244°-LE ALTRE TRE UCCISIONI COMMESSE A BORCHIO DAI KIRPUS

Alla vista dei cadaveri dei nove fratelli Kirpus, i quali da poco erano stati gli uccisori di suo padre, Speon non voleva credere ai propri occhi, per cui si diede ad una grande festa e a fare salti di gioia. Una euforia inesprimibile, ad un tratto, venne ad avviluppare l’intera sua sfera psichica e quella spirituale, portandogli l'una e l'altra al settimo cielo. Addirittura non riusciva a far fronte a quell'onda di emozioni, che all'improvviso erano piombate su di lui inattese ed assai gradevoli. Ma non mancarono neppure dei momenti, durante i quali il giovane borchiese credette proprio di stare a sognare. Perciò si poteva affermare che il giubilo veniva così intensamente vissuto da lui, da pervaderlo in una maniera mai conosciuta fino a quel giorno meraviglioso. Alla fine, allo scopo di ringraziarli per il miracolo da loro compiuto in quell'incantevole mattino, il poveretto si rivolse ad Iveonte e al suo amico Tionteo, esprimendosi con queste sentite parole:

«Gli dèi vi siano sempre propizi, miei magnanimi salvatori e benefattori anche di tanti altri abitanti della zona! Da oggi in avanti, la morte dei fratelli Kirpus, avendoli liberati dalle loro enormi vessazioni, recherà una immensa consolazione a quanti dimorano nei venticinque villaggi della Regione dei Laghi. Perciò essi vorranno senza dubbio ricompensarvi di quanto avete fatto per tutti loro, visto che non è poco! Grazie a voi, gli abitanti di tali villaggi non vivranno più nell'incubo della paura, dell'abuso e della crudeltà; ma risorgeranno a vita novella. Dal loro volto traspariranno ancora una volta la spensieratezza e la felicità, mentre il loro cuore non temerà più alcuna grassazione ed alcun eccidio. Sono lieto di ricredermi nei riguardi della natura e ritiro le accuse che ieri ho mosso contro di essa. Come ho potuto constatare stamattina, non è vero che madre natura si dimostra sempre insensibile ai maltrattamenti e alle ignominie che l'uomo debole è costretto a subire, per colpa del proprio simile più forte. Essa a volte, come è accaduto stamani, si muove a pietà degli oppressi ed incarica degli eroi del vostro calibro di riscattarli dal loro stato di coatto dispotismo e di dura sofferenza.»

Dopo quel suo ringraziamento sincero, il quale gli era uscito spontaneo dal cuore, come segno di gratitudine, Speon non poté fare a meno di chiedere ai suoi due soccorritori:

«Adesso, cari amici miei, mi è permesso di chiedervi qual è la ragione per cui siete venuti nelle nostre terre e qual è la località, alla quale siete diretti? Riferendomi l’una e l’altra, magari potrei esservi di qualche aiuto, essendo un ottimo conoscitore di gran parte di questi luoghi e degli altri che si trovano oltre la Regione dei Laghi.»

«Speon, se proprio ci tieni a saperlo, la nostra meta è l'isola di Tasmina e ci andiamo per una ragione molto seria!» gli rispose Iveonte con una certa pacatezza.

«Stai proprio parlando dell'Isola della Morte, Iveonte?!» domandò Speon, enormemente sorpreso, senza astenersi dall’aggiungendo subito dopo «Per il vostro bene, spero proprio di aver capito male!»

«Invece, Speon, siamo diretti proprio a quell’isola malfamata!» acconsentì il giovane «Naturalmente, dei motivi di vitale importanza mi spingono fino a Tasmina, se ho deciso di andarci. Siccome vi è sepolta la mia memoria, dovrò cercarvi il vero me stesso e recuperarvi la mia identità. Il suo dominatore, che è il mago Zurlof, con le buone o con le cattive, dovrà aiutarmi a scoprire chi io sono realmente, considerato che ignoro ogni cosa riguardante la mia esistenza passata. Il mio amico Tionteo si è offerto di accompagnarmi nel lungo viaggio; però non sarà con me, quando sbarcherò sull'Isola della Morte, dove mi attendono terribili prove. Egli, perciò, aspetterà il mio ritorno sulla terraferma.»

«Invece ti scongiuro di non andarci, Iveonte, e di goderti la vita lontano da essa, poiché quanti vi sono sbarcati non ne sono più tornati. Si dice che molte insidie malefiche e vari portentosi incantesimi vengono a soggiogare chiunque vi sbarchi, privandolo di tutte le sue energie vitali. Perfino il suo tetro profilo, il quale si staglia tra una ridda di marosi infuriati e travolgenti, ha un aspetto funesto e preannuncia una morte certa e violenta a quanti decidono di visitare Tasmina. Inoltre, le donne che hanno la sventura di partorire in vista della maledetta isola, un attimo dopo aver dato alla luce la loro creatura, non sopravvivono al parto e muoiono senza un motivo apparente. La stessa cosa capitò alla mia povera madre, quando mi mise al mondo, poiché ella si trovò a partorire precisamente in quel luogo! Adesso, Iveonte, ti sei reso conto di quanto è pericolosa Tasmina per chi vi sbarca?»

«È inutile che cerchi di dissuadermi, Speon!» concluse il giovane eroe «Né quelli da te citati né altri pericoli mille volte più perniciosi potranno mai farmi cambiare idea, poiché oramai sono pronto ad affrontarli tutti con animo intrepido. Invece, amico mio, anziché cercare di distogliermi dal mio viaggio, perché non ci fai conoscere il tuo villaggio e gli abitanti che vi dimorano? Sappi che visiteremo con molto piacere l'uno e gli altri, se vorrai farci da accompagnatore! Allora appaghi il nostro desiderio?»

«Con somma gioia, Iveonte, tra poco vi accompagnerò a Borchio, anche perché era già mia intenzione farlo. I miei conterranei saranno lieti di ospitarvi e di offrirvi ogni cosa che vi abbisognerà per proseguire in seguito il vostro lunghissimo viaggio. Ne sono certissimo!»

Così Iveonte, Tionteo e Speon si misero in cammino verso il villaggio di Borchio e vi giunsero al tramonto dello stesso giorno. Una volta che furono nella piccola località borchiese, i due giovani amici vi poterono notare varie costruzioni, alcune in pietra e altre ottenute con materiale deperibile, come capanne e tucul. Ma tutte si presentavano in uno stato più o meno decente. Allora la totalità dei Borchiesi, non appena ebbero appreso dal figlio di Vusto che Iveonte e Tionteo avevano eliminato i fratelli Kirpus, oltre a considerarli loro salvatori, li giudicarono dei magnanimi eroi pronti a prendere le difese dei più deboli. Perciò il minimo che poterono fare per loro due fu quello di accoglierli con caldi applausi ed osannarli con grande fervore. Inoltre, riservarono ad entrambi una ospitalità senza pari, volendo disobbligarsi in qualche modo con loro. Dopo averli festeggiati, gli abitanti del villaggio misero a loro disposizione ciò che era di loro appartenenza. Invece l’infelice Speon non poté rallegrarsi insieme con gli altri, essendo venuto a conoscenza di fatti orribili, dei quali erano rimasti vittime prima il padre Vusto e la sua Cresia, successivamente anche l'amico Burdino e la sua ragazza Tirna. Il poveretto, non appena era giunto nel villaggio, aveva cercato di avere notizie delle persone che gli erano più care. Il genitore, ovviamente, era stato escluso dalle sue ricerche, avendo già appreso dall’amico in quale modo egli era stato massacrato dai Kirpus.

Adesso ci conviene apprendere quali erano stati i fatti, dei quali il giovane era stato reso edotto. Senz’altro, vale la pena conoscerli, dal momento che essi ci consentiranno di comprendere anche il motivo del disastroso stato d'animo, a cui il nostro Speon era andato incontro. In questo modo, non resteremo all’oscuro della ferocia disumana ed inconcepibile, di cui si erano rese responsabili le belve umane rappresentate dai fratelli Kirpus. Infatti, conosceremo in che modo tali mostri avevano voluto giustiziare tutti coloro che avevano avuto a che fare con il fidanzamento della loro sorella con Speon, l'unigenito di Vusto. Come rovescio della medaglia, però, accadrà che alcuni lettori conosceranno tali fatti inauditi senza mostrarsi affatto sereni, ma andando incontro a veri patemi d’animo. Per intanto anticipiamo che tali fatti, dopo che Speon li avrà appresi, lo trasformeranno in una specie di rottame della società. Ma ora ci conviene andare avanti e ripescarli nei luoghi e nei tempi nei quali c’era stato il loro tragico svolgimento.

Siccome i loro appuntamenti amorosi duravano da circa un anno, il figlio di Vusto e Cresia, come già abbiamo appreso, avevano considerato più giusto continuare a vivere il loro amore alla luce del sole, cioè rendendone partecipi prima i fratelli di lei e poi il genitore di lui. Comunque, Speon se ne era ben guardato dall'affrontare direttamente i germani della sua ragazza, al fine di metterli al corrente del loro amore e di chiedere agli stessi la mano della sorella. Quella sua precauzione era stata considerata d’obbligo, poiché da quei tipi facinorosi potevano attendersi le reazioni più crudelmente impensabili, per cui non intendeva rischiare. Ecco perché egli aveva affidato quella delicata incombenza a Cresia, la quale si era assunta anche l'incarico di fargli conoscere tramite Burdino i risultati del suo incontro avuto con i fratelli. Nel frattempo, sempre a scopo cautelativo, Speon se ne sarebbe rimasto nascosto nella capanna dell’amico intimo, la quale si trovava a quasi un miglio dal villaggio, in mezzo ad una piccola radura. Anzi, come da accordi presi, egli vi sarebbe rimasto, fino a quando non si fosse conosciuta la reazione dei fratelli della sua amata, al ricevimento di una simile delicata notizia.

Cresia non aveva avuto alcuna difficoltà a promettere a Speon di parlare con i fratelli del proprio amore che nutriva per lui e gli aveva anche garantito che quanto prima lo avrebbe fatto. Esattamente, ella gliene avrebbe parlato non appena essi fossero ritornati a casa, dopo il loro ennesimo viaggio. Infatti, i figli del defunto Zonk erano soliti intraprendere dei lunghi viaggi, che venivano effettuati da loro esclusivamente per arrecare terrore e disperazione alla povera gente degli altri villaggi, di quelli che si trovavano vicini e di quelli che erano più lontani.

Allora noi adesso ne seguiremo, passo passo, l'intero evolversi della tragica vicenda già avvenuta. Essa, senza dubbio, riuscirà unicamente a riempirci l’animo di profondo sgomento e a farci provare per essa uno sconsolante ribrezzo.


Quando i suoi nove fratelli erano stati di ritorno dall’ultimo loro viaggio intrapreso, sempre a scopo di estorsione e di abusi vari, la ragazza non aveva perso tempo a renderli partecipi della sua relazione amorosa con il figlio di Vusto. Ella aveva fatto anche presente a tutti loro che lo amava con tutta sé stessa e che perciò le avrebbe fatto piacere, se essi non vi avessero trovato nulla in contrario. Invece, subito dopo avere appreso tale notizia dalla sorella, tutti i suoi fratelli le avevano lanciato degli sguardi biechi. In pari tempo, li si erano visti accendersi d'ira e di odio, mettendosi a manifestarle subito degli atteggiamenti, i quali l'avevano raggelata e spaventata a morte. La poveretta, un attimo dopo aver fatto il suo annuncio, si era resa conto che lei e il suo innamorato avevano commesso un marchiano errore, quando avevano deciso di informare i suoi inumani fratelli dell'amore sbocciato fra loro due. Essi, ingenuamente, non avevano considerato il fatto che quegli esseri obbrobriosi, essendo incapaci di coltivarli, non potevano neppure comprendere i tanti nobili sentimenti che erano propri dell'essere umano. Invece quei duri ceffi erano abituati soltanto a infischiarsene e a calpestarli. Riflettendoci bene, la ragazza si rendeva conto che lei e Speon avrebbero fatto meglio ad abbandonare il loro villaggio, andandosene a vivere il loro intenso amore in un’altra località, la quale risultasse la più lontana possibile, ossia dove i suoi fratelli non avrebbero mai potuto scovarli. Ma ormai il guaio era stato fatto ed era troppo tardi, sia per pentirsi dello sbaglio commesso sia per esprimere qualche disappunto a tale riguardo, al fine di recriminarci sopra.

Cresia, quindi, dall’atteggiamento maligno dei fratelli, all'istante si era accorta di avere acceso una miccia, che invece sarebbe stato meglio tenerla spenta. Essa, perciò, molto presto ed inesorabilmente, avrebbe dato avvio ad una devastante deflagrazione di collera da parte dei suoi nove germani. Lo faceva prevedere in modo inequivocabile la mimica furente, che in quel momento era impressa sui loro volti agitati. La quale, se non si ingannava, si dimostrava foriera di una imminente rappresaglia sulla sua persona. Da parte sua, però, adesso poteva solo rintanarsi in una fiduciosa attesa, nella speranza che le cose sarebbero andate non come le apparenze facevano pensare e temere. Si era perfino augurata che alla fine le reazioni dei suoi accigliati fratelli risultassero meno drastiche e spietate di come si lasciavano prevedere. Al contrario, proprio come la ragazza aveva percepito fin dall'inizio, studiando l'espressione dei loro volti, i fratelli, dopo averle fatto vivere l'incubo della minaccia attraverso i loro terribili atteggiamenti esteriori, infine erano passati a concretizzarla nella maniera più barbara e più efferata. Essi non avevano voluto neppure tener conto del fatto che ella, fino ad un attimo prima, aveva rappresentato per loro una dolce e preziosa sorella. Anzi, era stata colei che amavano e stimavano più di ogni altro essere al mondo, per la quale avrebbero fatto qualsiasi cosa, fino a sfidare il mondo intero per difenderla e proteggerla da chiunque.

Il primo a scagliarsi contro la sorella era stato Truop, il secondogenito dei fratelli. Il quale, dopo averla presa per i capelli, l'aveva trascinata con forza nel cortile interno della loro abitazione. Nell’agire in quella sadica maniera, egli si era mostrato incurante delle urla di dolore e di disperazione, che la poveretta andava emettendo molto pietosamente. Esse, essendo molto forti, si udivano anche nei luoghi viciniori. In seguito, dopo che tali esseri brutali si erano riversati tutti fuori, l'ottavogenito Morez non aveva esitato a fare agli altri germani, che erano esagitati quanto lui, la seguente proposta:

«Se siete anche voi d'accordo, fratelli, suggerisco di legarle prima gli arti e il collo con delle funi. Dopo fermeremo gli altri loro cinque capi alle selle di altrettanti nostri cavalli. Infine ci daremo a spronare le bestie, perché esercitino sulle corde un tiro selvaggio. Vi prometto che assisteremo ad un magnifico spettacolo che, in vita nostra, non ci è mai capitato di presenziare! Allora vi piace la mia interessante iniziativa?»

L'insana proposta dello scellerato Kirpus era stata subito accolta dagli altri del gruppo selvaggio, nonostante la sorella li implorasse con pianti e grida a non sottoporre il suo corpo ad una simile tortura. Invece Pellio ed Ocedo, rispettivamente quintogenito e sestogenito della famiglia, senza darle retta, si erano affrettati ad approntare le funi e i cavalli, al fine di rendere effettiva l'ignobile trovata di Morez. Perciò, dopo aver legato la sorella come aveva suggerito il loro fratello minore, erano saliti sulle loro bestie. Dal canto loro, Truop, Leun e Reliok si erano offerti di partecipare al tiro, cavalcando i loro cavalli. Così, non appena si era dato inizio al supplizio della miserabile Cresia, erano stati i suoi arti superiori a staccarsi per primi dal suo tronco. Un attimo dopo, però, anche la testa aveva fatto la stessa fine. Per cui gli uni e l’altra erano spiccati subito nella polvere e l'avevano intrisa di sangue. Pochi istanti più tardi, si erano viste pure le gambe divellersi dai ginocchi e lasciarsi andare per terra inerti e sanguinolente. A quel punto cruciale, anche il restante corpo, che non era più sorretto dalle funi tese, era piombato al suolo orribilmente mutilato. Infatti, restavano attaccate al tronco le sole cosce della vittima. Per fortuna la rapida amputazione del suo capo aveva fatto evitare alla ragazza l'intera serie di sofferenze che avrebbe dovuto sopportare, se il martirio si fosse protratto più a lungo di quanto era durato.

Dopo aver punito la sorella, sottoponendo il suo corpo allo scempio orribile che abbiamo seguito, i fratelli Kirpus si erano precipitati alla bottega di Vusto. Ma in quel luogo, non essendo riusciti ad avere dal padre notizie del figlio e del luogo dove egli si teneva nascosto, essendo lo sventurato ignaro di ogni cosa, non avevano esitato ad accopparlo. Egli era stato infilzato per tre volte consecutive da Noruv, il settimogenito degli impietosi fratelli Kirpus. Non bastando ciò, essi avevano dato alle fiamme la sua casa; ma prima l'avevano razziata di tutti i beni che vi erano custoditi, ossia tanto quelli in vendita quanto quelli in lavorazione. In quell’occasione, ogni loro movimento era stato spiato da molto vicino da Burdino. L'atterrito giovane, avendo prima udito le urla di Cresia dall'esterno della sua casa ed assistito dopo all'assassinio di Vusto, non aveva perso tempo a raggiungere Speon. Così lo aveva ragguagliato su ciò che era accaduto a suo padre e alla sua fidanzata. Su quest'ultima, però, egli aveva potuto fornire soltanto notizie frammentarie ed incomplete. Infatti, non poteva essere al corrente di ciò che realmente era accaduto alla ragazza nella parte retrostante della casa, ossia nell’adiacente cortile. Inoltre, dopo aver riferito ogni cosa al suo grande amico che lo aspettava, Burdino, come già abbiamo appreso da Speon, gli aveva ceduto il proprio cavallo e lo aveva esortato ad allontanarsi quanto più possibile dal loro villaggio, senza porre tempo in mezzo. Soltanto in quel modo egli avrebbe evitato che gli spietati Kirpus lo raggiungessero in poco tempo e lo ammazzassero.

Nel frattempo che Burdino avvisava Speon di ciò che aveva udito e visto al villaggio, i nove fratelli di Cresia non avevano posto fine alle loro ricerche. Dietro suggerimento del più piccolo di loro, si erano diretti alla casa di Tirna, l'amica del cuore della sorella, essendo intenzionati a cavarle di bocca con la tortura ciò che intendevano sapere da lei. Così, una volta giunti nella sua abitazione, essi l'avevano costretta a farsi svelare i vari segreti che c'erano stati tra la sorella e lei. Erano riusciti perfino a farsi rivelare dalla ragazza il luogo dei loro incontri nascosti con Speon e Burdino. Infine, quando Tirna aveva finito di vuotare l'intero sacco, i nove Kirpus, l'uno dopo l'altro, le avevano usato violenza carnale. Ma era stato Leun, il fratello più giovane, a sgozzarla senza pietà, poco prima di smettere di stuprarla. Subito dopo, gli odiosi fratelli avevano abbandonato l'abitazione della ragazza, la quale era oramai prossima alla fine, lasciandola che si dibatteva per terra in una gran pozza di sangue. Per fortuna, il caso aveva voluto che, durante la loro visita all'amica della sorella, i genitori e il fratello di lei non fossero in casa. Altrimenti essi avrebbero assegnato anche a loro due una fine miseranda, non meno crudele di quella toccata alla loro sventurata congiunta.

I fratelli Kirpus, dandosi poi ad una corsa precipitosa, non molto tempo dopo avevano raggiunto la capanna di Burdino. In quel rifugio, che si trovava fuorimano, avevano trovato l'amico di Speon, perché il fidanzato della sorella già se ne era allontanato, ma da breve tempo. Allora, senza alcun indugio, gli scellerati, che apparivano visibilmente ancora assetati di sangue, avevano cercato di farsi dire dal giovane dove si era diretto il suo caro amico, allo scopo di sfuggire alla loro rabbia. Burdino, però, essendo consapevole che anche parlando sarebbe stato ugualmente ucciso pure lui, aveva deciso di fare il duro con gli spietati fratelli. Per questo si era rifiutato, con tutte le sue forze e con tutta la sua volontà, di accondiscendere alla loro insistente richiesta. Poiché il giovane si era ricusato di parlare, i fratelli Kirpus, pur di costringerlo a rivelargli ogni cosa, avevano iniziato a torturarlo barbaramente, facendogli emettere forsennate grida di atroce sofferenza. Innanzitutto lo avevano accecato con una lama arroventata e poi si erano messi a mozzargli le dita di entrambe le mani, preoccupandosi di farlo rinvenire ogni volta che perdeva i sensi. Ciò nonostante, Burdino non si era voluto arrendere alle loro atrocità, ricambiandole ogni volta con insulti ed offese. Con il suo martirio, egli intendeva concedere maggiore tempo all’amico, che stava scappando dai suoi torturatori, poiché non si sarebbe mai sognato di tradirlo. Quando infine si era accorto che le forze stavano per abbandonarlo, egli, con l'intenzione di metterli su una falsa pista, aveva palesato agli odiosi fratelli che Speon si era diretto verso il villaggio di Araseto. Per la verità, tale località si trovava nella direzione opposta a quella che poco prima era stata presa dal suo compagno.

Appena c’era stata la rivelazione di Burdino, Uriop non si era astenuto dal decapitare il giovane morente con un colpo di scimitarra; inoltre, aveva incitato i fratelli a mettersi sulle tracce del seduttore della sorella. Invece, solo dopo aver sprecato più di una mezza giornata in ricerche infruttuose, alla fine i Kirpus avevano compreso che Burdino si era preso gioco di loro, ingannandoli intenzionalmente. Per questo essi erano anche giunti alla conclusione che il loro perseguitato poteva trovarsi in fuga unicamente sui sentieri che conducevano verso i territori edelcadici. Allora, imposta l'inversione di marcia ai loro cavalli, furiosamente si erano lanciati all'inseguimento del giovane fuggiasco. Così avevano scovato Speon il giorno dopo che egli, per sua buona ventura, aveva incontrato Iveonte e il suo amico Tionteo. In quell'angolo di bosco, però, tutti e nove i fratelli avevano ricevuto quanto si meritavano dai due giovani forestieri. I quali, dopo essersi presi cura del Borchiese, gli avevano fatto evitare la prepotenza da parte dei crudeli fratelli Kirpus, che lo inseguivano da alcuni giorni come autentici cani idrofobi.


I nuovi tre fatti tremendi, una volta che si furono aggiunti al tragico episodio del padre, vennero ad infiacchire paurosamente l'animo del giovane. Anzi, gli depressero lo spirito a tal punto, che alla fine egli si chiuse in sé stesso e non volle più interessarsi a niente e a nessuno. All'improvviso, Speon si tramutò in una specie di automa vagante, senza più una meta che gli venisse dettata dalla ragione. Perciò in lui, con la dissoluzione di ogni desiderio e di ogni progetto, pareva che si fosse esaurito ogni pensiero in grado di richiamarlo ad una esistenza fattiva e consapevole in mezzo alle altre persone. Le quattro orribili morti, essendogli risultate un peso troppo grande da sopportare, fecero in modo che il suo fisico e il suo spirito ne rimanessero letteralmente schiacciati e distrutti. Tutto in una volta, l’abbattuto giovane si vide precipitare nell'amarezza della solitudine e nello spasimo del rimpianto. Anzi, in quel terribile momento, avvertì l'una e l'altro con una costernazione inesprimibile. Essendo venute a mancare le persone più amate e stimate da lui, le quali per colpa sua erano state condannate dai fratelli Kirpus ad un atroce martirio, egli si sentì così solo, pur stando in mezzo agli altri suoi conterranei, che scorgeva la sua esistenza come annebbiata e quasi smarrita. Ma anche il considerarsi responsabile della loro morte gli produsse nell'animo una fitta talmente profonda ed insanabile, che alla fine essa incominciò a roderglielo in maniera intollerabile. A quel punto, il dolore si fece avvertire nel suo animo così lacerante e trafittivo, da farlo uscire di senno. La qual cosa lo privò pure di ogni sofferenza, trasformandolo in un essere totalmente refrattario al dolore, inteso esso in senso sia fisico che psichico. Insomma, egli si tramutò in un autentico automa, privo di coscienza e incapace di esprimersi con pensieri propri. Per cui dopo gli venivano precluse tanto la sofferenza fisica quanto la gioia, non essendo più possibile rinvenire in lui l'una e l'altra, a causa del suo stato esistenziale, che era divenuto esclusivamente vegetativo.

Oramai volgeva al termine la terza giornata, da quando Iveonte e Tionteo soggiornavano in Borchio. Ma lo stato miserevole di Speon seguitava a non dare segni di alcun miglioramento e di qualche recupero. I due amici, sebbene il tempo stringesse, in nessun modo se la sentivano di abbandonare il disgraziato, quando egli aveva un maledetto bisogno di loro. Perciò cercavano con ogni mezzo di fargli recuperare la ragione, prima di riprendere il loro viaggio. Tutti e tre venivano ospitati dai simpatici genitori di Tirna, che erano Lingo e Perzia, nella cui casa essi avevano trovato un'accoglienza calda e disinteressata. In memoria della loro figlia, i due rassegnati coniugi cercavano di rendersi utili ai due eroici forestieri. Ma essi prodigavano le loro cure soprattutto al figlio di Vusto, il quale presentava una sintomatologia patologicamente disperata. La cui gravità li coinvolgeva a tal punto, da fargli dimenticare perfino la tremenda fine, che era toccata alla loro sventurata figliola.

Quel giorno, giunta l'ora di cena, Iveonte volle che l'amico Speon sedesse a tavola con loro. Perciò andò a prenderlo per mano dove stava seduto e si adoperò per accompagnarlo al desco. Allora, al tocco della sua mano, il Borchiese accusò un fremito in tutto il suo corpo, come se qualcosa fosse intervenuto a scuotergli l'esistenza interiore. Quando cessò in lui ogni agitazione, Speon fu visto esternare una serenità ineffabile, dando segno di avere recuperato per intero la ragione. Perciò, dopo essersi liberato dalla mano di Iveonte, si diresse da solo verso gli altri commensali, esclamando: "Amici, datemi subito da mangiare perché questa sera ho una fame da lupo!" A quelle sue parole, sia i genitori di Tirna sia Iveonte e Tionteo gioirono della guarigione di Speon, il quale finalmente risorgeva dalla sua temporanea inesistenza. Comunque, solamente il giovane eroe era al corrente che il miracolo era stato operato dal suo prodigioso anello; invece il Terdibano ne era all’oscuro. Infatti, egli non era ancora venuto a conoscenza delle facoltà taumaturgiche possedute dall'oggetto divino dell’amico.

Il giorno dopo, Iveonte e Tionteo stabilirono di riprendere il viaggio verso la loro meta. Allora si congedarono dagli abitanti di Borchio, i quali non li fecero andar via a mani vuote. Essi vollero rifornirli di numerose derrate alimentari e gliele caricarono perfino sopra due muli. Infatti, insieme con gli abbondanti viveri, erano state donate da loro anche le bestie per trasportarli. Speon, da parte sua, espresse ai suoi due salvatori il desiderio di partire con loro. Il giovane orfano di entrambi i genitori lo motivò con le seguenti parole: "Miei generosi benefattori, in Borchio non mi sono più rimasti né parenti né amici, poiché le quattro persone a me più care sono cadute vittime della prepotenza. Per questa ragione, se vi restassi, non potrei fare altro che darmi ad un dolore e ad un pianto senza fine, i quali logorerebbero in brevissimo tempo questo mio fisico, che già si presenta macilento e debilitato. Soltanto voi potete salvarmi da una morte immatura, permettendomi di accompagnarvi nel vostro interminabile viaggio. Ve ne prego, non rifiutatemi questo favore, poiché esso mi risulterà veramente vitale! Vi giuro che non vi sarò di nessun intralcio; al contrario, facendovi da guida esperta, vi sarò parecchio utile. Avendo avuto modo di percorrerla tantissime volte con il mio defunto genitore, conosco come le mie tasche la strada che dovrà condurvi al remoto Mare delle Tempeste, dalla cui riva è già possibile avvistare la maledetta Isola della Morte."

Assai commossi, Iveonte e Tionteo accolsero la richiesta del giovane abitante di Borchio. Del resto, erano anch'essi convinti della sua utilità durante il loro lungo viaggio. Per questo, già all'alba del giorno successivo, essi si rimisero in cammino, raggiungendo verso sera il villaggio di Araseto, dove stabilirono di riposare e di trascorrere la nottata. Durante quel primo tragitto, Speon non aveva potuto fare a meno di ripensare a quanto era capitato alle quattro persone, nei confronti delle quali aveva avuto la stima più profonda. Allora, ritenendosi in parte responsabile della loro assurda morte, non era riuscito a darsi pace. Inoltre, la sua mente, fino a quando non avevano raggiunto il nuovo villaggio, era andata rivivendo con angoscia l'efferato martirio, al quale erano andati incontro quattro persone innocenti.

Appresi i fatti pregressi che avevano riguardato le barbare uccisioni del padre di Speon, dell'amico Burdino e delle fidanzate dei due amici, possiamo riprendere adesso il nostro racconto. Ebbene, una volta che furono partiti da Araseto, che era stato il primo villaggio che si presentò dopo Borchio, Iveonte, Tionteo e Speon ne incontrarono altri tre sul loro percorso. I quali vengono riportati, in ordine di tempo, qui di seguito: Celuezo, Mutrolo e Brenco. In quest'ultimo, però, essi rimasero coinvolti in una brutta vicenda locale, unicamente per venire in soccorso dei suoi abitanti. Costoro non stavano vivendo dei giorni sereni, essendo alle prese con un mostruoso essere, che non faceva altro che arrecargli distruzioni e morti. I Brencani gli avevano dato il nome di Reptiluk, visto che esso, in un certo senso, somigliava ad un gigantesco serpente avente alcune varianti in più, le quali lo rendevano sommamente pericoloso.