25-KODRUN NEUTRALIZZA L'ATTACCO DEI TANGALI

Da quando si era messo in cammino in direzione dell'esercito tangalo, Cinciok aveva cavalcato per cinque giorni, prima di essere intercettato e raggiunto dalla sua avanguardia. Essa allora non aveva perso tempo a prelevarlo e a condurlo con la forza dinanzi al proprio capo. Buscul, dopo averlo squadrato dalla testa ai piedi, mostrando un'aria assai grave e sospettosa, aveva cominciato a dirgli:

«Vorrei sapere da dove sei sbucato, sconosciuto! Considerando i tuoi tratti somatici, trovo difficile scambiarti con un lurido Litioside. Allora, se sei un Tangalo autentico, come sono portato a credere, fatti riconoscere subito, prima che io perda la pazienza e ti lasci punire dai miei soldati! Quindi, ti decidi a riferirmi su di te ogni cosa?»

«Ti ho forse dichiarato di essere uno di quei bifolchi abitanti di Litios, valoroso Buscul? Se non vado errato, non mi risulta! Da quando mi trovo nelle vostre grinfie, solo adesso finalmente mi si chiede qualcosa sulla mia identità. A ogni modo, era ora che qualcuno si decidesse a toccare questo tasto, il quale per me è molto importante! Perciò ti ringrazio, per averlo fatto almeno tu, che sei un capo molto avveduto e valoroso!»

«Vedo che parli benissimo la nostra lingua e sai anche chi sono! Il tuo abbigliamento, però, differisce da quello di tutta la nostra gente. Per questo dovrai giustificarmene il motivo da parte tua, sperando che io lo trovi più che valido. Comunque, tirando le somme, non ho difficoltà a persuadermi che sei un nostro conterraneo doc! Guai a te, se mi affermi che mi sono sbagliato e che il mio è stato un madornale errore!»

«Lo sono senz'altro, Buscul. Perciò non agitarti e non adirarti, come stai facendo in questo momento! Io sono un Tangalo purosangue, proprio come te e ogni tuo soldato. Inoltre, lo sono stati pure tutti i miei antenati: su questo non ci piove! Lo stesso mio nome, che è Cinciok, dovrebbe suonarti familiare all'orecchio e convincerti della mia nazionalità tangala, non avendo esso alcunché di antipaticamente esotico! Allora, sei rimasto soddisfatto della mia risposta, mio egregio e astuto capo? Non potrebbe essere altrimenti!»

«Mi spieghi allora, Cinciok, come facevi a venire dalle parti di Litios? Così pure dovrai chiarirmi perché non risulti arruolato nella mia invincibile armata, come hanno fatto a migliaia gli altri tuoi compatrioti. Spero che anche questa volta le tue risposte saranno altrettanto convincenti! Dunque, vuoi spiegarmelo, senza il tentennamento dell'esitazione?»

«La spiegazione ti sarà data su tutto quanto mi hai chiesto, magnifico capo Buscul. Devi sapere che la mia passione è stata sempre quella di visitare e conoscere ogni luogo a me ignoto. Per questo spesso mi metto in viaggio e vado visitando le varie città dell'Edelcadia, che trovo davvero stupende. Peccato che non ce ne siano pure nella Tangalia, anche se non proprio belle come lo sono quelle edelcadiche!»

«Ma noi possiamo occuparle e procurarcele già bell'e fatte, Cinciok! Ci basta soltanto decidere quando farlo! In questo modo, eviteremo di sfacchinare nel costruircele e risparmieremo anche una gran perdita di tempo. Non sei d'accordo con me su quanto ti ho appena asserito? Oppure sei di diverso parere? Su, rispondimi e dimmi il tuo pensiero!»

«Certo che la penso come te, in merito alle città, capo Buscul! Come potrebbe essere altrimenti? Noi potremmo farle tutte nostre, se ce ne venisse la voglia, avendo degli uomini strenui e prodi per farlo. Eppure, fino adesso, non avevo ancora pensato a quanto mi hai fatto presente poc'anzi! A tale riguardo, aggiungo che non sarebbe una cattiva idea quella di cominciare ad occuparle e a godere dei loro favolosi tesori!»

«Visto che adesso lo sai, Cinciok, per averlo appreso un attimo fa dalla mia bocca, la quale è quella di un capo, fammi il favore di andare avanti con il tuo racconto, poiché non me lo hai ancora riportato per intero. Ma cerca di non perderti più in sciocchezze senza senso, come quelle che hai tirato in ballo un minuto fa! Sono stato chiaro?»

«Sei stato chiarissimo, glorioso Buscul. Ebbene, i tuoi soldati mi hanno preso, mentre me ne ritornavo da Terdiba, dove ho alcuni amici che mi ospitano volentieri, quando vado nella loro città. Questa volta, però, dopo aver lasciato la città edelcadica per ritornarmene al mio caro villaggio di Sciucso, ho deciso di passare anche da Litios, avendo pensato di incontrarvi altri amici che vi risiedono. Ma non appena ho messo piede in quel villaggio, i bifolchi, sebbene fossero mie vecchie conoscenze, nello scorgermi, si sono messi a gridare forte: "Morte allo sporco Tangalo! Facciamolo fuori senza pietà! Lapidiamolo, alla barba del suo capo Buscul!" Così, intanto che continuavano a lanciare invettive contro di me, contro di te e contro l'intero nostro popolo, essi si sono dati a scagliarmi addosso dei grossi sassi, che soltanto per miracolo sono riuscito a scansare. Sappi che non mi è piaciuto venire trattato da loro come un pericoloso delinquente! Alla fine mi sono sottratto a malapena alla loro accanita sassaiola. Anzi, sono stato abbastanza bravo, se sono riuscito a cavarmela, senza riportare tumefazioni e lividi in nessuna parte del mio corpo, come puoi accertarti!»

«Ben lo credo anch'io, Cinciok, che tu sia stato molto abile a schivare i loro sassi, se sei ancora tutto intero, senza la più lieve escoriazione sul corpo! Adesso, però, permettimi di ascoltare il seguito delle tue sventure litiosine, poiché esse mi stanno interessando abbastanza!»

«Da poco tempo, dunque, mi ero lasciato alle spalle il villaggio di Litios, allorché sul mio percorso mi è capitato di avvistare una carovana, la quale era formata da una interminabile colonna di carri. Alcuni trasportavano donne, vecchi e bambini; altri erano pieni zeppi di masserizie di vario tipo. Ma c'erano anche quelli che si presentavano colmi di generi alimentari. Allora, tenendomi a debita distanza da quella confusione, ad evitare che qualcuno si accorgesse della mia presenza, non ho mai perduto d'occhio la carovana. La curiosità mi spingeva a conoscere la loro esatta destinazione. Così, dopo qualche ora di sorveglianza circospetta da parte mia, la lunga colonna di carri è iniziata ad accorciarsi sempre di più davanti ai miei occhi. Anzi, alla fine essa è addirittura sparita alla mia vista, nonostante io ce l'avessi assai acuta. Ti stai domandando: è mai possibile un fatto del genere?»

«Infatti, Cinciok! Allora mi riferisci dove erano finiti i tantissimi carri che avevi visti scomparire dinanzi ai tuoi occhi? Non mi dire che si è trattato di un prodigio, che non te li ha fatti più trovare davanti!»

«Invece dopo li ho ritrovati, Buscul. Lì per lì, però, avevo creduto che la terra se li avesse inghiottiti tutti. Ma poi, essendomi ricordato che in quei paraggi c'era una cava, mi sono reso conto che la carovana senza meno vi si era addentrata totalmente, con l'intenzione di sottrarsi alla vista del nostro esercito. I Litiosidi, infatti, si stavano servendo di tale cavità, allo scopo di nascondervi le loro persone non idonee alla guerra, insieme con le loro ingenti scorte alimentari, che dovevano servire a sfamare la popolazione durante il periodo bellico. A quel punto, venuto a sapere di quel prezioso segreto dei Litiosidi, senza indugiare oltre ho ritenuto doveroso informarti dell'episodio. Così mi sono messo alla ricerca del tuo esercito, sperando di trovarlo al più presto. Invece hanno fatto prima i tuoi soldati a trovare me, mentre mi aggiravo in questi paraggi. Essi, dopo avermi fatto prigioniero, mi hanno trascinato con la forza davanti a te, trattandomi come se fossi stato un lurido Litioside.»

Dopo avere ascoltato il racconto del connazionale viaggiatore, all'inizio il capo dei Tangali era apparso un po' scettico e sospettoso, siccome non gli riusciva facile credere ad esso. Ma poi, messa da parte ogni perplessità, egli gli aveva affermato con sollievo:

«Se risponde a verità ciò che mi hai rapportato, Cinciok, presto il mio esercito riscuoterà il suo primo grande successo. Voglio però che siano i miei uomini fidati ad appurare che quanto mi hai raccontato sulla cava corrisponde al vero. A dirla con il saggio proverbio: "Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio". Non sei d'accordo pure tu con me che seguire la saggezza dei proverbi non nuoce, ma ti procura solo tanto benessere?»

«Certo che lo sono, Buscul, poiché anch'io la penso allo stesso modo tuo! Comunque, ti garantisco che quanto hai udito da me non ha neppure un grammo di falsità. Ti consiglio di agire in tutta fretta e di fare una colossale poltiglia di quel carnaio umano, il quale si è sistemato in via provvisoria nella cava. Vedrai che l'esercito litiosino, quando verrà a conoscenza dell'enorme sterminio dei loro familiari, si demoralizzerà a tal punto, che perderà perfino il coraggio di combattere e di affrontarti. Anzi, non avrà più alcuna forza di resistere al tuo potente esercito. In quel caso, la tua vittoria sarà totale e il tuo successo diverrà insuperabile. Ti garantisco che entrambe le cose ti saranno invidiate perfino dal tuo inglorioso antenato Stactus dall'oltretomba! Egli non ci fece di certo una bella figura, nel suo tentativo di invadere l'Edelcadia per conquistarne le città. Invece esso si concluse miseramente, senza neppure riuscire a distruggere il villaggio di Litios. Esso, se ricordo bene, sarebbe dovuto essere il primo obiettivo della sua invasione!»

Intanto che Cinciok si mostrava in preda alla sua simulata concitazione, Buscul, aveva smesso di dargli retta. Infatti, non gli andava più di sentirlo blaterare, come aveva fatto fin dall'inizio e continuava a farlo tuttora. Invece aveva chiamato le sue due guardie personali, che si trovavano fuori la tenda, ed aveva ordinato loro:

«Prendetelo e tenetelo ben legato ad un albero, almeno fino a quando i miei emissari non saranno ritornati dalla cava e non mi avranno confermato che egli non è né un impostore né qualcos'altro di peggio. Soltanto allora egli ritornerà ad essere un uomo libero e riceverà da me anche il premio che si sarà meritato. Nel frattempo, però, Cinciok dovrà essere tenuto sotto stretta sorveglianza, ad evitare che ci scappi! Infatti, è ciò che egli cercherà di fare, se ci ha detto un mucchio di frottole!»

In seguito il capo tangalo, senza perdere tempo, si era voluto interessare della vicenda della cava, intenzionato a fare eseguire su di essa delle indagini scrupolose, da parte di persone delle quali si fidava ciecamente. Allora esse, dopo avere appurato l'attendibilità del racconto di Cinciok, in riferimento alla cava a cielo aperto, si erano rimesse subito in cammino verso il loro accampamento. Fatto poi ritorno presso il loro capo, gli avevano assicurato che il loro conterraneo gli aveva fornito informazioni del tutto conformi al vero. Circa la loro ispezione, gli emissari tangali avevano potuto eseguirla, unicamente perché i Litiosidi avevano ricevuto l'ordine da Kodrun di sottrarsi appositamente alla loro vista e di non ostacolare il loro accurato sopralluogo. Perciò i soldati litiosini, tenendosi a rispettosa distanza, avevano finto di non accorgersi dei loro movimenti guardinghi e gli avevano consentito anche di effettuare con tranquillità la serie di controlli da loro ritenuti necessari.

Alla bella notizia, il capo dei Tangali, divenuto di umore eccellente, subito si era dato ad organizzare l'incursione nella cava, da compiersi in una delle notti successive. Secondo lui, se si fosse agito nelle ore notturne, si sarebbe evitato che la sua cavalleria venisse intercettata dai perlustratori di Kodrun. Essi, se ne avessero notato la presenza in anticipo, avrebbero fatto in tempo ad avvisare il loro esercito e a farlo accorrere in difesa della propria gente inerme. Egli, invece, voleva riscuotere un successo pieno dall'incursione notturna. Quanto a Kodrun, subito dopo che i perlustratori nemici se ne erano andati, lasciando in fretta la zona della cava, aveva iniziato a far rientrare nel loro villaggio la moltitudine di persone che in precedenza erano state trasferite provvisoriamente nella spaziosa fossa. Ad evacuazione ultimata, egli aveva collocato il suo esercito nei pressi della grossa buca, ma lo aveva tenuto bene occultato nel bosco situato a sud-ovest della medesima.

Durante le ore della notte, invece, Kodrun aveva fatto illuminare il campo della cava con la discreta luce delle torce, le quali erano state sistemate in vari punti di essa. Alcune erano state collocate in cima a dei lunghi pali, che erano stati infissi nel terreno. Ma altre erano state infilate in buche scavate nelle pareti, dovendo esse dare ai cavalieri tangali l'impressione che nelle tende vi dormissero le persone indicate da Cinciok. Ad essere più precisi, l'illuminazione avrebbe dovuto soprattutto rendere più visibili le sagome fuggenti dei cavalieri tangali, durante la loro incursione nella cava. Così essi sarebbero stati individuati e colpiti senza il minimo errore. Ma soprattutto si sarebbe evitato di arrecare qualche nocumento ai loro cavalli in corsa, siccome essi in seguito sarebbero dovuti servire all'esercito litiosino.


L'arrivo della cavalleria tangala era stato segnalato dai perlustratori notturni di Kodrun, mentre trascorreva la seconda notte di attesa. Allora i soldati litiosini all'istante erano stati destati dal loro profondo sonno ed erano stati messi in stato di allerta e di mobilitazione generale. Difatti essi dovevano tenersi pronti per l'imminente operazione bellica già prevista. Ma solamente durante la nottata, quando la mezzanotte era trascorsa da un paio di ore, le fiumane dei cavalieri tangali, senza dare origine ad alcun rumore, avevano iniziato a scendere giù nello spazioso scavo rettangolare. Essi, volendo assumere una posizione strategica tutt'intorno all'attendamento, per accerchiarlo e tenerlo per intero sotto il loro controllo, prima di dare sfogo alla loro furia selvaggia, si erano messi ad avanzare lungh'esso con il massimo silenzio possibile.

Da parte suo, l'esercito litiosino non era rimasto a guardare i loro movimenti guardinghi, restandosene con le mani in mano. Al contrario, mostrandosi altrettanto silenzioso, si era dato ad occupare le posizioni strategiche raccomandate da Kodrun. Così i contingenti, che ne facevano parte, si erano appostati lungo l'intero ciglio della cava, dove poi si erano disposti in duplice fila. La prima linea, ossia quella più avanzata, era stata occupata dai fanti e la seconda dai cavalieri. In quel modo, gli uni e gli altri avrebbero potuto lanciare le loro frecce, senza che i primi venissero a rappresentare degli ostacoli per i secondi, considerata la maggiore altezza di questi ultimi. Tenendo tali posizioni, indubbiamente essi avrebbero arrecato ai Tangali delle perdite quasi raddoppiate. Gli ultimi ad intervenire, quando ormai la discesa dei Tangali si era appena conclusa, erano stati quei soldati che avevano l'incarico di sbarrare con grossi tronchi di alberi il terrapieno di accesso alla estesa fossa per impedire a chiunque di uscirne sano e salvo. Anche la loro opera era risultata sia tempestiva che efficace, per cui era riuscita alla perfezione, senza che nessuno del reparto di coda nemico se ne accorgesse.

Non appena gli ultimi cavalieri tangali avevano superato il terrapieno che permetteva l'accesso alla cava, il loro cornista, come da ordine ricevuto, non aveva esitato a suonare il suo strumento a fiato. Allora il cupo suono del corno aveva infuriato gli animi dei Tangali a cavallo, spronandoli in pari tempo a dare inizio ad una spietata caccia all'uomo. Così la cavalleria di Buscul aveva cominciato a rastrellare ogni angolo della cava e a demolire le tende che vi erano state montate, allo scopo di scovarvi le inermi persone che avrebbero dovuto occuparle. Ma trovandole completamente vuote e non potendo sottoporre nessuno ai loro strazi, essi, rosi dalla rabbia e dallo sdegno, si erano dati a sfogarsi con le cose. Il loro sfogo consisteva nel mettersi a sfasciare le tende e a bruciarle all'impazzata, seminando l'intera estensione della cava di modesti falò. Nel frattempo, gli infuriati demolitori non disperavano di avere quanto prima tra le mani le migliaia di persone credute nascoste in qualche posto, il quale poteva soltanto situarsi all'interno della cava. Perciò essi erano convinti che ben presto li avrebbero costretti ad uscire dal loro nascondiglio segreto e a diventare loro facili bersagli. Quindi, le infruttuose ricerche dei Tangali proseguivano senza sosta, come pure si continuava da parte loro ad appiccare il fuoco ad ogni cosa, apportando al luogo interrato una illuminazione maggiore.

Nello stesso momento, anche Kodrun aveva dato ai suoi soldati il segnale di intraprendere la controffensiva. Allora le migliaia di frecce dei Litiosidi si erano messe a turbinare e a grandinare a nugoli dai quattro bordi della cava, cercandosi ognuna il proprio bersaglio. Le saette si erano andate introducendo in ogni parte di essa, dove ripetutamente si erano date a colpire, a trafiggere e ad abbattere gli impazziti devastatori del campo. Per cui non smettevano di arrecare ai medesimi quella morte, che essi avevano assegnato ai loro nemici inermi. I Tangali rimasti ancora illesi, pur scorgendo i loro commilitoni venire spazzati via come fuscelli, non riuscivano a rendersi conto chi potesse essere la causa della loro falcidia, per cui avevano seguitato ad impazzare all'interno dell'amplissima cava. Ma il loro impazzamento c'era stato, fino a quando altre micidiali saette non avevano raggiunto pure loro, facendoli crollare morti dai cavalli terrorizzati, i quali adesso apparivano molto ombrosi.

In un primo momento, i cavalieri tangali avevano creduto che, a scagliare contro di loro gli innumerevoli dardi mortali fossero coloro ai quali essi stavano dando la caccia, dopo aver trovato un sicuro nascondiglio. Più tardi, però, essi si erano accorti che la cava era completamente deserta e che perciò si stavano affannando per niente nell'andare avanti e indietro per il campo, con l'intenzione di stanare i Litiosidi inabili alle armi. Inoltre, avevano constatato una realtà ben più amara, cioè che essi erano caduti in una trappola e vi stavano venendo annientati con estrema facilità da un numero consistente di nemici. A quella triste scoperta, istintivamente i cavalieri tangali avevano cercato con ogni mezzo di uscire dall'insidia nella quale si erano cacciati, cercando di abbandonare quel luogo alla svelta. Essi, però, avevano trovato il terrapieno non più libero, siccome esso in quel momento risultava sbarrato da un muro di fiamme invalicabile. Il quale adesso non consentiva più il passaggio né in entrata né in uscita. Procedendo così le cose, da parte degli intrappolati, era stato giocoforza impegnarsi in una strenua difesa, tentando di ripararsi dietro qualsiasi cosa che lo permettesse, anche se bruciava. Nello stesso tempo, cercavano di rispondere ai loro avversari con vari lanci di frecce, con l'intento di restituire la pariglia a chi li stava decimando dall'alto. Oramai, per tutti loro che la subivano, la situazione si era fatta così critica ed insostenibile, da rendere del tutto fiacca ed inconcludente la reazione offensiva, a cui ora essi ricorrevano. Infatti, ogni loro azione non era più in grado di impressionare i loro nemici.

Quando l'alba era iniziata a sprigionarsi dal bruno cielo d'oriente, dove si stavano avendo un dissolvimento delle prime tenebre e un progressivo spegnimento degli ultimi scintillii stellari, anche la residua resistenza dei cavalieri tangali era venuta meno. Essa era stata costretta a soccombere alla massacrante ed inesorabile azione dei soldati litiosini. La quale, per alcune ore della notte, era continuata ad essere mortalmente martellante ed insistente. L'offensiva dei Litiosidi era cessata, quando ci si era accorti che non c'era più alcun Tangalo aggirarsi vivo per la cava, poiché essa era diventata un colossale crematoio. Per questo gli ingenti cadaveri che vi bruciavano facevano espandere intorno un puzzo nauseabondo. Esso toglieva il respiro a quanti erano costretti a restare sul luogo per eseguire le restanti operazioni postbelliche.

Dopo che i suoi uomini avevano portato a termine l'immane strage a danno dei cavalieri tangali, Kodrun gli aveva ordinato di sgomberare l'area del terrapieno dai tronchi in fiamme e di recuperare tutti i cavalli rimasti indenni o feriti in modo lieve dalla pioggia di frecce. Logicamente, quanto alle bestie gravemente ferite, era stato comandato ai soldati di abbatterle, al fine di privarle di un'agonia più protratta del dovuto. Con un ordine successivo, invece, egli aveva fatto tagliare da loro una quantità esorbitante di legna da ardere e l'aveva fatta gettare nella cava. La sua intenzione era quella di fare alimentare a dismisura il fuoco che già vi divampava. In quel modo, esso sarebbe bastato a cremare con efficienza la totalità dei cadaveri dei Tangali e delle carogne dei loro cavalli uccisi. Agendo in quella maniera, si sarebbe anche evitato il propagarsi fra i suoi soldati di pericolose epidemie. Al termine di tale operazione faticosa, Kodrun aveva rimandato i suoi soldati alle loro tende per farli riposare un poco e per permettere a ciascuno di loro di recuperare in parte il sonno perduto durante la nottata. In quella circostanza, soltanto i soldati che erano riusciti ad addormentarsi regolarmente si erano risparmiati anche l'odore graveolente. Infatti, esso non smetteva di provenire dalle esalazioni pestilenziali emesse dai numerosi corpi, i quali bruciavano e si scioglievano sotto i raggi del sole.

Nel tardo pomeriggio, dopo che i soldati si erano riposati e ristorati abbastanza, l'esercito litiosino aveva ripreso il suo assetto di guerra. Ora esso si presentava con una fisionomia diversa, essendo mutati la sua compagine strutturale e il suo dispiegamento strategico. Esso non era più costituito da quindicimila fanti e diecimila cavalieri; bensì risultava formato da ventimila cavalieri e cinquemila fanti. La qual cosa lo presentava molto più efficiente nel conseguire dei brillanti risultati in battaglia. Allora, tenuto conto della nuova compagine del suo esercito, la maggior parte del quale adesso era composta da uomini a cavallo, Kodrun era sicuro di condurre la battaglia contro Buscul senza problemi. Quella sicurezza gli proveniva soprattutto dal fatto che l'esercito avversario era stato deprivato del sostegno indispensabile della cavalleria. Senza la quale esso non poteva che risultare monco del suo nerbo intraprendente e mordace. A tale riguardo, egli aveva fatto altre importanti considerazioni. Allo stato attuale delle cose, l'esercito tangalo sarebbe stato in balia della consistente cavalleria al proprio comando. Infatti, essa, non venendo ostacolata dalla cavalleria nemica, avrebbe potuto speronarlo quando e dove voleva. Perciò lo avrebbe sbaragliato con un'azione energica e travolgente, la quale si sarebbe dimostrata perforante sul fronte e stritolante sui fianchi. Soprattutto sarebbe risultata schiacciante sull'intero schieramento, provocandone la totale disfatta in brevissimo tempo e con scarsissime perdite.

Quando infine il tramonto aveva consumato gli ultimi istanti a sua disposizione, eclissandosi nel buio serale con tutte le sue incantevoli policromie, Kodrun aveva ordinato al suo esercito di mettersi in marcia alla volta dell'accampamento nemico. A ciascuno dei cinquemila fanti appiedati egli aveva consigliato di trovare posto sulla groppa del cavallo di qualche suo commilitone. Così facendo, essi non sarebbero stati causa di rallentamento nella loro avanzata a marcia forzata. In quei momenti, in lui si andava agitando una grande frenesia di affrontare la fanteria tangala e di sgominarla in modo clamoroso. Bisognava ammettere che, nel suo intento, stava giocando a suo favore specialmente una splendida luna piena rischiaratrice. Essa, illuminando quasi a giorno il tragitto da loro percorso, aveva consentito al suo animoso esercito di tagliare i tempi nel perseguimento dell'obiettivo che si era prefissato.


Mentre si svolgevano all'interno della cava i fatti che abbiamo seguito, il capo dei Tangali era apparso nel suo accampamento in preda ad una forte agitazione, la quale alcune volte gli era stata alimentata dalla preoccupazione che qualcosa potesse andare storto ai suoi cavalieri. Anzi, essa gli era stata infusa quasi sempre dall'attesa frenetica di essere informato che l'incursione, da parte della sua cavalleria, aveva ottenuto un grande successo. Pur venendo a dominare in lui l'euforia, a dispetto dell'apprensione, Buscul, contrariamente a come si era espresso in precedenza, si era ben guardato dal fare liberare Cinciok dai suoi guardiani. Egli, anche dopo avere appreso dai suoi inviati di ritorno dalla cava che il suo prigioniero non era stato mendace nel trasmettergli le sue informazioni, ugualmente aveva voluto disinteressarsi a bella posta della sua liberazione. Perciò aveva deciso di continuare a tenerlo legato all'albero, fino a quando non fossero ritornati i suoi cavalieri. Ma si era ripromesso di farlo liberare solo al loro rientro, ossia quando avrebbe festeggiato il grande successo della sua cavalleria sui Litiosidi.

Quando poi era stata avvistata la gigantesca colonna di fumo ergersi verso il cielo e diradarvisi come una immensa nuvola nera, Buscul non aveva avuto dubbi. Essa poteva essere unicamente l'opera dei suoi uomini, che erano usi a fare gli incendiari con le cose demolite; però dopo essersi abbandonati a fare i carnefici con i loro proprietari. Per questo in lui si era rinfocolata la certezza che presto la sua ambizione non sarebbe rimasta più tale; bensì si sarebbe trasformata in una realtà concreta, che gli avrebbe giovato moltissimo. Invece, nel corso di quello stesso giorno movimentato, ogni suo sogno di grandezza era stato sfaldato dai nuovi eventi, che gli erano stati avversi. Essi avevano tramutato la sua megalomania in una sfibrante prostrazione, che, a un tratto e in modo terribile, era venuta a fiaccargli l'animo in maniera paurosa. Alcuni suoi perlustratori, infatti, una volta fatto ritorno all'accampamento, lo avevano messo al corrente dell'insidia tesa alla sua cavalleria dai nemici, che erano stati in grado di distruggerla in toto e senza fatica. Gli stessi uomini lo avevano anche avvisato di quanto si era proposto di fare Kodrun. Ossia, intendeva assalire la sua fanteria, la quale, essendo rimasta priva dell'appoggio della cavalleria, molto presto si sarebbe trovata in grande difficoltà. Allora i suoi aiutanti gli avevano fatto presente che, se egli non avesse intravisto nella fuga l'unico rimedio possibile, il loro esercito sarebbe andato incontro ad una grande catastrofe, la quale già faceva prevedere che sarebbe stata di proporzioni enormi.

Da parte sua, Buscul, anche se gli eventi si dimostravano per lui negativi, aveva voluto meditare, prima di ordinare la vergognosa ritirata alla restante parte del suo esercito, ridotto oramai allo sfacelo. Egli, dopo aver superato la fase di sconcerto, si era inviperito come un ossesso ed aveva addossato al traditore Cinciok l'intera colpa della rovina della sua cavalleria. Il capo tangalo aveva compreso che egli si era fatto catturare dai suoi soldati di proposito, appunto per fargli credere una cosa per un'altra sulla realtà della cava. In tal modo, quella che sarebbe dovuta risultare per la sua cavalleria una incursione esente da pericoli, si era invece trasformata per la stessa in una imboscata senza scampo. Non bastando ciò, si era dovuto dire addio all'immane saccheggio e al sostanzioso bottino, che erano sfumati davanti a loro nell'arco di una nottata. Allora Buscul, per ritorsione contro il suo suddito rinnegato, che considerava senz'altro in combutta con il suo nemico Kodrun, aveva stabilito di fargliela pagare all'istante, affrettando la sua esecuzione. In un primo momento, egli era intenzionato a farlo impalare; però, siccome il tempo stringeva, aveva dovuto rinunciare a quel tipo di punizione, la quale richiedeva una prassi più lunga delle altre. Perciò, dopo averlo fatto appendere ad un albero, aveva ordinato a cento dei suoi arcieri di crivellargli il corpo senza pietà. Essi avrebbero dovuto fare in modo che in esso risultassero conficcate un numero di frecce maggiore di quello costituito dagli aculei attaccati al corpo di un riccio. Ovviamente, coloro che avevano preso parte a tale esecuzione erano stati assai contenti di ubbidire al loro capo e di uccidere il loro connazionale Cinciok, il quale, secondo loro, si era venduto ai Litiosidi.

Circa l'opportunità di affrontare o meno l'esercito nemico, il capo dei Tangali, dopo essersi consultato con il suo staff logistico, il quale si era mostrato unanimemente contrario a quel difficile scontro, alla fine si era convinto che era meglio evitare il confronto con l'esercito litiosino. Allora, senza procrastinare oltre la sua permanenza nei territori edelcadici, egli aveva impartito ai soldati che gli erano rimasti l'ordine di battere in ritirata. Per questo, quando i soldati di Kodrun erano giunti dove prima c'era stato l'accampamento nemico, essi non avevano scorto l'ombra neppure di un solo Tangalo. Tutti i fanti dell'esercito avversario, infatti, dopo averlo abbandonato in fretta e furia, erano rientrati da varie ore nei loro territori per evitare di subire la morsa della cavalleria litiosina e venirne sopraffatti. Ma a Kodrun non era convenuto inseguire l'esercito tangalo oltrefrontiera, siccome esso già aveva avuto l'accoglienza che si meritava da parte dei suoi soldati. I quali avevano ucciso tutti i quattordicimila cavalieri nemici e si erano anche impadroniti della gran parte dei loro cavalli rimasti illesi. Comunque, il primogenito di Ursito non si era astenuto dall'inviare in Tangalia due agenti del suo servizio spionistico, perché si accertassero che l'esercito tangalo davvero fosse in rotta e si fosse rassegnato alla clamorosa disfatta. In quel caso, non ci sarebbe dovuta essere alcuna manovra di rivalsa da parte di Buscul nei confronti del popolo litiosino. Invece egli avrebbe dovuto far seguire la smobilitazione generale della parte residua del suo esercito, rinunciando definitivamente ai suoi sogni di conquista e di gloria nell'Edelcadia.

Anche se Kodrun da circa un'ora gongolava per l'esito vittorioso della guerra, non era mancata in lui una punta di mestizia. Essa era venuta ad adombrare in qualche modo la soddisfazione e la gioia che erano state provate dal suo animo. Da un istante all'altro, egli si aspettava dai suoi perlustratori il risultato di alcune ricerche, le quali non lasciavano presagire nulla di buono. Esse riguardavano il tangalo Cinciok e venivano condotte in zona per rintracciarlo vivo o morto; ma da parte di tutti, si disperava della sua salvezza. Perfino il figlio di Ursito, siccome l'arrotino non si era rifatto vivo fino a quel momento, propendeva per l'idea che la vicenda per lui non avesse avuto un epilogo fortunato. Per tale motivo, si era convinto che lo sventurato era stato giustiziato e che il suo corpo privo di vita giaceva nei dintorni, abbandonato morto in qualche posto della zona. In caso contrario, occorreva considerarlo prigioniero di Buscul, che lo aveva condotto con sé in Tangalia. Se lo aveva fatto, logicamente non per tributargli un encomio o decorarlo di una bella medaglia. Il suo scopo, al contrario, sarebbe stato quello di inveire con comodo contro l'indegno compatriota e di torturare il suo corpo con la massima ferocia possibile, ossia con il previsto impalamento. Infatti, pure in Tangalia era quello il modo con cui si punivano coloro che risultavano essere rinnegati e traditori della patria.

Era da un paio di ore che il pensiero di Cinciok gli balenava tristemente nella testa, infondendogli nell'animo una profonda amarezza e una cupa malinconia, allorché Kodrun era stato informato dagli incaricati delle ricerche del rinvenimento del suo cadavere. Essi gli avevano comunicato che il suo corpo esanime era stato ritrovato penzolante da un albero e gli avevano anche riferito che esso si presentava interamente sforacchiato da un numero impressionante di frecce. Le quali a malapena ne avevano consentito l'identificazione. Alla terribile notizia, Kodrun si era precipitato sul luogo del ritrovamento e, nello scorgere il corpo di Cinciok straziato fino all'inverosimile, si era rattristato profondamente. Poi, stringendo i pugni dalla rabbia, aveva emesso parole di riprovazione contro quelli che erano stati gli inumani autori di una così efferata esecuzione, la quale aveva superato ogni misura. Ma poco dopo, fatta sbollire dentro di sé la rabbia contro i carnefici dello sventurato Tangalo trapiantato, egli aveva ordinato che la sua salma venisse prima deposta sopra una grande pira e successivamente data alle fiamme. Lo scopo era quello di onorarlo con solenni funerali degni di un vero eroe. Poi, intanto che il cadavere del poveretto veniva divorato dalle rossastre fiamme, l'illustre condottiero dei Litiosidi aveva avvertito il bisogno e sentito il dovere di pronunciare per lui il seguente discorso necrologico:

"Soldati litiosini, sappiate che è nostro dovere venerare degnamente le spoglie mortali dell'uomo, che oggi più di tutti merita il nostro rispetto e la nostra gratitudine. Inoltre, bisogna dargli l'ultimo vale, perché oltre la vita non gli venga a mancare la pace del riposo eterno. Da parte mia, invece, è doveroso illustrarvi quanto il suo contributo in questa guerra abbia pesato nel farci conseguire la vittoria. Cinciok, pur non essendo un Litioside di nascita, con l'odierno suo volontario sacrificio, ha meritato di esserlo a pieno titolo. Sappiate che, se l'astuta trappola della cava da me tessuta ha funzionato brillantemente, il merito va anche in ugual misura al nostro compianto arrotino. Essa non avrebbe avuto alcuna effettuazione concreta, se egli non si fosse adoperato abilmente presso Buscul e non lo avesse convinto, con la sua preziosa opera di persuasione, ad agire nel modo che conoscete. Il quale, come sapete, ha tanto giovato a tutti noi Litiosidi!

Il nostro martire era consapevole dei rischi che la sua missione comportava. Nonostante ciò, egli non ha esitato minimamente a sposare la nostra causa, dimostrando un raro spirito di abnegazione. Sappiate che non sono state né l'ambizione né la venalità a spingerlo ad accettarla. Al contrario, è stato soltanto il suo schietto e disinteressato patriottismo, quello che è possibile riscontrare esclusivamente in pochissime persone. Prima di partire per la sua missione senza ritorno, il coraggioso Cinciok ha voluto farmi presente che egli considerava il nostro villaggio la sua unica vera patria. Per questa ragione, per Litios, oltre che per la salvezza della sua consorte e della sua prole, il poveretto era disposto ad andare incontro al sommo sacrificio, senza mostrare alcuna esitazione!

Io gli ho voluto accordare la mia stima e la mia fiducia in qualsiasi circostanza, poiché non ho mai cessato di credere nella sua coscienza pulita e nella sua rispettabilità. Oggi i fatti mi hanno dato ragione e mi ripagano di ogni ostilità subita da parte di alcuni di voi, per aver difeso Cinciok a oltranza. Stando così le cose, mi auguro che essi adesso si ricredano sul suo conto e manifestino il torto avuto nei suoi riguardi. Soprattutto desidero che tali persone si dichiarino disponibili a dare l'assistenza necessaria alla sua vedova Fillia e ai suoi tre figli, poiché lo considero un atto dovuto da parte loro! Sono dell'avviso che la loro assistenza dovrà essere data alla famiglia di Cinciok, almeno fino a quando i suoi figli non avranno raggiunto la giusta età per trovarsi un lavoro che dia loro da vivere di proprio, senza più dipendere da alcun benefattore!"

La necrologia di Kodrun aveva commosso tutti i presenti ed aveva convinto i familiari dei suoi due amici defunti a pensarla come lui sullo scomparso arrotino Cinciok. Perciò essi, accettando di buon grado il suggerimento del loro futuro capo, avevano dichiarato che si sarebbero presi cura in ogni senso della famiglia del defunto, senza badare a spese. Della qual cosa Kodrun si mostrò molto contento e soddisfatto. Una volta che il corpo di Cinciok era stato cremato, Kodrun aveva ordinato che le sue ceneri fossero raccolte in una urna e consegnate ai suoi congiunti. Così essi le avrebbero seppellite sotto una stele funeraria, al fine di perpetuarne la memoria. Le cose erano andate esattamente come aveva voluto Kodrun, essendosi egli espresso con la bocca della verità.

Dopo le pesanti perdite subite alla cava ad opera del nemico, i Tangali si erano ritirati davvero oltrefrontiera per leccarsi le ferite, sospendendo così ogni atto ostile contro i Litiosidi. Ma Kodrun, non smettendo di stimarli gente infida, aveva ritenuto che fosse d'obbligo non fidarsi perennemente di loro. Perciò aveva stabilito che il popolo litiosino doveva tenersi sempre pronto alla guerra ed avvezzo alle armi, attraverso esercitazioni paramilitari. Queste si sarebbero dovute svolgersi puntualmente ogni mese e con la partecipazione obbligatoria di tutti gli uomini che avevano una età compresa tra i sedici e i cinquant'anni. Inoltre, non sarebbero dovute mancare in Litios delle gare a squadre e individuali a scansione semestrale, allo scopo di assegnare il titolo di campione in ciascuna specialità d'arma fra quanti vi avrebbero preso parte. Il figlio di Ursito era sicuro che tali esercitazioni ed iniziative paramilitari avrebbero mantenuto sempre accesi fra i Litiosidi il patriottismo e lo spirito agonistico. Quest'ultimo, però, doveva essere pilotato tra i partecipanti, sempre ed esclusivamente, verso l'obiettivo della difesa della patria e giammai verso quello di lottarsi tra di loro. In questo modo, esse avrebbero contribuito a rafforzare una educazione di tipo militaresco, la quale si presentava tanto necessaria ai suoi compatrioti per frenare la bellicosità e la prepotenza insite nell'indole del popolo tangalo. Specialmente gli sarebbero state di monito che esso, tutte le volte che avesse tentato di invadere le loro terre, vi avrebbe sempre trovato di fronte degli avversari combattivi ed irriducibili con l'intento di sbarrargli il passo.

Ritornando a parlare ancora della vita privata dell'eroico Kodrun, come minimo, egli si aspettava dalla sua Lurella una mezza dozzina di figli. Invece, per motivi ignoti, dopo l'avvenuta nascita del primogenito, al quale era stato dato il nome di Cloronte, non ne erano arrivati altri. Perciò, non essendo stato possibile averne di più, egli era stato costretto a rinunciarvi per il resto della sua esistenza. Quanto ai dotti in medicina di quel tempo, essi non avevano saputo diagnosticare sia lo stato di sterilità sopravvenuto in uno dei due coniugi sia le cause che lo avevano determinato. Allora, non discostandosi dall'ordinaria prassi di quell'epoca, si erano limitati ad imputare ad un immancabile maleficio la loro sopravvenuta impotenza a generare. Secondo la loro convinzione, esso era stato operato ai danni dei due consorti da qualche strega. Ella li aveva così resi vittime di un sortilegio, il quale aveva mirato a colpire entrambi nella loro funzione procreativa.

Kodrun era poco più che trentenne, quando il padre Ursito si era spento all'età di sessant'anni, precedendo di un anno la moglie nella tomba. La sua primogenitura allora gli aveva consentito di ricevere l'investitura di capo di Litios. Da quel giorno, perciò, egli aveva iniziato a detenere nel proprio villaggio anche lo scettro di capo, oltre a quelli di campione imbattibile dell'arena, di fedele alfiere della giustizia e di sicuro promotore del libero pensiero. Dopo che Kodrun ne era diventato il capo, il popolo litiosino si era dato a grandi effusioni di gioia. Esso era consapevole che, se lo si paragonava al suo estinto genitore, si rendeva subito conto che il giovane era fatto di tutt'altra pasta. Senza dubbio, la sua personalità, a confronto di quella paterna, risultava abbastanza diversa in senso positivo, siccome in lui il valore eccelleva in tutte le sue accezioni, soprattutto in quello morale, intellettivo e militare.

A questo punto, avuta una panoramica delle vite parallele di entrambi gli eroici personaggi, che erano Nurdok e Kodrun, verso i quali ci siamo lasciati prendere da una profonda venerazione, conviene ricondurci da loro due e seguirli nel loro presente. Ma ci rammarica il fatto che nell'attuale vicenda i loro eserciti stanno per scontrarsi; invece noi saremmo molto felici, se ciò non avvenisse. Quindi, non ci resta che augurarci che in ciascuno di loro nasca una grande stima verso l'altro, poiché essa saprà anche farli diventare degli ottimi amici. In questo modo, l'amicizia riuscirà a spingerli ad allontanare dai loro popoli l'orrore della guerra, la quale si preannunciava come la carneficina più vasta e più crudele che si fosse mai avuta nel mondo fino a quel tempo.