262°-NEL RACCONTO DI ESIO, L'ODISSEA DELLA SUA TRIBÙ

A non molta distanza da qui, per l’esattezza a circa cinque miglia da questo luogo, è stanziata la mia gente, cioè la tribù dei Lutr, il cui villaggio si chiama Lutriak. Invece colui che ne assume il comando prende il nome di lutroan, la quale carica attualmente viene ricoperta da mio padre Sitruo. I Lutr, come lo sono ancora oggi, sono stati sempre un popolo pacifico e laborioso, che si dedica prevalentemente all'agricoltura e alla pastorizia. Ma nonostante essi si sobbarchino ogni giorno ad una mole di lavoro non indifferente, lo stesso devono lottare tantissimo per sopravvivere. Eppure basterebbe la terza parte delle loro fatiche per farli vivere in piena tranquillità, senza avere né pensieri né preoccupazioni di qualche tipo. Infatti, i poveretti riescono a ricavare dal lavoro che effettuano nei campi una quantità di derrate alimentari più che sufficiente per sfamare la loro gente! Ciò, perché nel mio villaggio, con i vari prodotti agricoli e pastorizi, si potrebbe sfamare un numero di abitanti triplo di quello che esso conta. Invece il mio popolo deve fare i conti con una realtà amara, la quale gli è avversa e lo obbliga a convivere con essa, fino a farlo trovare con l'acqua alla gola. Questa sua insostenibile situazione è dovuta al fatto che i due terzi del raccolto cerealicolo e dei prodotti della pastorizia sono pretesi dalla tribù dei Tros, il cui capo prende il nome di trosoan. Essi sono il doppio di noi e praticano il mestiere delle armi. Il loro villaggio Trosiak è distante da quello nostro una ventina di miglia. I Tros trattano i Lutr proprio come se fossero i loro schiavi. Chiarisco che la schiavitù dei miei conterranei rimonta a tempi remotissimi. Essa è stata sempre accettata remissivamente dal mio popolo, il quale non ha mai tentato, neppure una sola volta, di ribellarsi ai suoi oppressori, allo scopo di riscattarsi da loro. Tra i divieti imposti dai Tros alla mia gente, c'è anche quello che la obbliga a non fare uso delle armi. Per questo nessun Lutr può portare addosso o detenere in casa armi di qualsiasi genere. I trasgressori di tale loro imposizione sono puniti con la pena capitale, seduta stante.

Dopo la morte del vecchio trosoan di Trosiak, avvenuta venti anni fa, il nuovo che gli successe, ossia Truco, ideò altre sofferenze per la nostra tribù, come se quelle esistenti non fossero già abbastanza per farci penare. Egli decretò che, ogni notte di plenilunio, la metà degli uomini di Trosiak si sarebbe dovuta trasferire nel nostro villaggio per darsi ad orge sfrenate e per violentare tutte le giovani donne lutresi. Per questo, durante la notte in questione, in Lutriak sarebbero dovute restare solo le donne prolifiche; mentre tutti gli altri abitanti, compresi i bambini, avrebbero dovuto abbandonare il loro villaggio ed andarsene a dormire all'addiaccio. Da quando Truco lo deliberò, per noi Lutr le notti di plenilunio sono diventate notti di umiliazione e di sfregio! Ma dovete sapere che simili sofferenze fisiche e morali non rappresentano le maggiori disgrazie della nostra tribù. Essa è oppressa da un obbligo più gravoso di quelli finora da me menzionati, come tra poco vi farò presente con grande dolore. I Tros ci lasciano vivere, a condizione che noi, il giorno antecedente alla notte di plenilunio, consegniamo loro sei ragazzi, tre maschi e tre femmine, affinché essi vengano poi gettati in pasto al mostruoso Zikul. Le vittime sacrificali, tutte e sei di età puberale, non devono avere meno di dieci anni e più di quindici. Gli uni e le altre, una volta prelevati presso le loro abitazioni e fatti salire sopra un carro, chiamato Carro del Sacrificio, sono condotti in giro per il villaggio da una ventina di soldati trosini. Lungo le strade, essi vengono sommersi da una pioggia di bianchi petali di rose odorose. A lanciarglieli addosso tra lamenti e pianti, sono le donne lutresi, le quali li attendono davanti alle proprie capanne. Più volte ho avuto modo di assistere al passaggio del suddetto carro e me ne sono fatto una esperienza traumatizzante, oltre che indimenticabile. È davvero brutto trovarsi presente a tale spettacolo, siccome esso comprime il respiro e fa raggelare il sangue nelle vene.

Soltanto chi non ha mai assistito ad un evento del genere non può farsi una idea di certe barbarie assurde e crudeli! La sofferenza, la quale si intravede sui volti degli adolescenti lutresi condannati al supplizio di Zikul, è di una espressione indicibile e straziante. Le misere vittime piangono, si contorcono, si dimenano, si struggono l'animo, si impuntano davanti al terrificante destino, che è stato loro assegnato dagli impietosi Lutros, e si ribellano ad esso. Inoltre, invano implorano soccorso dai loro familiari, dai parenti e dai conoscenti. Purtroppo, nessuna di tali persone può fare qualcosa per loro e salvarli, mentre l’esistenza va svanendo nei loro sguardi profondi ed atterriti. Invece ciascuna di loro può solo profondere lacrime ed assistere impotente alla loro disperazione opprimente ed inevitabile. Dopo essere stati portati in giro attraverso il villaggio, i sei adolescenti vengono condotti sulla collina del mostro, la quale è situata in mezzo ad una convalle, a quasi dieci miglia da Lutriak. Al centro della sua sommità, si apre nel suolo una voragine spaventosa, che sprofonda a precipizio nelle tenebrose viscere della terra. Nel suo interno si trova la dimora di Zikul, il quale è l'orrido mostro alare dalle sei teste, che si ciba esclusivamente di carne umana molto giovane. Per fortuna esso ha uno strano modo di nutrirsi, che lo fa limitare nella voracità e nelle stragi dei ragazzi lutresi. Il mostro, dopo aver divorato le sei vittime che gli vengono calate nella voragine, cade in un profondo letargo. Esso ha la durata di un mese, poiché si protrae fino al mezzogiorno che viene dopo la successiva notte di plenilunio. Soltanto in quel preciso istante, Zikul si ridesta e viene ad accusare di nuovo una gran fame. Per quell'ora, perciò, il suo pasto deve trovarsi già pronto, vivo ed integro nella sua tetra cavità. Se non dovesse trovarlo oppure se esso dovesse risultare morto, il mostro verrebbe fuori all'aperto e si metterebbe a fare una grande strage tanto dei Tros quanto dei Lutr, oltre ad uccidere i loro utili animali domestici.

Come già accennato, il mostro pretende che il suo pasto sia costituito da ragazzi in fase di pubertà e in ottimo stato di salute. Per tale ragione, le vittime, che sono designate a sfamarlo, non sono mai gettate nel baratro infernale, ma vi vengono calate con la massima accortezza e delicatezza. Dopo essere state sistemate in una solida rete insieme con uno dei guerrieri trosini, esse vengono calate giù mediante una spessa fune. Quando la rete raggiunge il fondo, il Tros, che ha accompagnato nella voragine le sei vittime tremanti, se ne libera e tira fuori da essa pure i ragazzi, ma li lascia legati. Una volta eseguite quelle manovre, egli si sistema di nuovo nell'intreccio di canapo e segnala ai compagni che possono tirarlo su. Così, riportato all'esterno della voragine il loro compagno, i Tros si affrettano a ritornarsene nel loro villaggio di Trosiak per riferire al loro capo che ogni cosa nel villaggio di Lutriak si è svolta secondo le previsioni, ossia senza intoppi.

In merito al loro trasporto sulla collina, ho sentito dire dal mio genitore che trecento anni fa i venti Tros assegnati alla scorta delle vittime sacrificali incapparono in un grave inconveniente. Mentre trasportavano gli immaturi giovinetti lutresi verso la collina di Zikul sul tradizionale Carro del Sacrificio, ad un certo punto, decisero di riposarsi un poco. Ma durante la loro breve sosta, un cobra riuscì a salire sul carro e a raggiungere le sei pubescenti vittime addormentate. Siccome esse non erano sveglie, il velenoso elapide le freddò nel sonno con il suo potente veleno. A tale riguardo, devo farvi apprendere che i rispettivi genitori, prima della loro partenza, erano soliti somministrare ai figli un potente ipnotico con effetto ritardante. Perciò quella fu l'unica volta che un serpente arrecò del bene alle sue prede, anziché del male. Difatti esso, sottraendoli ai terribili momenti che avrebbero vissuto in fondo alla dimora del mostro, fece in modo che i giovinetti morissero senza accorgersene e senza spaventarsi. Lì per lì, i Tros non si accorsero che i poveretti erano stati sopraggiunti dalla morte e continuarono a ritenerli in preda al loro profondo sonno. Essi se ne resero conto, soltanto dopo aver raggiunto la sommità della collina del mostro, quando cercarono di svegliarli e di farli scendere dal carro. Allora il loro imbarazzo fu davvero grandissimo, dal momento che mezzogiorno era imminente e a loro mancava il tempo materiale di procurarsi ancora un numero uguale di vittime. Infine, non riuscendo a trovare una soluzione migliore, i Tros, che erano anche all'oscuro che esse erano morte per avvelenamento, calarono nella voragine i cadaveri delle sei vittime. Portata a termine la loro missione, essi ripresero la via del ritorno. Invece, poco più tardi, la scorta trosina, che era già a metà percorso, fu scossa dalle urla spaventose di Zikul; ma subito dopo esso si presentò anche ai loro componenti. Così, quando li ebbe raggiunti, il mostro li aggredì con una furia famelica e ne fece una carneficina orribile. Comunque, la sua veemenza furiosa si era appena scatenata, poiché essa gli sarebbe sbollita, soltanto dopo aver fatto un immane eccidio di uomini e di bestie. Il mostruoso essere, infatti, passò anche ad uccidere un terzo di entrambe le popolazioni, cioè di quella lutrese e di quella trosina, devastando gran parte delle messi dei loro territori. Perciò, da quel drammatico giorno, i Tros sono stati sempre bene attenti a non cadere nel medesimo errore.

Oggi, fra i destinati a placare la fame di Zikul, c'eravamo anche io e mia sorella Urase; ma dopo essere riuscito a liberarmi dalle corde che mi tenevano avvinto, mi sono dato alla fuga. Quanto ai diversi fatti che si sono succeduti, a cominciare dalla mia designazione a vittima sacrificale fino al vostro incontro, essi si sono svolti come adesso ve li racconto, senza omettere alcun loro dettaglio.


Una quindicina di giorni fa, siccome nell'estate appena trascorsa le cavallette avevano divorato gran parte delle messi dei nostri campi, mio padre si condusse a Trosiak. Egli vi andò, allo scopo di cercare un accordo con il trosoan di quel villaggio circa la spartizione del raccolto, che questa volta era stato molto esiguo. Per questo, dopo che si trovò davanti a lui, incominciò a fargli presente:

«Valoroso Truco, questa estate i campi sono stati assaliti da numerosi sciami di voraci cavallette, le quali hanno divorato un terzo dei cereali. Tale fatto mi ha spinto a ritenere che gli scarsi prodotti cerealicoli raccolti debbano essere spartiti tra i nostri popoli come di consueto. Per il bene del mio popolo, non trovi giusto quanto ho immaginato?»

«Invece non sono d'accordo con te, lutroan di Lutriak!» gli rispose il trosoan «Se il raccolto è bastevole per sfamare la sola mia gente, vuol dire che esso sfamerà soltanto quella! Così un'altra volta i tuoi sudditi impareranno a lavorare di più e meglio, al fine di avere raccolti più abbondanti e in grado di bastare per entrambi i popoli. E poiché nei nostri patti non sono contemplate le calamità naturali, come l'infestazione delle cavallette da te citata, non voglio sentir parlare per niente di questi ingordi insetti granivori. Mi sono spiegato abbastanza, incapace capo Sitruo?»

«Illustre Truco, mi dici allora come faranno i Lutr a sopravvivere al prossimo inverno, il quale è già alle porte, senza disporre né di grano né di orzo né di avena? Essi non potranno neanche contare sulla caccia per integrare le loro risorse alimentari, essendo essa scarsa in tale rigida stagione. Perciò non vedo proprio come potrà sfamarsi in altra maniera il mio popolo, della qual cosa tu dovrai tener conto.»

«Invece un modo c'è, lutroan. Vi basterà diventare erbivori, se proprio non ci tenete a fare gli schizzinosi! Tutti sappiamo che dalle nostre parti di erba ce ne sta in quantità tale, da soddisfare gli animali e tutti i Lutr in pari tempo! Quindi, vi esorto a diventare vegetariani, se ci tenete a sopravvivere al prossimo inverno, la qual cosa farà bene pure alla vostra linea!»

«Truco, i vecchi e i bambini come riuscirebbero a restare in vita con una dieta ipocalorica, completamente priva di carboidrati e di carni? Sappi che, a lungo andare, essi non avrebbero scampo e morirebbero per grave debolezza organica! Io ne sono convintissimo!»

«La tua è una domanda che neanche mi voglio porre, Sitruo, dal momento che riguarda esclusivamente voi Lutr. Inoltre, poiché non ti sei saputo imporre alla tua gente e non l'hai spronata nei loro lavori agresti, ho stabilito di infliggerti una punizione esemplare. Il prossimo plenilunio ti priverò dei tuoi due figli, facendoli risultare tra le vittime del mostruoso Zikul. Così un'altra volta imparerai a fare meglio il lutroan!»

Alle laceranti parole del trosoan, mio padre si sentì pugnalare il cuore. Dopo quel terribile annuncio, egli si congedò da lui e se ne ritornò a Lutriak, mostrandosi incredibilmente amareggiato ed angosciato. Quando rincasò, io e la mia sorellina Urase stavamo giocando davanti alla nostra capanna. Il poveretto si presentava così scuro nel volto ed appariva talmente mortificato, che all'istante noi ci allarmammo. Il suo nuovo modo di fare ci aveva inibito perfino l'abituale saluto confidenziale con cui eravamo soliti accoglierlo, quando faceva il suo rientro da un viaggio intrapreso nei giorni precedenti. D'istinto, dentro di noi avevamo previsto che sulla nostra famiglia si stava abbattendo una grave sciagura. Perciò entrambi smettemmo subito i nostri giochi ed attendemmo l'incontro di nostro padre con la mamma. Eravamo convinti che esso ben presto ci avrebbe svelato la causa della sofferenza, che in quel momento affliggeva nostro padre. Infatti, non appena i nostri genitori furono l'uno al cospetto dell'altra, avvenne fra loro due quanto da noi previsto e temuto. Essi prima si diedero ad un animato parlottio, in seguito al quale scorgemmo nostra madre emettere un forte grido di disperazione e rovesciarsi per terra svenuta. Avendole il babbo comunicato la triste verità sulla nostra sorte, ella non aveva resistito all'immane dolore, il quale, in un attimo, si era impadronito di lei, travolgendola senza pietà. In quel frangente della nostra famiglia, mia sorella aveva undici anni; invece io ne avrei compiuti quindici l'indomani.

In serata, mio padre mi chiamò in disparte e mi abbracciò; ma poi si diede a farmi il seguente discorso:

"Tu, Esio, già conosci il terribile destino a cui vanno incontro ogni mese sei ragazzi lutresi in età adolescenziale, siccome essi devono servire da pasto a Zikul, per evitare che il mostro ci uccida tutti. Ebbene, il giorno che seguirà il prossimo plenilunio, tu e tua sorella sarete tra i ragazzi condannati a tale triste sorte. Perciò mi attendo da te che in quella circostanza tu ti sappia comportare da vero figlio di lutroan e che i tuoi genitori siano fieri di te. Mi sono spiegato? Inoltre, voglio che tu infonda coraggio anche nella tua sorellina, quando vi ritroverete insieme sul Carro del Sacrificio. Urase, essendo più piccola di te, dopo che avrà conosciuto la verità, sarà presa da un grande e folle terrore. In lei esso andrà crescendo col trascorrere delle ore ed esploderà forte, quando sarà prelevata dal Carro del Sacrificio per essere condotta sulla Collina della Morte. Per questo, figlio mio, tua sorella avrà bisogno di tutto il tuo conforto, fino a quando voi due non sarete stati calati nella dimora del mostro. Questo, purtroppo, è il destino del nostro popolo! Per aver diritto alla sopravvivenza, i Lutr devono rinunciare al fior fiore dei loro adolescenti per soddisfare la fame di Zikul. Inoltre, devono lavorare come schiavi per procurare il vitto agli approfittatori Tros! Si tratta di un destino spietato ed indeprecabile!"

La notte che seguì, nostra madre Scitea volle che io e mia sorella ci coricassimo insieme con lei; ma non osò parlarci per niente. Ella preferì stringerci a sé e manifestarci con quella sua calda stretta che desiderava non lasciarci mai più. Secondo me, il suo cuore doveva essere davvero a pezzi, se la poveretta si mostrava con noi in quel modo indescrivibile! Comunque, c'era in lei anche uno spasimo incredibile, che non auguro a nessun'altra madre. Noi, pur avvertendolo nella la sua atrocità spasmodica, preferivamo conservarcelo nel nostro mutismo di immane sofferenza. Nelle prime ore notturne, mentre mia sorella prese subito sonno, essendo ella ancora all'oscuro del sacrificio che l’attendeva, da parte mia, non riuscivo a chiudere occhio. Anzi, la testa mi rimbombava fragorosamente, intanto che delle macabre visioni di morte mi assalivano di continuo e mi portavano via la calma e il sonno. Ad un certo momento, mi apparve davanti agli occhi, come in un vero sogno, la figura di Lenno, l'uomo più vecchio dei Lutr. Egli, venti giorni prima, se n'era andato girando per l'intero villaggio, dove si era messo a fare una profezia. Il vegliardo andava gridando forte: "Gioite, Lutr, perché le nostre disgrazie stanno per aver termine! Mai più delle giovani vite della nostra gente saranno sacrificate a Zikul e presto non saremo neanche più assoggettati alle violenze dei Tros. Sappiate che non è lontano il giorno in cui il Grande Eroe capiterà dalle nostre parti ed ucciderà la mostruosa bestia, che continua a privarci di teneri virgulti. Egli ci aiuterà pure a liberarci dal giogo trosino, che per noi rappresenta pure un castigo. Perciò ringraziate gli dèi che, sebbene non abbiate mai voluto venerarli ed implorarli, alla fine hanno deciso di mostrarsi pietosi verso le vostre grandissime sofferenze! Dopo, però, sarà nostro dovere essere riconoscenti alle divinità, per avere avuto pietà di noi e per averci privati dei nostri mali! Se non credete alle mie parole, il tempo vi convincerà!"

In verità, nel nostro villaggio la profezia di Lenno non era stata presa in seria considerazione da nessuno. Per cui tutti gli abitanti di Lutriak lo avevano considerato un visionario rincitrullito. Secondo me, essi non si erano affatto sbagliati circa la sua profezia, visto che da allora il Grande Eroe non si è mai fatto vivo dalle nostre parti, con l'intenzione di porre fine alle nostre annose sventure. Per tale motivo, altri sei giovinetti lutresi stanno per raggiungere le fauci del mostro Zikul per essere divorati da lui senza alcuna pietà!


È stato ieri mattina che venti Tros sono venuti a prelevarci con il lugubre Carro del Sacrificio, il quale era trainato da due cavalli neri. Innanzitutto, essi si sono presentati a casa nostra. Mia sorella, non appena lo ha scorto, si è messa a tremare come una foglia; inoltre, è divenuta livida nel volto. Invece io, dopo avere abbracciato calorosamente i miei genitori, mi sono lanciato all'istante verso di esso e vi sono salito sopra con risolutezza. Così facendo, volevo evitare di suscitare nella mia atterrita sorellina uno stato di angoscia maggiore. Sul principio, la povera Urase è rimasta confusa, poiché non sapeva cosa fare e cosa dire. Dopo si è lanciata al collo di mia madre ed ha cominciato a baciarla ripetutamente. Infine mi ha raggiunto sul carro, sempre restando in quel suo stato confusionale, che non le faceva comprendere ciò che le stava succedendo realmente. Quando poi ha visto che il veicolo trainato dai due cavalli si allontanava dalla nostra capanna, ella si è rimessa a piangere e ad emettere delle urla fortissime, alla stessa maniera di una forsennata. Non riuscivano a calmarla neppure le mie parole di conforto e di incoraggiamento, pur cercando esse di tranquillizzarla un poco. Allora sono intervenuto a farle il seguente discorsetto:

"Dimmi, sorellina cara, vuoi rendermi ancora più penosa questa specie di agonia, la quale si è già impossessata di me in maniera orribile? I tuoi strilli e le tue lacrime mi infondono un terrore più grande di quello che mi proviene al pensiero del mostro Zikul. Ti prego, per favore, non fare così e non farmi morire prima del tempo stabilito, con il tuo pietoso e sconsolante atteggiamento! La tua struggente pena mi riesce ancora più intollerabile di quella mia. Su, compòrtati da vera figlia di lutroan e pensa un po' quanta gente morirebbe, se non venissimo sacrificati ogni mese sei di noi ragazzi! Forse perfino noi stessi, insieme con i nostri genitori, saremmo tra le vittime dell'insaziabile mostro! Ciò che non sai, sorellina, il mostro Zikul prima addormenta le sue vittime e dopo le divora in un solo boccone. Perciò non c'è motivo di angustiarsi tanto, se non soffriremo neppure un poco, mentre veniamo divorati dal mostro policefalo!"

Naturalmente, è stata tutta una mia invenzione il fatto che il mostro Zikul addormenti le sue vittime, prima di ingurgitarle con la sua insaziabile fame. Ma la mia trovata di quel momento, infondendole un certo conforto, è valsa ad acquietare abbastanza la mia piccola ed agitata sorellina, poiché l'ha fatta anche smettere di piangere e prendere subito un leggero sonno. Seguitando poi il suo cammino per il nostro villaggio, il carro ha compiuto altre quattro fermate e in ciascuna di esse ha prelevato ora un maschietto ora una femminuccia. Ma in ogni sosta, si è ripetuto l'identico straziante spettacolo, quello che già si era avuto davanti casa nostra. Ovvero ci sono stati i soliti pianti della vittima prescelta, nonché la stessa disperazione dei suoi genitori e dei suoi parenti. Essi se la vedevano portare via, senza poter far niente per salvarla dal crudele destino. Quando infine il prelevamento delle vittime è terminato, i Tros, dopo averci legati mani e piedi, ci hanno condotti a fare il giro del villaggio. Ovunque ci ha accolti una folla addolorata che piangeva. Le donne, avvicinandosi al nostro carro, ci lanciavano addosso brancate di petali di rose bianche, dopo averli estratti dalle loro grosse ceste. La presenza sul carro sacrificale dei due figli del lutroan del villaggio incoraggiava le altre quattro vittime. Esse, infatti, allo scopo di imitarci, accettavano il crudele sacrificio con una certa rassegnazione. Al termine del rituale giro dell'addio, siamo stati condotti in un luogo appartato, il quale si trovava poco distante dallo spiazzo più ampio del villaggio. In quel luogo, dove ci hanno parcheggiati per trascorrervi la notte, i Lutros ci hanno lasciati, senza rivolgerci alcuna parola; ma non si sono curati del nostro digiuno, nonostante si facessero sentire in noi i morsi della fame.

Già nel pomeriggio, comunque, era iniziata la vergognosa evacuazione del villaggio da parte di tutti gli abitanti, fatta eccezione di quelle donne che avevano una età compresa tra i sedici e i quarantacinque anni. Esse avevano incominciato a preparare i pasti che i Tros avrebbero dovuto consumare in loro compagnia durante la lunga nottata, in un colossale e licenzioso banchetto. Difatti, durante la turpe orgia notturna, le donne lutresi avrebbero dovuto mettere a disposizione dei prepotenti allogeni anche i loro corpi, dopo averli resi lindi ed aggraziati per quell'occasione odiosa. Così esse avrebbero appagato gli ospiti anche sessualmente. Verso il tramonto, perciò, sono giunti a Lutriak la metà dei guerrieri trosini. I quali, senza perdere tempo, si sono sparsi per il villaggio con una fame da lupo e con una voluttà da satiri, al fine di cercarvi ognuno la propria compagna con la quale darsi in seguito ai suoi propositi orgiastici. Ma soltanto al calar delle tenebre, è iniziata la baldoria in tutte le vie del villaggio, le quali si presentavano illuminate da numerose fiaccole, che erano state sistemate ovunque su appositi pali alti tre metri.

A tarda notte, mentre mia sorella Urase e le altre quattro vittime designate a sfamare Zikul si sono immerse a poco a poco in un sonno profondo, sono stato il solo a restare sveglio sul carro. Dove, ad un certo punto, mi sono accorto che i miei polsi non erano stati legati per bene. Per cui, se avessi voluto, mi sarei facilmente liberato dalla corda con la quale me li avevano fermati ad un anello del carro. L'alone della luna piena, però, era così forte sopra di noi, da illuminare quasi a giorno il nostro carro. La qual cosa mi avrebbe reso difficile la fuga, qualora fossi stato tentato di fuggire. Come mi rendevo conto, a turno c'erano sempre due guardie trosine a tenerci rigidamente a bada per evitare brutte sorprese da parte nostra. Così, almeno per qualche ora, ho tenuto lontana da me la tentazione di liberarmi dalla coppia di legacci che, inchiodandomi mani e piedi, mi privavano di una certa libertà di movimenti. Invece in seguito la fortuna mi ha aiutato. Intorno alla mezzanotte, infatti, mi si è presentata l'occasione propizia per tentare la fuga. Un banco di nuvole è venuto a piantarsi davanti alla luna ed ha cancellato ovunque il suo bel chiarore, avvolgendo i dintorni in un buio pesto. A quella bella occasione, immediatamente ne ho approfittato per slegarmi, saltare giù dal carro ed allontanarmi veloce. Avrei voluto condurre con me anche la mia sorellina; però, essendomi convinto che insieme non ce l'avremmo fatta a scappare, ho deciso di fuggire da solo, senza nessuno che mi fosse di ostacolo. Nell'attraversare dopo il rumoroso villaggio, andavo scegliendo quegli angoli che si presentavano invasi dalla penombra ed apparivano meno esposti agli sguardi dei Tros già brilli, i quali, in quella notte, erano intenti a ben altro! Infatti, mentre mi spostavo da una tenda all'altra, ho appreso finalmente cosa significano le notti di plenilunio per tutte le nostre donne feconde, le quali, essendo obbligate a farlo, non possono comportarsi diversamente. Le sventurate vi vengono trattate come bestie e sono umiliate in maniera inimmaginabile. I porci Tros le sottopongono a sevizie di ogni tipo e a violenze sessuali schifosamente brutali. Con quel loro agire, essi lordano in modo riluttante ed insanabile l'onorabilità degli uomini di Lutriak.

La luna è tornata a risplendere sul villaggio, non appena me ne sono allontanato abbastanza. Ma ad evitare di essere catturato dagli odiosi Tros, mi sono dato ad una corsa a perdifiato, la quale pareva non volesse più aver termine. Alla fine, dopo aver fatto un lungo tragitto, mi ha sorpreso la stanchezza. Essa mi ha obbligato prima a rallentare la corsa e poi a fermarmi del tutto nelle vicinanze del vostro campo. Anzi, all'improvviso mi sono visto stramazzare al suolo, essendo stato colto da un invincibile sonno. A quel punto, la mia presenza in questi luoghi, per mia fortuna, è stata notata all'istante da voi tre forestieri benefattori, che siete venuti subito a prelevarmi e a condurmi nel vostro campo.