254°-IL RACCONTO DEL POLSCETANO CUFIONE

I guai di molte famiglie polscetane, come pure della nostra, cominciarono quattro anni fa, ossia l'anno successivo all'arrivo nel nostro villaggio dell'arrotino Drevio. Egli, fin dai primi tempi del suo soggiorno a Polsceto, dove aveva aperto una propria bottega, era riuscito a simpatizzare con tutti gli abitanti. A dire il vero, più che noi adulti, erano stati i nostri figli a fare amicizia con l'immigrato del villaggio, poiché erano essi che lo frequentavano maggiormente. Quando li mandavamo alla sua bottega per fargli arrotare coltelli, armi ed utensili di ogni genere, a seconda del mestiere che ciascuno di noi si trovava ad esercitare, ne ritornavano ogni volta assai entusiasti e immensamente divertiti. Perciò noi genitori eravamo convinti che quell'uomo, in un certo qual modo, sapeva compiere dei miracoli nei suoi rapporti con i nostri giovani figli! Drevio, infatti, dimostrando di essere un tipo lepido, intanto che affilava le lame dei vari attrezzi, conversava con loro e rivolgeva ad ognuno di loro le più disparate domande, ma sempre con tono scherzoso. A divertirli di più, erano le sue barzellette facete. Ascoltandole, i nostri ragazzi si facevano un mare di risate e trascorrevano una vita spensierata, come non era mai successo, prima del suo arrivo in Polsceto. Insomma, nel giro di un anno, il simpatico e divertente arrotino era divenuto per tutti loro l'uomo dalle mille risorse e dallo straordinario fascino trascinatore. Così, poco alla volta e senza la minima difficoltà, egli aveva saputo guadagnarsi la loro stima e la loro fiducia incondizionata. Anche se a noi genitori i nostri figli non lo rivelavano, ma io ero sicuro che egli era riuscito a carpire a tutti loro i segreti più reconditi della loro coscienza.

L'anno dopo il trasferimento nel nostro villaggio del brioso arrotino, la totale allegria, che egli aveva portata tra i nostri giovani del villaggio, si andò progressivamente riducendo, fino a smorzarsi sui loro volti e nel loro animo. Ciò era avvenuto, a causa di misteriose sparizioni di ragazze ventenni, le quali erano cominciate ad aversi ad un ritmo di una al mese. Ma la cosa che ci faceva più rabbia era il fatto che non una delle famiglie delle ragazze scomparse permetteva che si facessero delle domande sulla loro improvvisa scomparsa, anche quando erano i loro parenti stretti oppure i loro amici intimi a farle. Quasi per partito preso, esse non permettevano a nessuno di fare delle domande di troppo sulla misteriosa e tragica vicenda. Al contrario, si mostravano rigorosamente abbottonate, oltre a reagire incomprensibilmente seccate e sgarbate a chi le faceva. Comunque, pur comportandosi in quella maniera, i familiari delle vittime non riuscivano a nascondere il travaglio e il tormento che li andavano struggendo nell'intimo. L'uno e l'altro, perciò, siccome gli sventurati parenti non riuscivano a camuffarli in alcun modo, palesemente si leggevano sui loro volti abbastanza provati. All’inverso, quei loro due moti dell'animo vi si dipingevano oppure vi si scolpivamo in maniera plastica ed inequivocabile.

Così, mese dopo mese, il numero delle ragazze rapite alle loro famiglie, visto che soltanto di rapimento poteva trattarsi, andò sensibilmente aumentando. Il qual fatto iniziò a gettare il panico in quei nuclei familiari, nei quali c'erano anche delle giovani prossime al compimento del loro ventesimo anno di età. Invece gli altri abitanti, che non si erano ancora trovati in un simile frangente oppure giammai avrebbero avuto la scalogna di venirne coinvolti, si andavano chiedendo chi o che cosa facesse sparire dal villaggio quel fior fiore di gioventù femminile locale, visto che si trattava sempre di poverette che avevano compiuto da poco i venti anni. Inoltre, si domandavano come facessero i rapitori a conoscere l'età di tutte le ragazze del villaggio, per rapirle ogni volta al momento giusto, ossia al compimento del loro ventesimo anno di età. Secondo alcuni di noi, nel villaggio di sicuro essi dovevano avere un basista, il quale collaborava con loro. Egli, dopo aver raccolto le informazioni sull'età delle giovani Polscetane, le trasmetteva a coloro che erano interessati ad averle e ne predisponevano anche il ratto.

Ma quale insospettabile abitante, ci si chiedeva, potesse avere le mani in pasta in una faccenda così infamemente sporca? Comunque, tutte le più azzardate ipotesi in merito finivano in vere bolle di sapone. Infatti, non si riusciva a trovare nel villaggio un solo soggetto così duro di cuore, da cadere in sospetto alla gente del luogo e da essere additato come il responsabile di tanti smarrimenti d'animo. C'era stato anche qualcuno che aveva suggerito di tener sotto stretta sorveglianza coloro che si erano trapiantati da poco in Polsceto, l'ultimo dei quali era stato appunto l'arrotino Drevio. Essi, se i conti non erano errati, non superavano le venti unità. Secondo tale persona, poteva trovarsi in mezzo a loro il macchinatore dei rapimenti. Invece pure i controlli effettuati a carico di tali abitanti erano risultati infruttuosi, per cui il misterioso personaggio, organizzandoli nell'ombra, continuava la sua attività illecita, senza essere scoperto o sospettato.

L'anno scorso, precisamente tre mesi prima che venisse rapita anche la mia primogenita, accadde qualcosa che per la prima volta mi spinse a nutrire dei gravi sospetti sull'arrotino Drevio. Credetti di avere la certezza che era proprio lui ad organizzare i rapimenti mensili delle nostre ragazze, dopo aver raccolto con scaltrezza le sue informazioni sulla loro età e dopo aver organizzato un piano perfetto. Adesso vi espongo i motivi che mi spinsero a tali conclusioni, pur non essendo in possesso di alcuna prova concreta da esibire agli altri miei conterranei. Era una mattina di primavera e noi di famiglia ci stavamo preparando per andare a visitare la fiera di Mutrolo, dove si vendevano oggetti casalinghi, agricoli e artigianali di vario tipo. Poiché i miei trincetti erano diventati smussati e mi obbligavano a faticare parecchio nel tagliare le pelli conciate, decisi di farli affilare dall’arrotino. Perciò, prima di metterci in cammino, incaricai mia figlia di portarglieli e di lasciarglieli, poiché ella sarebbe andata a ritirarli al nostro ritorno dalla fiera. Ma alcuni minuti più tardi, scorsi la mia Fisia precipitarsi a casa, mostrandosi ansante e sconvolta. Così, avendole domandato le ragioni della sua strana agitazione, ella, dopo aver ripreso fiato, mi raccontò che, una volta pervenuta alla bottega dell'arrotino, costui l’aveva ricevuta con la solita gaia cortesia. Subito dopo, non appena aveva terminato di registrare la commissione che ella gli aveva affidata, l'artigiano si era lasciato sfuggire le seguenti parole:

«Fisia, mi dispiace moltissimo che questa notte sia stata rapita anche tua cugina Eriza. Ella mi era assai simpatica, proprio come lo sei anche tu! Speriamo che almeno a lei venga consentito di fare ritorno dai suoi angustiati genitori, i quali, come ella mi riferiva con orgoglio, quasi l’adoravano! Speriamo che a te non avvenga mai una roba del genere! A me dispiacerebbe moltissimo, poiché mi sei molto simpatica.»

Mia figlia allora, dopo essersene assai preoccupata, gli aveva chiesto:

«Mi dici, Drevio, come hai fatto ad avere una simile notizia, dal momento che perfino noi ne siamo all'oscuro, pur essendo i suoi parenti più stretti?! Perciò, se non ti dispiace, vorrei sapere da chi hai appreso il rapimento della mia carissima cugina!»

Accortosi di aver fatto una topica, Drevio aveva tentato di rimediare al suo grossolano errore. Così, raffazzonando una risposta che era attinente al caso, le aveva risposto:

«Fisia, l'avrò sentito senz'altro da qualcuno che lo stava dicendo in strada; oppure l'avrò addirittura sognato questa notte! Comunque, evita di fare il mio nome in questa faccenda, considerato che non voglio entrarci per niente! In questo amato villaggio, desidero soltanto far bene il mio mestiere; mentre, con tutte le altre beghe, non voglio averci nulla a che fare! Intesi, dolce ragazza? Devi sapere che i rapitori non perdonano chi si intromette nei loro affari e sarebbero anche capaci di farmela pagare caramente, se venissero a conoscenza che ho trasmesso ad altri notizie raccolte casualmente per strada. Perciò conto sul tuo buonsenso, ragazza giudiziosa e bella!»

Appena ebbi ascoltato il racconto della mia Fisia, senza perdere un attimo di tempo, corsi da mio fratello Zorcino per domandargli se era vero che la figlia Eriza era stata rapita durante la notte. Anche perché ero certo che, se il rapimento c’era stato, la ragazza non poteva essere stata rapita prima. Ella, infatti, fino alla sera precedente, si trovava ancora in casa sua con i propri genitori, dove l'avevo lasciata felice e serena! Pervenuto così all’abitazione di mio fratello in gran fretta, mostrandomi tutto risentito, gli feci presente:

«Zorcino, perché non mi hai avvertito del rapimento di Eriza avvenuto stanotte in casa tua?! Ti pare giusto che io ne sia venuto a conoscenza tramite persone estranee? Non sai che la parola di conforto di un parente, in questi terribili frangenti, fa sempre bene? Essa reca un grande sollievo alle angustiate persone che vi si trovano! Oppure la mia famiglia, a un tratto, è cominciata a non contare più niente per i suoi familiari, per cui non serviva che la mia famiglia ne venisse informata?»

«Vuoi spiegarmi, Cufione, come fai ad essere al corrente che mia figlia è stata rapita proprio questa notte, se dalla mia casa non ho fatto ancora trapelare una mezza notizia sul tragico episodio? Se vuoi saperlo, fratello mio, tu mi hai sorpreso a non dirsi con la tua venuta a casa mia, già consapevole dell’avvenuto ratto di mia figlia. Perciò vorrei aver spiegato da te ogni cosa sul rapimento della mia ragazza!»

«Si vede, Zorcino, che qualcuno ne era già al corrente, prima ancora che esso venisse compiuto in casa tua! Allora vuoi farmi il favore di farmi sapere chi è stato a rapire mia nipote oppure ti chiedo troppo con la mia lecita domanda? Ma sono certo che essi erano più di uno!»

«Per amore del cielo, Cufione, non insistere a fare domande su questa vicenda! Te ne prego: non cercare di mettere a repentaglio anche la mia vita e quella degli altri miei familiari! Se lo vuoi sapere, ci sono state fatte gravi minacce, estese all'intera mia famiglia, nel caso che ne avessimo parlato con qualcuno, compresi i nostri parenti stretti. Quindi, tagliamo corto su questo argomento e non ne parliamo mai più!»

«Invece, fratello, ho dei validi sospetti su chi possa essere nel nostro villaggio l'organizzatore dei rapimenti di tante nostre giovani figlie. Secondo me, essi sono manovrati dall'arrotino Drevio. Perciò bisognerà smascherarlo, facendolo presente al più presto al Consiglio dei Saggi del villaggio, perché si prendano dei severi provvedimenti nei suoi confronti! Non possiamo sottacere la verità per timore o per viltà, senza reagire ai rapitori delle nostre ragazze, il cui numero in Polsceto continua ad aumentare, arrecando a tante famiglie una pena non di poco conto!»

«Per carità, Cufione, non azzardarti a mettere in circolazione una voce del genere, poiché nel nostro villaggio di guai ce ne sono già fin sopra i capelli! Tu non puoi immaginare neanche minimamente con chi abbiamo a che fare e che cosa di brutto essi potrebbero cagionare alle nostre famiglie, se apertamente prendessimo delle iniziative contro di loro! Dammi retta, per favore: chiudiamo qui oggi stesso questo discorso! Ignorarli è il modo migliore per tenerseli buoni e quieti, senza farli inveire ancora peggio contro gli abitanti di Polsceto! Adesso mi sono spiegato come dobbiamo comportarci da parte di tutti?»

Alla fine lo sgomento, che si leggeva sui volti dell'intera famiglia del mio germano minore, mi fece decidere a dargli ascolto. Per questo, in seguito anche ad alcune mie considerazioni, me ne guardai bene dal fare delle insinuazioni pubbliche sull'arrotino. A tale riguardo, pensai che, se l'artigiano fosse innocente, non sarebbe stato giusto stuzzicare un vespaio nel villaggio avverso alla sua persona. Al contrario, se fosse risultato colpevole, ci sarebbero potute essere delle pesanti ritorsioni contro la mia famiglia, da parte di quelle persone per le quali Drevio organizzava i rapimenti. Egli, inoltre, poteva sul serio avere appreso la notizia del ratto di mia nipote da qualche persona, la quale lo stava dicendo a qualcun'altra in strada, nei pressi della sua bottega. Per cui si sarebbe potuto trattare proprio di uno dei rapitori oppure di qualcuno che era in combutta con loro. Quindi, occorrevano delle prove schiaccianti contro la sua persona, prima che dalla sua posizione di indiziato si potesse passare ad un verdetto di piena colpevolezza. Inoltre, anche se si fosse riusciti a mettere l'arrotino con le spalle al muro, in seguito bisognava prepararsi a subirne le imprevedibili conseguenze, da parte di coloro che tramavano nell'ombra e lo proteggevano.

Durante il viaggio per Celuezo da noi intrapreso dopo la visita fatta a mio fratello, chiesi alla mia primogenita se l'arrotino le avesse mai rivolta la domanda tendente a conoscere i suoi anni oppure il giorno della sua nascita. Alla mia richiesta, mia figlia Fisia mi rispose che egli si era fatto dire gli uni e l’altro all'incirca un anno prima, però senza domandarli espressamente a lei. Per la precisione, ciò era avvenuto un giorno che si era condotta da lui con il fratellino Mobrio, allo scopo di fargli dare il filo ai vari coltelli da cucina. In quell'unica occasione, l’artigiano aveva incominciato a parlarle così:

«Scommetto, Fisia, che non hai ancora superato i sedici anni! Me lo dicono i tuoi begli occhi a mandorle, i quali appaiono come due stupendi smeraldi incastonati sopra un viso incantevole! Se mi fossi sbagliato, ti prometto che mi sottoporrò a tutte le penitenze che vorrai infliggermi! Per favore, dimmi che ho ragione, per cui non ne merito nessuna!»

«Invece non ci hai proprio azzeccato, Drevio, poiché di anni ne ho quasi diciannove!» gli aveva risposto mia figlia «Per l'esattezza, li compirò fra due mesi. Perciò, come vedi, hai perduto la scommessa! Quanto alla penitenza, te la risparmio, soltanto perché, insieme con essa, hai voluto farmi anche un magnifico complimento. Il quale mi ha recato un grandissimo piacere, grazie alle tue parole, che sono state assai carine!»

«Ti ringrazio, Fisia, per la tua bontà! Allora mi obblighi a farti il seguente regalo: oggi ti molerò i coltelli, senza farti pagare neppure un centesimo! Sei contenta, bella ragazza, di questa mia generosità?»

Prima che ci fosse la risposta di ringraziamento da parte di Fisia, mio figlio Mobrio era intervenuto ad interrompere il loro discorso, il quale, per volontà dell’artigiano, si era imperniato sulla età della sorella. Mostrandosi abbastanza incuriosito, egli aveva domandato all'arrotino:

«Mi dici, Drevio, come mai hai il mignolo sinistro mozzo? Dopo tanti anni, me ne sono accorto soltanto adesso, solo perché non calzi le tue muffole di cuoio! Quella tua menomazione alla mano, se mi soffermo ad osservarla, mi fa davvero una strana impressione!»

«Esso è la conseguenza di un infortunio sul lavoro, caro Mobrio! Ma oramai sono dieci anni che ho perduto il mio piccolo dito, a causa di una mia banale distrazione! Comunque, ragazzo, devo stare molto attento, quando lavoro con il trincetto, poiché tale arnese facilmente può farmi ritrovare senza uno delle cinque dita della mano, come è già successo!»

Così mi resi conto che l’artigiano, tutte le volte che aveva davanti al suo desco qualche giovane ragazza, in un modo o in un altro, faceva vertere la discussione sull’età di lei. Probabilmente, dopo averla appresa, egli se l’annotava sopra una cartapecora, che doveva tenere ben nascosta all'interno della sua bottega. Comunque, il suo interesse per gli anni delle ragazze non costituiva ancora una prova certa della sua correità in quei rapimenti del villaggio. Anche perché a tutti capitava di chiedere gli anni ad altre persone, a volte spinti più da una invincibile curiosità che non da un determinato motivo o scopo. Perciò occorreva che io trovassi una prova probante, la quale non desse adito ad alcuna incertezza o dubbio, se volevo convincere gli altri che l'arrotino era immischiato nella losca faccenda che sottraeva al villaggio di Polsceto tante ragazze ventenni. Io intendevo incastrarlo proprio con una prova del genere, siccome essa non gli avrebbe permesso alcuna scusante, dopo essere stato accusato da me!


Erano passati solo tre mesi dal rapimento di mia nipote Eriza, allorché toccò anche a mia figlia Fisia di essere rapita. Il ratto avvenne in una notte illune, quando il villaggio si era già abbandonato al sonno più profondo. All'improvviso una trentina di uomini irruppero nella nostra abitazione, facendoci svegliare tutti di soprassalto. Ognuno aveva il capo interamente infilato nella morbida pelle di una testa di lupo impagliata. Le cui orbite svuotate dei bulbi oculari, essendo in corrispondenza dei suoi occhi, permettevano una visione perfetta a colui che la indossava. Inoltre, essi reggevano con la mano sinistra una torcia accesa, mentre quella destra era armata di spada. Colui che li guidava, con un tono posato, incominciò a dire a me e a mia moglie:

«Siamo i seguaci della setta delle Teste di Lupo e adoriamo il Grande Lupo. Non è per caso che ci troviamo nella vostra casa; ma vi siamo venuti appositamente per portarci via la vostra giovane figlia. Dovete sapere che il suo rapimento rappresenta la volontà del nostro divino protettore, il quale è Adok, il figlio del potente dio Sole. Se ciò può servire a tranquillizzarvi, non abbiamo alcuna intenzione di arrecarvi del male, a meno che non siate voi stessi ad obbligarci a farvelo. Infatti, sarà sufficiente un vostro grido oppure un vostro lamento, per costringerci ad eliminarvi tutti quanti! Ci siamo intesi?»

Mia moglie, mostrandosi assai spaventata, gli fece presente:

«Siamo disposti a darvi retta; però prima dovete dirci dove conducete la nostra povera figliola! Inoltre, abbiamo necessità di sapere quale fine avete fatto fare a tutte le altre ragazze, che fino ad oggi sono state da voi rapite con la forza, una al mese! Ce lo dite, per favore?»

«La conduciamo al tempio del Grande Lupo, dove ci sono tutte le altre ragazze da noi rapite fino al mese scorso. Esse stanno bene e vivono in ottima salute, poiché a nessuna è stato tolto un solo capello. Ognuna di loro continuerà a godersi la vita e non avrà mai nulla da temere, almeno fino a quando i suoi familiari se ne staranno zitti e non sveleranno agli altri abitanti del villaggio da chi ella è stata rapita. Invece un diverso atteggiamento da parte loro la condannerebbe ad essere gettata in pasto al nostro divino Grande Lupo. Inoltre, la sua famiglia andrebbe incontro ad una morte orribile e non avrebbe alcuna possibilità di sfuggirci, poiché noi la inseguiremmo sino in capo al mondo e alla fine la scoveremmo di certo! Tutti i familiari delle ragazze rapite devono sapere che sono sorvegliati a vista di continuo dai seguaci della nostra setta, i quali hanno orecchi vigili e sempre pronti ad ascoltare quanto essi si lasciano sfuggire di bocca sul nostro conto con altre persone, fossero esse anche loro parenti. In ultimo, vi metto al corrente che noi seguaci della setta delle Teste di Lupo siamo molte centinaia e tutti pronti ad assalire e ad accoppare quanti ci disubbidiscono. Di regola, non facciamo del male ai familiari delle fanciulle rapite. Ma se essi ci costringono per non averci ubbiditi, in quel caso sappiamo essere crudeli e spietati, considerato che noi siamo dei guerrieri imbattibili!»

Detto ciò, egli attese che quattro dei suoi uomini prelevassero la piangente mia figlia Fisia, dopo averla imbavagliata e legata. A prelevamento avvenuto, le Teste di Lupo sgomberarono all’istante la nostra casa. Una volta fuori, esse montarono sui loro cavalli e scomparvero nel buio pesto della notte. Comunque, se non avevamo potuto guardare in volto quegli uomini mascherati da lupi, a nessuno di noi era sfuggito un loro particolare: essi avevano tutti il mignolo della mano sinistra mozzo. La qual cosa ci convinse definitivamente che anche l'arrotino Drevio era uno di loro. Ci guardammo, però, dall'indicarlo agli altri abitanti del villaggio come l'artefice dei rapimenti delle nostre ragazze e come il principale responsabile del pianto e del terrore di molte famiglie polscetane. Oltre a piangerci la nostra Fisia, eravamo atterriti da ciò che sarebbe potuto succedere a lei e a noi stessi, qualora lo avessimo smascherato davanti all'intero nostro popolo. Da quella notte maledetta, la quale gettò la nostra famiglia nella disperazione più trafittiva, cosa che avviene tuttora, è trascorso circa un anno. Da allora non siamo più riusciti ad avere alcuna notizia della nostra sventurata ragazza. Speriamo almeno che per lei la sorte non sia stata così nera come i nostri timori ci spingono a credere. Ci auguriamo che ella, nel frattempo, stia vivendo delle ore serene e prive di preoccupazione, se non proprio del tutto allegre, non essendoci noi a farle la compagnia da lei desiderata!