252°-FUSKOP METTE FUORI GIOCO IL SACERDOTE TUSCO

Al tempo della nostra storia, molte cose erano cambiate presso la setta delle Teste di Lupo; però non per volere del posticcio sacerdote Tusco. Costui si era sempre dimostrato intransigente nel fare osservare a tutti le regole che egli stesso aveva prima scritte e poi perfezionate per la sua religione. A suo parere, la loro applicazione costituiva il punto di forza dell’intero apparato religioso da lui messo in piedi in un intero quinquennio. Allora chi aveva voluto ed ottenuto che le regole del gioco cambiassero all’interno della setta fondata dal figlio di Bulkar? Inoltre, come aveva fatto egli a scavalcare il personaggio, che le Teste di Lupo consideravano il mitico fondatore del lupismo e veneravano come il fortunato eletto del Grande Lupo? Di certo le domande del lettore sono più che legittime, alle quali passiamo subito a dare delle risposte esaurienti. Viene premesso, però, che non sarà affatto semplice ricavarle, se intendiamo spendere per esse soltanto poche parole. Ciò vuol dire che dobbiamo disporre di un po' di tempo in più per averle nella loro interezza.

Iniziamo col precisare che Tusco si era dimostrato all’altezza della situazione nel progettare e realizzare l’imponente macchina della sua religione. La quale andava intesa sia come opera architettonica adibita a luogo di culto e di abitazione sia come manifestazione di fede. A tale proposito, va confermato che egli se l’era cavata in maniera eccellente, nel distribuire all’uno e all’altro suo aspetto le proprie egregie risorse. Per la qual cosa, erano risultate tantissime le cose, alle quali il licantropo si era dedicato con cura e con zelo. In questo modo, l’unigenito del licantropo Bulkar e di Senia era stato in grado di far funzionare l'intero apparato religioso armonicamente e privo di qualsiasi disfunzione organica, a livello tanto infrastrutturale quanto organizzativo. Infatti, egli, affinché nessun dettaglio venisse tralasciato, aveva preordinato a puntino quanto era da svolgersi durante i quindici giorni, nei quali egli era obbligato a sparire dalla circolazione e a sottrarsi alla sua comunità.

In quel periodo, Tusco subiva la solita metamorfosi che lo faceva diventare il Grande Lupo. Perciò era costretto a vivere totalmente isolato nella buia caverna che si trovava sotto il tempio e gli edifici annessi. Ebbene, durante tale sua assenza, Tusco aveva motivato il suo isolamento con il fatto che il Grande Lupo, nei quindici giorni che restava sveglio, esigeva la sua compagnia. Invece, durante i restanti quindici giorni in cui il divino Adok viveva nel suo stato letargico, lo lasciava libero di ritornarsene presso la gente della sua setta. Per questo il licantropo aveva decretato che, durante la sua temporanea assenza dalla loro comunità religiosa, a presiedere i due riti religiosi al posto suo, doveva essere Gemiut, poiché egli risultava il più anziano dei Lupenti. Invece Fuskop, in qualità di soprintendente delle Teste di Lupo, doveva badare a vigilare sull’ordine pubblico. C’erano infine alcune disposizioni spicciole da dare ad altre persone competenti. Perciò il Venerabile Servitore del Grande Lupo si incaricava di impartirle di persona ai loro destinatari, prima di lasciare la sua setta alla chetichella e di sparire per i successivi quindici giorni. Ma i lupenti e le Teste di Lupo avevano osservato un particolare: ogni volta che l’illustre personaggio li lasciava per raggiungere il Grande Lupo, lo faceva sempre di soppiatto. Agendo in quella maniera, riusciva a mantenere il segreto sul suo modo di raggiungere la sede del dio Adok. Era così che egli era solito sottrarsi alla loro vista e a tutti gli altri appartenenti alla setta del lupismo.

Un fatto del genere si verificava, quando si assentava per il periodo di tempo che intercorreva tra la notte di plenilunio e quella di novilunio. In verità, l’astuto fondatore si era sempre eclissato alla sua gente, poco prima della mezzanotte. Egli approfittava di quella tarda ora per sgattaiolarsela e scomparire agli altri appartenenti alla sua setta, essendo sicuro che essi se la dormivano tutti nella cittadella. Ma, in effetti, quale percorso seguiva per raggiungere la base dell'antro sottostante? Ebbene, egli lo raggiungeva, come adesso viene spiegato. Prima si infilava in una postierla, la quale era rappresentata dal decorato dossale di legno dell’altare del tempio. Esso, essendo girevole, lo si poteva fare aprire facilmente, sollevandolo dal basso verso l'alto; ma ciò poteva aversi, dopo l'azionamento di una leva, la quale risultava celata sotto lo stesso piano dell’altare. Ad ogni modo, quella porticina segreta poteva essere richiusa a scatto dopo l’avvenuto ingresso. Una volta aperta, essa dava direttamente su una piccola scala, che era costituita da un numero limitato di gradini e si immetteva in un corridoio sotterraneo assai tetro. A causa della sua scarsa luce, il suo attraversamento richiedeva l'accensione di una fiaccola, se lo si voleva percorrere senza procedere a tentoni nel buio. Quella specie di cunicolo, situato più o meno ad una profondità di cinque metri, si diramava in direzione del sagrato. Lungo il suo percorso, veniva a sbarrargli la strada una porta metallica. Essa era alta poco più di un metro e mezzo, ma presentava una chiusura a spranga solo dalla parte dell’ingresso. La citata porta metteva in comunicazione il corridoio in questione con un sentiero, il quale era costituito da rampe digradanti e conduceva alla caverna sottostante al tempio. Alla base di esso, Tusco vi aveva tenuta una ingente scorta di fiaccole, visto che doveva servirsene quando scendeva nell’immenso antro sotterraneo e quando ne risaliva, dopo esservi rimasto per quindici giorni esatti per condurvi la sua incosciente esistenza da feroce Grande Lupo.

Oramai erano passati dieci anni, da quando nella setta delle Teste di Lupo le cose non procedevano più per il verso giusto, ossia secondo i dettami di Tusco, siccome da oltre un decennio egli non si era fatto più vedere e sembrava che si fosse volatilizzato. Se tutti gli altri si erano stupiti del fatto che l’illustre sacerdote non era più ritornato dalla sua ultima visita al divino Grande Lupo, non lo stesso stupore aveva palesato Fuskop. Anzi, costui ne era apparso molto soddisfatto, dal momento che, fin dal primo giorno della sua scomparsa, la dirigenza dell'intera setta era passata nelle sue mani. A tale riguardo, va fatto presente che il soprintendente delle Teste di Lupo, a differenza degli altri, era stato sempre a conoscenza delle ragioni per cui il mitico Tusco non aveva più fatto ritorno in mezzo a loro. Ma noi non abbiamo intenzione di astenerci dal venire a conoscenza di quanto egli conosceva, prevedendo già che ci troveremo al cospetto di una verità bieca e dissacrante, la quale era nota soltanto a lui. Né poteva essere in modo diverso, essendone stato l’autore materiale, dopo essersi macchiato di un infamante misfatto. Perciò siamo costretti ad apprendere i vari fatti come si erano svolti, senza tralasciare alcun particolare di quella torbida vicenda.

Non era stato mai chiaro per quali meriti particolari Tusco avesse scelto Fuskop a dirigere le Teste di Lupo della setta. Non si era neppure saputo se almeno per un istante gli fosse frullata per la testa l’idea che quell’uomo viscido, scelto come persona di sua fiducia, potesse un giorno ribellarglisi, colpirlo a tradimento e ridurlo al silenzio. Comunque, anche se non gli era balenato un pensiero di quel genere, alla fine però egli si era ritrovato a subirlo ingiustamente, senza avere nessuna possibilità di sottrarsi ad esso in qualche modo. A volerlo descrivere con i termini più appropriati, Fuskop si presentava come una persona sagace, avveduta, scaltra e con un’ottima preparazione nel maneggio delle armi. Perciò, in seno alla setta, la sua attività era quella di fare apprendere il loro abile uso alle Teste di Lupo, che erano alle sue dipendenze. Ma a tali sue doti positive, si sommavano una caterva di difetti, i quali ne facevano un individuo psicolabile e pericoloso, oltre che un arrivista senza scrupoli. Egli, infatti, non avrebbe esitato ad accoppare perfino la propria madre per un personale tornaconto. Allora, al fine di essere ragguagliati nel modo migliore anche sulla sua vita, ci conviene informarci di più cose possibili su di essa, prima che egli entrasse a far parte della setta delle Teste di Lupo.


Fuskop era originario di Stiaca. Fin dai suoi anni verdi, però, era vissuto ad Actina, dove aveva stretto una grande amicizia con Darsio, il quale esercitava la professione di architetto. Insieme, avevano frequentato alcune palestre d’armi della città. In ognuna di esse, si era rivelato sempre un allievo che apprendeva a volo l’uso delle armi. In seguito, siccome in una palestra era diventato il migliore di tutti in quel campo, egli vi era stato assunto come maestro d’armi. Ma pur esercitando due mestieri alquanto diversi tra loro, Fuskop e Darsio avevano continuato a coltivare la loro amicizia. Col passare degli anni, essendosi rinsaldati maggiormente i loro legami amichevoli, essi avevano cominciato a volersi un grandissimo bene, fino a spartirsi il sonno, proprio come se fossero diventati due veri fratelli.

Un bel giorno, quando il giovane stiachese aveva l’età di trent’anni, l’amico architetto gli aveva riferito che c’era la possibilità di farsi un mucchio di soldi, se si fossero trasferiti oltre la Regione dei Laghi. Da essa, infatti, era partita la richiesta di mestieranti e di validi professionisti che operavano in tutti i settori dell’artigianato. La cui opera sarebbe stata remunerata con una lauta retribuzione. Nello stesso tempo, gli aveva ventilato l’ipotesi che forse sarebbe stato conveniente per entrambi, se avessero rinunciato ai loro impegni di Actina e fossero andati a tentare la fortuna in quella remota regione. Alla fine i due amici, dopo che si erano convinti che si trattava di un ottimo affare, avevano evitato di lasciarsi sfuggire la bella occasione e si erano messi in cammino verso la Regione dei Laghi, per poi proseguire oltre. Era loro intenzione raggiungere la località, dalla quale era provenuta l’allettante offerta di lavoro, che si presentava considerevolmente redditizia. Così, dopo essere pervenuti alla meta, essi avevano lavorato per tre anni consecutivi alle dipendenze di Tusco. Al termine dei lavori che già conosciamo, Darsio aveva preferito ritornarsene alla sua città natale con il suo bel gruzzoletto, cioè quello che aveva accumulato con i suoi tre anni di paga.

Quanto a Fuskop, il quale nel frattempo si era guadagnato la stima e la fiducia di Tusco, essendo venuto a sapere dei suoi disegni e del ruolo che il sacerdote gli avrebbe assegnato nella setta, non si era fatto scrupolo per niente di lasciare ripartire l’amico da solo. Oramai aveva stabilito di restare al fianco del suo datore di lavoro, che aveva cominciato a considerare un illustre personaggio da non abbandonare. Per questo era stato disposto ad offrirgli volentieri l’aiuto e la collaborazione di cui egli aveva bisogno. Mancava poco all’ultimazione dei vari lavori, quando Tusco, che era coadiuvato da Fuskop, già si era messo alla ricerca di quelle persone che un giorno avrebbero dovuto dare forma e corpo all’intero apparato logistico della sua futura religione. Molti degli addetti ai lavori erano stati convinti da Fuskop a non fare più ritorno ai loro villaggi di origine. Così, lasciandosi coinvolgere da lui, anch’essi avevano iniziato a caldeggiare il grandioso progetto di Tusco.

Alla fine era stato reclutato senza troppe difficoltà l’intero personale che occorreva per fondare la nuova setta religiosa; invece era stato il reperimento dell’elemento femminile a creare qualche problema. Le donne abruokesi e calputiane, le quali in precedenza si erano offerte nei vari cantieri per prestare i servizi di loro competenza, al termine dell’immane mole di lavoro, avevano manifestato il desiderio di raggiungere le proprie famiglie. Allora Tusco era stato costretto ad usare le maniere forti nei loro confronti, pur di dissuaderle dal loro proposito e di spingerle ad un ripensamento, obbligandole così a restare presso la loro setta.

In seguito, quando oramai si poteva asserire che la setta delle Teste di Lupo aveva toccato al suo interno i fastigi dello splendore, Fuskop si era innamorato perdutamente della lupiade Ezna, venendone riamato con lo stesso intenso ardore. Ma prima ancora che la loro relazione amorosa potesse approdare ad un qualcosa di più concreto e godibile, era intervenuto Tusco ad intimare il suo alt perentorio all'idillio, che era nato tra Fuskop e la sua amata danzatrice. In realtà, esso, proprio in quel periodo, si avviava a vivere i suoi momenti più favolosi ed intriganti. Essendo stati richiamati dal rispettabile sacerdote, entrambi se l’erano presa a male. Invece il solo soprintendente delle Teste di Lupo se l’era voluta anche legare al dito, ripromettendosi di fargliela pagare alla prima occasione buona che gli fosse capitata. Acuto e riflessivo com’era, Fuskop aveva immediatamente intuito che avrebbe potuto agire contro di lui e vendicarsi, soltanto quando si appartava tutto solo nella sede del divino Adok. Perciò, con qualsiasi mezzo, aveva cercato di scoprire come facesse il venerabile Tusco a raggiungere il nascosto luogo sotterraneo, dove si tratteneva ogni volta per quindici giorni di seguito. Al suo terzo tentativo, tallonandolo con molta circospezione durante l’intera serata di plenilunio, egli era riuscito a scoprire l’incredibile modo di sparire del suo capo religioso. Il quale, fino allora, era risultato sempre un mistero per i lupenti e per le Teste di Lupo.

A quel punto, lo Stiachese non aveva voluto perdere la bella opportunità che gli si offriva, visto che essa gli avrebbe fatto perseguire un suo recondito scopo. Egli lo avrebbe seguito fin nella caverna sotterranea, dove avrebbe approfittato di una sua occasionale distrazione per trafiggerlo a morte di sorpresa. Quando però aveva superato il discendente sentiero, la mezzanotte era trascorsa da qualche minuto. Per cui, una volta giunto a poca distanza da Tusco, più che la sagoma di una persona, si era trovato davanti una informe massa carnosa non ancora bene identificabile, ma che andava subendo una sorta di mutazione. Allora Fuskop era rimasto incredibilmente attonito, all’orribile vista dello scomporsi e ricomporsi delle sue membra; anzi, esse, al termine della metamorfosi del sacerdote, avevano preso le sembianze di un autentico lupo. L'animale, invece, aveva iniziato ad assumere delle proporzioni davvero gigantesche. Comunque, era stato l’ultimo stadio metamorfico della bestia ad atterrire talmente l’uomo d’armi, da indurlo a scappare inorridito su per il sentiero ascendente. Quando infine era pervenuto alla porticina del corridoio sotterraneo, egli aveva stabilito di sprangarla dal di fuori. In quel modo, aveva precluso per sempre a Tusco la possibilità di ritornare sui suoi passi e di ripresentarsi alla sua gente. La quale, in ogni notte di novilunio, aveva continuato ad attendere con ansia il suo ritorno dalla tenebrosa dimora del Grande Lupo.

Preso atto della sua nuova realtà, il licantropo si era reso conto che essa sarebbe durata a lungo e forse avrebbe cessato soltanto con la sua morte. Per questo l'intero suo scenario esistenziale si era tinto di nero. All'istante, comunque, aveva addebitato la colpa della sua disperata situazione a Fuskop, conoscendo la sua natura vendicativa e i motivi che lo avevano spinto a vendicarsi di lui in quel modo. Ma poi, più che soffermarsi sul responsabile della sua attuale disgrazia, aveva preferito approfondire quella che sarebbe stata la sua futura esistenza. La quale di sicuro non gli si sarebbe più dimostrata generosa, come aveva fatto fino a quel momento. Infine una montagna di terribili pronostici su di essa erano intervenuti a frastornargli la mente. Essi gliel’avevano catapultata in una realtà impregnata di orridi impatti psicologici, i quali si mostravano riluttanti ad accettarla. Non erano mancati nemmeno dei cataclismi interiori tendenti a destabilizzarla e a farne un ammasso di spigolose prese di coscienza. In principio, in lui avevano dominato la rabbia più cocente, l’odio più accecante ed uno smisurato desiderio di vendicarsi. Egli voleva schiacciare come un pidocchio colui che gli aveva causato quella triste situazione. In seguito gli erano sopravvenuti nell'animo lo sconforto più atroce, la disperazione più folle, ma soprattutto un marasma di amare delusioni e di mille costernanti sensazioni. Perciò aveva avvertito nello spirito la schiacciante oppressione di una forza avversa e preponderante, la quale cercava di frantumargli la sfera dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. In tale circostanza, comunque, gli uni e le altre non potevano che presentarsi a lui brutti come la peste e tetri come la morte; ma senza dubbio, niente affatto riconducibili allo stato di prima, quando in lui erano da considerarsi indiscutibilmente rosei. Soltanto alla fine, la sua coscienza si era fatta soggiogare dalla rassegnazione, per cui Tusco era apparso quasi sereno e in pace con sé stesso. Si era perfino convinto che la sua vita, contesa per metà dall’uomo e per l’altra metà dalla bestia, risultava una situazione senza sbocchi positivi, nonché dai risvolti unicamente negativi e grotteschi. Per tale motivo, in quella caverna la sua morte per inedia era stata vista come l’unica soluzione possibile al suo arduo problema. Essa avrebbe posto fine per sempre al periodico riemergere in lui di quell’impulso primigenio ed arcano, che ogni volta finiva per prendere forma e consistenza. Così dava vita ad un mostro innaturale ed assurdo, il quale era meglio che non ci fosse mai stato nella sua esistenza.

Contrariamente alle sue aspettative, il suo nemico non gli aveva permesso di morire di fame e di affogare i suoi rimanenti giorni nella morte eterna. La quale spesso risolveva positivamente le sventure umane e le faceva dissolvere nella nullità di ogni stimolo ad essere, sia doloroso che gioioso. Infatti, nei giorni in cui non veniva sacrificata la vacca al Grande Lupo, Fuskop, senza farsi vedere da nessuno, si era sempre premurato di buttargli nella caverna cibo ed acqua sufficienti a garantirgli la sopravvivenza. Invece l’acqua non gli era necessaria, come abbiamo già appreso, siccome lì sotto se ne trovava in gran quantità. Ma egli non poteva essere al corrente di quel particolare, il quale risultava molto prezioso allo sfortunato Tusco, sia come uomo che come mostro.



Messo a tacere il mitico capo della setta nella maniera che abbiamo vista, Fuskop, in un certo senso, non aveva potuto attuare tutto quanto gli grillava per la testa. Aveva evitato di contravvenire a certe norme contemplate dalla liturgia della loro religione, siccome veniva richiesta la loro rigorosa applicazione. Ma a quelle cose, sulle quali non pesava espressamente il macigno di alcun dettame religioso e che sarebbero state maltollerate dallo stesso Tusco, egli aveva voluto dare una nuova impostazione. Cioè, le aveva investite di nuovi principi deontologici, i quali divergevano completamente dall’etica comportamentale del loro capo carismatico. Comunque, i vari cambiamenti, che egli aveva apportato a talune consuetudini della setta non soggette a rigore, non erano risultati alla maggioranza dei lupenti abbastanza stravolgenti oppure blasfemi. Per cui essi erano stati visti appositamente con occhio miope e, quindi, accettati da loro senza alcuna opposizione.

Il soprintendente delle Teste di Lupo, oltre che riprendere la sua relazione con l'amata Ezna, aveva voluto perfino introdurre nei loro riti religiosi i sacrifici umani. Li aveva giustificati ai lupenti e alle altre persone appartenenti alla setta come un qualcosa di inevitabile e consono ai voleri dello stesso Tusco. Secondo la sua versione dei fatti, il Venerabile Servo del Grande Lupo, prima della sua ultima discesa nella dimora del dio Adok, gli aveva riferito che, se non fosse più ritornato tra di loro, tale fatto voleva significare che il Grande Lupo era adirato contro la sua setta. Allora bisognava ingraziarselo mediante i sacrifici umani. In merito a tale novità religiosa, aveva chiarito che sarebbe bastato che gli venisse immolata ogni mese una vergine ventenne, essendo la qual cosa di suo sommo gradimento. In merito a tali sacrifici cruenti, che egli definiva propiziatori, va fatto presente che essi erano solo una messinscena, poiché dovevano servire come facciata alla sua insaziabile sete di libidine. La giovane vergine designata, infatti, prima di essere sacrificata al dio, veniva condotta nel sacrificatoio. Si trattava di un ambiente molto raccolto, che era arredato con tutti i conforti ed aveva il pavimento rivestito con morbide pelli di tigri. Fuskop, per una ragione personale che tra poco conosceremo, ci teneva a farla rapire una decina di giorni prima dell’immolazione. In quel modo, egli riusciva a raggiungere lo scopo primario, che si era prefisso con l’introduzione nella setta dei sacrifici umani. In quel luogo la vittima sacrificale veniva denudata da quattro Teste di Lupo. Esse provvedevano anche ad imbavagliarla con una fascetta di seta e a legare i suoi arti in posizione supina, costringendo la ragazza a restare con le braccia aperte e le gambe divaricate.

Così, fin dalla prima notte, Fuskop andava a farle visita e passava a consumare l’agognata deflorazione sul suo gradevole corpo. Egli la infliggeva alla poveretta con una furia satiresca, facendo così sbollire dentro di lei l'intera sua ingorda lussuria. Ma quella non era la sola visita notturna che egli faceva alla giovane sacrificanda, poiché altre ancora ne seguivano durante le notti successive e continuavano fino a quella che precedeva il suo sacrificio al Grande Lupo. In ogni visita, facendosela trovare legata nella stessa posizione, egli si dava a possederla più volte; né si lasciava prendere in qualche circostanza dalla commiserazione, di fronte alla sofferenza fisica e a quella psicologica della sua vittima. Le quali cercavano di rendersi manifeste attraverso i continui divincolamenti del suo corpo e il terrore che si scorgeva scolpito nei suoi occhi ribelli e rabbiosi. Essi avvenivano, mentre la poveretta naufragava tra i furiosi e lussuriosi cavalloni del suo insensibile stupratore.

Quando le Teste di Lupo andavano a prelevare in un villaggio la vergine designata per il loro sacrificio, essi seguivano lo stesso rituale prescritto per i casi di denatalità femminile in seno alla setta. Ma il loro intervento era preceduto da una persona qualificata, la quale veniva chiamata perlustratore. Costui, dopo essersi radicato in esso molto tempo prima come artigiano, ossia come esperto in un determinato mestiere, aveva il compito di saggiarvi la situazione. Il suo primo incarico era quello di guadagnarsi la fiducia degli abitanti del villaggio, specialmente quella dei giovani. In seguito, doveva individuarvi le ragazze che facevano al caso della setta, preoccupandosi infine di trasmettere le varie notizie raccolte su di loro a chi di dovere. La nuova figura, con mansioni di perlustrazione, era stata voluta da Fuskop. Secondo lui, in quella maniera non si correva il rischio di rapire una ragazza che già era stata divezzata sessualmente e, quindi, non la si poteva più considerare illibata. In verità, la mancata verginità nella ragazza non risultava un'offesa alla divinità, ma unicamente un affronto ai suoi viziosi capricci.