256°-PRIMO SCONTRO DI IVEONTE E DI TIONTEO CON LE TESTE DI LUPO

A tarda sera, subito dopo cena, Iveonte, Tionteo e Speon si ripresentarono all’osteria di Ekso, dove l’intero nucleo familiare li stava aspettando con ansia e trepidazione. Anche questa volta fu deciso di andare a parlare nel cortile retrostante l’abitazione. Per questo non si perse tempo a trasferirvisi tutti. Quel posto era rischiarato discretamente da alcune torce, le quali sporgevano da quattro torcieri, che erano stati sistemati su alcuni tronchi d’alberi. Giunti in quel luogo, Iveonte incominciò a parlare all'oste in questo modo:

«Da questa notte, Ekso, tu e la tua famiglia andrete a dormire nella casa di Cufione, il quale non ha esitato ad offrirvi la sua ospitalità. Vi ci accompagnerà Speon più tardi, evitando di dare nell’occhio il più possibile, soprattutto quando uscirete da questa casa, la quale potrebbe essere sotto la sorveglianza dell’arrotino. Io e Tionteo, invece, resteremo qui ad attendere coloro che si sono proposti di rapire la tua Vulla. Speriamo proprio che tutto si risolva nella nottata in arrivo! In tale maniera, ce la sbrigheremo in anticipo a portare a termine la prima parte della nostra missione. Noi la consideriamo doverosa nei confronti di coloro che vengono torchiate dalle Teste di Lupo con i loro rapimenti mensili.»

«Vi ringraziamo, Iveonte, per ciò che tu e i tuoi amici state facendo per la nostra famiglia e per le altre che sono pure di Polsceto! Secondo te, quante saranno le Teste di Lupo che verranno a rapire la nostra diletta figlia? Se dovessero essere in molte, riuscireste voi a sconfiggerle lo stesso? Per molte, logicamente, intendevo almeno una mezza dozzina e non di più. Allora quale risposta sai dare alla mia domanda?»

«Sono convinto, Ekso, che il loro numero resta invariato, ogni volta che esse compiono un loro ratto in qualche villaggio. Perciò, ammesso che fu esatta la stima fatta dal tuo conterraneo Cufione la notte che gli rapirono la figlia Fisia, dovremmo attenderci non meno di una trentina di Teste di Lupo. A mio avviso, non dovrebbero né superare tale numero né essere inferiore ad esso. Ne sono sicuro!»

«Hai detto proprio trenta, Iveonte?!» domandò l’oste al giovane, manifestando parecchia preoccupazione «Possibile che non vi spaventi un numero così ingente di rapitori? Se voi siete solamente in due, mi dici come farete a fronteggiarli e ad avere la meglio su di loro? Se lo vuoi sapere, amico mio, inizio già a disperare che possiate farcela contro tutti loro! Di conseguenza, già mi sto spaventando per la mia Vulla e per noi, che siamo i suoi familiari!»

«Invece di ciò non ti devi affatto preoccupare, Ekso, dal momento che dovranno essere le Teste di Lupo a pentirsi di essere venute stanotte nella tua casa, quando vi si presenteranno con l'intenzione di rapire la tua figliola. E non lo dico per pura spavalderia, mio terrorizzato oste! Perciò tu e i tuoi cercate di non allarmarvi, poiché tra poche ore tutto si risolverà per il meglio. Te lo garantisco!»

«Puoi credergli, Ekso, se te lo assicura il mio amico Iveonte!» intervenne a confermarglielo il figlio del defunto Vusto «Per tranquillizzarti, adesso ti informo di un fatto che ti farà assai piacere e ti infonderà anche un sacco di ottimismo. Ebbene, sono certo che anche tu in passato avrai già sentito parlare dei famigerati fratelli Kirpus. Essi, pur essendo in nove, riuscivano a tener testa ad un centinaio di uomini armati! Non mi dire che non ne eri già al corrente!»

«Chi non li conosce, quei ceffi malandrini, Speon! Sono solo nove, ma come tu hai detto, valgono più di cento, quando combattono! La loro prepotenza non ha risparmiato nessuno. Cinque anni fa anch’io li ho avuti come avventori nella mia taverna. Come potete immaginare, gratuitamente! Infondevano spavento, solo a guardarli! Per fortuna avevo preso la precauzione di far sparire in tempo dal locale mia moglie e mia figlia. Se non lo avessi fatto, quei porci senza scrupoli chissà a quali loro maltrattamenti le avrebbero sottoposte! Ma mi dici cosa c’entrano essi con le Teste di Lupo? Inoltre, perché me ne hai parlato con il verbo al passato, come se fossero spariti dalla circolazione?»

«Volevo appunto farti presente, mio caro Ekso, che nessuno più dovrà temerli in avvenire, siccome i morti non possono nuocere ai vivi!»

«Mi stai dicendo che sono stati uccisi, Speon? E chi li avrebbe fatti fuori? Non riesco proprio a crederci! Comunque, ugualmente continuo a non comprendere che cosa c'entrano quegli esseri abominevoli ed ignobili con la nostra attuale situazione. La quale, come appare, non è delle più floride, almeno per quanto riguarda la mia famiglia!»

«Ero presente, il giorno che li ho visti infilzare quasi tutti dalla spada di Iveonte. Pensa che ne ho ucciso uno anch’io, mentre schiacciava con il suo peso il povero Tionteo e a momenti gli affondava perfino il suo pugnale nel petto! Per fortuna, per il mio amico in pericolo, ho avuto la forza di reagire all'istante! Così sono intervenuto in tempo a colpire alle spalle l’infuriato Kirpus! Adesso dovrebbe esserti assai chiaro perché ho voluto riferirmi ai nove famigerati fratelli del mio villaggio Borchio, gli ex terrorizzatori della nostra Regione dei Laghi! A confronto di Iveonte, essi sono risultati dei veri pivelli nel combattere!»

«Solo adesso ho inteso ciò che volevi farmi comprendere, Speon! Ti ringrazio, per avermi dato tale notizia, che mi risulta rassicurante e mi priva di ogni timore. Allora io e i miei familiari possiamo stare tranquilli!»

Dopo l'oste si rivolse a colui che veniva indicato dai propri amici come un guerriero imbattibile dalle mille risorse. Con il sorriso negli occhi, egli fu molto lieto di affermargli:

«Iveonte, considerato che sei un eroe di alto livello, la mia famiglia non ha nulla da temere, soprattutto mia figlia! Perciò dobbiamo ringraziare gli dèi generosi, per averti messo sulla nostra strada al momento giusto, spingendoti a venire in soccorso degli sventurati Polscetani!»

Quella notte trascorse tranquilla come le precedenti, cioè senza esserci stata nell’abitazione dell’oste nemmeno l'ombra di una Testa di Lupo. Come pure non se ne era scorta nessuna che andasse a fare visita all'arrotino. Iveonte e Tionteo invano vi avevano vegliato a turno ad attenderle, intenzionati a riceverle come si meritavano. Ma alle prime luci dell’alba, avevano fatto ritorno all’osteria Speon, Ekso e i suoi familiari, i quali la sera precedente avevano lasciato il locale per i motivi che conosciamo. Allora i due amici, dopo aver consumato la colazione, se ne uscirono per un abboccamento sul da farsi. In primo luogo, intendevano perlustrare meglio il villaggio e la zona ad esso circostante. Strada facendo, l'eroe volle aprire il discorso sull’argomento, facendo presente all'amico terdibano:

«Tionteo, non sono più certo che sia quello giusto il modo scelto da noi per trovarci faccia a faccia con le Teste di Lupo. Invece temo che, da parte nostra, bisognerà cambiare tattica!»

«Come mai, Iveonte, c'è stato questo tuo ripensamento improvviso all'ultimo istante? Prima, quando me lo hai proposto, il tuo piano mi è parso il più logico, poiché così si sarebbe evitato di insospettire Drevio e quanti nel villaggio fossero in combutta con lui! Invece adesso, come mi hai lasciato intendere, dubiti alquanto di esso!»

«Questo è vero, amico mio. Ma mi sai dire per quanti giorni dovranno dilungarsi la nostra attesa notturna nell’osteria e il pernottamento in casa di Cufione della famiglia dell’oste? Nel frattempo, prima o poi, l’arrotino potrebbe anche fiutare quanto sta cuocendo in pentola in casa del suo dirimpettaio. Perciò, dopo avere alzato i tacchi, farebbe sospendere il ratto da parte dei suoi compagni! La qual cosa manderebbe all'aria il piano, che è stato da me ben congegnato! Non lo pensi pure tu?»

«Comincio a credere che tu abbia perfettamente ragione anche questa volta, mio saggio amico. Ma allora con quale nuovo piano vorresti rimpiazzare quello che abbiamo portato avanti con cura fino ad un momento fa? Sono convinto che già ne avrai un altro di riserva, per muovere delle obiezioni a quello vecchio! Allora mettimi al corrente di esso, poiché dopo desidero conoscerlo e giudicarlo per conto mio!»

«Ebbene, propongo di affrontare senza altro indugio l'arrotino Drevio, costringendolo a svuotare il sacco sul rapimento di Vulla e a farci luce sulla setta delle Teste di Lupo. Ma prima lo obbligheremo a dirci per quando è previsto il ratto della figlia dell'oste. Solo in questa maniera riusciremo ad aggirare una nostra snervante attesa dagli esiti prevedibilmente incerti! A questo punto, non lo credi anche tu, Tionteo?»

«Se hai deciso di agire come mi hai detto poco fa, Iveonte, allora affrettiamoci ad intervenire contro l’infame arrotino. Anch'io sono convinto che prima costringeremo il briccone a cantare e meglio sarà per noi e per la famiglia del simpatico Ekso. Così dissolveremo i dubbi e le incertezze che già hanno iniziato a frullarci nella testa, circa il rapimento della ragazza Vulla. Anzi, in questo modo libereremo molto prima l'oste e i suoi familiari dalla loro spossante attesa e dalla paura che la nostra impresa possa fallire, facendoli ritrovare nei guai fino al collo!»

«Tionteo, poiché anch’io non desidero attendere altro tempo ad agire e a prendere di petto il fallace artigiano, andiamo ad affrontarlo direttamente, senza attendere oltre! Sono certo che faremo in tempo ad intossicargli il pranzo di mezzogiorno con il nostro interrogatorio di terzo grado, il quale avrà il suo effetto salutare su di lui!»


Nel luminoso cielo il sole avvisava che mezzodì era appena giunto nel villaggio di Polsceto, quando i due amici entrarono nella bottega dell’artigiano, tra lo stupore di Speon e dell'oste, i quali non se lo aspettavano. Costoro li avevano intravisti per caso, mentre essi vi facevano il loro ingresso a quell'ora del giorno. Comunque, alla fine avevano escluso nel modo più assoluto che i due giovani fossero stati invitati a pranzo dal perfido molatore per festeggiare con loro un suo momento felice.

Ritornando ad Iveonte e a Tionteo, una volta che essi furono pervenuti al cospetto di Drevio, essi non proferirono alcuna parola; ma restando muti ed immobili davanti a lui, si limitavano solo a fissarlo biecamente. Da parte sua, l'esperto di molatura innanzitutto diede una immediata occhiata alla loro mano sinistra. Dopo essersi reso conto che non si trattava di Teste di Lupo o di suoi correligionari, per la presenza del mignolo sinistro in entrambi i suoi visitatori, si diede a chiedere loro:

«Mi dite in cosa posso esservi utile, giovanotti? Se siete venuti da me, ci sarà senz'altro una ragione! Inoltre, poiché è chiaro che non siete qui per qualcosa attinente al mio mestiere, vorrei sapere da voi cos’altro vi ha spinti nella mia bottega. Per favore, sbrigatevi a parlare e a giustificare la vostra venuta da me, poiché il lavoro arretrato non mi permette di sciupare il minimo tempo con persone che preferiscono usare il linguaggio dei pesci! Mi sono fatto comprendere per bene da voi due?»

«Non hai affatto torto, emerito farabutto, a pensarla come hai detto!» gli rispose per primo Tionteo «Infatti, la nostra presenza qui non ha niente a che vedere con la tua professione di arrotino! Incominciamo col farti presente che tra breve dovrai essere tu a tenere molto sciolto lo scilinguagnolo, siccome sono tantissime le informazioni che dovrai fornirci, volente o nolente, circa l'altra tua professione, che tu ben conosci. Se putacaso ti rifiuterai di collaborare con noi, non immagini neppure a quali brutti guai andrai incontro! Te lo garantiamo il mio amico ed io che avverrà proprio come ti ho appena specificato!»

Il linguaggio del giovane non garbò affatto all’arrotino. Esso, più che incutergli timore, gli mandò semplicemente il sangue alla testa, per cui si ripromise di conciarli bene per le feste al più presto. Intanto che gli balenavano nel capo quegli ostili propositi, Drevio diede alla sfuggita una occhiata alla propria spada. Allora si tranquillizzò subito, nello scorgerla appesa alla parete situata sulla sua destra, a non più di un metro di distanza dalla sua mola. A tale riguardo, si poteva pensare che l’artigiano l’avesse a portata di mano, appunto per servirsene alla prima situazione di pericolo. Comunque, non si sapeva con certezza se egli intendesse usarla contro dei ladri comuni oppure contro pericolosi nemici di altro genere. Iveonte, però, avendo compreso le intenzioni dell'arrotino, stavolta prese lui la parola al posto di Tionteo, facendogli notare:

«Lascia stare pure la tua spada lì dov’è, Drevio, visto che non potrebbe esserti di alcuno aiuto contro di noi. Al contrario, sappi che essa finirebbe soltanto per peggiorare la tua già difficile situazione! Vedo che ti sei già reso conto che non facciamo parte della tua cricca di delinquenti, poiché né io né il mio amico abbiamo il mignolo della mano sinistra mozzo. Quindi, se vuoi continuare a vivere, dovrai dare una risposta precisa ad ogni nostra domanda, senza azzardarti a mentirci su nessuna di esse! Ti sono stato chiaro? Per il tuo bene, credo proprio di sì!»

Ma l’arrotino non si diede per inteso dell’invito che gli era provenuto da Iveonte, il quale lo aveva diffidato dall’impugnare l’arma, soprattutto perché i due giovani gli avevano dimostrato di sapere molte cose su di lui. Perciò, una volta che si fu impadronito della sua spada, neppure un istante dopo e senza alcun preavviso, egli attaccò i suoi due visitatori sconosciuti con una furia selvaggia e con una fulmineità davvero incredibile. Al suo assalto, fu il solo Iveonte a contrattaccarlo, avendo previsto in anticipo le sue intenzioni offensive ed essendosi in simultaneità premunito contro i suoi colpi tremendi. Da parte sua, l'amico Tionteo non si preoccupò minimamente di intervenire al fianco del compagno, ritenendo superfluo ogni suo intervento a difesa di colui che considerava il campione invincibile nella scherma. Così, dopo appena un istantaneo scambio di colpi con il suo mediocre avversario, assalendolo con un rapido mulinello di spada, Iveonte lo disarmò senza alcuna difficoltà. Infine, tenendolo inchiodato al muro con la punta della sua lama, che gli rasentava il collo all’altezza del mento, senza perdere un attimo di tempo, egli riprese a rivolgergli la parola, usando il seguente linguaggio:

«Drevio, ti avevo sconsigliato dal dare di piglio alla tua arma, ma tu lo stesso hai voluto fare di testa tua. Con essa, credevi forse di liberarti di noi e di uscire dalla scabrosa situazione in cui ti trovi in questo istante? Invece continuerai a restarci, fino a quando non avrai vuotato per intero il sacco! Bada che dovrai svuotarlo del contenuto che ti indicheremo noi e non di quello che vorrai inventarti tu di sana pianta!»

Dopo aver rimproverato l’arrotino, Iveonte consigliò all’amico:

«Tionteo, adesso legagli congiuntamente le mani dietro la schiena con la corda che abbiamo portato con noi, ma che è rimasta ancora appesa alla sella del mio cavallo. Non dimenticarti, però, di attorcigliargliela anche intorno al collo, prima di neutralizzare i suoi polsi con vari avvolgimenti di fune e di effettuare con i due capi di essa gli stretti nodi finali. Così si precluderà al nostro prigioniero la possibilità di fargli scivolare tra le braccia il posteriore e le gambe, al fine di ritrovarsi poi con gli arti superiori legati in posizione anteriore. La qual cosa potrebbe facilitargli la passibilità di slegarsi!»

Ritornato da fuori con il canapo, Tionteo badò ad eseguire ciò che gli aveva suggerito l’amico. Perciò l’arrotino si ritrovò nella impossibilità di attuare la manovra a cui aveva accennato il nostro eroe, al fine di potersi slegare poi con l'aiuto dei denti. Solo allora Iveonte riprese il discorso con il suo perfido interlocutore, che adesso era legato, dicendogli:

«Essendo questo il tuo nuovo stato, Drevio, prepàrati a rispondere alle mie domande, se non vuoi che ti rendiamo l’esistenza un vero inferno! Più che delle risposte, ci attendiamo da te solo conferme di cose e di fatti, di cui già siamo al corrente. Ovviamente, non ti sarai neppure domandato come mai conosciamo il tuo nome, visto che tutti gli abitanti di Polsceto lo conoscono e che noi, dunque, abbiamo potuto apprenderlo da uno qualsiasi di loro. Ma ciò lo avrai già capito da te!»

«Certo che lo so, giovanotto, perché non bisognava essere un’arca di scienza per arrivarci! Ignoro, però, ciò che voi volete da me, poiché in nessuna circostanza ho avuto il piacere oppure il dispiacere di incontrarvi! Per questo mi aspetto di apprenderlo da voi al più presto!»

«Drevio, è esatto ciò che hai affermato, poiché è la prima volta che hai avuto la disgrazia di averci davanti. Ma più di un incontro casuale, si tratta di una visita intenzionale. Solo che, per tua sventura, non te ne potrai rallegrare! Ad ogni modo, adesso diamoci ad occuparci di tutt’altra faccenda, ossia dell’argomento che soltanto interessa a me e al mio amico, ossia quello che ci ha condotti da te. Tu sei una Testa di Lupo: non è vero? L’amputazione del mignolo, che la tua mano sinistra ha subito per qualche forma rituale, lo conferma senza ombra di dubbio!»

«Mi spieghi, emerito sconosciuto, cosa conferma l'amputazione del mio mignolo, se non ho capito un accidente di quanto hai detto? Chi poi sarebbero queste Teste di Lupo? Perché mai dovrei conoscere gente simile, se mi risulta nuovo perfino il loro nome? Si vede che sei abituato a dire di giorno ciò che sogni durante la notte. Non è forse vero?»

«Scherzaci pure sopra, Drevio, se tale comportamento ti fa gioire! Ma tra poco la penserai altrimenti. Scommetto che vorrai anche convincerci che non hai le mani in pasta nei rapimenti, che accadono nel villaggio di Polsceto! Come sai, essi vengono effettuati a scadenza mensile, da qualche anno a questa parte, a danno di giovani vergini polscetane aventi l’età di venti anni! Anche di tale fatto sei totalmente all'oscuro?»

«Certo che non ho niente a che vedere con i rapimenti delle ragazze di questo villaggio! Tu non puoi immaginare quanto essi mi abbiano rattristato, ogni volta che ce ne è stato qualcuno in Polsceto! Nell'apprenderlo da qualche sconsolato familiare della vittima, mi sono sentito accendere di odio dentro di me contro i malvagi delinquenti rapitori. Questa è la pura verità, se ci tenevi a conoscerla, non essendocene un'altra. Te lo posso giurare che non ti sto mentendo!»

«Come vedo, Drevio, la sai fare benissimo la parte del commediante, senza avere il minimo ritegno nel mentire spudoratamente e nello spergiurare! Vogliamo proprio vedere se avrai ancora la faccia tosta di negare l’evidenza, anche dopo che ti avremo esibito le nostre incontrastabili prove della tua connivenza con le Teste di Lupo, nei tanti rapimenti perpetrati mensilmente a danno di ragazze innocenti! Per il momento, ti faccio presente che mai nessun familiare delle giovani vittime si è mai permesso di parlare con altri del ratto della loro figlia e sorella, essendo stati tutti minacciati di morte, nel caso che lo avessero fatto. Per cui ti sei già tradito da te stesso con questa tua affermazione mendace! Ma sorvolo su tale particolare, poiché ci sono prove concrete a tuo carico, a cui non potrai opporre alcuna giustificazione. Tra poco lo vedrai!»

Pronunciata quest’ultima frase, Iveonte pregò Tionteo di andargli a prendere il vaso, nel cui interno era conservato il documento che costituiva il principale capo di accusa contro l’artigiano. Quando l’amico glielo porse tra le mani, egli prima lo sollevò più in alto possibile e poi lo lasciò cadere per terra, facendolo frantumare in mille pezzi. Ma non fece la medesima fine la cartapecora, che vi era conservata al suo interno. Allora Iveonte lo raccattò e si affrettò a dispiegarla, avendo intenzione di leggere quanto vi era scritto sopra. Così un attimo dopo, uno alla volta, il giovane si diede a leggere i nomi che vi erano stilati in bella calligrafia, i quali corrispondevano esattamente a quelli delle ragazze, che erano già state rapite nel villaggio e delle altre tre che erano in attesa di subire il medesimo rapimento. Una volta che ebbe eseguito la lettura di tutti i nomi, si rivolse infine all’arrotino e gli domandò:

«Adesso, Drevio, osi ancora negarlo, anche davanti a questa prova irrefutabile, la quale ti inchioda senza appello? Se davvero tu dovessi farlo, sappi che il mio amico ti reciderebbe subito un orecchio, avendogli impartito quest'ordine, prima che ci presentassimo a te!»

Tionteo, assecondando anche questa volta la volontà dell’amico, innanzitutto sfoderò il suo pugnale e poi lo avvicinò all’orecchio destro dell’artigiano, in attesa della risposta che presto sarebbe uscita dalla sua bocca. Ma sarebbe stato il suo contenuto a fargli sapere se agire contro il padrone di casa, come gli aveva suggerito l’amico Iveonte. Allora, considerato che le cose si mettevano davvero male per lui, l’arrotino ritenne più giovevole per la sua persona collaborare e confessare ogni cosa che conosceva. Inoltre, ammettendo la sua colpa, avrebbe avuto più tempo per tentare di liberarsi oppure per sperare in un aiuto da parte dei seguaci della setta, ossia da quelli che si incaricavano dei rapimenti. Per questo egli si diede ad ammettere, senza più alcuna reticenza, tutto ciò che conosceva sulla propria setta, vuotando il sacco su ogni cosa che gli era stata richiesta alternativamente dai due giovani sconosciuti. Ma anche volle far presente ad entrambi:

«Mi è difficile comprendere per chi voi due stiate lavorando e chi vi abbia messi sulle mie tracce; però sono convinto che siete due abili segugi, oltre che due tipi in gamba, i quali senz'altro sanno il fatto loro. Perciò non posso negare che sono una Testa di Lupo e faccio parte di una setta, i cui seguaci adorano il Grande Lupo. Siamo in tanti nella nostra comunità religiosa, ciascuno con specifiche mansioni. Intanto che esercito il mio mestiere di arrotino, in Polsceto ho il compito di individuare le ragazze vergini da rapire, che devono avere una età non superiore ai venti anni. Ecco: vi ho detto ogni cosa che avevo da riferirvi!»

«Mi dici adesso, incantatore di ingenue ragazze, in quali villaggi i tuoi correligionari eseguono i vostri feroci rapimenti?»

«Attualmente i ratti vengono effettuati in soli tre villaggi della zona, tra cui è compreso anche Polsceto, siccome essi si trovano più vicini al nostro sacro tempio. In ciascuno, c’è una Testa di Lupo che ha le mie identiche mansioni, la quale viene chiamata perlustratore. Anche gli altri due miei colleghi, allo stesso modo mio, svolgono nei rispettivi villaggi un lavoro artigianale, che deve servire come copertura alla loro reale attività per conto della setta. Nei tre villaggi citati, avvengono rapimenti differenti, essendo diversi gli scopi per cui essi vi vengono eseguiti.»

«Ci riferisci quali sono gli altri due scopi, Drevio? Noi vorremmo conoscerli per avere una nostra opinione su ciascuno di loro.»

«Nel villaggio di Usbonio, ad esempio, sono rapiti solo dei bambini maschi, a causa di una sopravvenuta denatalità di maschietti nell’ambito della setta. Ma al loro rapimento sono deputati tre eunuchi della nostra congregazione religiosa, che non sono Teste di Lupo. I bimbi sottratti ai loro genitori, una volta divenuti grandi, una parte di loro dovranno rimpiazzare le Teste di Lupo che hanno superato i quarant’anni. I rimanenti, invece, dovranno sostituire quanti di loro moriranno o diverranno invalidi, prima di compiere la citata età. Nel villaggio di Rustako, invece, vengono rapite ragazze che hanno la medesima età di quelle che sono soggette a rapimento a Polsceto. Esse possono ritenersi fortunate, rispetto alle Polscetane, poiché il loro ratto avviene per tutt’altro scopo. Alla minoranza di esse è fatta apprendere l’arte della danza, per farle diventare delle ottime danzatrici; mentre la maggioranza è messa a disposizione delle Teste di Lupo per scopi puramente procreativi. Detto ogni cosa sulla setta, non ho nient'altro da riferirvi: ve lo assicuro!»

Ascoltato il resoconto fatto dall'arrotino, Iveonte gli fece presente:

«Se ricordo bene, Drevio, hai omesso di relazionarci sulla sorte a cui vanno incontro le ragazze di Polsceto, dopo che sono state rapite alle loro famiglie. Perciò ti obbligo a parlarcene, senza nasconderci alcunché, anche se hai da rivelarci qualcosa di tremendamente spiacevole. Voglia il cielo che alle poverette non succeda nulla di tragico e di irrimediabile!»

In un primo momento, l’arrotino si mostrò confuso e titubante; apparve pertinacemente renitente a rispondere alla sua controparte. Egli era convinto che le cose che avrebbe dovuto svelare sarebbero risultate alle orecchie dei due ascoltatori terribili e crudeli. Perciò esse potevano anche scatenare in loro una reazione tanto pericolosa quanto imprevedibile. Alla fine, però, dal momento che il suo interlocutore non gli dava una scelta diversa, si decise a raccontare ogni cosa, dandosi a dire:

«Mi dispiace ammetterlo, ma le sole ragazze di Polsceto, dopo essere state rapite, vengono immolate al Grande Lupo. Insieme alla vacca macellata, la quale costituisce il suo pasto giornaliero, ogni notte di plenilunio viene gettata nel Pozzo del Sacrificio anche la ragazza polscetana, che è stata rapita in precedenza. È prescritto che ella, una volta al mese, deve integrare il pasto che viene servito ogni giorno all’orribile mostro.»

«In altre parole, Drevio, hai voluto confermarci che sono tutte morte le ragazze che sono state soggette al rapimento fino ad oggi nel villaggio di Polsceto. La loro morte è dovuta al fatto che esse sono state date in pasto all’essere mostruoso, che voi della setta chiamate Grande Lupo. Non è forse così oppure ti ho frainteso per una mia distrazione?»

«Lo so che vi risulterà una verità cruda ed amara; però temo proprio che esse, chi prima chi dopo, abbiano già cessato di esistere da tempo. Mi dispiace per voi due; ma quando si ha a che fare con la morte, le pillole non si possono assolutamente indorare! Comunque, se la cosa vi può essere di consolazione, vi garantisco che nessuna delle vittime ha mai sofferto prima di morire, poiché essa è già morta, quando l’abominevole bestia la divora. Siccome il Pozzo del Sacrificio è profondo quasi duecento metri, il loro corpo, anche se vivo pochi attimi prima, dopo esservi stato gettato dentro, finisce per sfracellarsi al suolo, se proprio non vi si spiaccica sopra! Lo potete ammettere anche voi che può essere soltanto come ho detto, non essendoci un’altra realtà nel loro rapido capitombolo verso il buio fondo! Non siete d'accordo con me?»

«Se il pozzo ha una tale profondità, le tue considerazioni sono più che giuste, Drevio. Ma sappi che nessun’altra ragazza di Polsceto sarà sacrificata al Grande Lupo, il quale presto troverà la morte per mano mia! Perciò adesso veniamo alle tre ragazze già segnalate da te come le prossime vittime del sacrificio. Nel tuo documento, i loro tre nomi seguono quelli delle ragazze già immolate in precedenza. Poiché quello della figlia dell’oste qui di fronte risulta il primo di loro, suppongo che dovrebbe essere proprio lei la prossima ragazza che deve essere rapita. Secondo me, non dovrebbe essere altrimenti!»

«Non ti sbagli, sconosciuto. Vulla è la prima delle prossime ragazze designate al sacrificio e non potrà sfuggire al rapimento, il quale ci sarà questa notte. Se le Teste di Lupo non dovessero trovarla in casa, per ripicca esse massacrerebbero i suoi familiari. Da parte loro, ad ogni modo, sarebbe anche data alla ragazza una caccia spietata, fino a quando ella non cadrebbe nelle loro grinfie! Infatti, è ciò che si pretende esattamente dalle Teste di Lupo, secondo i dettami della nostra religione.»

«Grazie, Drevio, per aver già risposto anche ad una domanda che stavo per farti! Ti stavo chiedendo appunto per quando era previsto il rapimento della figlia di Ekso. Ma adesso, ti dispiaccia oppure no, dovrai rivelarci anche quante Teste di Lupo verranno a rapirla durante la nottata. Te lo chiedo unicamente per saperci regolare. E non mentirmi, se non vuoi perdere un orecchio, come ho ordinato al mio amico!»

Iveonte già conosceva il numero dei rapitori, avendolo appreso da Cufione; ma egli voleva rendersi conto fino a che punto doveva ritenere sincero l’arrotino. Ma costui cercò di travisare la verità, essendo suo desiderio che i due giovani sottovalutassero il rischio che stavano per correre. Così sarebbero andati incontro ad una sorpresa mortale. Perciò gli riferì che le Teste di Lupo, quando operavano il rapimento di una ragazza, si presentavano in numero di cinque. Da parte sua, Iveonte finse di accettare per buona la risposta da lui data, senza farsi accorgere che era a conoscenza che gli aveva mentito. Dopo, suggerendo all'amico di legargli bene anche i piedi, oltre che imbavagliarlo, Iveonte concluse:

«A questo punto, Tionteo, siccome Drevio ha risposto a tutte le nostre domande, possiamo ritenere che qui abbiamo finito almeno per il momento, per cui ci conviene togliere le tende. Domattina, quando ci rifaremo vivi presso di lui, mi auguro che egli seguiti a collaborare, se vorrà continuare a conservarsi tutto intero! Intanto noi andiamo.»

Così, chiusa a chiave la bottega dell’arrotino, Iveonte e Tionteo raggiunsero l’abitazione dell’oste, dove misero tutti al corrente di ciò che era avvenuto nella casa di Drevio e delle cose spiacevoli che avevano apprese da lui. Dopo, insieme con Speon, si avviarono verso la casa di Cufione. Mentre camminavano, in loro dominava un animo immensamente triste, poiché andavano ripensando alla miseranda fine che era toccata alla figlia di colui che li ospitava. Iveonte, comunque, aveva deciso di non dire ancora niente al generoso padre della ragazza. Solo in un secondo momento, gli avrebbe parlato di ogni cosa che l’artigiano aveva riferito sull’atroce destino che le ragazze del villaggio di Polsceto subivano, dopo essere state rapite alle loro famiglie dalle Teste di Lupo.


Giunti a casa dell’abbiente Polscetano, il quale li stava aspettando, il giovane preferì invece discutere con lui solamente sui suoi piani futuri, i quali prevedevano i tre seguenti eventi importanti: 1) l’uccisione delle Teste di Lupo, che si sarebbero presentate dopo la mezzanotte a casa di Ekso; 2) la destabilizzazione della loro setta, nel luogo dove essa prosperava; 3) l’eliminazione fisica del mostro da loro adorato. Per conseguire tali scopi, essi si sarebbero messi all’opera il giorno successivo. Dopo, consumata la cena, i due amici ritornarono presso l’osteria, dove qualche ora prima della mezzanotte, Iveonte incaricò Speon di riaccompagnare Ekso e la sua famiglia alla casa di Cufione. Egli invece rimase con Tionteo ad attendere che si facessero vive le Teste di Lupo rapitrici. Questa volta essi preferirono aspettarle, standosene nascosti nella bottega dell’arrotino, anziché nella casa dell’oste. Durante l’attesa, permisero anche all'arrotino di mettere qualcosa sotto i denti, non essendo contrari a fargli consumare un frugale pasto. Per permettergli di mangiare, però, fu necessario togliergli il bavaglio che gli copriva la bocca e slegarlo parzialmente. Allora, mentre buttava giù i bocconi l'uno dopo l'altro, Drevio non si astenne dal parlargli in questo modo:

«Possibile che voi due sfidiate la morte, per fatti che non vi interessano e per persone che nemmeno conoscete? Ma non temete di venire uccisi dalle Teste di Lupo, che stanno per giungere nel villaggio? Sappiate che si tratta di gente spregiudicata molto avvezza alle armi e che si altera per un nonnulla. Se poi il loro numero non vi intimidisce e credete di poter avere il sopravvento su di loro, allora vi invito a riflettere meglio. Esso potrebbe essere anche superiore a quello che io vi ho citato nel pomeriggio! Nel qual caso, mi dite come ve la cavereste?»

«Ti invitiamo a risparmiarci le tue considerazioni, Drevio,» gli rispose Iveonte «poiché esse non possono sortire alcun effetto su di noi! Piuttosto preòccupati per i tuoi degni compari, i quali stanno per ricevere il fatto loro da parte nostra. Credi che ignoriamo in quanti verranno a rapire la figlia dell’oste Ekso? Ebbene, siamo al corrente della verità. Il loro numero si aggirerà intorno alle trenta unità. In merito a loro tutti, sappi che neppure uno del loro gruppo farà ritorno al tempio!»

La sicurezza, con la quale Iveonte aveva fatto accompagnare le sue parole, fece trasecolare l’artigiano. Gli fece scorgere in esse un loro assoluto dominio della situazione e di una loro sicura vittoria sui suoi camerati. Perciò, anche non credendo nei prodigi, si era sentito di disperare della salvezza, poiché la vedeva ormai dileguarsi in una vana speranza. Inoltre, avallavano la sua convinzione la indiscussa abilità schermistica dimostrata dal giovane sconosciuto e il suo modo di imporsi agli eventi che venivano ad investirlo. Quest'ultimo poteva essere unicamente di una persona che sapeva il fatto suo, per cui niente e nessuno sarebbe mai riuscito a frenarlo e a bloccarlo!

La mezzanotte era passata da appena un’ora, allorché il fine udito di Iveonte avvertì degli strani rumori, che provenivano dall’esterno. Poi il giovane riconobbe in essi gli scalpiti di parecchi cavalli in avvicinamento. Essi procedevano sullo sterrato della strada con ripetuti e sordi colpi di zoccoli. Anche Tionteo, alcuni attimi dopo, fu in grado di captare l’indistinto scalpitio dei quadrupedi in avvicinamento, il quale poteva essere soltanto quello dei cavalli delle Teste di Lupo. Un fatto del genere si rivelò una vera sorpresa per i due giovani, poiché essi si aspettavano l’arrivo di focosi cavalli lanciati a tutta corsa dai loro pestiferi cavalieri. Invece i rapitori giungevano alla chetichella ed ammantandosi del più assoluto silenzio. Come si constatava, essi volevano evitare che qualche abitante di Polsceto, oltre a coloro che essi stavano andando a visitare, si accorgesse della loro presenza notturna nell’addormentato villaggio. Allora, avuta la certezza dell'imminente arrivo delle Teste di Lupo, i due giovani amici, prima di ogni altra cosa, lestamente riportarono l’artigiano allo stato di prima. Dopo si misero in assetto di combattimento, ossia passarono ad impugnare la spada con la mano destra e a reggere lo scudo con quella sinistra. Tionteo adesso si mostrava in grado di dare validamente manforte all'amico, avendo ormai conseguito un’ottima preparazione d’armi, grazie alle lezioni ricevute da lui, stando ogni giorno in sua compagnia. Iveonte, infatti, gliele aveva impartite, lungo il tragitto effettuato da loro due fino a quella data.

Per la cronaca, in quella notte c’era nel cielo una splendida luna crescente, la quale rischiarava quasi a giorno la strada e le case disposte lateralmente ad essa. Perciò, se qualcuno a quell’ora di notte si fosse trovato a guardare fuori attraverso uno spiraglio qualsiasi della propria porta di casa, sarebbe riuscito a scorgere singolarmente i trenta cavalieri che avanzavano come tante ombre evanescenti appena uscite dall’oltretomba. La lenta andatura dei cavalli, che faceva procedere i loro cavalcatori con la massima silenziosità, non poteva risultare di richiamo ai dormienti abitanti del villaggio. Se così fosse stato, la loro pettegola curiosità li avrebbe spinti a rendersi conto a qualunque costo di quanto stava realmente succedendo in strada, da parte degli sconosciuti cavalieri di passaggio, poiché essi erano intenti a raggiungere la loro meta.

Alla fine le Teste di Lupo furono scorte, mentre arrivavano in grande segretezza, come se il silenzio più assoluto accompagnasse ogni loro spostamento. Una volta giunte, esse smontarono da cavallo leggere come piume ed entrarono in azione con la massima cautela. Una parte di loro si diede ad occupare le posizioni più strategiche dell’abitazione di Ekso. Le altre, invece, prima disserrarono la porta di casa e poi vi penetrarono con la sollecitudine di chi mostra di avere una gran fretta di sbrigare in un luogo qualcosa che scottava, per poi sgomberarlo subito dopo. Quelle che avevano fatto irruzione nella casa, trascorsi alcuni minuti, furono viste uscire da essa, cariche di delusione ed estrinsecando una insolita agitazione. Il non aver trovato nessuno nella dimora dell’oste le aveva disorientate, per cui adesso se ne restavano all’esterno dell’abitazione a meditare sul da farsi. Chi le guidava, invece, non smetteva di staccare gli occhi dalla bottega dell’arrotino; anzi, dava ad intendere che era intenzionato a fargli una sua visita per chiedergli appunto le cause di quell'imprevisto inatteso.

Fu allora che Iveonte e Tionteo deliberarono di venir fuori e di aprire le ostilità con le Teste di Lupo, le quali non sapevano cosa fare ed aspettavano di ricevere nuovi ordini. Quando lo fecero, non ci fu bisogno di punzecchiarli prima verbalmente, allo scopo di scatenare in loro la brama di attaccarli. Difatti ci pensò lo stesso loro capo, il quale volle che ciò accadesse senza troppi preamboli. Egli, avendo sospettato all’istante che qualcosa fosse andato storto e che avesse mandato a monte anche il rapimento della ragazza, inviò contro di loro sei dei suoi uomini, affinché li facessero fuori senza la minima pietà. Invece l’intervento da parte loro si dimostrò, oltre che inefficace, estremamente lesivo della propria incolumità. Tra gli sguardi attoniti dei loro compagni, le sei Teste di Lupo che li attaccavano caddero miseramente sotto i colpi micidiali tanto di Iveonte, che in breve ne aveva freddate quattro; quanto di Tionteo, che aveva fatto fuori le rimanenti due. Allora, rese furiose dall’uccisione dei loro sei commilitoni, le restanti Teste di Lupo si inferocirono come belve e si proposero di vendicarli, senza perdere un attimo di tempo. Fu in quel modo che la nuova zuffa si accese acre ed irresistibile, lacerando la quiete notturna con il suono metallico dei colpi di spada, che diluviavano con accanimento. Essi impazzavano soprattutto aggressivi ed irrompenti, nel frattempo che cercavano di spegnere la vita dovunque essa si trovasse. Anche Iveonte non si asteneva dal creare scompiglio e dal seminare la morte tra le file delle Teste di Lupo. Ma esse si avvidero troppo tardi con quale uragano stavano avendo a che fare e in che guaio serio si erano cacciate. I colpi inesorabili del giovane eroe giungevano sui loro corpi insostenibili, travolgenti e massacratori, condannandoli ad una estinzione subitanea. Anche Tionteo, da parte sua, si batteva strenuamente e mieteva la sua parte di vittime tra gli avversari, anche se con risultati modesti. Infatti, egli appariva instancabile ed egregiamente bellicoso, senza mai accusare cedimenti di qualche tipo.

Quando infine la tenzone ebbe termine, dopo appena cinque minuti di lotta violenta e selvaggia, la totalità delle Teste di Lupo giacevano a terra esanimi, con gli occhi che scrutavano il vuoto e il buio della morte. Ad ogni modo, lo scambio di colpi che si era avuto tra gli accaniti combattenti, ovviamente era risuonato nella notte simile ad un martellio stridente ed amplificato. Esso, durante l'intera sua durata, aveva lacerato la quiete notturna ed aveva scompigliato il sonno a coloro che dormivano nelle case viciniori. Costoro, però, sebbene fossero svegli, ben si erano guardati dall’uscire dalle proprie abitazioni, al fine di rendersi conto con i propri occhi di quanto stava accadendo in strada. A dire il vero, non gli era risultato difficile immaginarsi quale tipo di putiferio si stava scatenando fuori, pur essendo essi all’oscuro tra quali contendenti stesse scoppiando la zuffa. Quando poi si fece di nuovo giorno, ciascuno di loro non vide l’ora di soddisfare la propria curiosità, volendo rendersi conto di persona dei risultati della scaramuccia notturna. A parere di tutti, essa di sicuro aveva provocato un buon numero di vittime, che immancabilmente avrebbero trovate sparse sul manto stradale.

Una volta che si furono riversati in strada, i Polscetani, che abitavano nelle vicinanze, rimasero assai impressionati dalle salme delle trenta Teste di Lupo. Per questo adesso si andavano chiedendo chi fossero stati gli autori di un tale tremendo sterminio. Allora ben presto, nel villaggio si sparse la voce di quell’orribile strage compiuta nei pressi dell’osteria, dove accorse l’intera popolazione, compresi i genitori delle ragazze che erano state rapite fino a quel giorno. Questi ultimi, vedendo le Teste di Lupo morte, si fecero coraggio e si decisero a spiattellare ogni cosa che sapevano su di loro. Così rivelarono agli altri abitanti di Polsceto che, a rapire le loro sventurate figliole, erano stati gli uomini che giacevano morti per terra, mascherati da Teste di Lupo. A tali rivelazioni, da tutti quanti i presenti si imprecò contro gli estinti e ci furono anche di quelli che non disdegnarono di prendere a calci i loro corpi senza vita. Alla fine non mancò neppure chi, volendo scongiurare il pericolo di qualche epidemia, propose di cremare al più presto le salme di quegli abietti esseri sopra un unico grande rogo. Naturalmente, la ragionevole proposta fu accolta da tutti i presenti, per cui un’ora più tardi si passò a renderla effettuale nella radura, che si trovava poco distante dal villaggio.


Nel frattempo, dove erano finiti Iveonte e Tionteo, dopo aver liquidato le trenta Teste di Lupo? Ebbene, essi, quando avevano terminato di infliggere la sonora sconfitta ai loro avversari, senza neppure avvisare Drevio della loro vittoria sui suoi compari, erano rientrati di volata nell’abitazione di Cufione. Il quale era stato l’unico a rimanere ancora sveglio in casa ad attenderli. Così gli avevano riferito sull’esito positivo del loro scontro con i rapitori della figlia. Subito dopo, però, i due giovani amici avevano preferito congedarsi da lui ed andare a letto per darsi ad un sonno profondo. Essi avevano dormito per tutto il tempo che i Polscetani, dopo aver scoperto i cadaveri degli strani esseri mascherati da lupi, si erano dati a bruciarli sopra una gigantesca pira a poca distanza dal loro villaggio, volendo evitare che vi scoppiasse una epidemia.

Nel primo mattino, era stato Cufione a mettere a conoscenza i suoi familiari e gli altri suoi ospiti di come Iveonte e Tionteo se l’erano cavata brillantemente contro le Teste di Lupo. Alla bella notizia, Ekso aveva voluto subito far ritorno alla sua casa con la moglie e i figli, desideroso di riempirsi gli occhi di gioia davanti ai corpi inanimati degli odiosi rapitori. In quel luogo, però, la strada era stata già ripulita dei loro cadaveri e vi avevano trovato soltanto pochi capannelli di gente, la quale era giunta in ritardo sul luogo e discuteva ancora sull’accaduto animatamente. Anzi, alcuni dei presenti, essendo stati attratti da vari strani rumori che provenivano dall’abitazione dell’arrotino, erano riusciti ad entrarvi e a condurre fuori di essa il proprietario. Costui vi era stato trovato come ve lo avevano lasciato Iveonte e Tionteo, ossia rigidamente legato ed imbavagliato come un vero salame. Una volta tratto all’esterno della sua abitazione e liberato dal suo bavaglio, Drevio si era messo a raccontare ai suoi liberatori che erano state le Teste di Lupo a conciarlo in quel modo, poiché avevano sbagliato domicilio nell’effettuare il rapimento. Esse intendevano rapire la graziosa figlia del suo dirimpettaio, che invece non avevano trovata in casa. Perciò i rapitori si erano visti costretti a trattarlo in quella maniera per vietargli di dare l’allarme e di fare accorrere tutti i Polscetani in quel posto. Allora, mossi a pietà di lui, due degli impietositi ascoltatori all'istante avevano deliberato di liberarlo dalla corda che lo teneva legato ben stretto. Anzi, si stavano già adoperando per slegarlo, quando era sopravvenuto Ekso con la sua famiglia. Egli, essendosi accorto di ciò che essi stoltamente intendevano fare, si era messo a gridare ai suoi due conterranei:

«Non liberatelo dalle corde, poiché Drevio è un vero malfattore! È stato sempre lui ad organizzare fino ad oggi nel nostro villaggio i rapimenti delle nostre ragazze. Egli, mentre noi lo ignoravamo, è stato ogni volta in combutta con le Teste di Lupo! Perciò deve restare legato come si trova adesso, fino a quando non arriveranno gli autori della strage delle Teste di Lupo. Essi tra poco giungeranno qui per interrogarlo!»

A quelle notizie ricevute dall'oste, la maggioranza degli astanti si era accesa di odio contro l’arrotino e voleva accopparlo con calci e pugni, essendo desiderosi di fargli pagare con la morte le sue numerose malefatte. Ad evitare il suo linciaggio, Ekso era dovuto ancora intervenire per tenerli a freno e per farli ragionare, gridando ai tanti facinorosi:

«Non uccidetelo, per favore! Egli occorre vivo ai miei amici, cioè a quelli che hanno già fatto fuori le Teste di Lupo! Essi dovranno ancora farlo cantare su tante altre cose. Dopo magari, se essi lo riterranno opportuno, ce lo consegneranno per permetterci di dar libero sfogo alla nostra vendetta! Ma ho i miei dubbi che lo faranno, siccome questo mascalzone dovrà servire ancora per altri scopi nei loro futuri disegni!»

All'invito dell'oste, gli animi delle persone presenti si erano un po’ placati e si era spenta in ognuna di loro la brama di linciarlo all’istante con una esecuzione sommaria. Comunque, alcuni Polscetani, pur essendo stati invitati a non esagerare sull'arrotino, non si erano astenuti dal fargli pervenire sputi, insulti e maltrattamenti di ogni genere.

Iveonte e Tionteo, da parte loro, si svegliarono nella tarda mattinata. Dopo aver consumato in fretta e furia la loro parca colazione, essi salutarono i gentili padroni di casa e volarono insieme con Speon alla volta della bottega dell’arrotino. In quel posto, si resero conto che Drevio non si trovava più nella sua abitazione, ma stava in strada, dove veniva circondato da una folla di gente inferocita. La quale risultava divisa in due fazioni con intenti diversi. C’erano ancora di quelli che erano del parere di assassinarlo sul posto, per cui gridavano: "Vendichiamoci! Uccidiamolo! Facciamogli fare la stessa fine dei suoi compagni!". Il gruppo più numeroso, invece, il quale era capeggiato dall’oste Ekso, si opponeva con forza ai primi e faceva fatica a frenarli. Esso voleva consegnarlo nelle mani di coloro che avevano già ucciso i rapitori delle loro ragazze.

Quando i tre giovani si trovarono in mezzo a loro, tutti ammutolirono come pesci. Così Iveonte poté spiegare ai circostanti che la lotta contro le Teste di Lupo non era ancora terminata; ma era appena iniziata. Per questo sarebbero risultate molto preziose le notizie che avrebbero dovuto ancora estorcere a Drevio, poiché esse li avrebbero aiutati a farli pervenire nel cuore della setta. Soltanto così essi l'avrebbero sterminata in modo definitivo. Ma per raggiungere il tempio dei settari e conseguire il loro obiettivo, egli e i suoi amici avrebbero avuto bisogno della persona fisica dell’arrotino, il quale doveva fargli da guida fino alla contrada dove esso risultava edificato. Infine Iveonte invitò tutti i presenti ad evacuare quel luogo e a ritornarsene alle loro occupazioni quotidiane, poiché la distruzione radicale delle Teste di Lupo era un problema che avrebbe riguardato lui e il suo amico Tionteo. Li rassicurò, quindi, che esso sarebbe stato risolto da loro quanto prima, essendo quella la loro ferma intenzione. Alle parole del giovane eroe, la folla dei Polscetani non esitò ad ubbidirgli e ben presto si vide la strada abbandonata da quelle persone, che non avevano nulla a che vedere con tale questione.

Dopo Iveonte e Tionteo, ricondotto Drevio all’interno della sua abitazione, ripresero con lui l’interrotto discorso. Essi erano determinati a farsi dire, magari anche con intimidazioni, quanto ignoravano ancora sulla famigerata setta delle Teste di Lupo. Allora l'arrotino li mise al corrente di ogni cosa di sua spontanea volontà. Egli decise perfino di collaborare in modo esemplare con i due giovani, offrendosi di accompagnarli fino al tempio del Grande Lupo. Comunque, restava dubbio il nuovo atteggiamento assunto da Drevio nei confronti dei due giovani suoi catturatori. Stranamente, esso adesso si mostrava molto più disponibile e condiscendente. La qual cosa faceva apparire che ci fosse stata in lui una inversione di tendenza, rispetto al suo vecchio modo di comportarsi manifestato in precedenza. Invece Iveonte e Tionteo non si sorpresero della sua nuova condotta, poiché la interpretavano come un chiaro sotterfugio per sottrarsi alla furia vendicativa dei Polscetani. La quale, se egli fosse rimasto nel villaggio, si sarebbe scagliata contro di lui inesorabile e funesta. Ma anche la vedevano come una pallida speranza, da parte dell’arrotino, di poter sfuggire a loro due durante il lungo viaggio che li attendeva. Forse sperava addirittura di venire salvato dai suoi correligionari, una volta che fossero pervenuti in mezzo a loro. In verità, ai due giovani amici non interessava il motivo, per cui egli si prestava ad offrire la sua piena collaborazione. Per entrambi, era importante il solo fatto che essi, con il suo valido aiuto, avrebbero raggiunto rapidamente il luogo dove affondavano le origini della pericolosa setta.

Il giorno seguente, Iveonte, Tionteo e Speon, insieme con Drevio, che risultava in parte legato, già erano in viaggio verso la roccaforte delle Teste di Lupo; ma prima i tre amici si erano salutati con Cufione e con gli altri della famiglia di Fisia con un abbraccio sentito e speranzoso. Nelle ore notturne, per non dare all’arrotino alcuna possibilità di scappare, lo legavano come già sappiamo. Per maggiore precauzione, ora gli venivano legati pure i piedi, volendo evitargli di allontanarsi e di eclissarsi tra la folta vegetazione circostante. Ma dovettero trascorrere cinque giorni interi, prima che i quattro viaggiatori giungessero sul modesto rilievo, dove erano situati il tempio e gli annessi edifici che ospitavano la popolazione appartenente alla setta religiosa di Tusco.