L'alba esitava ancora ad affacciarsi al nuovo giorno, come pure il regno animale seguitava ad assopirsi nel suo sonno beato, quando la rapida galoppata di un numero imprecisato di cavalieri in avvicinamento fu avvertita da Speon. Egli, a causa della paura di cui non smetteva di risultare preda, stava già con gli occhi aperti da un bel pezzo; anzi, aveva trascorso la notte quasi interamente in bianco. Quel galoppo improvviso, che si avvicinava sempre di più al loro campo, richiamò alla mente del giovane i fratelli Kirpus. Per cui, pensando che si trattasse proprio del loro arrivo, subito se ne preoccupò. Nello stesso tempo, una certa tremarella si impadronì di lui e lo indusse a svegliare Iveonte e Tionteo, i quali continuavano a dormirsela placidamente. Allora egli si diede a gridare ad entrambi:
«Sbrigatevi a destarvi, amici! Stanno giungendo i fratelli Kirpus! Occorre cercare un nascondiglio sicuro, dove tenerci ben nascosti; altrimenti per noi tre sarà la fine! Sappiate che non sto scherzando!»
Alle grida del Borchiese, il quale era soggiogato dall'ansia e dal timore, Iveonte aprì appena gli occhi, poiché erano ancora assonnati. Dopo che si fu alzato, facendo sgranchire le sue membra e dandosi ad abbondanti sbadigli, il giovane gli si espresse con le seguenti parole:
«Hai ripreso a delirare, Speon? È mai possibile che tu non sappia fare altro? Smettila di pensare a loro almeno per poco tempo! Anzi, perché non ti ridai alla tua bella dormita e lasci fare la stessa cosa pure a noi? Così sarà meglio per tutti! Perciò ti invito a darmi retta, se non vuoi seguitare ad intossicarti l'esistenza! Allora mi ti sono spiegato?»
«Invece, Iveonte, questa volta non farnetico! Anche tu, se sgrani gli occhi ed apri bene le orecchie, potrai renderti conto che quanto ho appena affermato corrisponde al vero! Avanti, prova a mettere maggiore attenzione a quanto ti ho riferito! Dopo, vedrai, li sentirai anche tu come me e comprenderai che non sono affatto in errore!»
In quel preciso istante, anche Iveonte avvertì un accorrere di cavalli. Essi, come sembrava, avanzavano proprio nella loro direzione. La qual cosa gli tirò di bocca la seguente frase: "Già, davvero qualcuno viene a farci visita di buon mattino!" Ma poco dopo, rivolgendosi al terrorizzato Speon, non esitò ad affermargli dispiaciuto:
«Questa volta davvero hai avuto ragione, Speon! Sul serio ci sono dei cavalli che galoppano con grande rapidità verso di noi, per cui molto presto ce li ritroveremo pure addosso. Comunque, non possiamo ammettere con sicurezza che si tratta proprio dei fratelli Kirpus, visto che potrebbe trovarsi pure altra gente a transitare da queste parti! Quindi, eviti di allarmarti senza motivo e cerca di stare calmo, fino a quando gli ignoti visitatori non si lasceranno scorgere da noi! Inoltre, devi convincerti che, essendo adesso con noi, anche se fossero i fratelli da te temuti, non avresti nulla da temere da loro. Come te lo devo far comprendere? Anzi, dovrebbero essere i tuoi inseguitori a pentirsi, per esserci capitati fra i piedi! Perciò statti tranquillo e non pensare a niente!»
Rassicurato il tremante Speon, Iveonte pensò di svegliare l'amico terdibano, volendo metterlo al corrente della nuova situazione. Ma visto che anche lui si era già alzato, mostrandosi che cascava ancora dal sonno, per misura esclusivamente cautelativa, gli suggerì:
«Per maggiore sicurezza, Tionteo, vai ad appiattarti su quell'ebano che si trova proprio di fronte a noi e tieniti pronto ad usare l'arco, nel caso che ce ne dovesse essere bisogno. Invece io e Speon aspetteremo all'aperto quelli che stanno venendo a farci la loro visita mattutina. Chiunque essi siano! A dire il vero, spero proprio che siano i fratelli Kirpus! Almeno così libereremo per sempre il nostro Speon da quanto continua ad assillarlo terribilmente!»
L'albero, sul quale andò ad appostarsi Tionteo dietro suggerimento dell'amico, era abbastanza alto e permetteva, oltre che un sicuro nascondiglio, un buon controllo della zona circostante. Di lassù il giovane non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad intervenire con il proprio arco infallibile, nella eventualità che fosse stato necessario adoperarlo.
Mentre il galoppo dei cavalli si faceva udire sempre più vicino, Iveonte se ne restava in compagnia del Borchiese. Egli, conservando la sua solita imperturbabile calma di sempre, attendeva con impazienza l'apparizione dei cavalieri in arrivo. Il giovane era curioso di apprendere chi fossero coloro che, stando sulla groppa delle bestie, erano in procinto di arrivare nel luogo dove essi si erano accampati. Oramai era convinto che gli ignoti visitatori sarebbero apparsi da un momento all'altro. In tale circostanza, l'atteggiamento del loro ospite, facendolo stupire, non era quello che ci si attendeva da uno come lui. Quasi fosse avvenuto in lui un radicale mutamento, Speon appariva soltanto un po' frastornato. Il suo sguardo si mostrava privo di qualsiasi espressione che potesse denotare preoccupazione o sgomento. Comunque, non era errato affermare che il giovane, in attesa di quanto a momenti si sarebbe inscenato in quel luogo, si preparava ad interpretare più il ruolo dello spettatore, che non quello dell'attore su cui gravavano le peggiori minacce. Perciò, almeno per ora, se si provava a studiarlo nella sua profonda intimità e nei suoi tratti psicologici, il Borchiese si presentava completamente integro e per niente succube di una disastrosa tensione emotiva.
Di lì a poco, quando non erano trascorsi neppure cinque minuti di attesa, ecco che si scorsero sbucare dalla boscaglia nove furiosi cavalli neri, i quali erano montati da altrettanti cavalieri, tutti che avevano un aspetto minaccioso. Essi, via via che apparivano, facevano sprizzare dai loro volti degli sguardi torvi e malvagi. Intanto che scagliavano contro i due giovani le loro occhiate minacciose, pareva davvero che se li volessero divorare vivi con i loro occhi infuocati! Allora Speon, nel ravvisare in quegli omacci i fratelli di Cresia, fu abbandonato dalla sua apparente calma, che stava avendo ragione di lui fino a poco prima. Per questo il poveretto fu preso di nuovo dall'agitazione e da forti tremori. Iveonte, da parte sua, scorgendolo in quello stato affranto dal timore, tentò di incoraggiarlo, rassicurandolo che presto i suoi terribili nemici avrebbero cessato di esistere e di arrecare altro male al prossimo. Il destinatario delle sue parole, però, tenne duro e non volle convincersene.
Il primo dei Kirpus ad apparire dalla folta boscaglia era stato Leun, che era il più giovane di tutti. Successivamente, si erano presentati anche tutti gli altri fratelli. Ad ogni modo, il minore di loro precedette anche quelli più grandi nell'esprimersi nei confronti del loro ricercato. Egli, infatti, non appena scorse Speon in compagnia di un forestiero, si diede a gridare ai germani, che lo seguivano a distanza ravvicinata:
«Urrà! Eccolo là il nostro fuggitivo, fratelli! Finalmente lo abbiamo scovato! Tra poco, con nostro sommo piacere e suo dispiacere, gli faremo vedere di che cosa siamo capaci noi Kirpus. Specialmente contro quelle persone che ci hanno nociuto in qualche maniera!»
Quando infine tutti e nove i cavalieri arrivati furono quasi ad una decina di metri da Speon e da colui che per loro rappresentava un emerito sconosciuto, essi, disponendosi l'uno accanto all'altro, si schierarono proprio dirimpetto ai due giovani, mettendosi a fissarli. A considerarli adesso nel loro allineamento frontale, quei nove ceffi, i quali non smettevano di esternare una espressione del tutto ostile, davano uno spettacolo di truculenta bruttezza. I loro volti, mostrando dei lunghi e folti mustacchi, apparivano tremendamente orribili, pervasi com'erano di uno sguardo arcigno e perverso. Inoltre, essi avevano degli incolti capelli che avevano la medesima lunghezza, ma si scorgevano legati a coda di cavallo. Invece le loro fronti erano abbastanza dilatate ed appiattite. Quanto ai loro corpi, essendo i Kirpus dei brachitipi eccezionali, si presentavano di media altezza ed alquanto tarchiati. Per cui le loro braccia si mostravano piuttosto muscolose; mentre le loro spalle apparivano quadrate e assai possenti, capaci di reggere al peso di un mulo.
Iveonte, com'era da prevedersi, non gradendo per niente la sgradevole presenza dei nove fratelli e volendo fare dell'ironia su di loro, si permise di gridare agli intrusi, che erano appena arrivati:
«Ehi, voi, siete forse stati mandati da qualcuno a farci da scorta? Spiacenti di deludervi, ma noi non sappiamo che farcene della vostra compagnia non richiesta! Quindi, se voleste essere così gentili da liberarci della vostra indigesta presenza, ve ne saremmo molto grati! Forse ignorate che in questo momento vogliamo essere lasciati in pace, considerato che sentiamo ancora un gran bisogno di restarcene raccolti, senza essere disturbati da nessuno, specialmente da esseri come voi!»
Le parole di Iveonte produssero in quegli omacci indispettiti un immediato cipiglio. Essi trovavano strano il fatto che potesse esserci qualcuno che non si mostrava per niente impaurito dalla loro presenza. Come era possibile che Speon avesse evitato di parlargli di loro, descrivendoglieli nel modo più appropriato? Non sembrava una cosa credibile! Allora il giovane, leggendo sul loro volto molta sorpresa e un manifesto disappunto, si affrettò a puntualizzare a tutti loro:
«Credete forse che io ignori chi voi siete? Se doveste crederlo, vi dico subito che vi sbagliate. Voi non potete essere che quei bellimbusti dei fratelli Kirpus! Come vedo, siete rimasti sorpresi non per il fatto che vi ho riconosciuti all'istante; ma perché state constatando che, sebbene io vi conosca, non accuso alcun timore, mentre sono in vostra presenza. Anzi, dal momento che ve lo state anche domandando, passo a spiegarvene le ragioni. Io non sono un abitante di Borchio e, come tale, non mi viene di aver paura di nessuno di voi! A questo punto, sono certo di esservi stato molto chiaro, per cui non ci sarà bisogno di darvi un ulteriore chiarimento su questo argomento: nevvero?»
Al linguaggio di sfida manifestato dal forestiero, il maggiore dei fratelli, il quale occupava il posto centrale dello schieramento, non riuscì a non adirarsi. Perciò intervenne a contestargli quanto gli aveva espresso.
«Forse gli abitanti di Ponnimo, di Nitreolo, di Statinnio, di Polsceto e di altri venti villaggi di nostra conoscenza non hanno paura di noi, figlio di un pappagallo? Al contrario, tutti ci temono moltissimo. Se poi ci dici il nome pure del villaggio da cui provieni, ci adopereremo senza indugio per onorarlo, facendo avere ad esso un abitante ucciso da noi Kirpus! Allora sei disposto a renderci noto il nome del tuo villaggio, forestiero?»
«Per la verità, ignoro il luogo che mi ha dato i natali, poiché mai nessuno me lo ha saputo dire. Ne conosco però uno, a cui sono solito indirizzare gli oppressori dei miseri, i nemici del bene e i calpestatori della giustizia. Se vi va di fare la sua conoscenza, mi metto immediatamente a vostra completa disposizione, pur di accontentarvi! Vi assicuro che lo farò volentieri, senza pretendere nulla in cambio da voi!»
«Invece ci va di mandartici, giovane pretenzioso, che non ci conosci!» gli ribadì il Kirpus, innervosendosi «Per questo tra poco provvederemo perché ciò si avveri senza meno! Te lo garantisco!»
Nell'indirizzare la sua frase ad Iveonte, egli esternò una espressione del volto tutt'altro che amichevole, visto che essa era da considerarsi un misto di rabbia e di ferocia, come se volesse divorarselo con gli occhi. Comunque, non scalfì minimamente la calma della sua controparte, la quale, come risposta, si limitò soltanto a sorridergli beffardamente.
A quel punto, un altro fratello, palesandogli un ghigno malizioso, intervenne a parlare con una certa furbizia:
«Soltanto io conosco le mire del piccioncino, fratelli! Sono pronto a scommettere che il forestiero non intende lasciarci il bruco che ha appena trovato, senza prima riceverne in cambio un lauto compenso. Nel qual caso, egli poteva dircelo fin dall'inizio, senza che fossimo noi a scoprire le sue celate intenzioni! Io ne sono piuttosto convinto!»
«Certamente!» approvò Iveonte, fingendo di seguire con interesse il discorso del suo nuovo interlocutore «Come mi avvedo, almeno uno, fra tutti i fratelli Kirpus, dimostra di avere cervello. La qual cosa mi lascia ben sperare che fra noi abbastanza presto si concluderanno degli affari, i quali risulteranno ottimi sia per me che per voi!»
La risposta data da Iveonte al Kirpus fu presa sul serio da Speon. Per cui egli se ne preoccupò tantissimo, fino a spaventarsene tremendamente e a tremarne. Ma Tionteo, avendo imparato a conoscere l'amico, non diede alcun peso alle finte parole di Iveonte. Il Terdibano era persuaso che egli, mentre le pronunciava, stava mirando a qualcos'altro.
Nel frattempo, il Kirpus era sceso da cavallo, cercando di avvicinarsi ad Iveonte. Dopo averlo raggiunto, riprese a parlargli così:
«Dobbiamo riconoscere che ci hai fatto risparmiare del tempo e parecchia fatica, nella nostra ricerca di Speon. Perciò, per il servigio che ci hai reso, una congrua ricompensa ti spetta di diritto; ma noi, essendo comprensivi, non ci rifiutiamo di corrispondertela! Vogliamo dimostrarti la nostra riconoscenza con un'ampia munificenza. Sei contento?»
Dopo essersi espresso in quel modo, il Kirpus tirò fuori un sacchetto pieno di monete d'oro dalla sua bisaccia, la quale era appesa alla sella della sua cavalcatura. Facendovele poi tintinnare più volte con un loro leggero sbattimento, aggiunse ad Iveonte:
«Ecco: questo è un gruzzolo sostanzioso, forestiero! Esso è sufficiente per rimunerarti assai equamente per il risparmio di tempo e di fatica che ci hai procurato. Dopo che avrai aperto il sacchetto, giovanotto, mentre ti darai a contare le monete, vedrai che ti si spalancheranno gli occhi per la meraviglia e per la gioia! Ti do la mia parola!»
Così dicendo, il Kirpus lasciò cadere per terra la scarsellina contenente le monete, dissimulando, con quel suo gesto apparentemente leale ed innocuo, le sue perfide intenzioni. Egli, infatti, avendo premeditato un turpe disegno, con tale sua mossa adesso cercava di metterlo in atto senza farsi alcuno scrupolo. Per la precisione, l'illuso intendeva colpire vigliaccamente alla schiena il nostro eroe, intanto che raccattava la ricompensa che gli spettava. Ma lo sciacallo era all'oscuro di aver di fronte una volpe, la quale non ci aveva impiegato molto a subodorare la sua vile e malvagia macchinazione. Allora il sagace Iveonte, essendosi dimostrato immediato interprete del suo infame pensiero, il quale appariva fin troppo lampante, immediatamente lo riprese:
«Mi dispiace dovermi ricredere, misero Kirpus! Vedo che neanche tu hai senno a sufficienza per figurare meglio dei tuoi dissennati fratelli! Ti si chiede il possibile; mentre tu larvatamente ti ingegni per attuare l'impossibile a mio discapito. Inoltre, non ti avevo mica chiesto una ricompensa in denaro io! Ogni uomo, ciò che non sai, può venire in possesso dell'elemento pecuniario. Per ottenerlo, gli basta fare solidarizzare le braccia con la mente, perché esse si mettano utilmente a sua disposizione. Ne eri all'oscuro forse? Se sì, allora lo hai appreso da me.»
«Straniero, questo è il nostro medesimo modo di procurarcelo!» gli fece presente il Kirpus «Non appena alla nostra mente viene il desiderio di qualcosa che appartiene ad altri, all'istante le nostre braccia solidarizzano con essa e passano ad accontentarla. Dopo avere annientato chi possiede ciò che interessa a noi, ce ne appropriamo senza difficoltà. Così il gioco è fatto! Non credi che è la stessa cosa?»
«Tu confondi la disonestà con l'onestà.» gli chiarì Iveonte «Invece io mi riferivo ad un lavoro onesto, nobile, degno della persona umana. Nel vostro agire, invece, si annidano tre tremendi peccati: l'invidia, l'assassinio e il latrocinio. Perciò come fai ad asserire che voi agite allo stesso modo mio? Sarà stata la tua follia a farti pensare una tale sciocchezza, per avere interpretato alla rovescia le mie sacre parole!»
«Forse non hai torto, forestiero; però mi rendo conto che il nostro agire è migliore!» il Kirpus continuò a perorare la sua tesi «Per chi vuole ottenere qualcosa senza sudare e senza perdere tempo, il nostro metodo è sbrigativo e remunerativo! Chi non se ne renderebbe conto facilmente? Perciò devi prenderne atto e darci ragione!»
Così, una volta che ebbe chiarito il proprio concetto che innegabilmente andava contro la morale, il Kirpus, al fine di venirne a conoscenza, domandò al suo interlocutore:
«A questo punto, giovane sconosciuto, vuoi appagare la mia curiosità, dicendomi come vuoi essere rimeritato? Dopo faremo del nostro meglio per contentarti come meglio desideri!»
Iveonte, mostrandosi molto sicuro di sé, gli rispose:
«Voglio che mi permettiate di combattere individualmente con ciascuno di voi, fintantoché non rimarrò imbattuto e non soccomberò. Ammesso che siate degli uomini di fegato e vogliate accettare quella che è la mia ragionevole proposta! Se poi la vostra codardia vi scoraggia dal cimentarvi uno alla volta con me, non esiterò ad affrontarvi tutti quanti insieme. A tale riguardo, preciso che chiunque intenda mettere le mani sul mio amico Speon tenga presente che non potrà farlo, se prima non si sarà misurato con me nelle armi e non mi avrà battuto. Ma fino a quel momento, egli sarà imprendibile! Ve lo garantisco!»
«Mi sta bene.» acconsentì il terzogenito dei Kirpus «Se ci tieni tanto ad accompagnare Speon nel regno dei morti, ti accontenterò, evitando di attardarmi troppo. Ma tengo a precisarti che solo un uomo totalmente folle osa sfidare un Kirpus! Lo sperimenterai tra poco a tue spese, senza possibilità di evitarlo e di pentirti di averlo fatto! Aspetta e lo vedrai!»
«Ma c'è chi non la pensa come te.» dissentì Iveonte.
«Mi dici chi è quel pazzo che è votato al suicidio?» gli domandò il Kirpus, ridendosela a squarciagola.
«Se non lo sai ancora, quello sono io! Perciò possiamo iniziare ad affrontarci, se ti senti pronto!» fu la risposta di Iveonte.
«Ma tu fra breve non esisterai più; mentre Speon non è certamente di opinione contraria. Il figlio di Vusto ci conosce benissimo, per non essere d'accordo con la mia affermazione! Non lo vedi come già se la sta facendo addosso, soltanto ascoltando le mie parole? Esse hanno già iniziato ad infondergli un grandissimo terrore.»
Allora il maggiore dei Kirpus si diede a rampognare il fratello:
«Scuet, hai intenzione di perderti in chiacchiere da femminuccia con lui? Non vedi come egli cerca di sottrarre il tempo alla morte? Perciò non indugiare oltre e spediscilo all'istante alla malora! Tanto non ti mancano né i mezzi né i modi per liquidarlo alla svelta! Avanti, dacci un saggio della tua bravura, se non vuoi farci spazientire più del necessario!»
«Hai ragione, fratello Uriop. Senza accorgermene, gli ho permesso a lungo di fare il suo gioco e di eludere la mia punizione. Adesso, però, troncherò ogni altra perdita di tempo e provvederò a conciarlo per le feste alla mia maniera, quella che voi tutti conoscete!»
Passato poi all'azione, il Kirpus fu visto inviperirsi in volto. Nel medesimo tempo, dopo aver dato di piglio alla sua curva scimitarra, tentò di sommergere il rivale sotto un diluvio di tremendi colpi. Ma il prode ed abile Iveonte seppe emergerne con impareggiabile maestria. Inoltre, riuscì a cogliere anche il momento favorevole per stecchire il suo avversario con un fulmineo allungo all'addome. Perciò tale parte anatomica, dopo il terribile colpo, ne rimase paurosamente squarciata. Allora la profonda ferita diede origine ad un'abbondante fuoriuscita di sangue. Il quale si mise a schizzare tutt'intorno, in qualsiasi parte, lordando alla fine ogni cosa da esso raggiunta.
Scorgendo il loro fratello vomitare sangue, rovesciarsi livido al suolo e finire esanime nella polvere, gli altri otto Kirpus si accesero di una rabbia tremenda. Per cui il minore di loro subito si propose di colpire Iveonte con una freccia; ma egli riuscì soltanto ad incoccarla sul proprio arco. Infatti, mentre si affrettava a prendere la mira, il malintenzionato fu trafitto al collo da una saetta, la quale non poteva essere la sua. Per questo, in un attimo, fu visto rovesciarsi su un fianco della propria bestia e cadere a terra. Ciò, perché Tionteo era riuscito a prevenire l'iniziativa del rampollo dei Kirpus, fulminandolo con il suo magnifico colpo. Colpendolo mortalmente con perfetto tempismo, gli aveva evitato di attuare quanto aveva infamemente ideato ai danni dell'amico Iveonte. Ma il giovane Terdibano era ancora all'oscuro del fatto che l'eroico amico, essendo in grado di arrestare una freccia in volo, senz'altro l'avrebbe afferrata con una mano, prima che essa fosse riuscita a trafiggerlo.
A quell'evento imprevisto, i rimanenti Kirpus, i quali già si erano accordati per un assalto collettivo di particolare brutalità, vedendosi far fuori un altro fratello, questa volta per mano ignota, decisero invece di ripensarci. Essi stabilirono di non scatenarsi più contro il giovane avversario, il quale, come da poco avevano costatato, non era solo; ma c'erano altri amici nascosti a dargli manforte. Ma in quanti erano esattamente e dove si nascondevano? Si andavano chiedendo. Preferirono, quindi, rendersi prima conto del numero esatto di quelli che lo spalleggiavano di nascosto e della loro esatta dislocazione.
Come si era visto, il bel colpo di Tionteo era venuto a frastornare il loro disegno, per cui adesso si andavano ponendo diversi interrogativi. Chi ne era stato il provetto esecutore? Era solo oppure ce ne stavano altri a dargli una mano? Erano domande che venivano a martellare in modo ossessivo i loro cervelli, spingendoli a meditare parecchio sull'accaduto. A loro avviso, una cosa era certa: un nemico, il quale per adesso non era intenzionato a scoprirsi, li teneva sotto il suo rigoroso controllo.
Nel frattempo Iveonte, approfittando della momentanea distrazione dei suoi nemici, si era fatto portare il suo cavallo da Speon e vi era anche montato sopra. Adesso egli scrutava, con gli sguardi guardinghi di una pantera, i loro atteggiamenti di indecisione. Anche l'amico Tionteo, stando ben celato sopra il suo alto albero, vigilava attentamente sui movimenti dei loro sette avversari. Ad ogni modo, era pronto ad intervenire con solerzia contro i Kirpus, qualora la necessità lo avesse richiesto. Invece Iveonte, vedendo che i restanti fratelli evitavano di agire e tardavano ad assalirlo, gli si diede a gridare impavidamente:
«Ehi, voi! Vi chiedo se ve la sentite di battervi con me uno alla volta. Vi assicuro un combattimento leale! Oppure i fratelli Kirpus, dopo essersi resi conto di non essere più invincibili, come hanno sempre creduto, adesso hanno paura di cimentarsi in singolar tenzone con me e non si vergognano di palesare la loro grande viltà al qui presente Speon?»
Punzecchiato in quel modo dall'avversario, il primogenito dei Kirpus non esitò ad offrirsi per primo, manifestando un grande desiderio di frantumare per sempre l'odiato uccisore di suo fratello Scuet. Allora il cozzo fu violento e tremendo! Così, già al suo inizio, i cavalli vennero ad impennarsi fino ad un'altezza vertiginosa, essendo stati atterriti dalla furia sovrumana dei loro cavalcatori. I possenti colpi di spada iniziarono a grandinare da entrambe le parti, rovinando sugli scudi con fragorosi e disastrosi schianti. Ma quei possenti urti reciproci non si sarebbero dilungati per lungo tempo, poiché Iveonte non lo avrebbe permesso. Ad un certo momento, infatti, con un vortice di spada, il nostro eroe riuscì a privare di ogni equilibrio la difesa dello spietato antagonista. Nello stesso tempo, ne approfittò per aprirsi un varco ed allungare per di lì un colpo stupendo, che raggiunse dritto il torso del suo corpulento contendente. Allora si vide il nerboruto Kirpus prima barcollare dalla sua bestia e poi stramazzare al suolo con un buco al centro del petto. Adesso lo squarcio della ferita appariva cosparso di numerosi rivoli di sangue, i quali in breve tempo gli si sarebbero anche raggrumati sull'addome.
Il nuovo Kirpus competitore era dotato di un'abilità e di una scaltrezza straordinarie. Ma esse gli valsero ben poco nella difficile lotta contro il giovane eroe, il quale disfece l'una e l'altra sua dote con una meravigliosa azione. Tentando il Kirpus di assalire Iveonte con un'acrobatica piroetta, egli fu sopraffatto dal rivale proprio mentre la eseguiva. Difatti, nel suo rapido volo, rimase colpito da un suo poderoso pugno alla nuca, il quale gli spezzò l'osso del collo e lo fulminò all'istante, facendolo cadere a terra come un pesante macigno.
A quel punto, impauriti dall'eccezionale bravura del forestiero, gli altri cinque Kirpus rimasti, dopo una breve consultazione, ritennero che sarebbe stato molto rischioso affrontarlo singolarmente. Per tale motivo, fecero pensiero di scagliarsi contro di lui tutti insieme; ma Tionteo riuscì a metterne un altro fuori combattimento, prima che essi raggiungessero l'amico. Giudicando poi assai pericoloso continuare ad usare l'arco, essendoci il rischio di colpire anche Iveonte, egli scese dall'albero e, tenendo la spada in pugno, corse a recargli il suo valido aiuto. Ma non appena lo ebbe scorto in avvicinamento, uno dei Kirpus che erano alle prese con la tenace grinta di Iveonte subito gli si slanciò contro con la sua perversa strapotenza. Quando poi gli fu a due passi, gli saltò addosso da cavallo. Così Tionteo, all'urto sodo di quella valanga umana, rovinò per terra e si ritrovò all'improvviso in balia del suo assalitore. Costui, dopo averlo inforcato con le sue massicce e poderose gambe, adesso lo teneva immobilizzato al suolo. Allora il Terdibano, senza esito favorevole, tentò con tutte le forze di sottrarsi a quell'ammasso di muscoli e di ossa: esso gli gravava sull'addome opprimente, preponderante e deciso a farlo fuori quanto prima.
Ora il Kirpus, tenendolo inchiodato al suolo, gli precludeva ogni possibilità di rifarsi e di liberarsi di lui. Per questo, alla salda pressione del suo tozzo avversario, l'amico di Iveonte reagiva con sforzi sempre più deboli ed inefficienti, siccome il suo organismo si andava snervando rapidamente. La sua costituzione fisica più debole si mostrava impotente a competere con quella del suo ben piazzato avversario, la quale si presentava tarchiata, forzuta e gagliarda, quasi fosse un'autentica roccia effusiva. Alla fine, quando lo ritenne opportuno, il Kirpus, tratto il pugnale dal fodero di cuoio, che portava attaccato alla cintola, vibrò un terribile colpo contro il petto di Tionteo. Il giovane, per fortuna, riuscì appena in tempo a fermare il braccio dell'avversario, evitando che la sua arma bianca proseguisse indisturbata nella spinta micidiale ricevuta e gli affondasse con forza nel torace. Il Terdibano, con la sua mossa fortunata, aveva allontanato da sé solo per breve tempo il pericolo che lo sovrastava, poiché esso continuava ad incombere sul suo corpo sempre più minaccioso. Occorreva vedere fino a quando le sue braccia avrebbero retto alla pressione irresistibile del nemico o se qualcuno sarebbe intervenuto in tempo a toglierlo dalla precaria situazione in cui versava.
Intanto Speon, che se ne stava da parte tutto solo, contemplando ed ammirando le incredibili prodezze di Iveonte, gongolava di gioia e se ne entusiasmava. Ad un certo momento, però, essendosi accorto che Tionteo stava correndo un grave pericolo, raccattò la spada, che era appartenuta ad uno dei suoi nove odiosi conterranei, e corse a trarlo fuori dai guai. Così, dopo essersi avvicinato al Kirpus, il quale con il suo peso eccessivo comprimeva l'addome dell'altro suo paladino, non esitò a vibrargli con tutta la sua forza un bel colpo tagliente sulla schiena. Agendo in quel modo, egli gli spezzò in due la spina dorsale e gli arrecò un trauma fulminante. Soltanto grazie all'utile intervento di Speon, Tionteo poté liberarsi dall'oppressione soverchiante e spietata dell'avversario.
Alla fine anche l'ultimo dei Kirpus, il quale era stato già martoriato da numerose ferite, crollò sotto gli inclementi colpi di Iveonte. Il quale si era dato ad imperversare con particolare furore sui tre fratelli che gli erano toccati nella parte finale della lotta, avendoli trovati moralmente uguali agli altri, ossia degli esseri ribaldi e ormai irrecuperabili alla società, di cui facevano parte le nobili persone. Soltanto dopo l'eliminazione dei nove fratelli Kirpus, i venticinque villaggi della Regione dei Laghi non sarebbero più vissuti nel terrore ed avrebbero smesso di subire i loro soprusi. Al contrario, essi avrebbero riacquistato la pace e la serenità di un tempo.