249°-I CAPITRIBÙ CREUS E SUORT SI PIEGANO AI VOLERI DI TUSCO

Quando Tusco si era presentato nel villaggio di Calput per incontrarvi il capo Suort, in quel luogo si stava svolgendo l'ennesimo sposalizio collettivo, siccome proprio in quel giorno ricorreva l’equinozio di autunno. In un certo senso, egli ne era stato assai contento. Così si sarebbe risparmiata la faticosa andata al villaggio di Abruok, allo scopo di riferire anche al suo capo Creus ciò che stava per andare a dire al suo omologo di Calput. Grazie a quel favorevole evento, adesso il licantropo poteva rivolgersi nel stesso tempo ai capi di entrambi i villaggi ed avanzargli le sue richieste, le quali risultavano di capitale importanza per la propria esistenza futura. Dopo essere riuscito ad ottenere udienza dalle due autorevoli personalità, per averla sollecitata come qualcosa di primaria rilevanza, con tono pacato, Tusco si era dato a parlargli in questo modo:

«Scusatemi, illustri capi Suort e Creus, per avervi distratti dalla vostra solenne cerimonia; ma vi prometto che sarò breve nel riferirvi ciò che mi preme farvi sapere. Vi assicuro che ne è valsa la pena avervi scomodati da essa, poiché quanto ho da dirvi riguarda l'incolumità e la salvezza dei vostri due popoli. Voi siete liberi anche di non credermi; però vi garantisco che sono in gioco molte vite abruokesi e calputiane, le quali dipendono dalla risposta che mi darete tra poco. A tale riguardo, vi faccio presente che tali vite verranno a mancare molto presto, se non si riuscirà a porvi un riparo in tempi rapidi! Adesso, però, siccome non l'ho fatto all'inizio di questo nostro incontro a tre, passo a presentarmi a voi due. Io sono Tusco, il devoto sacerdote del Grande Lupo.»

Suort, il capo del villaggio di Calput, volendo capirci qualcosa di più in merito alle strane parole dello sconosciuto forestiero, era intervenuto per primo ad esprimerglisi quasi scocciato:

«Lasciando da parte i preamboli e venendo invece subito al sodo, Tusco, vuoi farci sapere cosa desideri effettivamente da noi? E chi sarebbe poi questo Grande Lupo, del quale fino ad oggi non abbiamo mai sentito parlare? Se non ti dispiace, inoltre, persona a noi ignota, anche se hai un nome, vorremmo che tu fossi abbastanza stringato nelle due risposte. Come ti sei reso conto, altri obblighi molto più importanti delle tue parole ci attendono altrove e non intendiamo perdere molto tempo!»

«Se oggi vi manca il tempo e trovate perciò difficoltà a gestirlo,» il figlio di Bulkar si era affrettato a rispondergli «non intendo trattenervi più del necessario, poiché anch'io ho una certa premura di lasciare questo villaggio. Quindi, sarò conciso il più possibile, riducendo all'osso le frasi che mi serviranno a trasmettervi l'ambasciata del Grande Lupo, del quale oggi io rappresento il portavoce. Di essa, pur di accontentarvi, vi riporto i soli punti salienti. Da voi, però, esigo la massima attenzione, mentre ve li chiarisco nudi e semplici! Ci siamo intesi?»

«Certo che saremo attenti nell'ascoltarti, Tusco, visto che non intendiamo perderci neppure una virgola; però affréttati a farlo, per favore!» lo aveva sollecitato Creus, apparendo anch'egli alquanto seccato.

All'invito del capo di Abruok, Tusco si era deciso a parlare ai due personaggi più in vista dell'uno e dell'altro villaggio. Ma già prevedeva che entrambi, durante l’ascolto, si sarebbero mostrati increduli e avrebbero storto il naso, magari scambiandolo perfino per un visionario!

«Miei insigni capi,» egli aveva iniziato a parlare «dovete sapere che una divinità, dopo avere assunto le sembianze di un lupo dalle proporzioni gigantesche, che potrebbe contenere nel suo corpo più di venti tigri di grossa taglia, mi ha prescelto quale suo fedele sacerdote. Essa mi ha ordinato di fondare una setta religiosa, i cui seguaci, oltre che adorarla come lupo, dovranno mettersi a sua completa disposizione, erigendole prima di tutto un sontuoso tempio. Inoltre, mi ha espressamente suggerito di rivolgermi ai vostri due popoli per ottenere l’aiuto necessario, di cui avrò bisogno per raggiungere i due obiettivi suaccennati. In merito alle restanti incombenze sempre attinenti al caso, ammesso che voi accettiate di collaborare spontaneamente, vi saranno rese note a mano a mano che le riceverò dalla divinità. Essa, per il momento, vi ammonisce che, qualora doveste rifiutarvi di accondiscendere ai suoi voleri, non esiterebbe a porre in atto una feroce repressione nei confronti dei vostri due popoli. Al termine della quale, non vi basterebbe un intero anno per leccarvi tutte le ferite causate dalla sua furia. Per il vostro bene, ci tengo anche a precisarvi che sarebbe un errore, da parte vostra, non dare credito alle mie parole, inimicandovi in questo modo il Grande Lupo!»

Quando Tusco aveva terminato di relazionare i due capi sulle volontà dell’immaginaria divinità che egli stesso aveva creata, il capo di Abruok, ossia Creus, aveva voluto ancora parlargli a modo suo, poiché era intenzionato a ribattere per le rime il loro strano interlocutore.

«Tusco, se pretendi che noi prendiamo sul serio le tue parole da persona visionaria,» si era dato a dirgli «devi essere sul serio matto. Sappi che siamo abituati a prendere in considerazione soltanto i fatti concreti e le situazioni realistiche. Difatti ripudiamo le fantasticherie dei sognatori, come quelle che sei venuto a propinarci tu. Perciò, sicuro di avere anche il consenso del mio collega di Calput, considero chiuso fra noi l'argomento in maniera definitiva! Anzi, per il prossimo futuro, per il tuo bene, ti ammoniamo a stare alla larga dai nostri villaggi!»

«Certo che sono anch'io dello stesso parere, mio caro Creus!» Suort si era unito a lui «Inoltre, aggiungo che sarebbe ridicolo spendere, da parte nostra, altro tempo su un argomento così sciocco ed inconcepibile, quale si presenta appunto quello che il nostro utopista è venuto a proporci nel mio villaggio, il quale oggi è dedito interamente alla festa!»

Dalle affermazioni perentorie dei capi dei due villaggi, Tusco aveva dedotto che in quel posto non c'era più niente da fare per lui, almeno bonariamente. Ma prima di levare le tende da Calput e congedarsi da loro due, mostrandosi paziente e determinato, aveva voluto esprimersi ai suoi illustri interlocutori con queste pesanti parole:

«Dal momento che le vostre posizioni circa le mie proposte sono irremovibili, non mi resta altro da fare che lasciare questo luogo e ritornarmene dal Grande Lupo per rapportargli quanto le mie orecchie hanno ascoltato dalle vostre labbra. Vi ripeto, però, che da parte vostra non è stata una mossa saggia l'esservi voluti mettere contro di lui, poiché egli, abbiatelo a mente, presto passerà ad attuare la sua tremenda vendetta. Così conoscerete la concretezza delle sue stragi, poiché esse faranno pagare ai vostri due popoli un alto tributo di sangue e li obbligheranno anche a versare fiumi di lacrime! Vi aggiungo che, se in seguito riterrete di aver sbagliato a rispondermi a tono in questo nostro attuale colloquio e desidererete rimediare, non vi sarà possibile contattarmi in alcun modo. Ma state tranquilli che sarò io a rifarmi vivo presso di voi per rendermi conto se nel frattempo siete rinsaviti! La mia nuova visita non avverrà, prima che siano trascorsi quindici giorni, da quando il Grande Lupo avrà iniziato ad attuare la sua vendetta, da lui ritenuta giusta!»


Era trascorsa una settimana, da quando Tusco era stato ricevuto dai capi dei villaggi di Calput e di Abruok, senza riuscire a sortire niente di ciò che egli si era proposto, quando era sopraggiunta la notte di plenilunio. Nel villaggio calputiano, la mezzanotte era trascorsa da un’ora e tutto sembrava procedere nella più assoluta normalità. Sopra di esso, c'erano a vegliare le sorridenti stelle e una smagliante luna piena, la quale rischiarava quasi a giorno la vallata sottostante. Inoltre, dappertutto il sonno si faceva avvertire dagli abitanti profondo e riposante. Intensificandosi poi in ognuno di loro l'attività onirica, essa aveva cominciato a colmarli di contenuti diversi, i quali erano da considerarsi piacevoli per alcuni e spiacevoli per altri, come succedeva ogni volta. Ma la folla dei sogni dei Calputiani era destinata ad avere vita breve, poiché ad un tratto la totalità dei cani del villaggio si era messa a guaire all'unisono. Perciò la cagnara non aveva tardato a distoglierli dal loro sonno, instillando nelle persone adulte e in quelle giovani un certo rincrescimento, il quale era dovuto al sopravvenuto forzato risveglio. Soprattutto era venuta ad aversi in ognuna di loro molta inquietudine, che adesso le faceva chiedere cosa mai fosse successo nel loro villaggio a quell'ora della notte, per spingere i cani a comportarsi in quel modo inusuale. Ma, a parere delle persone anziane, quegli abbai erano da considerarsi un evento fuori dell'ordinario, per il semplice fatto che era la prima volta che i cani del villaggio si erano dati a latrare tutti insieme nelle ore notturne, come se un pericolo incombente li minacciasse.

In un primo momento, si era tentato invano di chetare in un modo qualsiasi i cosiddetti amici dell'uomo, i quali, in quella evenienza notturna, erano da considerarsi i suoi fastidiosi nemici. In seguito, non erano servite a qualcosa neppure le sgridate dei loro padroni, allo scopo di farli smettere di abbaiare. Infatti, dopo che un terrore folle si era impadronito delle bestie, le spingeva a quello strano comportamento. Per cui esse non intendevano più ragione, intanto che venivano invitate al silenzio da più parti, perché cessassero di disturbare il sonno degli abitanti del luogo. I quali, alla fine, avevano deciso di scoprire le ragioni di quell'insolito atteggiamento degli inquieti cani. Così cinquanta guerrieri calputiani, guidati dal loro capo Suort, si erano dati a perlustrare l'intero villaggio, al fine di cercare di comprendere cosa mai faceva spaventare i fidati guardiani delle loro capanne. Ma durante le loro ricerche, vedendo che non erano in grado di individuare nulla di sospetto in nessun posto, i perlustratori calputiani le avevano sospese e se ne erano ritornati a dormire, ripromettendosi di proseguirle alle prime luci dell'alba. Anzi, al mattino essi le avrebbero estese anche alle zone circostanti, entro il raggio di un miglio, stimando più che ragionevole l'ampiezza del luogo da sottoporre alla loro ricognizione diurna.

Invece, quando era passato appena poco tempo, le medesime persone sarebbero state costrette a rinunciare a tale loro proposito della notte, a causa di un nuovo sconcertante fatto, il quale sarebbe sopravvenuto poco più tardi. Infatti, gli abitanti del villaggio si erano appena ributtati sui loro giacigli, allorché un ululato di una intensità incredibile era venuto a lacerare la quiete notturna, facendo perfino vibrare le loro capanne per alcuni secondi. In verità, esso aveva perforato soprattutto gli animi dei Calputiani, che ne erano rimasti insolitamente scossi e allibiti, a causa dello spavento provato sul momento. Quel verso, in un certo qual modo, li aveva sbattuti in un travaglio e in un'angoscia notevoli, considerato che l’uno e l’altra si erano fatti avvertire da loro scombussolanti e deprimenti. Quando poi l'incubo di quell'ululato era divenuto una ossessione incontrollabile per i Calputiani, che ora erano tutti svegli, li si erano visti uscire dalle loro casupole e formare dei capannelli al chiarore lunare. Stando poi radunati in molteplici crocchi, essi si andavano chiedendo quale gigantesca bestia avesse potuto emettere un grido così spaventoso, simile al verso di un lupo, ma molto più forte. Esso era risultato amplificato al massimo, fino a rimbombare possente e tremendo, quasi si fosse trattato di un tuono fragoroso! Solo il loro capo Suort, rifacendosi alla visita di Tusco e a quanto il forestiero aveva riferito sul Grande Lupo, subito aveva intuito come stavano realmente le cose; né gli era stato difficile immaginarsi la verità. Per il momento, però, aveva preferito non svelarla al suo popolo. Invece poco dopo, preoccupandosi per l'incolumità dei suoi conterranei, aveva dato ordine a tutti loro di evacuare alla svelta il villaggio e di dirigersi verso Abruok. Nella fretta di scappare a rotta di collo, parecchi Calputiani avevano dimenticato di slegare i loro cani, i quali, per tale motivo, vi erano rimasti in preda a uno spavento inverosimile. Inoltre, avvenuto l'esodo dei loro padroni dal villaggio, essi, intanto che si agitavano e si dimenavano, facevano l'impossibile per liberarsi dai loro resistenti guinzagli!

Quella stessa notte, l'intera popolazione calputiana era riuscita a raggiungere indenne il villaggio di Abruok e ad unirsi ai suoi abitanti; ma la paura aveva continuato a spadroneggiare nei loro animi fino a giorno fatto. Quanto a Creus e Suort, dopo essersi consultati fra di loro sull'episodio che c'era stato nella notte a Calput, avevano deciso di convocare gli anziani dei due villaggi. I due capi innanzitutto desideravano metterli al corrente di come stavano effettivamente le cose e poi intendevano ricevere dagli stessi anche i loro preziosi pareri a tale riguardo. In realtà, neppure una di quelle persone si era voluta pronunciare sulla vicenda, visto che nessun pericolo concreto non aveva ancora minacciato o stava mettendo a rischio l'integrità fisica delle loro due popolazioni. Secondo loro, l'enorme ululato, che era stato udito da tutti quanti i Calputiani, poteva essere stato anche opera del vento, il quale a volte riusciva ad esprimersi in quel modo. Lo dimostrava il fatto che, nei minuti che erano seguiti, non c’erano state né l'apparizione della feroce bestia che lo avrebbe emesso, né alcuna strage da parte della stessa, a scapito degli impauriti fuggiaschi calputiani. Allora, come misure precauzionali, il consiglio degli anziani aveva stabilito di inviare un centinaio di Calputiani armati nel loro villaggio con dei compiti ben precisi. Essi avrebbero dovuto controllare se ogni cosa vi fosse rimasta integra al suo posto, ossia esattamente come l'avevano lasciata, prima della loro fuga precipitosa. Oltre a ciò, si sarebbero dovuti sincerare se nottetempo vi fosse accaduto qualcosa di anormale, arrecando danni tanto alle cose quanto alle bestie in esso abbandonate e tenute legate ad un albero.

Quando i cento guerrieri inviati a Calput per eseguirvi il loro minuzioso controllo ne erano ritornati, colui che li aveva guidati, cioè Teruv, aveva riferito ai capi dei due villaggi quanto egli e i suoi uomini vi avevano scoperto. Nel villaggio, più che l'esiguo numero di capanne sconquassate, li avevano impressionati la fine incredibile che era toccata ad una sessantina dei loro cani rimasti legati nel villaggio. Dei poveretti, si erano potute vedere solamente le teste, essendo stati privati di ogni altra parte del corpo. Ma la loro attenzione si era concentrata particolarmente sulle orme della famelica bestia, che aveva fatto la sua incursione nel villaggio calputiano. Pur non essendoci dubbi che le zampate sul suolo appartenevano ad un lupo, essendo uguale la forma, esse, per la loro enormità, avevano reso bene l’idea delle proporzioni gigantesche dell'animale che ve le aveva lasciate. La qual cosa aveva fatto accapponare la pelle all'intero gruppo perlustratore. Essi ne avevano tremato a tal punto, che erano ripartiti a gambe levate alla volta di Abruok; ma prima avevano liberato dai loro guinzagli i restanti cani rimasti indenni, i quali non attendevano altro. Di fronte a quelle notizie raccapriccianti, tanto gli anziani quanto i capi dell'uno e dell'altro villaggio, si erano mostrati molto preoccupati. Ma essi non si erano ancora decisi a trovare un rifugio sicuro per i loro popoli, dubitando che la bestia potesse fare irruzione pure in Abruok ed assalirvi i suoi abitanti. Invece, nella notte che stava per sopraggiungere, essa si sarebbe presentata nel villaggio così orribile e nefasta, che in seguito sia i Calputiani che gli Abruokesi difficilmente se la sarebbero più dimenticata. Difatti entrambi i popoli avrebbero seguitato a viverla a lungo e in preda ad uno sgomento scioccante, il quale non li avrebbe più abbandonati per l’intera esistenza.

In Abruok, la nuova chiara notte aveva appena gettato ogni persona nell'abbraccio suadente del sonno, allorquando ciascuna di loro era stata destata dallo stesso terrificante ululato, quello che i Calputiani già avevano udito nel loro villaggio. Nel contempo, anche i cani avevano dato inizio in massa alla loro stizzosa cagnara, la quale risultava assordante oltre ogni limite e non si lasciava placare da nessuno e da niente. Allora, in tutti gli Abruokesi e nei loro ospiti calputiani, era cominciata a prodursi un'agitazione ossessiva. Comunque, nessuno di loro, compresi i due capi, si decideva a dare delle direttive agli altri, circa il comportamento da assumere in quella circostanza infelice. Ma se ognuno se ne restava inattivo ed inconcludente nel risolversi in qualche modo, sventuratamente non aveva voluto imitarli nel loro atteggiamento passivo la smisurata bestia. Essa, che prima era stata l'autrice dell'agghiacciante ululato, adesso si preparava a fare la sua orrenda strage. All'improvviso, la sua straordinaria mole brunastra era stata vista sbucare da dietro alcune capanne periferiche. Dopo non aveva perso tempo a piombare famelicamente tra la numerosa folla composta dai Calputiani e dagli Abruokesi. Tutti avevano scorto l'orrenda bestia, mentre dava il suo balzo brutale; ma alcuni di loro non avevano potuto fare delle considerazioni di nessun tipo in merito ad essa. Essendo rimasti schiacciati dal suo peso esorbitante oppure sventrati dai suoi artigli poderosi, erano spirati sul colpo, senza nemmeno avvertire qualche tipo di sofferenza.

La sua spropositata corporatura, la quale aveva un aspetto lupino e si presentava con le dimensioni a noi già note, aveva terrorizzato quanti non avevano avuto la sventura di venire travolti dal suo assalto brutale. Così il panico, dopo aver dominato nell'intero villaggio ed aver soggiogato quelli che vi erano rimasti illesi, li aveva spinti ad un fuggifuggi generale. Ma non erano mancati fra loro alcuni uomini temerari, i quali si erano preoccupati di colpirlo con le loro lance e con le loro frecce. Tali armi non erano state in grado di arrecargli alcun danno fisico di un certo rilievo, al fine di renderlo inoffensivo. La sua pelle era risultata di una durezza tale, da non lasciarsi trapassare dalle punte di simili armi da lancio. Allora i loro lanciatori avevano cercato di svignarsela in gran fretta, non appena si erano resi conto della loro inefficacia e della inutilità dei loro tentativi di colpirla e di ferirla in qualche sua parte.

Ritornando all'immane bestia, la quale era Tusco che era ridiventato il Grande Lupo, essa era capace di fare balzi in avanti così grandi, da superare perfino i dieci metri di altezza e i venti metri di lunghezza. Inoltre, quando ricadeva al suolo, questo era soggetto a delle forti vibrazioni, come se fosse stato colpito da una scossa tellurica di lieve entità. Ma non erano quelle sue caratteristiche a rendere il Grande Lupo inviso alla spaventata gente. A farglielo risultare di una odiosità abominevole, erano la sua ferocia e la sua tendenza a seminare strage fra gli animali e le persone del luogo. Tanto più che esso era abituato a fare un orrendo strazio dei corpi delle sue vittime, prima di divorarseli. Dopo aver dato il suo primo assalto alla grande moltitudine di persone che gli si erano presentate a portata di zampa, piombando in mezzo a loro con inaudita veemenza e spiaccicandone una ventina sul suolo, il Grande Lupo non si era sentito ancora completamente sazio. La belva assassina, nonostante ne avesse divorato i corpi, ad eccezione dei teschi e delle ossa più grosse, a causa della sua ingordigia, si era sentita ancora lo stomaco parzialmente vuoto. Perciò si era lanciata all'inseguimento di altre persone e di altri animali, assegnando alle sue prede fuggiasche una fine orribile e miserabile. Durante la spietata caccia, che essa aveva condotto contro uomini e bestie, nel villaggio di Abruok era sembrato che fosse giunta la fine del mondo. Sia gli uni che le altre erano sembrati impazziti, mentre cercavano di sfuggire all'insaziabile bestia con la fuga oppure rintanandosi in qualche cavità del terreno che era risultata inaccessibile al solo loro feroce cacciatore.

Così in ogni luogo si era assistito ai pianti senza fine dei bambini e alle urla disperate delle donne, non sapendo gli uni e le altre dove andare e quale direzione prendere, pur di ovviare al pericolo che era rappresentato dal terribile predatore. Il quale ogni tanto faceva la sua subitanea apparizione dove la gente meno se lo aspettava. Ogni volta che aveva assalito un essere vivente, lo aveva freddato all'istante con le sue unghie e ne aveva scarnificato le ossa del corpo. Dopo averla maciullata con le sue zanne, che erano acuminate come pugnali, il mostruoso essere era passato a divorarsela con sua grande soddisfazione. Quando infine nel suo stomaco era venuto meno ogni languore, il mostro aveva disertato il suo campo di caccia e si era addentrato nel vicino bosco. Dove aveva cercato un posto tranquillo per poter digerire con comodo e fare una bella dormita. Solo allora i restanti abitanti, che in precedenza si erano sentiti perseguitati alla stessa stregua degli altri che erano periti durante l’assalto della belva, avevano tirato un lungo sospiro di sollievo, per aver ritrovato finalmente un po' della pace smarrita.

Bisogna far presente che il Grande Lupo preferiva cacciare e sfamarsi solamente di notte, cioè quando i suoi sensi si rivelavano al massimo dell'efficienza. Al contrario, quelli delle sue prede si presentavano immersi nel torpore più assoluto. Ecco perché era sua abitudine darsi al sonno e al riposo sempre di giorno, a meno che degli scocciatori non fossero andati a distrarlo dalle sue abitudini. In quel caso, la sua furia faceva una eccezione e si dava ad imperversare contro i suoi disturbatori anche nelle ore diurne nella maniera più distruttiva, facendoli pentire di avergli disturbato il sonno e il riposo.


Allo spuntare del nuovo giorno, essendosi resi conto che il Grande Lupo aveva abbandonato Abruok, i due capi Creus e Suort erano passati a registrare le perdite e i danni che si erano avuti nel villaggio, allo scopo di calcolarne l'entità. Allora avevano potuto constatare che erano state distrutte una trentina di capanne; mentre il numero delle vittime si aggirava sulle venti unità quelle umane e sulle dieci unità quelle animali. Queste ultime comprendevano sette pecore e tre buoi. Ad atterrire di più gli autorevoli personaggi dei due villaggi, era stato il modo orripilante con cui la belva aveva assalito e divorato la totalità delle sue prede. Essi avevano preso coscienza che le loro ossa scarnite erano sparse qua e là in vari posti del villaggio, il quale adesso appariva agli occhi di tutti disastrato in modo da fare una tremenda paura. Allora, fatto l'agghiacciante bilancio della situazione, i due capi Creus e Suort, attraverso il suono dei corni, si erano affrettati a chiamare a raccolta i loro popoli. Questi si trovavano sparpagliati e nascosti nella boscaglia circostante, dove si erano rifugiati per sfuggire alla ferocia dell’ingordo bestione. Avvenuto poi il rientro nel villaggio da parte delle due popolazioni, che la brutta circostanza aveva mandato allo sbaraglio durante le ore notturne, i due capi avevano convocato di nuovo il consiglio degli anziani. Essi volevano tentare di trovare insieme con i suoi membri una soluzione concreta al problema rappresentato dal Grande Lupo. Il quale risultava così arduo ed ostico, da non potersi assolutamente gestire con facilità. Il primo dei presenti a prendere la parola era stato Creus, dicendo:

«La nostra è una situazione assai difficile. Perciò dobbiamo ponderarla alla svelta e nella maniera giusta. In questo modo, eviteremo che i nostri popoli vengano uccisi e divorati totalmente dalla bestia nostra nemica. Se anche voi foste d'accordo, suggerirei di tenderle una trappola micidiale e di farla finita per sempre con essa. Allora cosa ne dite di questa mia idea, che trovo abbastanza accettabile?»

Allora Suort, che non la pensava come lui, oltre a dissentire da quanto aveva suggerito il suo omologo di Abruok, aveva avanzato a quanti erano presenti una propria proposta. La quale, secondo lui, era da considerarsi molto ragionevole. Egli gli aveva fatto presente:

«A mio parere, Creus, il tuo non mi sembra un suggerimento sensato. Hai forse dimenticato che il forestiero Tusco ci disse che il Grande Lupo rappresenta l'incarnazione di una divinità? Se ciò risultasse vero, come verace è risultata l'esistenza di un lupo gigantesco e spaventoso, non solo falliremmo nel nostro intento di ucciderlo, ma pure peggioreremmo ulteriormente la nostra situazione. Allora la sua vendetta contro di noi si farebbe avvertire più spietata di quanto non lo sia già stata nelle ultime due notti trascorse. Quindi, non potendo fare altro, siccome abbiamo le mani legate, propongo di arrenderci alla sua volontà. Soltanto agendo nel modo da me consigliato, eviteremo la rovina sia del popolo abruokese sia di quello calputiano. Comunque, trovo giusto, da parte nostra, sentire anche cosa suggeriscono gli altri membri del Consiglio degli Anziani, i quali sono tuti qui radunati con noi!»

«Anch'io sono della medesima opinione del capo di Calput.» aveva acconsentito Brusso, che era il più anziano dei membri abruokesi «Perciò pregherei anche il mio capo di piegarsi ai voleri del Grande Lupo, prima che avvenga la distruzione dei nostri villaggi e la fine dei nostri popoli. Dunque, si mandi a chiamare immediatamente Tusco e lo si metta al corrente che desideriamo collaborare con la sua divinità, impegnandoci fin da subito ad eseguire ogni cosa che essa vorrà ordinarci!»

«Purtroppo è impossibile rintracciare Tusco e fargli pervenire un nostro messaggio» gli aveva risposto Suort «Il forestiero, quando ci si presentò, ci disse pure che, soltanto dopo essere trascorsi quindici giorni di strage del Grande Lupo, egli si sarebbe rifatto vivo per rivolgerci ancora la medesima richiesta di collaborazione. Perciò, fino a quel momento, sarebbe stato vano ogni nostro tentativo di contattarlo, visto che egli sarebbe risultato irreperibile. Ora invece possiamo solo cercare un ripiego temporaneo alla nostra terribile situazione attuale. Ossia, bisogna trovare il modo di evitare di farci raggiungere dal Grande Lupo nelle ore della notte, poiché, come abbiamo notato, è in quest’arco di tempo che l’ingordo mostro preferisce darsi alle sue cruente incursioni. Ma nel frattempo cosa possiamo proporci di fare, a salvezza della nostra gente?»

Questa volta la proposta di Suort, non essendoci altra soluzione, aveva ottenuto l'assenso generale dei membri dei due consigli unificati. Ma riguardo al loro atteggiamento futuro, era stato Brusso ad esprimersi sull'argomento, suggerendo quanto segue:

«Per tenere lontano il Grande Lupo dalle donne, dai vecchi e dai bambini, non bisogna fare altro che trasferire costoro in un luogo dove la spaventosa belva non possa avvicinarli ed aggredirli. Ebbene, un posto del genere c'è e non è molto lontano da Abruok. Mi riferisco alle spelonche che si trovano lungo la sponda occidentale del fiume, il quale scorre a dieci miglia da qui. Statene certi che il loro ragguardevole numero e la profondità di alcune di loro riusciranno ad ospitare per intero entrambe le nostre popolazioni passive. Invece i loro angusti imbocchi impediranno al predatore di entrarvi e di farne delle spaventose stragi. Allora siete d'accordo pure voi a prendere un simile provvedimento? Attendo una vostra risposta, che spero sia davvero sollecita!»

«Certo che siamo d’accordo, Brusso!» gli rispose Creus, a nome di tutti «Ma non ci hai detto che cosa nel frattempo dovrebbero fare tutte le altre persone diverse da loro per sesso e per età. Vuoi dircelo?»

«Quanto alla salvaguardia delle nostre popolazioni attive, avrei in mente qualcos'altro, che si potrà conseguire senza difficoltà e con il minimo sforzo, come adesso vi spiego. Non credo affatto che il Grande Lupo incarni qualche divinità; al contrario, sono convinto che in esso ci sia solo la ferinità della bestia, per il semplice fatto che il suo attacco è stato sferrato anche contro gli animali. Per questo motivo, propongo di dividere i nostri uomini in due gruppi. Il primo si preoccuperà di approvvigionare le persone che troveranno rifugio nelle grotte; mentre il secondo si adopererà per procurare al Grande Lupo il cibo necessario a saziarlo, facendoglielo trovare già bell'e pronto. Secondo me, se il mostruoso canide nel nostro villaggio troverà l'intero suo pasto raccolto in un unico posto, baderà soltanto a divorarselo in santa pace, senza infierire subito dopo contro di noi mediante la sua feroce caccia!»

Anche se i capi Creus e Suort non avevano condiviso appieno le convinzioni di Brusso espresse sulla divinità del Grande Lupo, essi non avevano trovato difficoltà ad accettare le sue due proposte, anche perché tentare non nuoceva a nessuno. Perciò avevano dato ordine ai rispettivi popoli di passare alla loro fase esecutiva. Così, prima che le tenebre completassero l'oscuramento dell'intero paesaggio naturale, l'una e l'altra operazione erano state portate a termine senza alcuna difficoltà. A tutti, però, importava sapere principalmente se la seconda operazione avrebbe dato i suoi frutti, stornando da loro il pericolo e la minaccia del Grande Lupo. La notte allora era venuta a dissipare ogni loro tormentoso dubbio in proposito. Infatti, nelle ore notturne, la mastodontica belva dagli occhi roventi aveva espresso la sua predilezione per il gruppo degli animali selvatici da loro rinchiusi in un recinto, i quali erano bastati a soddisfare interamente la sua fame. Dopo averli divorati, essa se ne era ritornata nel bosco a riposare presso un riposto angolo, senza preoccuparsi per niente di dare la caccia alla specie umana. La qual cosa aveva fatto prendere atto ai Calputiani e agli Abruokesi che la teoria formulata da Brusso era esatta. Per questo, nelle successive tredici notti che restavano, ogni volta essi erano ricorsi al medesimo espediente adottato nella prima notte. In quella maniera, avevano evitato di vivere nel terrore e nella frustrazione, che da esso provenivano a tutti loro.