260°-IVEONTE RICORRE A TUSCO PER NEUTRALIZZARE FUSKOP

Iveonte, prima di avventurarsi nell’ignoto ambiente sotterraneo, il quale procedeva letteralmente cieco, decise di rifornirsi di un paio di fiaccole, le quali si trovavano in quel luogo già bell'e pronte. L’una gli avrebbe dovuto illuminare l'intero percorso di andata; l’altra, invece, sarebbe dovuta servirgli per lo stesso motivo, però quando avrebbe fatto il cammino all’inverso. Così, poco dopo, avendo superato i venti gradini della scala, egli si immise nel tetro corridoio che trovò davanti a sé, iniziando ad incamminarsi per esso con passi moderati. Ad un certo momento, però, il cunicolo, che procedeva con una forte pendenza ed aveva già raggiunto una profondità di dieci metri, risultò sbarrato da una parete. Allora all'eroe parve di avere esaurito l’intero spazio a sua disposizione e di non poter proseguire oltre. Invece, dopo avere illuminato con la fiaccola l'ostacolo che impediva il transito, scoprì che esso era costituito da una porta metallica. Nello stesso tempo, si rese conto che la medesima risultava chiusa dall’esterno con una solida spranga fatta con lo stesso metallo. Essa impediva di venirne fuori a chiunque si fosse trovato dall'altra parte della porta. Quel particolare illuminò la mente di Iveonte e gli fece comprendere in che modo il soprintendente delle Teste di Lupo era riuscito ad ostacolare il ritorno di Tusco tra la sua gente. Così, dopo aver rimosso il blocco manuale, l'eroe non ebbe difficoltà ad aprirla. Ma siccome la porta comunicava direttamente con il sentiero a rampe digradanti, l’eroe si diede a percorrerlo con molta cautela. Solo quando ne ebbe superato un buon tratto, egli si trovò quasi al termine del sentiero, considerato che la caverna che ospitava il Grande Lupo si trovava a soli pochi passi.

A quel punto, Iveonte decise di esaminare per bene la situazione, ad evitare che la sua impresa, a causa di un proprio errore, andasse incontro a fallimento. Egli, inoltre, aveva bisogno di consultarsi prima con la diva protettrice, se voleva ottenere la liberazione di Tusco dal suo corpo bestiale, senza essere costretto ad ucciderlo. Per la quale ragione, le si rivolse e le parlò, usando il seguente linguaggio familiare:

«Sei disposta, Kronel, ad ascoltarmi e a consigliarmi il modo di portare avanti la mia attuale missione? Voglio il tuo consiglio in merito ad essa, poiché so che sei già al corrente di quanto intendo ottenere dal mio scontro con il Grande Lupo. Tusco mi serve vivo più che mai, se voglio impedire alle Teste di Lupo di ubbidire al loro perfido capo, il quale minaccio di uccidere quelle donne poverette, che ora si trovano in balia della sua follia, se io non lascio la Cittadella. Dunque, sei d’accordo a darmi anche adesso il tuo prezioso parere, mia adorabile diva?»

Iveonte ebbe appena terminato di esprimersi in quella maniera, allorquando la sua spada si trasformò nella bellissima giovane, che già abbiamo avuto modo di conoscere in precedenza. Ella, mentre lo contemplava entusiasta, gli si espresse con queste chiare parole:

«Non preoccuparti, Iveonte! Vedrai che tutto andrà avanti per il verso giusto, ossia secondo i tuoi nobili intenti. Infatti, non appena conficcherai l’intera lama della tua spada nel corpo del Grande Lupo, il quale non ne rimarrà ucciso, si avvierà il processo regressivo della sua metamorfosi. Allora la bestia ritornerà ad essere nuovamente uomo in ogni senso. Quanto alla sua malattia, Tusco ne sarà guarito per sempre, nel momento stesso che farete le vostre presentazioni con una calorosa stretta di mano. Tu sai già che sarà l’anello a guarirlo dalla sua malattia. Dunque, buon lavoro, nobile difensore di tutte le persone bisognose!»

«Certo che lo so, Kronel, che sarà l’anello di tuo padre a guarirlo, come è avvenuto nelle altre circostanze in cui è occorso il suo aiuto!»

Sparita che fu agli occhi del giovane, la diva all’istante riassunse le fattezze della spada, pronta a farsi impugnare dal nerboruto braccio del suo amato protetto. A proposito della figlia del divino Kron, ella, via via che il tempo trascorreva, si era andata invaghendo sempre di più di lui, quasi fosse una comune mortale nel bramare il caldo amore dell’amato eroe e nel pretendere le sue attenzioni.

Una volta rassicurato da Kronel, Iveonte entrò nella sterminata caverna, che ospitava il Grande Lupo. Costui, a quanto sembrava, doveva starsene ancora a dormire, se non dava segni di sé in alcun modo. Comunque, il giovane lo stesso avanzava abbastanza cauto in quella massa tenebrosa che invadeva l'antro. L’immenso antro, nelle sue parti più vicine, si presentava appena rischiarato dall’insufficiente luce della torcia, la quale poteva solo illuminarlo alla meno peggio. Infatti, non permetteva all’occhio umano di penetrarlo oltre i sette metri di distanza, poiché il bagliore emesso dalla instabile fiamma della fiaccola era molto tenue. Per il qual motivo, Iveonte stabilì di andare avanti, tenendosi a ridosso della parete destra, presentandosi essa né uniforme né ben levigata. Anzi, la sua superficie mostrava molti spuntoni e varie rientranze: non particolarmente sporgenti i primi e relativamente profonde le seconde. Gli uni e le altre, in un certo senso, sarebbero potute anche ritornare utili al nostro eroe temerario, in quanto le sporgenze sarebbero state usate da lui come possibili appoggi, da cui poter partire per un attacco immediato. In merito alle cavità, invece, esse gli sarebbero servite soprattutto a far fronte ad eventuali suoi ripieghi, nel caso che la belva avesse sferrato degli assalti non umanamente gestibili e controllabili. Inoltre, sarebbero potute anche risultare un luogo dove l’eroe avrebbe potuto cercare di ricomporre qualche sopravvenuto dissesto nella propria compagine difensiva. In tal caso, vi avrebbe sostato durante una fase di stallo, per darsi ad elaborare nuove strategie offensive.

Dunque, Iveonte avanzava con la massima cautela possibile, allorché nella parte più interna dell’antro esplose il gigantesco ululato del Grande Lupo. Esso allora iniziò a produrre un sensibile tremore in ogni angolo della caverna; anzi, riusciva perfino a fare staccare dei piccoli frammenti polverosi oppure solidi dalle asperità dei muri laterali e dalla soffitta. Ciò stava ad indicare che la bestia si era svegliata e, in quel momento, era in cerca del cibo che avrebbe dovuto saziarlo. In attinenza al suo modo di nutrirsi, va ricordato che l’immane lupo si era abituato a soddisfare la fame là dove terminava il sentiero in dolce pendio, poiché esso corrispondeva al posto nel quale aveva sempre trovato già pronto il proprio sostentamento. Ecco perché adesso vi si stava conducendo sollecitamente. Lo facevano intendere le sue zampate in avvicinamento, le quali si facevano avvertire come un sordo rimbombo, il quale si ripercuoteva sempre più forte in ogni parte della caverna. Iveonte, però, non si lasciò intimidire dall’approssimarsi rumoroso del Grande Lupo e non permise neppure ai vari fenomeni, che ne preannunciavano l’arrivo, di impressionarlo almeno un poco. Egli oramai si era assuefatto alla vista di mostri abominevoli, da cui non si era mai lasciato intimorire minimamente, benché fossero indistruttibili e si presentassero molto mostruosi.

Pochi istanti dopo, guardando fisso nel buio antistante, l’inossidabile Iveonte scorse davanti a sé due cangianti luci della grandezza di una grossa arancia. Esse, pur restando alla stessa distanza tra di loro in senso orizzontale, oscillavano in continuazione nel vuoto con un movimento altalenante. Inoltre, erano soggette a riflessi trascoloranti, che si esprimevano con una vasta gamma di tonalità di colori. Allora l’eroico giovane all'istante comprese che si trattava degli occhi della bestia, i quali, roteando nelle sue enormi orbite, facevano balenare da sé guizzi luminescenti di svariate policromie. Perciò egli si preparò a ricevere la gigantesca massa animale in arrivo, la quale se ne serviva per vedere. Anche se poi in quella tetra cavità c’era ben poco da sottoporre alla sua vista. Lì dentro, infatti, il vedente e il non vedente vedevano allo stesso modo e scorgevano le medesime cose. Le quali, volendo essere obiettivi, erano rappresentate semplicemente dall'invisibile niente, che non poteva essere raggiunto dai vari sensi dell'umana percezione.

Ad un primo esame della situazione, l’eroe dorindano fu dell’idea che non era affatto prudente intervenire contro il Grande Lupo, standogli frontalmente. Agendo in quel modo, avrebbe potuto subire un suo balzo aggressivo e rimanerne schiacciato al suolo, pur riuscendo a trafiggerlo ventralmente con la sua spada. Perciò occorreva trovare un differente modo di affrontarlo, che gli permettesse di saltargli sulla groppa e di configgere nel suo corpo l’intera lama della propria spada, come appunto gli aveva suggerito anche la diva Kronel, quando gli aveva parlato alcuni minuti prima, dopo essergli apparsa in tutto il suo fulgore. Allora Iveonte si convinse che c’era una sola maniera per riuscire a trovarsi in tale posizione di vantaggio, la quale gli permettesse poi di effettuare agevolmente la sua trafitta risolutrice nel dorso del Grande Lupo. Egli doveva appostarsi sopra una delle sporgenze parietali situate ad un’altezza non inferiore ai cinque metri ed attendere che il terribile e famelico carnivoro gli passasse di sotto. Così dopo avrebbe approfittato di una circostanza simile, allo scopo di saltargli addosso e di trafiggerlo in profondità con la sua arma invincibile. Infine, essendosi convinto che la sua idea era ottima, anche perché era di facile attuazione, il giovane stabilì di metterla in pratica, non appena ne avesse avuto la buona occasione.

Dopo una posta di alcuni minuti sopra lo spuntone che gli offriva le maggiori garanzie di stabilità, Iveonte finalmente ne ebbe l'opportunità e cercò di non sciuparla. Infatti, non appena il Grande Lupo gli passò di sotto, l’eroe prima saltò sulla schiena della sottostante belva e poi, prima che essa cercasse di farlo cadere giù con un brusco scrollo, afferrò la spada con entrambe le mani e vibrò un formidabile colpo lungo la sua linea dorsale. Allora, una volta penetrata nel corpo del bestione, l'arma iniziò a balenarvi reiteratamente; ma il lampeggiamento durò, fino a quando nella bestia non ebbe inizio la regressione della sua metamorfosi. Essa terminò con l’apparizione in quel luogo di Tusco, il quale adesso, scorgendosi in carne ed ossa, si mostrava assai meravigliato.

Ridiventato uomo, il figlio di Bulkar, sebbene avesse il volto ricoperto da una lunga barba brizzolata, agli occhi di Iveonte lo stesso apparve una persona affascinante. Il giovane eroe solo ora riusciva a comprendere da dove gli proveniva il carisma, che aveva suscitato nei fedeli della sua religione la massima venerazione nei suoi riguardi. Si poteva affermare senza ombra di dubbio che essi, finché egli era rimasto tra di loro, lo avevano idolatrato nel vero significato della parola. In un certo senso, il licantropo lo riconduceva con la mente al savio Lucebio, avendo essi in comune lo sguardo penetrante e l’espressività degli occhi. Naturalmente, Tusco non poteva paragonarsi all'illustre educatore dorindano, quanto a levatura dottrinale e a profondità di pensiero; anche se quest’ultimo era privo delle eccezionali doti fisiche ed atletiche che si riscontravano nell'ideatore del lupismo. Comunque, va chiarito che non erano state affatto le sue grandi doti fisiche a fare avere all'eccezionale licantropo un forte ascendente sui suoi numerosi adepti. Al contrario, era stato l’illustre personaggio, che egli aveva impersonato a quel tempo, a fargli attribuire da loro qualità morali ed intellettuali non indifferenti, le quali erano da considerarsi abbastanza suggestive e galvanizzanti.

Tusco, dopo essersi riavuto dalle fiaccanti fasi della sua metamorfosi, se ne stette ad osservare Iveonte, sebbene lo scorgesse alla penombra di una torcia in declino. Nel frattempo, non riusciva a rendersi conto di quanto era avvenuto nel proprio corpo alcuni attimi prima. Qualcosa dentro di sé gli faceva avere sentore che questa volta l’essere del lupo aveva avuto vita breve in lui, anche se non sapeva spiegarsi né il perché né il come ciò fosse avvenuto. Infine, connettendosi con la nuova realtà, la quale gli si manifestava migliore di quella precedente, incominciò a chiedere al giovane:

«Chi sei? E da quanto tempo ti trovi in quest’antro? Vuoi dirmi che cosa mi è successo poco fa? Sono contento che tu non sia stato divorato dalla bestia, che periodicamente fa le veci del mio organismo e del mio cervello. Vuoi pure mettermi al corrente di come sei arrivato in questa caverna sotterranea e a quale scopo ci sei venuto? Ti sarei molto grato, se tu rispondessi a tutte queste mie domande importanti per me!»

«Il mio nome non ti dirà nulla, poiché lo sentirai per la prima volta; però lo stesso voglio che tu lo apprenda. Io mi chiamo Iveonte e so benissimo chi sei tu, poiché è stata la danzatrice Ezna a raccontarmi alcune cose sul tuo passato. Comunque, vorrei conoscerle tutte da te personalmente. Tanto per iniziare, non è forse vero che ti chiami Tusco e hai fondato la setta delle Teste di Lupo?»

«Certo che è vero, Iveonte! Come già hai supposto, ella non ha potuto dirti niente della mia parte interiore e dei segreti occulti che sono rimasti custoditi nella mia coscienza, il principale dei quali oggi è noto solo a me. Le uniche tre persone che ne erano pure a conoscenza, cioè i miei genitori e il loro saggio amico Tocur, furono uccise e divorate dalla crudele bestia, che ciclicamente mi sostituiva.»

«Invece anche di ciò Ezna ci ha messi al corrente, siccome Fuskop, avendo assistito ad una tua trasformazione nel Grande Lupo, un giorno gliene ebbe a parlare. Per questo i miei amici ed io sospettiamo che, una decina di anni fa, fu il soprintendente delle Teste di Lupo ad impedirti di ritornare fra i tuoi fedeli adepti. Ma sono convinto che lo avevi già sospettato, non potendo essere altrimenti!»

«Infatti, Iveonte, a questo c’ero arrivato anch’io. Perciò, appena uscirò da questo luogo, gliela farò pagare a quella schifosa carogna! Cambiando discorso, devo ritenere che sia stata pure lei ad indicarti il passaggio segreto che permette di arrivare fin quaggiù, attraverso un cunicolo, che un tempo credevo fosse conosciuto solo da me!»

«Tusco, non è stata la danzatrice a rivelarmi il modo di arrivare a questo sotterraneo, poiché Fuskop non glielo aveva mai rivelato. Ella aveva solo la vaga idea che il passaggio in questione dovesse trovarsi per forza nel tempio. A scoprirlo, invece, sono stato io, facendomi guidare dal mio fine acume, il quale non mi ha deluso.»

«Penso, Iveonte, che avrai una formidabile sagacia, se sei riuscito a trovare da solo il mio passaggio segreto! Anche Fuskop fece la sua scoperta; però sono convinto che egli pervenne ad essa unicamente mediante un assiduo pedinamento della mia persona. A proposito, non mi hai detto ancora il motivo della tua venuta in questo luogo. Ci terrei tanto a conoscerlo, poiché intendo sapere se devo ringraziarti oppure dovrò attendermi da te qualcosa peggiore di quello che non mi ha già fatto quel maledetto di Fuskop! Allora me lo vuoi riferire in gran fretta, se non ti rincresce farlo?»

«Invece puoi risollevarti e anche tranquillizzarti, Tusco, dal momento che la mia discesa quaggiù mi è stata dettata da propositi magnanimi. Sono venuto apposta per te e desidero tirarti fuori da tutti i tuoi guai, alcuni dei quali ti vengono procurati da questa cecità che ti circonda e ti opprime da più di un decennio! Per questo, colmo di bontà solo per te, sono venuto a liberarti. Sei contento del mio generoso pensiero?»

«Allora, amico Iveonte, come mi hai appena fatto presente, sei venuto da me come amico liberatore! La qual cosa mi spinge a disobbligarmi con te per il tuo nobile intento, oltre che a ringraziarti sentitamente. Quindi, potrò considerarmi onorato, se mi permetterai di stringere la tua mano, come se tu fossi un mio grandissimo amico!»

«Certo che te lo permetto senz'altro, Tusco! Sappi che la stretta di mano fra noi due era già prevista prima di incontrarci, dovendo essa procurarti il massimo bene!»

Alle parole del suo interlocutore, Tusco si affrettò ad allungargli il possente braccio, al fine di porgergli la sua mano aperta. Iveonte, da parte sua, non si fece attendere nell'imitarne il cordiale gesto. Così, un attimo dopo, le loro forti mani furono entrambe viste congiungersi in una poderosa stretta. Fu in quell’istante che Tusco avvertì nel suo corpo qualcosa di piacevolmente soprannaturale, che venne ad investirgli la parte fisica e quella psichica. Allora esse ne ricevettero un sollievo davvero incalcolabile. A tal fenomeno, lo stupefatto Tusco gli esclamò:

«Hai davvero una mano prodigiosa, Iveonte! Mentre la stringevo con la mia, mi sono sentito beneficiare di una sensazione gradevole, la quale mi ha coinvolto sia fisicamente che spiritualmente. Essa aveva davvero del magico, poiché fino ad oggi non avevo mai avvertito in me una percezione del genere! Mi dici come ciò sia potuto accadere in me? Sono convinto che tu puoi spiegarmi ogni cosa, riguardo alla nostra reciproca stretta di mano, la quale mi è risultata assai preziosa!»

«Hai ragione, Tusco! Ma ti farà un piacere maggiore, quando verrai a sapere da me che essa ti ha anche guarito dalla terribile malattia, che ti ha afflitto fino ad oggi. Perciò essa non ritornerà mai più a farti incarnare il Grande Lupo, obbligandoti ad esistere ciclicamente come la peggiore delle bestie! Te ne do assicurazione!»

«Questa sì che è una meravigliosa notizia, Iveonte! Che bello sarà per me ritornare a vivere per sempre alla luce del sole, senza essere più costretto a trascorrere metà della mia esistenza come un essere orribile e rivoltante! Pur vivendo tra gli altri miei simili, non sarò più forzato a fare strage di un sacco di gente. Fino ad ieri, invece, nella mia vita che ho vissuta in mezzo agli altri, per non arrecare male a nessuna persona, ho dovuto sempre prendere le mie precauzioni, relegandomi in questa tetra grotta. Per questo essa saltuariamente è stata la mia prigione!»

«È stato ammirevole, Tusco, quanto sei riuscito a fare per il tuo prossimo. Nello stesso tempo, sei stato in grado di garantirti la sopravvivenza e di preservare gli altri dalla reale minaccia del tuo inguaribile morbo. Comunque, adesso ho bisogno di parlarti di cose assai importanti; però qui sotto non è proprio il caso di farlo. Sarebbe increscioso per noi due continuare la conversazione alla fioca luce di questa fiaccola, la quale si presenta pure consunta quasi fino in fondo ed è prossima a spegnersi. Per questo conviene accenderne un’altra immediatamente, prima che essa si estingua del tutto e ci lasci al buio. Inoltre, sarebbe assai pericoloso brancicare nell’oscurità, mentre risaliamo verso la superficie, non avendo i suoi gradini alcuna protezione!»

«Hai ragione, Iveonte. È stato già fin troppo il tempo che abbiamo sciupato qui sotto, da quando ci siamo incontrati ed abbiamo fatto la nostra conoscenza. Non sai quanto bramo rivedermi all’aperto sotto il terso cielo e ricominciare a respirare la pura aria naturale! Essa è preferibile ai miasmi mefitici ed ammorbanti di questo malsano ambiente, il quale è divenuto lurido ricettacolo di ossa e di escrementi!»

Così, una volta sostituito con una torcia nuova il mozzicone che era diventata quella precedente, Iveonte e Tusco si diedero a risalire il buio sentiero. Il quale, dopo un quarto d’ora di risalita, li riportò all’interno del tempio. È superfluo aggiungere che i due personaggi, risalendo la china, erano stati attenti a dove mettevano i piedi, poiché un loro passo falso avrebbe potuto farli precipitare direttamente nel vuoto sottostante.


Raggiunta l’interno del tempio, Tusco chiese al suo accompagnatore:

«Iveonte, mi dici quali sono le cose importanti, di cui volevi parlarmi nel sottostante antro? Se lo desideri, puoi farlo adesso, poiché sono tutt’orecchi ad ascoltarti!»

«Come potrei non averne voglia, caro Tusco?» gli rispose il giovane «Sono venuto a liberarti dei tuoi due mali peggiori, appunto per discuterne con te, dopo il loro totale debellamento! Devi sapere che si tratta di una questione di vita o di morte, la quale esclusivamente da te potrà essere risolta nel modo migliore, senza che ci vadano di mezzo molte persone innocenti. Perciò la tua mano mi occorre necessariamente!»

«Scommetto, Iveonte, che ci sta di mezzo ancora quel verme schifoso di Fuskop. Come al solito, egli di sicuro ne avrà combinata un'altra delle sue, la quale non ti dà la possibilità di reagire come vorresti tu! Non è forse vero che ho ragione al riguardo?»

«Esatto, Tusco! L’iniquità di Fuskop non ha limiti, poiché egli riesce a studiarle tutte, però sempre in modo viscido, esattamente come fece nei tuoi confronti, pur di ridurre all’impotenza l’avversario che dentro di sé considera assai più forte di lui!»

«In questo, Iveonte, non hai affatto torto. Comunque, da quanto ho potuto capire senza errore, Fuskop non è persona da poter competere con te. Al tuo paragone, egli può dimostrarsi solamente un essere insignificante. Anzi, potresti schiacciarlo come uno scarafaggio, se tu lo volessi, anche nel caso che gli dessero manforte le Teste di Lupo al suo comando! Perciò mi domando a cosa egli è ricorso, per tenerti in scacco senza alcuna difficoltà! Adesso che ci penso, se non sei già riuscito tu a risolvere il problema che egli è stato in grado di crearti non di poco conto e anche abbastanza ostico, mi dici come potrò essere io ad operare un simile miracolo? Su, spiegamelo, per favore!»

«Invece tu potrai farlo senza meno, Tusco! Altrimenti non sarei venuto da te ed avrei trovato una diversa soluzione al mio problema. Essa, però, sarebbe risultata più rischiosa per le tante poverette coinvolte, con il rischio di vederle soccombere tutte, se avessi tentato di liberarle a modo mio! Inoltre, c’è di mezzo anche un bambino, che corre il medesimo pericolo delle altre, se non si interviene come ho pensato io!»

«Ora comincio a capirci qualcosa, Iveonte! Quel mascalzone avrà preso degli ostaggi per difendersi dalla tua indubbia superiorità. Per cui in questo momento minaccia di farli fuori, se tu non esegui gli ordini che ti sono stati impartiti da lui. Oramai sappiamo che egli è il tipo che non arretra di fronte a niente e a nessuno, come si comportò nei miei confronti. A tale riguardo, non c'è dubbio che Fuskop sarebbe capace di concretizzare la sua minaccia, se davvero non gli si desse retta!»

«Hai centrato il bersaglio, Tusco! Come vedo, sei un uomo degno della tua fama, avendo compreso il nocciolo della questione. Ma sei ancora all’oscuro della vigliaccata, alla quale il perfido uomo è ricorso questa volta. Essa è la più ignobile di quelle che potrebbe partorire la sua mente insana! Tra poco te ne convincerai anche tu, amico mio!»

«Conoscendo il tipo, Iveonte, non riesco a meravigliarmene. Ha perfino tradito la fiducia che avevo riposto in lui! Perciò adesso sono persuaso che egli avrà escogitato la peggiore di tutte, ovviamente sempre facendo leva sulle altrui disgrazie e ben guardandosi dall’affrontarti in prima persona, come fanno le persone valide!»

«Non ti sbagli, Tusco! Dopo che gli ho fatto fuori la metà dei suoi uomini, con quelli che gli restavano Fuskop ha sequestrato altrettante donne della Cittadella e le ha tradotte con la forza sopra le mura. Dove in questo momento, facendosi scudo con i corpi delle poverette innocenti, egli e i suoi subalterni minacciano di spingerle nel vuoto sottostante, se io e i miei due amici non avremo tolto le tende da questo posto entro mezzogiorno. Da parte mia, potrei anche far fuori il ribaldo con una mia freccia, centrandolo proprio in mezzo alla fronte. Ma poi mi sono chiesto quale sarebbe stata la reazione delle Teste di Lupo al suo comando. Si farebbero esse coinvolgere dagli eventi, buttandosi a capofitto in una cruenta intenzione di vendetta? In tal caso, ci andrebbero di mezzo delle persone senza alcuna colpa, la cui morte avrei sulla coscienza! Adesso hai compreso, mio saggio amico, a cosa mi servi?»

«Forse sì, Iveonte, per cui esponimi il tuo piano, visto che di sicuro già ne avrai escogitato uno in proposito, se sei venuto da me. Così mi adopererò nel miglior modo possibile per fargli avere la riuscita che ti aspetti da esso. Non sai quanto sono felice di rendermi utile nel salvare la vita alle sventurate e quanto bramo di schiacciare Fuskop, come si fa con le blatte che infestano i luoghi angusti e bui!»

«Tusco, è mia ferma convinzione che, se ti mostrerai alle Teste di Lupo che tengono sequestrate le donne ed ordinerai loro di non ubbidire a Fuskop, esse ti ascolteranno e lasceranno libere le prigioniere. Specialmente poi se farai loro presente che la maledizione della vostra divinità li perseguiterebbe in eterno, nel caso che essi eseguissero gli ordini ricevuti da un rinnegato della vostra religione! Inoltre, dopo aver fatto presente agli stessi la macchinazione operata dal loro capo ai tuoi danni, lo esautorerai dall’incarico di soprintendente. A quel punto, la reazione del malvagio Fuskop seguirà immediata. Egli si affretterà ad inveire contro le due vittime che sono nelle proprie mani, ossia contro la sua donna e il suo figlioletto.»

«Cosa succederà, Iveonte, dopo che avrò messo a conoscenza le Teste di Lupo delle cose che mi hai suggerite? Sono sicuro che qualcosa farai contro di lui in contemporaneità!»

«Precisamente un attimo dopo, Tusco, io fulminerò Fuskop, prima che egli possa riuscire a portare a termine il suo infame gesto almeno contro la donna. L'unico neo del piano da me ideato si rivelerà la posizione del malfattore al momento della sua morte, poiché egli verrà a trovarsi con le mani che sporgono fuori la cinta muraria. Ma siccome esse in quell'istante sorreggeranno la creaturina, la lasceranno andare giù, non appena saranno divenute inerti. Ciò vuol dire che il piccolo, con il decesso del suo reggitore, finirà per cadere giù e per sfracellarsi al suolo, se non si farà trovare sotto qualcuno pronto a pararlo. Perciò, in quel preciso momento, vi farò essere presente il mio amico Tionteo. Egli starà attento, affinché il piccoletto non raggiunga il suolo e non vi stramazzi mortalmente. Così lo salverà dall’intenzione infanticida del farabutto suo genitore! Ecco: questo è il mio piano! Allora cosa te ne sembra, amico mio?»

«Io lo trovo eccellente, Iveonte! Perciò mettiamoci subito all’opera e facciamo avere ad esso l'ottima riuscita che merita. Ma prima di metterci in azione, devo sfoltirmi la barba e rendermi presentabile alle mie Teste di Lupo, se voglio che esse mi riconoscano, subito dopo la mia apparizione, e mi ubbidiscano senza esitazione.»

Quando nell'alloggio di Ezna si terminò di mettere a punto ogni parte del piano elaborato da Iveonte e ne fu anche testata l’efficacia, Tusco si affrettò a tagliarsi i capelli e la barba per ritornare ad essere la persona di prima, cioè presentabile ed ammirabile. Una volta che si fu lavato ed ebbe curato il proprio aspetto esteriore, mancava una manciata di minuti a mezzogiorno. Allora il giovane eroe speditamente corse ad occupare la postazione che a suo giudizio si presentava la più idonea a rendergli infallibile il tiro contro il suo bersaglio. L'ex licantropo, invece, si affrettò a raggiungere le prossimità delle mura, sulle quali si era arroccato Fuskop con le sue Teste di Lupo e con le donne prese in ostaggio.

Uscito dall'abitazione della danzatrice, egli andò a fare il suo ingresso nella piazza. Nel frattempo, anche Tionteo si era premurato di pervenire nel posto a lui assegnato e vi si era appostato da un quarto d’ora. Soltanto allora Tusco si diede ad avanzare in direzione dei sequestratori. Così, quando fu a venti metri da loro, si fermò ed incominciò a gridare:

«Teste di Lupo, mi riconoscete? Sono Tusco, il Venerabile Servo del Grande Lupo. Sono qui per diffidarvi dall’ubbidire a qualunque ordine che vi provenga da Fuskop, che non dovete più considerare il vostro soprintendente, siccome io l'ho esautorato e destituito da tale incarico. Oramai, per il lupismo, egli è soltanto un rinnegato, essendosi macchiato delle colpe più infamanti. Perciò vi ammonisco a non seguire le sue direttive, se non volete che l’ira e la maledizione di Adok, il glorioso figlio del divino Sole, vi perseguitino tanto da vivi quanto da morti! Mi avete inteso bene, devoti seguaci del lupismo?»

In principio, le Teste di Lupo non avevano creduto ai loro occhi, quando lo avevano scorto in lontananza; avevano ritenuto la sua apparizione un miraggio. Ma ora che egli se ne restava a pochi metri dalle mura ed aveva perfino parlato loro, esse erano più che persuase che il fondatore della loro religione poteva unicamente risultare in carne ed ossa nel posto in cui faceva rilevare la sua presenza. Perciò iniziarono ad avvertire nei suoi confronti un senso di straordinaria ammirazione, quella stessa che un tempo li faceva sentire fieri di appartenere al movimento religioso da lui fondato. Allora, dopo che Tusco si fu espresso, Laoz si diede a parlare a nome di tutti:

«Siamo lieti, redivivo Tusco, che tu sia ritornato in mezzo a noi! Tu rappresenti il simbolo della nostra fede, per cui ogni tuo ordine diventa legge per noi tutti. Dicci, dunque, quali sono le disposizioni che vorrai impartirci in merito a questa vicenda e noi ci atterremo ad esse con la massima scrupolosità e fedeltà! Allora ti decidi ad indicarcele, perché noi possiamo eseguirle all'istante per compiacerti nel modo migliore?»

«Voglio che liberiate senza indugio le donne da voi sequestrate e le rimandiate nell'imenon, che è la loro dimora! Sto aspettando che lo facciate al più presto, siccome questo è il mio volere!»

«Se è questo che desideri da noi, illustre Tusco, sarai subito ubbidito, poiché non siamo rinnegati, come lo era il nostro ex soprintendente, per aver smarrito la retta via!»

Mentre le Teste di Lupo slegavano i polsi delle donne e le invitavano a ritornarsene al loro alloggio, Fuskop, preso dallo sdegno, si diede a sbraitare contro di loro:

«Cosa vi salta in testa, traditori! Sono io il vostro capo! Non date retta ad una larva! Io posso concedervi tutto quello che volete! Smettetela di rinunciare alla vostra carta vincente, se non volete pentirvi! Ve l’ordino nel pieno dei miei poteri, altrimenti saranno guai per tutti voi! Allora mi avete sentito, vigliacchi della peggiore specie?»

Visto che nessuna delle Teste di Lupo gli prestava attenzione, avendo esse deciso di ubbidire al venerabile Tusco, dando in escandescenze, egli cominciò a minacciare:

«Se non mi date retta, vi giuro che lascerò cadere giù nel vuoto il bimbo che ho tra le mani. La medesima fine farà anche sua madre subito dopo. Ve lo garantisco!»

Quelle furono le ultime parole del ribaldo Fuskop, poiché, non appena le ebbe pronunciate, una freccia gli si conficcò nel mezzo della fronte, stecchendolo sul colpo. Nell’attimo stesso che egli crollava esanime per terra, le sue mani abbandonarono la presa del bambino. Perciò il poveretto in un attimo precipitò giù nel vuoto sottostante. A tale vista raccapricciante, Fisia emise un urlo disperato di dolore e si affrettò ad affacciarsi dalle mura, volendo rendersi conto delle ferite che il figlioletto aveva riportato, a causa della caduta. Ma una volta che si fu sporta da esse ed ebbe dato uno sguardo sotto, ella vi scorse Tionteo, il quale si teneva teneramente tra le braccia l'incolume pargoletto. Alla sua vista, scherzando, egli si affrettò a dirle:

«Per caso, bella signora, è tuo questo marmocchio, che non smette di sorridermi? Poco fa è piovuto dal cielo e mi è finito proprio tra le braccia! Se ne sei la genitrice, puoi reputarti fortunata, considerato che egli, grazie a me, è rimasto completamente illeso!»

Com'era da aspettarselo, fu incommensurabile ed inesprimibile la gioia che si registrò nella risollevata madre in quel momento. Inoltre, i suoi infiniti ringraziamenti rivolti al giovane amico di Speon grandinarono in gran copia e parvero non volere più aver fine, intanto che sfogava la sua palese euforia e la sua allegria.

Dopo la morte di Fuskop e la liberazione delle donne dell’imenon, per prima cosa Tusco volle conferire al fedele Laoz la nomina di soprintendente delle Teste di Lupo, per le quali in seguito avrebbe coniato il nuovo nome di Guerrieri della Fede. Anzi, egli approfittò anche per dargli il suo primo incarico, il quale riguardò la rimozione dalla piazza delle numerose salme dei loro commilitoni. Con essa, intendeva preservare dalla pestilenza gli abitanti della Cittadella. A tale proposito, pensandola allo stesso modo di Iveonte, gli suggerì di far gettare dai suoi uomini la moltitudine dei cadaveri dentro il Pozzo del Sacrificio. Esso, dopo che vi furono sepolti i numerosi cadaveri, venne accecato definitivamente. Anche perché, da quel momento in poi, non sarebbe più servito per un uso così crudele ed ignominioso, come era successo fino a qualche giorno prima.

Nelle ore successive, tutti si riunirono per festeggiare gli avvenimenti accaduti nella prima parte della giornata. Essi avevano riguardato principalmente la liberazione di Tusco dalla sua segregazione forzata e dalla sua licantropia; secondariamente, invece, avevano avuto attinenza con l’uccisione di Fuskop e con il ritorno alla libertà della figlia di Cufione. Durante i festeggiamenti, Iveonte si fece promettere da Tusco che, mai più e per nessun motivo, sarebbe ricorso ai rapimenti di una volta, poiché essi non avevano più ragion d'esserci. Inoltre, gli propose, come divinità da adorarsi nella Cittadella, i gemelli Kron e Locus, essendo essi gli dèi più potenti dell’universo. Tusco fu lieto di assecondare la proposta del prodigioso giovane, dal quale aveva ricevuto dei benefici inestimabili, i quali non potevano essere ripagati in alcun modo.

Il mattino seguente, al momento del commiato, Tusco sentì il dovere di ringraziare con calore il suo grande benefattore, che non avrebbe mai più dimenticato per il resto della sua vita. Per questo, stringendogli la mano, non si astenne dal parlargli così:

«Addio, mio grandissimo amico! Sappi che la nostra amicizia, anche se è stata di breve durata, ossia di una manciata di ore, essa rimarrà per sempre nel mio animo e nella mia mente, poiché nessun tempo riuscirà mai a cancellarla dall’uno e dall’altra. Ti prometto che giammai scorderò tutto ciò che hai fatto per me, che non è poco, e te ne sarò grato per l’eternità. Adesso che ci lasci, ti auguro buona fortuna, caro Iveonte! Che gli dèi, inoltre, continuino a guardarti con i loro occhi benigni, dal momento che ogni tuo proposito è dettato dal senso di giustizia e da un profondo filantropismo!»

Dopo il commovente addio, che aveva strappato delle lacrime ad alcuni di loro, la piccola comitiva, che era costituita da Iveonte e dai suoi amici, oltre che da Fisia e dal suo bambino, si mise in cammino verso il villaggio di Polsceto, volendo giungervi al più presto. Prima, però, Iveonte aveva voluto liberare l’arrotino, il quale era rimasto legato al suo albero per l'intero tempo della loro permanenza nella Cittadella. Gli aveva altresì consigliato di raggiungere le altre ex Teste di Lupo e di mettersi fedelmente al servizio del sacerdote Tusco, se voleva cominciare ad agire rettamente. Drevio non perse tempo ad entrare nella Cittadella, dove si mise a disposizione di Tusco, il quale adesso era divenuto il sacerdote delle eccelse divinità Kron e Locus.


Furono necessari tre giorni di estenuanti cavalcate, prima che Iveonte e gli altri giungessero a Polsceto. Quando vi giunsero, era notte inoltrata e tutti gli abitanti del villaggio già si erano abbandonati al sonno da moltissimo tempo. Essi allora si diressero subito alla casa di Fisia, dove anche dormivano da alcune ore. In quel luogo, dopo un persistente picchiare alla porta, alla fine la videro aprirsi. Così ne uscì il padrone di casa, ossia Cufione. Egli venne fuori sonnecchiante ed impossibilitato a connettere. Dopo, intanto che sbadigliava in continuazione, domandò a quanti lo stavano aspettando all’esterno della sua abitazione:

«Volete dirmi chi siete e perché vi siete permessi di rovinarmi il sonno, a quest'ora? Potevate venire domani mattina ad infastidirmi!»

«Come chi siamo!» lo riprese Iveonte «Non riconosci forse più i tuoi amici, Cufione? Devi sapere che ti abbiamo riportato a casa tua figlia Fisia. Ella è qui con noi e brama di riabbracciare tutti i suoi familiari! Allora sei contento di questa bellissima notizia che ti ho data?»

Il giovane non aveva ancora finito di parlare, quando la ragazza, dopo aver consegnato il piccolo a Speon, corse ad attaccarsi al collo paterno, gridando: "Babbo! Babbo! Sono di nuovo con voi sana e salva! Dov’è la mamma? Già, che sciocca che sono: ella starà senz'altro a letto dedita al sonno!" Dopo, liberato il padre dal suo intenso abbraccio, Fisia si stava lanciando in cerca della madre, quando la vide venir fuori di casa tutta allarmata. Il trambusto esterno l’aveva indotta a rendersi conto di ciò che stava succedendo davanti alla porta di casa. Fu così che anche la madre e la figlia furono prese dalla smania di abbracciarsi, come non lo avevano mai fatto prima. Sulle gote di entrambe cominciarono a scorrere fiumi di lacrime di gioia, intanto che i loro occhi brillavano di una contentezza indefinibile, mai provata prima di allora, e il loro cuore traboccava di tante emozioni sovrumane!

Poco dopo, mentre il giubilo teneva tutti inchiodati in un’atmosfera che pareva fatata, il vagito dell’infante venne ad infrangere quell’incanto paradisiaco. Esso interruppe quel sogno ameno, distraendo ognuno dal godimento di quell'istante incantevole. Fisia allora era stata la prima a lasciarsi distrarre dal suo pianto. Per questo, dopo essersi divincolata dall'abbraccio materno, corse a riprendersi tra le braccia il proprio bambino, togliendolo a Speon con cura. Poi, manifestando una grande titubanza, poiché non sapeva se vergognarsene oppure considerarlo un valido motivo di orgoglio, la ragazza lo mostrò ai suoi confusi ed interdetti genitori. In pari tempo, timidamente comunicò ad entrambi:

«Questo è il mio bambino, miei cari genitori! Se lo desiderate, egli potrà essere pure vostro nipote! Ve ne prego, non prendetevela con lui, il quale non ha alcuna colpa di quanto mi è successo! Perdonatemi, se in questo istante vi accade di essere dispiaciuti per la sua esistenza! Io non volevo! Sono stata costretta a concepirlo e a metterlo al mondo!»

«Neppure tu ne hai alcuna colpa, sventurata figlia mia!» la rassicurò il padre «Siete tutti e due innocenti! Perciò, da questo momento, per me e per tua madre, voi siete i benvenuti nella nostra famiglia! Se lo vuoi proprio sapere, io e la tua mamma siamo fieri di voi due, specialmente del nostro nipotino, il quale recherà nella nostra casa soltanto gioia e letizia, come non ce ne sono mai state prima. Te lo giuriamo!»

«Fisia, tuo padre ti sta dicendo la pura verità.» concordò la donna con il marito «E non potrebbe essere altrimenti, poiché sia tu che tuo figlio siete sangue del nostro sangue!»

Un attimo dopo, con trepido amore la madre corse a prendersi il bambino dalle braccia della figlia. Baciandoselo ripetutamente, ella aggiunse alla sua primogenita:

«Noi non faremo mai mancare nulla al nostro nipotino. Più che alla madre! Con lui saremo assai premurosi e ci mostreremo dei nonni esemplari! Non scordartelo, Fisia, figlia mia!»

Iveonte, Tionteo e Speon si commossero tantissimo di fronte a quell’incontro familiare, poiché esso, a causa della sua alta carica di umanità e di pathos, all'improvviso si era rivelato coinvolgente al massimo. Ciò, perché l'evento, essendosi svolto carico di indubbia umanità, aveva saputo suscitare in tutte le persone presenti degli stati emozionali forti ed ineffabili, che non potevano essere dimenticati!

La mattina seguente, la totalità dei Polscetani, essendo venuti a conoscenza del ritorno di Fisia presso i suoi familiari, corsero in massa a felicitarsi con lei e con i suoi cari. Ma si amareggiarono immensamente, quando appresero che le altre ragazze del villaggio, quelle che erano state rapite prima e dopo di lei, erano andate incontro ad un destino così orribile, da fare accapponare la pelle. Comunque, da parte di tutti, si inneggiò all’eroico valore di Iveonte, il quale era riuscito a salvare Fisia e a far cessare nel loro villaggio i rapimenti delle ragazze. Questi ultimi, quando vi si erano effettuati, avevano arrecato alle famiglie delle ragazze rapite uno strazio indicibile; invece, per il resto della loro esistenza, vi avrebbero lasciato un’angoscia dolorosa e traumatizzante.

Dopo pranzo, Iveonte e i suoi amici lasciarono Polsceto, tra i calorosi saluti degli abitanti del villaggio. Essi, però, furono salutati in modo speciale dalle riconoscenti famiglie del possidente Cufione e dell’oste Ekso, essendo riusciti a salvare in tempo le figlie di entrambi i conterranei. Anche le famiglie delle ragazze che sarebbero state rapite in seguito furono molto grate a tutti e tre, per aver evitato il terribile ratto alle loro figlie, da parte delle Teste di Lupo. Usciti infine da Polsceto, Speon fece presente ai suoi due amici:

«Da questo momento in avanti, miei cari Iveonte e Tionteo, dobbiamo stare estremamente all'erta, poiché ci attende una traversata difficile e molto rischiosa. Dovete sapere che sono infiniti ed imprevedibili i pericoli che infestano le terre che ci stiamo accingendo ad attraversare, risultando esse i perpetui ricettacoli dell'inciviltà più assurda e primordiale. Infatti, non di rado vi si assiste alla presenza inspiegabile di genti dai costumi così paradossali, che finiscono per tralignare in modo spaventoso dagli esseri umani. Quindi, guai a coloro che incappano nelle loro insidie, che a volte si rivelano inevitabili e si dimostrano tremendamente crudeli! Quelli che le tendono, come da queste parti è risaputo, ordiscono di soppiatto, assaltano di sorpresa e accoppano con inumanità, senza che essi si chiedano se è lecito agire alla loro maniera.»

Le parole di Speon, però, non intimorirono neppure un poco Iveonte e il suo amico Tionteo. Per cui essi spronarono impavidamente i loro cavalli in direzione di quei luoghi, che tutti descrivevano come misteriosi ed infidi. Non bastando ciò, i medesimi venivano additati dalla gente della Regione dei Laghi come degli autentici depositari dei pericoli più inconcepibili e delle malvagità più assurde, umanamente intese.