265°-PRIMO SCONTRO TRA IVEONTE E IL MOSTRO ZIKUL

Il sole si era oramai ritirato del tutto dalla voragine, per cui in fondo ad essa la luminosità era diventata molto scarsa. La si poteva considerare uguale a quella di una giornata grigia di dicembre inoltrato, dopo che l’imbrunire si era dato ad invaderla in ogni luogo. Fu allora che Iveonte notò che dall'interno del cieco cunicolo una massa indistinta ed informe era cominciata ad avanzare verso di lui con una certa speditezza. Insieme con essa, procedevano di pari passo dodici punti luminosi tendenti al rosso; ma essi, volteggiando a coppie nel buio circostante, potevano rappresentare soltanto gli occhi del mostro. La qual cosa significava che Zikul si era finalmente deciso a venir fuori dalla sua dimora e a farsi vivo, essendo intenzionato ad attuare la sua brutale vendetta. A quella indistinta apparizione del mostruoso essere che avanzava attraverso il vuoto cunicolo e si avvicinava sempre di più, il giovane ne fu lietissimo, poiché non attendeva altro. In pari tempo, non esitò a mettersi in guardia da esso. Comunque, si preparò a riceverlo con la dovuta cautela adatta a quella circostanza.

Pochi attimi dopo, Zikul, dimostrando di essere un mostro realmente esistente mole, fu davanti a lui e gli si mostrò in tutta la sua mole mastodontica ed orrifica. Esso procedeva, tenendosi ritto sugli unici due arti colonnari a sua disposizione, i quali, presentando una muscolatura possente, erano alti due metri. Ciascuno era fornito di una solida zampa dotata di dieci potentissimi artigli retrattili. Quanto al suo tronco, il quale risultava massiccio e compatto, esso era alto quasi tre metri ed era privo degli arti superiori. In compenso, ai lati della sua parte posteriore era fornito di due ali poderose, la cui apertura poteva raggiungere gli otto metri abbondanti. Dalla parte superiore del tronco, invece, sporgevano sei colli tubolari lunghi circa tre metri e mezzo. Ognuno dei quali, per la sua mobilità e flessibilità straordinarie, faceva pensare alla proboscide di un elefante. Ma quest’ultima ne veniva superata grandemente nella potenza, poiché la si poteva considerare quasi tre volte maggiore. All'estremità di ciascun collo era attaccata una testa, che non differiva da quella di un coccodrillo; ma essa era due volte più grande di quella del citato loricato. Nella sua regione frontale, metteva in mostra due occhi di colore rosso acceso. Inoltre, grazie alla lunghezza e alla mobilità del proprio collo, ogni testa poteva perfino arrivare a toccarsi le zampe. In ogni sua bocca, si scorgevano due file di zanne triangolari, le quali erano marroni ed assai acuminate. Dalle sue profonde fauci continuavano a provenire versi simili agli abbai ringhiosi di un cane. Ma ciascuna testa esprimeva una rabbiosità più marcata e spaventosa dell'animale citato. Se poi esse venivano considerate nell'insieme, finivano per produrre uno strepito enormemente assordante. Anzi, considerate collettivamente, erano in grado di superare quello di una muta di levrieri lanciati all'inseguimento della loro preda in fuga per la boscaglia.

Secondo le affermazioni di alcuni anziani Lutr, quando era venuto fuori dalla sua profonda voragine, Zikul, mediante i formidabili artigli delle sue zampe, era stato in grado di sollevare da terra due buoi alla volta. Anche se poi, dopo aver raggiunto un'altezza non superiore ai trenta metri, era stato costretto a lasciarli cadere giù nel vuoto, a causa della loro pesantezza. Per cui entrambi erano andati a sfracellarsi contro il suolo sottostante. Il mostro aveva fatto subire tale tragica sorte ad una quantità imprecisata di animali dello stesso tipo, facendone in poco tempo una colossale ecatombe. Stando sempre a tali persone, con i soli artigli il mostro aveva anche estirpato e distrutto molte piante fruttifere. Invece, per sradicare gli alberi più grandi, era stato costretto a servirsi dei suoi sei colli, i quali erano dotati di una forza eccezionale. Ma pure le ali erano dotate di una potenza e di una vigoria incredibili; perciò esse concorrevano a dotare il mostro della loro parte non indifferente di aggressività. In relazione al loro battito, esso doveva risultare assai poderoso, se gli permetteva di alzarsi in volo fino all'altezza che conosciamo, pur sostenendo un peso così enorme. Ecco perché gli consentiva di sollevare da terra due capi di bestiame grosso, il cui peso possiamo immaginarcelo senza difficoltà!

Anche Iveonte dovette ammettere che Zikul era un mostro particolarmente formidabile, la cui complessione gigantesca presentava una mostruosità terrificante, di fronte alla quale il piccolo uomo appariva una nullità fisica insignificante. A suo giudizio, però, la nullità fisica del minuto uomo era guidata e protetta dal proprio geniale intelletto. La sua intelligenza, infatti, lo elevava a dominatore di tutte le bestie viventi e perfino dei mostri. Ciò, perché essa faceva in modo che l'uomo si rifornisse di quei mezzi materiali indispensabili, che potevano risultare solo opera dell'ingegno. Mediante i quali, egli perveniva alla completa supremazia sul restante mondo organico, oltre che su quello inorganico. Armi, utensili, manufatti di vario tipo, come pure i prodotti tecnologici, non rappresentavano forse delle scoperte dovute a quella intelligenza, che albergava esclusivamente nell’essere umano? La sua parte intellettiva, quindi, nello scorrere dei secoli, aveva permesso alla specie umana la conquista di un tenore di vita superiore, oltre che il dominio sul mondo animale, vegetale e minerale. Essa avrebbe continuato a potenziarlo nel tempo, permettendogli un progresso ed una evoluzione esponenziale. Inoltre, la saggezza, l'inventiva, la riflessione, il discernimento, il valore e l'astuzia erano doti essenzialmente dell'uomo, per cui gli consentivano di trionfare su qualunque altro essere di natura non umana e su qualsiasi fenomeno naturale. Perciò, proprio in virtù della sua intelligenza, della sua genialità e del suo coraggio, egli si sentiva di battere il suo rivale, nel quale l'intelletto e la ragione di sicuro scarseggiavano, ammesso che ne esistessero di qualche tipo.

Appena ebbe scorto il giovane, Zikul subito si infuriò e decise di farlo pentire di essere sceso nella sua voragine. In pari tempo, si diede a marciargli contro, ostentando una rabbia ferina ed una maledetta voglia di ridurlo in mille brindelli. Da parte sua, Iveonte stava parecchio attento a non farsi azzannare dalle sei tremende bocche del mostro: esse si mostravano tutte irrequiete ed ingorde di prede! Difatti, quando le teste si avvicinarono abbastanza a lui, egli accolse con il dovuto riguardo le prime tre, che si erano mostrate più impazienti delle altre di ridurlo male. Così, avendole rasentate con la viva fiamma della torcia, egli fece ritrarre di scatto le prime due. Quanto alla terza, egli la obbligò a retrocedere pure all'istante, poiché era venuto ad appioppare un magnifico colpo alla sua bocca, privandola di una dozzina di zanne. Di lì a poco, però, fu la volta delle restanti tre teste ad assaltarlo, mostrandosi convinte di poter fare meglio delle altre. L'eroe, però, fu in grado di non farsi attanagliare da nessuna di loro. Egli prima eluse l’attacco contemporaneo sferrato da un paio di loro, effettuando una rapida flessione del proprio tronco verso terra; ma dopo assestò alla terza un tremendo colpo di spada all’occhio sinistro. Allora esso ne uscì ben conciato, per cui lo si poteva scorgere sia tumefatto che sanguinante.

Dopo la prima schermaglia, la lotta si andò accendendo con maggiore fierezza e con un impeto più travolgente; anzi, gli stessi assalti di Zikul divennero più brutali e massimamente insidiosi. Di risposta, Iveonte lo controbatteva con una gamma infinita di acrobazie e di colpi ben studiati e poderosi. Perciò ogni tanto si vedevano staccarsi da una delle bocche del mostro alcune zanne, per essere state raggiunte a turno da qualche inaspettato fendente dell'intrepido giovane. In pari tempo, il colpo arrecava dei profondi tagli alla spessa mandibola, sulla quale esse risultavano fortemente cementate, senza che nessuno potesse estirparle. Agilità, potenza, accortezza ed ardimento erano le doti primarie che rendevano insuperabile il combattimento del nostro eroe. Perciò egli ce la metteva tutta per avvalersi di ogni frazione di tempo e di ogni più piccolo spazio, pur di garantirsi nella lotta una perfetta difesa ed una offesa efficace. I suoi colpi, che avrebbero falciato chissà quante centinaia di vite umane sul campo di battaglia, adesso riuscivano a tenere a rispettosa distanza la colossale mole di Zikul. Ciò, intanto che arrecavano ad essa delle ferite considerevoli e degli acuti dolori, per cui accrescevano nel mostro lo sdegno e la furia, che lo rendevano ancora più pericoloso.

Senza dubbio Iveonte si trovava di fronte ad un mostro dalle dimensioni spropositate, essendo maggiori di quelle del Talpok. Il quale era stato il mostro da lui affrontato nel bosco a sud di Dorinda, al fine di liberare la sua amata Lerinda. Ad ogni modo, Zikul non era invulnerabile; né tanto meno era dotato di poteri soprannaturali, dei quali aveva fatto uso il mostro che abbiamo già conosciuto nel terzo libro. Ma ugualmente il giovane battagliero, nell'impegnarsi nella lotta attuale, doveva dare il meglio di sé stesso, se voleva vincere e sopravvivere al suo avversario. Adesso, all’invulnerabilità del Talpok, si erano sostituite la mastodontica corporatura e la terribile ferocia di Zikul, le quali si presentavano più ardue da sostenersi e meno indulgenti nel permettere all’irriducibile rivale una valida difesa. Volendo essere precisi, il nostro eroe doveva difendersi contemporaneamente da sei scatenate e ferocissime bocche. Esse, oltre a giovarsi di un'apertura mascellare di circa un metro, potevano contare su una doppia serie di zanne appuntite e lunghe dodici centimetri. Iveonte, però, preso dalla foga del combattimento, non si poneva nessuno di quei problemi e non si scomponeva per niente, di fronte agli attacchi ripetuti del mostro. Al contrario, era soltanto intento a fare in modo che la presunzione e la baldanza dell'orribile Zikul venissero da lui frantumate. La sua morte avrebbe significato per i Lutr la fine delle tribolazioni e il ritorno fra di loro della serenità. La quale, da numerosi secoli, non si era più vista brillare sui volti dell’intera popolazione lutrese, quasi fosse definitivamente sparita da essi!

Intanto gli assalti si andavano acuendo sempre di più dall'una e dall'altra parte. Inoltre, in ciascuno dei contendenti andava divenendo sempre più manifesta la spinta a prevalere sull'altro, essendo lampante in entrambi una certa fierezza, la quale li spingeva a rimanere imbattuti in tutti i loro scontri. Perciò essi intensificavano i loro attacchi, curavano la loro difesa, giocavano sul fattore sorpresa e compivano ogni sforzo possibile, appunto per prevenire ed annientare i piani dell'avversario, fino a bloccarne le mosse più insidiose. Zikul, da parte sua, non mollava, appariva sempre più deciso e più furioso. Si era portati a supporre che un umore stizzoso lo facesse inferocire in maniera tremenda e lo incitasse senza tregua all'aggressione con la disastrosa violenza che era proprio di un tifone. Ma Iveonte non era da meno, considerato che abilmente sapeva mantenere il controllo del pericoloso mostro. Con i suoi portentosi colpi di spada, non aveva difficoltà a frenarlo e a tener testa ai suoi continui arrembaggi. Inoltre, lo induceva a retrocedere, mediante continue scariche di accaniti ed impetuosi assalti. Anche la torcia gli si rivelava di grande utilità, poiché contribuiva in modo efficiente a garantirgli una certa libertà di azione, sul lato difensivo e su quello offensivo. Insomma, l'eroismo e il furore del giovane si conservavano gagliardi e gli facevano portare avanti il combattimento senza problemi. Le sue fibre muscolari si mostravano adamantine; mentre la sua patente agilità, nei suoi spostamenti di vario tipo, si palesava fenomenale e sorprendente. Se ne avvedeva perfino la sua mostruosa controparte, dal momento che essa veniva a crearle seri grattacapi!

La zuffa infuriava già da qualche ora e nessuno dei due che vi erano impegnati lasciava trasparire dal proprio corpo segni di stanchezza o un certo scadimento della propria animosità. Invece i due contendenti, in seno al combattimento, mostravano un vigore ancora integro; né esso appariva appannato in qualche loro azione. Zikul, sebbene fosse stato raggiunto spesso dai colpi di Iveonte, i quali lo avevano ferito quasi sempre a sangue, non faceva ancora intendere di essere insofferente della lotta. Al contrario, le sue ferite ve lo aizzavano di più, facendolo scatenare con maggiore rabbia, siccome intendeva stritolare a qualsiasi costo il prepotente avversario. Ma anche Iveonte si impegnava con ardimento e con particolare accanimento. Perciò il giovane eroe appariva nel duro combattimento come una fiamma inestinguibile, la quale si mostrava di continuo vigorosa e pronta a scottare quelle sue parti che apparivano più sensibili.

Dunque, ferveva quella ridda infernale di assalti e di contrassalti, allorché Zikul venne a compiere un sincronismo di attacchi da parte di tutte le sue inferocite teste, le quali adesso tenevano spalancate le loro enormi fauci. Queste ultime erano orridamente solcate da due serie arcuate di zanne, che all'apparenza somigliavano a dei piccoli pugnali. Ma Iveonte, al nuovo assalto brutale del mostro, reagì con fulmineità e con la sua solita gagliardia, mettendo in atto un'ampia mulinata di spada. Allora essa, arrecando un taglio netto e profondo a tutti i loro menti, costrinse le sei teste a ritrarsi all'istante tra vari lamenti, che potevano esprimere solo rammarico e rabbia. Intanto poi che il sangue gocciolava dalle dolenti ferite di Zikul, che si raggrumavano lungo la parte anteriore dei rispettivi colli, il giovane eroe seguitava ad incalzarlo. Così facendo, non gli dava respiro e lo sottoponeva alle sue dure sferzate. Ciò nonostante, il mostro non accennava ad alcuna capitolazione, anche se iniziava a dare dei segni di un combattimento all'insegna della titubanza. Il suo cedimento, in verità, non era dovuto ad una stanchezza fisica, bensì ad altro, di cui abbastanza presto verremo a conoscenza.

Ad un certo punto, il mostruoso bipede, dopo aver smesso di lottare, all’improvviso fu visto retrocedere verso l'interno della cupa galleria; però vi penetrò solo per cinquanta metri. Allora Iveonte si diede a vigilare sul suo strano atteggiamento, cercando di pari passo di prevederne le successive mosse, stando però al difuori del cunicolo. Ma un istante dopo, Zikul, spiegando le ali fino all’apertura che gli era consentita dalla galleria, scattò rapidamente in avanti con una irruenza irrefrenabile. Da parte sua, il giovane, al fine di evitare quella massa spropositata e di non lasciarsi travolgere da essa, dovette dimostrarsi straordinariamente agile e pronto di riflessi. Soltanto in quella maniera riuscì a rifugiarsi in una rientranza della parete, la quale risultò appena sufficiente per dargli un ricetto. Iveonte, infatti, dopo averla scorta all'ultimo momento alla sua sinistra, precisamente ad un metro e mezzo di altezza, in un attimo vi si era infilato ed aggiustato come poteva. Ma nel tempo stesso che era rimasto rintanato in quella cavità salvatrice, egli aveva anche pensato a non restarsene inattivo. Infatti, al veemente passaggio di Zikul, il nostro eroe aveva allungato un tremendo colpo di spada in direzione del suo smisurato tronco. Esso, però, non lo aveva colpito in pieno, bensì lo aveva ferito alla regione dorsale in modo superficiale. Per l’esattezza, la lama della sua spada, procedendo sottopelle a dieci centimetri dall'epidermide, si era infilata lungo la parte dorsale di Zikul, dove le ali affondavano le loro radici.

A causa di una discreta perdita di forze nella zona specificata, il normale battito alare del mostro, in un certo qual modo, risultò compromesso. All’inizio, in verità, dedito com'era ad avanzare in preda alla sua furia scatenata, nella zona predetta il mostruoso essere avvertì appena una trascurabile dolenzia. Per questo, come se nulla gli fosse accaduto, seguitò a proseguire nella sua carica fremente. Ma successivamente, cioè alla fine, il bestione alato imboccò con determinazione il percorso ascendente della voragine, alla cui uscita esso tese a pervenire con stizza e con alquanta pervicacia. Zikul, infatti, aveva deciso di condursi all'aperto, poiché era convinto che lì avrebbe potuto agire con maggiore efficienza e con grande scioltezza di movimenti. Di conseguenza, sarebbe stato in grado di mettere a posto il giovane battagliero e di ridimensionarne la valentia, qualora egli lo avesse inseguito. All'aperto, infatti, facendo uso di macigni enormi, glieli avrebbe scaraventati addosso dall’alto. Così, servendosi di simili eccessivi pesi, avrebbe spiaccicato il suo imbattibile avversario sul suolo, facendolo crepare definitivamente.

Qualche lettore, con un po' di immaginazione in più, starà pensando che il mostruoso volatile, una volta all'esterno del baratro, avrebbe potuto riempire la sua voragine di grossi massi, seppellendovi dentro il giovane. Quest'ultima opzione, però, si sarebbe dovuta considerare plausibile, solo se esso avesse pensato di costruirsi altrove una nuova dimora. Comunque, se il mostro aveva mirato a qualche obiettivo diverso, esso non poté essere perseguito da parte sua, poiché dovette lo stesso rinunciarvi. A causa del colpo di spada che Iveonte era riuscito a vibrargli lungo la regione dorsale, anche se il medesimo non aveva provocato un taglio particolarmente profondo, ben presto invece si sarebbe rivelato abbastanza rilevante.

Il mostro alato, quindi, una volta intrapresa la salita della voragine, non ebbe difficoltà a superarne almeno i due terzi del percorso. Ma da quel punto in poi, esso incominciò ad accusare dei forti dolori alle radici delle ali, per cui sopravvennero anche dei gravi disturbi nel loro battito, facendole smettere di funzionare con il vigore di prima. Malgrado ciò, l'ostinato mostro seguitò ad andare avanti nell'ascesa con la forza di volontà, sforzandosi di manovrare i suoi impotenti organi alari. Infatti, egli aveva intenzione di raggiungere al più presto l'uscita della voragine, che era la sua abitazione. Così il restante percorso gli risultò un’atroce agonia, considerato che esso sottopose ad uno sforzo incredibile proprio le ali, le quali si ritrovarono ad essere le più lese e le più compromesse. Per questo il mostro fu obbligato a rinunciare al suo intento, benché le sue teste fossero già arrivate a sporgersi dal ciglio della voragine. Invece l'impotenza delle sue ali, divenuta all'improvviso quasi totale, costrinse Zikul ad abbandonare l'impresa. Si può dire che fu anche fortunato, se fu in grado di calarsi di nuovo sul fondo senza precipitarvi, grazie all'estrema resistenza messa in atto dagli organi alari. Una volta raggiunta la base del baratro, Zikul corse difilato a rifugiarsi nella sua grotta tenebrosa per leccarsi le ferite. L'espressione, in questo caso, poteva adattarsi bene ad entrambi i significati, ossia quello reale e quello figurato!

Iveonte avrebbe voluto inseguirlo nella sua dimora. Vedendo però che la sua torcia si era ridotta agli sgoccioli, stabilì di raggiungere i suoi amici, i quali lo stavano aspettando sulla collina con trepidazione. Fuori egli si sarebbe anche rifocillato e rifornito di un'altra torcia. Così, dopo essersi legato alla corda, il giovane segnalò agli amici la volontà di farsi tirare su all’aperto. A quella sua richiesta, che lo faceva ritenere ancora vivo da loro, Tionteo e Speon, accogliendola con gioia, si affrettarono a tirarlo all’esterno della voragine, essendo desiderosi di abbracciarlo.