto il fondo del baratro, senza alcuna esitazione Iveonte si riversò nella galleria dove prima si era lanciato pure Zikul. Essa, essendo dominata dal buio fitto, non lasciava intravedere il suo interno, che si presentava anche molto profondo; ma l'eroico giovane lo stesso vi entrò con audacia e fermezza. Mentre così vi procedeva molto a rilento, egli notò che quella sorta di ampio cunicolo penetrava nel sottosuolo con lieve pendio. La sua osservazione gli veniva permessa, grazie alla luce della sua torcia, la quale riusciva ad illuminargli a sufficienza un buon tratto del sotterraneo che gli si estendeva davanti senza lasciare vedere la fine. Nell'addentrarsi in quella galleria, Iveonte si chiedeva se fosse stato Zikul a scavarsi la sua dimora oppure il mostro l'avesse trovata già bell'e fatta, come egli la scorgeva in quel momento. Per la verità, non si erano mai avute notizie a tale riguardo; tutt'al più, si potevano avanzare solamente alcune ipotesi.
Una delle quali faceva supporre che la collina fosse stata ricavata dall'accumulo del materiale ottenuto da Zikul con le sue varie operazioni di scavo. Secondo la stessa congettura, esso, oltre a formare il piccolo rilievo, si era anche preoccupato di dar luogo alla voragine, dovendo questa servire come sbocco all'esistente dedalo di cunicoli scavati sottoterra. I quali, ammesso che tale teoria si fosse rivelata esatta, tenendo conto dell'enorme volume della collina, sarebbero dovuti risultare numerosi e di una profondità considerevole. Era evidente che si navigava nel mare delle ipotesi più probabili se non proprio assurde, le quali in nessun caso avrebbero potuto dare la certezza a ciò che è stato appena supposto in merito. Allora ci conviene sorvolare sulle tante illazioni intorno all'origine della dimora del mostro Zikul e continuare ad interessarci del seguito del nostro racconto.
L'immensa galleria, nella quale adesso si muoveva Iveonte, dopo quasi un centinaio di passi, diede luogo ad una doppia curva: la prima era diretta a destra e la seconda a sinistra. Avendo egli scelta quest'ultima, essa ridiventò rettilinea soltanto per un brevissimo tratto. Infatti, poco dopo la si scorse confluire in un'altra galleria, con la quale veniva a formare una T. Di fronte a tale bivio, lo strenuo giovane rimase perplesso, non sapendo se svoltare a dritta o a manca; alla fine, però, questa volta stabilì di imboccare la svolta di destra. Ma prima di immettersi nel nuovo cunicolo, servendosi del pugnale, tracciò su ambo le pareti laterali una freccia direzionale, poiché essa gli sarebbe dovuta servire per assicurarsi un facile ritorno all'esterno della voragine. Naturalmente, in seguito avrebbe adottato la stessa misura cautelativa, tutte le volte che da un cunicolo tubolare si fosse riversato in un altro ad esso contiguo.
Dopo essersi immesso nella seconda galleria, Iveonte non aveva fatto neanche cento metri, allorché se ne trovò una terza davanti, la quale pure procedeva perpendicolarmente a quella che stava percorrendo. Anche di fronte al secondo bivio del medesimo tipo, il giovane temerario all'inizio rimase titubante; ma alla fine ritenne opportuno svoltare a sinistra. Convinto di aver fatto la scelta giusta, egli proseguì per di lì senza remore. In lui, oramai, c'era soltanto una grande impazienza di raggiungere il mostruoso Zikul e farlo fuori alla svelta. La terza galleria, la quale era stata da poco intrapresa dal nostro eroe, lo condusse in un antro emisferico immenso, dove confluivano altre sei gallerie. Pervenuto al centro di esso, egli si mise a studiare la difficile situazione in cui era venuto a trovarsi, cercando di capirci almeno qualcosa. Ma adesso la scelta si poneva tra sei alternative e non più tra due solamente. Per quale di esse, dunque, doveva procedere questa volta, senza pentirsi in seguito di aver sbagliato? Così, apparendo alquanto indeciso, il giovane si soffermò a studiare meglio la situazione, prima di scegliere quella su cui far cadere la propria preferenza.
Mentre esitava a fare la sua scelta, Iveonte fu raggiunto da urla spaventose di dolore. Esse, pur espandendosi per l'antro simili ad echi lugubri, riuscivano a celare abbastanza bene la loro provenienza. Sembrava che quei lamenti, i quali non potevano essere che di Zikul, provenissero da tutti e sei i cunicoli, anziché da uno solo di loro, disorientando in quel modo l'orecchio dell'ascoltatore. Essi, comunque, facevano pensare che il mostro avesse incominciato proprio in quel momento ad avvertire un intenso dolore, il quale poteva derivargli esclusivamente dalla ferita che l'avversario gli aveva procurata nella parte superiore della schiena. Per tale ragione, a distanza di tempo, il mostro aveva iniziato a dolersene seriamente tra molti disperati lamenti, non potendo fare a meno di urlare e lamentarsi in quella maniera. Iveonte, da parte sua, per quanto aguzzasse l'udito il più possibile, non si mostrava in nessun modo in grado di rendersi conto da dove potessero giungere fino a lui le terribili e dolorose urla del mostro. Infine pensò di riuscirci con un ingegnoso espediente. Secondo lui, accostando la torcia all'imbocco di ciascuna galleria, facilmente gli sarebbe stato consentito di scoprire l'esatta provenienza di quelle disperate urla di dolore. La fiamma, una volta investita dalle vibrazioni sonore, quasi di sicuro avrebbe registrato un qualche tremolio e ne avrebbe rivelato l'esatta provenienza senza alcun errore. Ebbene, dopo aver fatto quell'esperimento, il valente giovane alla fine optò per la galleria che veniva a cagionare alla fiamma della sua torcia un maggiore sfarfallamento. Così si lanciò in essa con la certezza che assai presto avrebbe raggiunto la dimora del mostro Zikul, dove gli avrebbe inferto senza meno il colpo di grazia.
Ora Iveonte proseguiva inarrestabile nella sua avanzata nel cunicolo appena intrapreso, siccome nessuno più poteva fermarlo. Anzi, intanto che procedeva cauto, si mostrava tutto slancio prorompente, nonché si rivelava una fiera minaccia per il mostruoso rivale gemente. Suo obiettivo era quello di troncargli le sei teste per farne poi dono ai Lutr e permettergli di bruciarle sopra un grande rogo, festeggiando l'avvenimento con danze allegre e spensierate. Anche i loro figli vi avrebbero partecipato felici e giulivi, facendo un grande girotondo intorno alla bruciante catasta di legna. Girando poi intorno ad essa, i ragazzi si sarebbero divertiti, fino a quando le fiamme non avessero divorato interamente le sei teste del reale attentatore delle loro vite immature, trasformandole in grossi bocconi. Poco dopo, mentre era immerso nei suoi pensieri filantropici, Iveonte si accorse che non camminava più sopra uno sterrato compatto; ma avvertiva sotto i calzari un sottile strato di sabbia. La qual cosa lo spinse a controllare se sopra di esso si scorgessero le orme fresche di Zikul per accertarsi se stava percorrendo la strada giusta. Allora si avvide che lo strato sabbioso faceva apparire molto visibili i calchi delle zampe che il mostro vi aveva lasciato di recente. Ma egli constatò che essi si dirigevano in entrambi i sensi di marcia, poiché il mostro aveva fatto quel percorso due volte, quando era uscito dalla propria dimora attraverso quella galleria e quando vi era rientrato. Di fronte a quelle impronte, Iveonte apparve molto soddisfatto, essendosi persuaso che stava seguendo la pista giusta, cioè quella che lo avrebbe condotto molto presto al cospetto di Zikul. Per il quale motivo, continuò a proseguire per essa; ma sempre seguitando a studiare attentamente le ultime zampate lasciate sulla sabbia dall'enorme bipede alato. Nel frattempo, più egli andava avanti, più le urla del mostro si facevano avvertite con maggiore intensità, siccome la sua dimora si andava avvicinando sempre di più. Inoltre, anche il dolore, acuendosi, aveva iniziato a fargli più male.
Andando avanti in quella direzione, ad un certo punto, il giovane eroe non scorse più davanti a sé le gigantesche orme del bestione, poiché esse erano sparite del tutto dal suolo. Sotto l'alone luminoso della torcia, lo strato superficiale di quest'ultimo si presentava inviolato, cioè come se mai nessun essere vivente fosse transitato su di esso. Quel fatto lo fece insospettire, per cui badò immediatamente a rendersi conto di quella stranezza. All'inizio, egli fu indotto a pensare che Zikul lo avesse ingannato, facendogli percorrere appositamente la galleria sbagliata. Ma poi, soppesando meglio la situazione, l'impavido giovane non ne fu più abbastanza convinto, per due elementari motivi. In primo luogo, le grosse peste, che il mostro aveva lasciate, erano venute meno soltanto a metà strada della galleria. In secondo luogo, via via che si introduceva di più in essa, le sue urla lamentevoli venivano da lui percepite, ad una distanza sempre più vicina. Allora egli si domandava perché mai erano sparite le zampate del mostro dalle sei teste? Poteva sapere anche dove esso era finito, visto che né sulla volta né sulle pareti laterali si scorgeva qualche apertura, la quale avesse potuto consentirgli un percorso alternativo? Ad ogni modo, era evidente che il mostro non poteva di certo essere sparito nel nulla, dopo essersi ad un tratto volatilizzato!
Assalito da tali assilli, Iveonte non si azzardava ad andare avanti, poiché prima desiderava comprendere le ragioni della sparizione del mostro, siccome esse si rivelavano qualcosa di assurdo. Secondo lui, Zikul non poteva mica essersi smaterializzato all'improvviso, senza un motivo plausibile! Infine, però, si persuase che esso poteva aver fatto quel tratto di galleria, servendosi delle sole ali, sebbene la sua breve trasvolata fosse avvenuta a stento e con una certa sofferenza. In quella circostanza, infatti, il bestione alare era da considerarsi ridotto piuttosto maluccio, dal punto di vista del volo. Quindi, perché lo avrebbe fatto, se era cosciente che l'uso delle ali gli sarebbe costato uno sforzo immane e gli avrebbe causato una esacerbazione del dolore? Vi era forse stato costretto da una causa di forza maggiore, che in apparenza non era individuabile? Quale poteva essere, ad esempio? Iveonte, perciò, non dando alcuna tregua ai suoi persistenti interrogativi, decise di approfondire l'arcano fenomeno. Per prima cosa, pensò di tendere al massimo la torcia innanzi a sé, al fine di far giungere la sua tenue luce il più lontano possibile. Con quella sua manovra esplorativa, cercava di scorgere qualcosa che lo aiutasse a trovare delle risposte esaurienti alle sue assillanti domande. Fu in quel modo che egli poté notare che, dopo una decina di metri, le peste di Zikul ricomparivano sul suolo.
Quel particolare spinse Iveonte a chiedersi perché mai il mostro aveva evitato di percorrere con le zampe quel breve tratto di galleria. Allora la sua riflessione immediata lo portò a credere che quel breve tragitto potesse essere costituito da sabbie mobili. Per averne la conferma, egli staccò un macigno da una delle pareti laterali e lo gettò giusto in mezzo al tratto di percorso che risultava privo di orme. Così, come aveva sospettato, il pesante masso fu visto venire inghiottito dallo strato sabbioso. La qual cosa confermò in modo inequivocabile che il suo sospetto era stato giusto. Se ne deduceva che, se intendeva raggiungere Zikul nella sua dimora, egli era obbligato a superare quel tratto di galleria che risultava costituito dalle temibili sabbie mobili. Ma si convinse anche che esse gli avrebbero teso un agguato mortale, se avesse osato percorrerle a piedi. Comunque, l'eroico giovane, da parte sua, non intendeva lasciare campo libero a chi da secoli opprimeva l'infelice popolo dei Lutr. Perciò, davanti a quell'ostacolo, non si perse d'animo e decise di superarlo con un bel salto in lungo, nel quale egli poteva stimarsi un provetto campione. Ebbene, dopo aver preso la rincorsa, il giovane spiccò un balzo in avanti, con il quale tese a superare più che sufficientemente il tragitto costituito dalle sabbie mobili. Invece, lungo la traiettoria del suo salto, egli incontrò una forte corrente discensionale, la quale in un attimo lo sbatté con veemenza sopra lo strato sabbioso.
Soltanto adesso l'eroico giovane notava che, sopra le insidiose sabbie, la volta della galleria presentava una profonda spaccatura, alla quale prima non aveva fatto caso per niente. Era stato appunto da tale fenditura che, durante il suo lungo salto, repentinamente si era messa a soffiare la terribile corrente d'aria. Essa, investendo con forza il formidabile atleta durante la sua esibizione aerea, lo aveva sbattuto contro le sabbie mobili; anzi, lo aveva schiacciato con prepotenza sopra di esse, allo scopo di farvelo affondare e perire per sempre.
Scaraventato a guisa di un fuscello sopra le mortali sabbie, che si mostravano maledettamente impazienti di inghiottire qualunque cosa e qualunque essere che vi fosse capitato sopra, Iveonte cercò di venirne fuori con ogni mezzo a sua disposizione. I suoi diversi tentativi di uscirne, però, risultavano vani, per cui si sentiva attrarre poco per volta dalle sabbie assassine. Contro le quali ogni suo sforzo ed ogni suo espediente risultavano davvero inefficaci. Egli constatava che i tentativi di lotta da parte di chi vi finiva dentro, oltre che riuscirgli inutili, ve lo facevano sprofondare ancora di più, accelerando la sua fine. Per questo l'audace eroe si trovava in un guaio molto serio, visto che esso pareva precludergli ogni via di scampo e condannarlo a morte certa. Comunque, egli si andava chiedendo di contino in quale maniera poter uscire da quella terribile situazione.
Ad aggravare le cose, c'era anche il turbolento soffio ciclonico che seguitava a spingere inclemente dall'alto. Esso, esercitando sul malcapitato giovane una maledetta pressione, si accaniva perfidamente a dare una mano alle dannate sabbie mobili. Inoltre, creandogli intorno un turbine di granelli sabbiosi, che gli andavano negando la normale visione del luogo circostante, il medesimo soffio lo costringeva a socchiudere gli occhi. Difatti Iveonte doveva anche cercare di evitare di essere accecato dalla turbolenza della sabbia, la quale, oltre che pericolosa per i due organi visivi, si mostrava tagliente per la pelle del viso. Per fortuna, la fiamma della torcia, benché venisse messa a dura prova dal violento soffio, non si lasciava spegnere da essa; invece continuava ad agitarsi vorticosamente, diveniva volubile al massimo e si riduceva a volte ad un puntino luminoso. Ma non si lasciava estinguere del tutto, per cui subito dopo ritornava a ravvivarsi e ad esercitare il suo potere luminoso tutt'intorno a sé. Era evidente che le sue fibre vegetali erano impregnate di un grasso particolare, il quale, dopo essersi acceso, non si faceva spegnere neppure dall'acqua.
Come possiamo renderci conto, Iveonte adesso si trovava in una situazione abbastanza incresciosa e senza rimedio, poiché per lui oramai non si intravedeva alcuna possibilità di uscirne. Le esiziali sabbie, che tramavano contro di lui con forze impari, oramai gli erano arrivate fino al collo; mentre le sue braccia erano tenute sollevate in alto ben dritte, con le mani che impugnavano saldamente la sua spada e la torcia. Nel frattempo il giovane si sentiva affondare ancora di più in quella massa di sabbia, la quale, cedendo sotto i suoi piedi, continuava ad avanzare in modo incontrastato lungo tutto il suo corpo. Essa prima venne a coprirgli il mento; poi raggiunse la sua bocca, che era tenuta ermeticamente chiusa dalle labbra ben serrate; in ultimo, venne ad invadergli il naso, gli occhi e la fronte. A quel punto, la sua fine sembrò inevitabile. Quel tritume di minerali, naturalmente, non poteva raggiungere la mente del giovane, la quale si manteneva ben lucida; come pure non poteva soffocarvi la speranza. Perciò, quando si rese conto che le sole sue forze non potevano sottrarlo alle indomabili sabbie mobili, che lo stavano trascinando ineluttabilmente verso la morte, Iveonte ripose ogni fiducia nella sua invincibile spada. Allora si affrettò ad implorarla nel suo intimo, mediante le seguenti parole:
"Kronel, nelle condizioni in cui mi trovo, soltanto tu puoi aiutarmi ad uscire da questa difficile situazione. Tu sai quanto ho lottato e quanto vani sono risultati i miei sforzi per tirarmi fuori da essa; come pure sai che solo il tuo intervento può salvarmi da queste sabbie mobili. Per questo ti prego di venire in mio soccorso e di darmi il tuo miracoloso appoggio, affinché io possa sopravvivere e continuare la mia lotta contro il mostruoso Zikul. Se dovessi venire a mancare, sai dirmi chi libererebbe dopo i derelitti Lutr dalle tante ingiustizie, che sono costretti a subire per colpa del mostro e dei Tros? Quindi, ti chiedo di tirarmi fuori da queste maledette sabbie mobili e di salvarmi da esse. Inoltre, come anche tu sai benissimo, la mia salvezza rappresenterà anche la fine delle tribolazioni di tante persone infelici e sofferenti, che dovrò ancora incontrare e salvare dalle loro pene!"
Non appena il giovane ebbe formulato la sua preghiera, all'improvviso la spada, quando già il fino pietrisco gli era arrivato ai polsi, cominciò a sollevare il suo protetto. Alla fine di tale sollevamento, essa lo ripose a terra, ma al di là del tratto sabbioso. Così gli permise di proseguire verso quella parte della galleria che era altrettanto buia, dalla quale continuavano a provenire le orribili urla del mostro. Anzi, in quella circostanza, esse somigliavano quasi ai barriti lamentosi emessi da una intera torma di elefanti, all'avvicinarsi della minacciosa tempesta. Allora, senza nessun altro indugio, Iveonte si armò nuovamente del suo spirito bellicoso e riprese a penetrare in quella galleria, essendo certo che l'incontro con Zikul era ormai imminente. Infatti, dopo un percorso di altri cento metri, il giovane venne a trovarsi davanti ad una immensa spelonca, in fondo alla quale scorse undici biglie rosseggianti, dieci delle quali si agitavano a coppie nel vuoto. Ma adesso vi regnava il silenzio più assoluto, poiché il mostro, quando l'intruso si era trovato a dieci metri dal suo antro, aveva smesso il suo baccano di spasimi. Il nostro eroe, scorgendo le undici lucine rosse che roteavano nell'oscurità, all'istante pensò agli occhi del mostro, anche se essi sarebbero dovute essere dodici, due per ciascuna testa. Ma poi egli si ricordò che nel suo precedente scontro con l'alato bestione pluricefalo gliene aveva messo uno fuori uso con un colpo magistrale ed efficace. Del resto, in precedenza Zikul aveva già offerto uno spettacolo di quel tipo. La qual cosa era avvenuta, quando era apparso per la prima volta nella galleria che confluiva nel fondo della voragine. Ecco perché Iveonte, non avendo più dubbi che si trattasse esattamente del suo pericoloso avversario, gli si diresse contro intrepido e minaccioso. Per fortuna, la torcia faceva sprigionare da sé un'ottima luce e riusciva ad illuminare gran parte della spelonca, se non proprio tutta, come ovviamente sarebbe stato assai meglio.
Superata la metà della distanza che lo separava dal suo mostruoso antagonista, Iveonte cominciò a distinguere le sue forme attraverso le propaggini luminose, che si dipartivano con moto instabile dalla fiamma della torcia e si diffondevano dentro l'antro. Insieme con le orripilanti sembianze del mostro, egli poteva scorgere anche la sua irritazione e la sua stizza. Le quali già si proponevano di scatenarsi in uno dei più tremendi attacchi che avessero mai messo in atto. Allora il giovane, avendolo intuito in anticipo, in un attimo si preparò a sostenerlo con ammirevole valore. Riguardo a Zikul, quando gli fu ad una ragionevole distanza, come previsto, dopo essersi rimesso ad urlare spaventosamente, iniziò ad attaccarlo con una carica irrefrenabile, quasi volesse trasformarlo in una poltiglia carnea. Infatti, era sua intenzione ridurlo così male, da non lasciargli più addosso neanche un grammo di forza. L'avversario, però, grazie alla sua agilità e alla sua prontezza di riflessi, eluse la brutale avanzata del mostro, dimostrandosi in pari tempo assai vigile nel respingere i repentini assalti sferrati dalle sue teste furiose. Nel suo nuovo attacco, il mostro assunse un atteggiamento più moderato e meno impetuoso di quello dimostrato nel precedente scontro, sebbene le sue indomite teste fossero venute ad infuriarsi con altrettanta ferocia. Esse adesso cercavano, con i loro continui e perfidi tentativi, di attanagliare l'imbattibile giovane nelle loro bocche fameliche, con il malefico proposito di ridurlo in tanti frammenti di carne. Da parte sua, in quell'occasione Iveonte era in preda ad un furore che prima non si era mai riscontrato in lui, poiché esso veniva ad infondergli una potenza sovrumana e gli faceva raggiungere dei risultati impossibili. Naturalmente la sua non si dimostrava una rabbia umana; ma veniva a rappresentare l'eccezionale furia di una natura adirata. La quale si dava ad esprimersi con il suo totale sdegno, che era da considerarsi apocalittico. Il gigantesco mostro non appariva inferiore a lui nell'aggressività. Esso andava sfornando energie e doti fisiche ineguagliabili, che gli fornivano una forza ed una efferatezza imparagonabili. I vari urti, che si avevano tra il giovane battagliero e la mostruosa bestia, ogni volta avvenivano tra uno sfacelo di cose e l'effettuazione di grandi schianti. Insieme, quasi sempre essi causavano nel mostro dei danni alcune ora lievi ora gravi. Ma la gagliardia del giovane tendeva a risultati ben più incisivi e positivi, tali cioè da fargli portare a termine celermente e definitivamente il combattimento ingaggiato.
Iveonte cominciò ad ottenere dei risultati soddisfacenti poco dopo, ossia quando nel suo avversario ebbe inizio un modo di combattere meno disciplinato e più imprudente. Ve lo indussero la rabbia ed alcune bruciature, le quali gli erano derivate dalla fiamma della torcia. Il combattimento di Zikul, a quel punto, divenne meno studiato, più confuso e molto rischioso per sé stesso. Perciò, anche se in alcune sue azioni esso risultò pericoloso al massimo; nella maggior parte delle medesime, però, il nostro eroe fu in grado di controllarlo senza problemi e di avere nettamente ragione di lui. Comunque, Zikul fece la sua prima mossa avventata, allorché cercò di divorarsi la torcia. Infatti, con una sua bocca l'aggredì e tese ad azzannarla. Ma essendo il suo fusto capitato in corrispondenza dei due alveoli mascellari che erano stati privati delle rispettive zanne da un precedente colpo di spada, alla torcia non ne derivarono conseguenze di alcun peso. Fu invece la sua fiamma che, facendo del suo meglio, riuscì a bruciare il palato delle sue voracissime fauci. Allora la grave ustione distrasse l'incauta testa da un poderoso allungo verticale del giovane, il quale le trapassò il lungo muso con la sua spada. In quel caso la punta dell'arma fu vista perfino fuoriuscire dalla sua parte superiore, in prossimità delle narici. In conseguenza di tale colpo, il sangue iniziò a venir fuori a rivoli dalla bocca della malaccorta testa, mentre si agitava spasimante nel vuoto, privata oramai del controllo di sé. Infine, venute meno in essa tutte le forze, la si vide penzolare esanime dal suo mostruoso tronco. Invece il rispettivo collo si era messo a dare i suoi ultimi segni di vita con movimenti frenetici. In quel modo, la prima testa di Zikul fu fatta tacere per sempre, essendo stata messa fuori combattimento dall'eroico giovane, che era in vena di ridurre male il rivale.
Dopo la soppressione di una di loro da parte di Iveonte, le altre cinque teste persero ogni equilibrio e il mostro non fu più in grado di coordinare le azioni delle medesime. Sopravvennero in esse dei disordini a livello cerebellare, per cui non le facevano più sentire parti dello stesso organismo. Addirittura le privavano di ogni lucidità mentale e di ogni armonia funzionale sia nei loro atti offensivi che in quelli difensivi. Dopo ci si avvide che le cinque teste agivano per conto loro ed alcune volte tentavano perfino di azzannarsi a vicenda. Ciò era dovuto al fatto che Zikul, divenuto preda di un profondo scoordinamento del cervello, era venuto a perdere anche l'unicità psicofisica del proprio corpo. La quale in precedenza gli proveniva dall'unità dei sei cervelli, quando erano collegati tra di loro in modo da produrre nel mostro un sincronismo di percezione e di decisione. Ma esso gli era venuto meno, dopo essere stata troncata la prima delle sei teste voraci. Perciò, ridotto in quello stato precario, Zikul, se da un lato rimaneva sprovvisto di una difesa controllata; dall'altro, invece, esso diventava più pericoloso che mai nell'attacco. Adesso il mostro veniva ad assalire l'avversario senza più avere il senso della misura, del rischio e del dolore, come se non avesse più nulla da perdere. Perfino la fiamma non gli faceva più impressione; anche se veniva bruciato da essa sporadicamente, persisteva nella sua inclemenza e nella sua istintiva ferocia, mettendo spesso il giovane a dura prova.
A ogni modo, la bravura dell'eccellente eroe dorindano si dimostrava eccezionale, oltre che rivelarsi sempre nuova e più sorprendente che mai. La sua salda resistenza, il suo strenuo coraggio, il suo impeto travolgente e il suo sbalorditivo combattimento apparivano qualcosa di sovrumano e di inimitabile, fino a fondersi nel più sublime degli eroismi. Perciò ben presto il giovane trafisse mortalmente ancora quattro teste, le quali si rovesciarono penzoloni verso il basso, quasi a rasentare il suolo. Perciò restava da sopprimere l'ultima di loro, che era la sesta, visto che la sua morte avrebbe significato la fine definitiva di Zikul. Invece esso, dopo aver attaccato duramente l'avversario per l'ennesima volta, fu visto battere in ritirata, portandosi appese al tronco le altre teste senza vita. Allora Iveonte, scorgendolo mentre si dava alla fuga, non esitò ad inseguirlo, poiché non voleva farselo sfuggire. Egli intendeva a tutti i costi completare l'opera che aveva iniziata, poiché essa non era stata ancora portata a termine per intero. Intanto che gli correva dietro attraverso la galleria, il giovane scorse disseminate per terra le cinque teste esanimi del mostro fuggiasco. Esse erano state avulse dal suo tronco, insieme con i rispettivi colli, dall'unica testa che era rimasta ancora viva. Zikul, a quanto pareva, vedendo che le teste morte gli penzolavano lungo il corpo e gli impedivano di muoversi più speditamente, ad un certo punto se ne era voluto sbarazzare senza pensarci su due volte. Così le aveva troncate alla base con le taglienti zanne appartenenti all'unica testa che restava ancora in vita e a sua disposizione. Invece Iveonte, continuando ad inseguire il mostro, giunse in prossimità delle sabbie mobili, dove si rese conto che esso vi era finito proprio dentro. Per cui lo si scorgeva mentre si dibatteva invano in mezzo alla sabbia e vi sprofondava lentamente. Per sua disgrazia, nemmeno le ali potevano aiutarlo a mettersi in salvo, poiché la ferita ricevuta dal valoroso giovane, aggravandosi, le aveva rese impotenti al volo. Ecco perché, senza esito, il mostro faceva dei faticosi e dolorosi tentativi per metterle in azione e per liberarsi con esse dalle sabbie mobili assassine.
Non appena scorse Iveonte, la restante testa di Zikul, nonostante il suo tronco si presentasse in pessime condizioni, lo stesso tentò di assalirlo con rabbiosa stizza. Il giovane eroe, però, fu lesto ad evitare il suo morso letale e a troncarla con un netto fendente, staccandogliela di netto dal collo. Dopo tale sua azione, anche l'ultima intransigente testa del mostro, tra battiti frenetici, perse ogni vigore, finendo senza vita tra le ingorde sabbie mobili. Quanto all'eroico giovane, egli, prima che il tronco del mostro venisse inghiottito dalla cedevole sabbia, volle servirsi proprio di esso e farne una solida base per superare il suo spesso strato granelloso. Perciò spiccò un bel doppio salto, adoperando come appoggio prima il tronco del mostro e poi l'altra parte della galleria situata al di là dello strato sabbioso, che seguitava a tendere insidie mortali. Alla fine, dopo esserci stata la scomparsa del mostruoso Zikul nelle sabbie mobili, Iveonte, avvalendosi delle frecce direzionali, che lui stesso aveva segnato sulle due pareti delle varie gallerie, raggiunse il fondo della voragine. In quel luogo, subito diede ordine ai suoi amici di tirarlo all'esterno di essa. Tionteo e Speon lo avevano aspettato con ansia fino a quel momento; anzi, non avevano visto l'ora che egli inviasse all'esterno il convenuto segnale di alzata.