240-IVEONTE E TIONTEO RICONDUCONO LERINDA E RINDELLA A DORINDA

Dopo circa quindici giorni di rapide cavalcate, poco tempo prima di mezzogiorno, i due giovani erano già arrivati a Casunna. Allora, siccome Iveonte era ansioso di raggiungere e riabbracciare la sua ragazza, essi si diressero con sollecitudine verso il sontuoso palazzo del viceré Raco, il quale un tempo aveva rappresentato la reggia del padre. Il suo arrivo a palazzo fu salutato festosamente da tutti, in particolar modo esso fu accolto con grande gioia da Lerinda. Ella, appena se lo trovò davanti, subito lo abbracciò e lo baciò con tutta la passione che le ardeva nel cuore. Esaurita poi la serie di saluti con i vari amici e conoscenti, nonché gli abbracci e i baci con la sua ragazza, Iveonte passò a fare un dettagliato resoconto dei vari fatti che erano accaduti a lui e ai suoi compagni sia lungo il viaggio che nella città di Actina. Soprattutto egli si era soffermato sull'amico Francide, il quale era stato baciato dalla fortuna, per essere diventato sovrano della Città Santa. Per cui egli aveva iniziato ad amministrarla con la massima giustizia. Quando infine il giovane relatore ebbe terminato di riferire ogni cosa sulle loro vicende actinesi, egli chiamò in disparte la pensierosa Rindella. La quale non aspettava altro, appunto per conoscere in separata sede quanto il suo amato Francide le mandava a dire tramite l'amico fraterno. Così, dopo averla ragguagliata su alcune cose che la riguardavano personalmente, Iveonte le consegnò la missiva che le aveva inviata il suo adorato fidanzato. Ella allora, senza attendere neppure un istante, l'aprì e, tutta tremante per l'emozione, si diede a leggere, riga dopo riga, il suo dolce contenuto.

"Mia carissima Rindella, mentre ti scrivo, la mia calda mano sembra quasi sfiorarti il viso, accarezzarti i capelli, cingerti il corpo con le mie braccia e stringertelo a me con calore. Il viaggio non posso dirti che è stato bello in tutti i sensi, poiché, essendo stato molto lungo, esso mi è risultato alquanto faticoso e noioso. Ma poi come poteva risultarmi divertente, se mi allontanava sempre di più dalla mia incomparabile ragazza? Come potevo ritenerlo piacevole, se all'atto della mia partenza ti avevo lasciata con le lacrime agli occhi, oltre che con un pungente dolore nel cuore? Per questo motivo, il mio viaggio poteva dimostrarsi nei miei confronti unicamente assai tremendo, dal momento che mi accompagnavano la tristezza e la malinconia, il cordoglio e l'angoscia, la preoccupazione e lo sconcerto, il dispiacere e l'amara nostalgia. Infatti, che atroce sofferenza è stata per me separarmi da te, lasciarti tutta sola in preda al tuo stato di penosa ambascia! I tuoi occhi, i quali sono figli della sincerità più pura, nel vedermi partire, mi parlarono chiaramente e mi rivelarono quanto fosse addolorato il tuo cuore, al pensiero che saresti restata a lungo senza la mia gradevole compagnia! Ma sappi che una uguale pena terribile si era introdotta dentro di me e mi stava tormentando, come non avrei mai pensato! Nell'allontanarmi da te, mi sentivo un vero condannato a morte e vedevo il mio animo immergersi nella più terribile disperazione. Alla fine, scorsi il sole spegnersi intorno a me, intanto che un'atmosfera gelida ed oppressiva mi cacciava nello sconforto più feroce e nello squallore più deprimente. Mentre viaggiavo, non riuscivo a calmarmi in alcun modo, al pensiero che per molto tempo non avrei più letto nei tuoi occhi il sostegno della mia felicità e non mi avrebbero più rasserenato i tuoi sorrisi e le tue carezze. Così pure avrei smesso di assaporare l'impeto infuocato dei tuoi baci e la gioia che mi proveniva da essi, mentre li ricevevo e mi inebriavano l'animo!

Ad Actina, le giornate sono climaticamente stupende; ma ovviamente, per quanto riguarda il clima, per me non esistono giornate diverse dalle altre, siccome non riesco a distinguere le giornate serene da quelle perturbate. Esiste per me esclusivamente la tua mancanza, la quale mi annulla ogni sensazione del tempo meteorologico. Al contrario, essa mi fa registrare la mia realtà psichica e quella spirituale, le quali mi appaiono sempre tediosamente fosche e sterili. Ma dovresti già sapere che la mia vita acquista un senso soltanto perché nei miei pensieri c'è la tua immagine. La quale mi anima, mi infervora e mi accende di un immenso desiderio di vivere, oltre che caricarmi di orgoglio e spronarmi ad amare di più la vita. Sappi, mia incantevole creatura, che sono orgoglioso di te, di amarti e di pensare a te in ogni istante della mia esistenza!

Mia adorabile Rindella, mentre leggi questa mia lettera, avrai già appreso dal mio amico fraterno i grandiosi sviluppi della mia situazione. A tale riguardo, ti raccomando di avere fiducia in me, di non temere alcuna cosa brutta da parte mia, di scacciare da te ogni cattivo pensiero. So benissimo ciò devo fare e come devo comportarmi. Se ho scelto te come mia compagna della vita, stanne certa che amerò sempre e solo te, poiché mai nessun'altra donna potrà sostituirti nel mio cuore e nella mia mente. Se il mio amore potesse essere sigillato in una cassaforte, senza meno lo farei; ma subito dopo consegnerei a te la chiave di essa, allo scopo di rassicurarti e di renderti serena in ogni senso. Ti sono stato chiaro, mia diletta? Eppure, sono bastati pochi mesi del tuo amore, perché io diventassi l'uomo più beato della terra! Perciò adesso chi mai potrà vantarsi di essere più felice di me? Ti garantisco: nessuno! Anzi, sono convinto che, quando staremo nuovamente insieme, l'amore tra noi due si farà sentire ancora più bello, più gustoso, più travolgente di prima. I nostri cuori palpiteranno più forte, i nostri abbracci risulteranno più stretti ed appassionati, i nostri baci saranno più ardenti e desiderati! Ti prometto, mia donna insostituibile, che sarà tutto un amore nuovo ad attenderci, un amore che ci farà assaporare una gioia assai più grande e più sentita della precedente. Lo credi pure tu, Rindella? Come posso constatare, la lontananza ci sta facendo desiderare con maggiore ardore e sta facendo bruciare di passione i nostri cuori frementi. Per cui il desiderio di amarci diviene, giorno dopo giorno, sempre più pressante!

O mio prezioso gioiello, se non ti penso di continuo, avverto in me una grande agitazione, vengo privato dell'intera mia pace interiore, perdo l'equilibrio psichico e quasi provo la sensazione di essere in mezzo ad un oceano tempestoso, pronto a travolgermi. Inoltre, i pensieri mi si accavallano spauriti nella mente, come se il mio animo si andasse immergendo in una massa informe e tenebrosa. Anche il mio spirito, quello che tanto si infiamma accanto a te, si accascia in una malinconia amara e mortificante. Ecco cosa provo, all'idea che potresti venire a mancarmi per sempre, senza più poterti trasmettere l'amore che trabocca inesauribile dal mio cuore e la folle passione, della quale è preda il mio spirito! Per fortuna, c'è il tuo volto che mi salva da tante orribili allucinazioni, poiché esso sa infondermi uno stato d'animo sereno, giulivo e festoso; nonché mi intreccia il tempo che passa di dolci e soavi armonie.

Mia graziosa Rindella, dimmi: Hai un valido rimedio a tanto mio strazio? Sapresti guarirmi da tanto mio male, il quale mi abbatte l'anima, mi opprime lo spirito e mi ferisce il cuore? Già, dimenticavo che anche tu stai soffrendo del medesimo mio male d'amore e cerchi qualcuno che riesca ad estirpartelo, se proprio non te lo può lenire! Non è forse vero, mio tesoro? Sì, sono sicuro che non può essere altrimenti! Il guaio è che siamo rimasti vicini e ci siamo goduti soltanto per alcuni mesi, per cui abbiamo vissuto il nostro amore come un incantevole sogno improvviso e fugace. Per la quale ragione, la lontananza da te mi va producendo nell'animo un maggiore turbamento e la massima malinconia possibile! A volte mi chiedo se la nostra stupenda passione non sia stata unicamente una dolce visione onirica. Ma il tuo amuleto, che porto sempre appeso al mio collo, mi dà la certezza che esso, pur nella sua brevità ed intensità, è stato senz'altro frutto della realtà ed è stato concretamente vissuto da noi due. Ti assicuro, mia adorabile creatura, che, non appena mi sarò sbrigato degli ingenti affari di stato, volerò da te per condurti a vivere insieme con me nella mia reggia, come una invidiata regina!

Adesso che sto per deporre la penna, visto che il governo della mia città me lo impone, mi sento già venir meno i sospiri della tua anima, i battiti del tuo cuore innamorato, l'ardore del tuo amore a me rivolto. Ogni cosa comincia a ridiventarmi desolata, squallida e priva di significato. Oserei dire che mi trasferisco in un deserto sconfinato che, anziché presentare tracce di vita giuliva; dà solo spettacoli di triste solitudine e di ambascia spaventosa. Ma prima di terminare la presente lettera, ti rinnovo l'eterno mio amore, che non potrà mai spegnersi dentro di me, fino a quando non sarò morto. Inoltre, devo pregarti di salutarmi con affetto la tua Madissa, chiedendole di badare sempre a te, come ha sempre fatto fino ad oggi. Ardenti baci e caldi abbracci dal tuo Francide."

La missiva dell'amico fraterno di Iveonte alla sua ragazza, essendo risultata carica di un amore assai intenso e ricca di un sentimento assai nobile, infuse in Rindella una gioia ineffabile. Soprattutto le fece accrescere verso il suo ragazzo quell'amore, che in lei già si presentava incommensurabile e profondo. Oltre ad un gaudio mai provato, le trasmisero la notizia di un avvenimento importante e la solenne promessa del suo amato. La prima la rendeva partecipe che egli era stato incoronato re della più famosa delle città edelcadiche. La seconda, invece, le annunciava che presto egli sarebbe andato a prenderla nella città di Dorinda, allo scopo di farla diventare in Actina la sua degna regina. Allora il pensiero che molto presto ella avrebbe assunto il ruolo di sovrana, sedendo accanto al suo adorato re, la sottrasse alla normale esistenza. Così la catapultò in una realtà nuova, i cui effetti immediati risultavano la nascita nel suo intimo di emozioni gratificanti e un diverso modo di interpretare la sua vita reale, sia concreta che astratta. Rindella, ad un certo punto, smise di considerarsi una donna qualunque, cioè uguale alle altre che non erano regine. Inoltre, iniziò a prepararsi per l'alto compito che l'attendeva, poiché ella ci teneva a non fare sfigurare il suo sposo re, di fronte all'intero popolo actinese. Naturalmente, in merito a tale suo atteggiamento, non si poteva parlare di una questione di superbia; bensì si trattava di una pura e semplice preoccupazione personale. La quale aveva incominciato a tenerla in apprensione e a farle desiderare di offrire il meglio di sé stessa a colui che, a breve scadenza, l'avrebbe fatta diventare sua regina e sovrana di una prestigiosa città, quale veniva considerata la città protetta dal dio Matarum.

Nel suo primo incontro con il viceré Raco, Iveonte, dopo averlo salutato ed abbracciato, gli fece presente che aveva alquanta premura di riaccompagnare le donne a Dorinda, dal momento che subito dopo doveva ripartire per Tasmina. Al nome di quell'isola maledetta e infernale, l'autorevole fratello di Lerinda rimase come sbigottito, siccome ne aveva già sentito parlare molto negativamente. Perciò gli esclamò:

«Vuoi andare all'Isola della Morte, Iveonte?! Ma sei diventato folle?! Non sai che nessuno può sbarcare su di essa, senza rimetterci la pelle? Perfino alcuni eserciti non sono riusciti a conquistarla e ne sono stati battuti sonoramente! Sei al corrente di ciò, cognato mio? Mi dici perché vuoi andarci? Io non riesco ad immaginarmelo neppure un poco!»

«Certo che lo so, caro Raco! E anche benissimo! Ma io diventerei pazzo per davvero, se non ci andassi. Devi sapere che questo viaggio è diventato la mia ossessione, lo scopo principale della mia esistenza! Per nessuna ragione al mondo, rinuncerei ad esso o mi farei distrarre dallo stesso! Mi hai inteso adesso, germano preferito dalla mia cara Lerinda?»

«Come ti ho fatto presente prima, Iveonte, vorrei comprendere i motivi che ti spingono ad intraprendere questo tuo lungo e pericoloso viaggio. Il quale senz'altro ti costringerà anche a sobbarcarti a terribili sacrifici. Quindi, ci terrei a conoscerli, se non ti dispiace, cognato mio.»

«Siccome non voglio essere considerato figlio di nessuno per l'intera mia esistenza, non mi resta che cercare i miei genitori, che non ho mai conosciuti. Mi hanno dato per certo che potrò sapere chi essi sono realmente, soltanto se mi condurrò in tale isola e costringerò il suo padrone ad indicarmi il modo di conoscerli, nel caso che egli non vorrà farlo di sua volontà. Si tratta di Zurlof, che ama definirsi Mago dei maghi.»

«Iveonte, se hai proprio deciso di andarci, non so proprio cosa dirti. Ma più che temere per la tua vita, perché è pacifico che essa è tutelata da forze divine anche contro tutti i malefici soprannaturali, provo compassione per la mia cara sorellina. La poveretta dovrà restare separata da te ancora per un tempo incalcolabile, direi infinito. A proposito, amico mio, hai già messo al corrente Lerinda del tuo nuovo periglioso viaggio?»

«Non l'ho ancora fatto, Raco. Ma prevedo già che mettere Lerinda a conoscenza di esso per me non sarà un compito facile. Comunque, l'avvertirò, non appena le donne avranno approntato ogni cosa per la nostra partenza di domani! Che il divino Matarum me la mandi buona, dopo che glielo avrò comunicato, usando la massima delicatezza!»

Quando Lerinda si fu liberata del lavoro, il quale era stato richiesto dai preparativi occorrenti per il viaggio del giorno dopo, raggiunse subito il suo amato Iveonte. Egli l'attendeva nel patio insieme con il nuovo amico, che era Tionteo. Arrivata la ragazza ed avvenute le immancabili presentazioni, il giovane terdibano, dimostrando tatto e discrezione, immediatamente si congedò da loro e si allontanò. Egli non aveva voluto essere di impedimento oppure di disturbo alle varie forme di estrinsecazione della loro intimità, le quali presto si sarebbero avute tra i due fervidi innamorati. Così, come aveva immaginato anche il Terdibano, esse furono di un numero considerevole e tutte che richiedevano un appagamento soddisfacente. Ma non appena le effusioni amorose furono cessate tra i due giovani, Iveonte, dopo essersi fatto coraggio, si diede a parlare alla sua attenta ragazza. La quale appariva come se già avesse avuto sentore che qualcosa stava per renderla infelice.

«Cara Lerinda,» iniziò a dirle «ho da darti una brutta notizia. Dopo che ti avrò riaccompagnata a Dorinda, ho da intraprendere un lunghissimo viaggio, della cui durata per adesso non posso azzardare alcuna ipotesi. A tale riguardo, ti chiedo di non volermene, poiché non posso evitarlo. Come sai benissimo, anch'io ne soffrirò, siccome la mia lontananza da te mi comporterà parecchia tristezza e tanta malinconia!»

«Mi dici, Iveonte, il motivo di questo tuo viaggio, il quale è uscito fuori tutto all'improvviso? Esso, se devo esserti sincera, già mi sta mettendo addosso un senso di infimo abbattimento psichico e morale. Amore mio, quale sarebbe la meta di esso, se posso conoscerla? Ma sono certa che, anche se questo nuovo viaggio mi giunge inatteso, non potrò in nessun modo distoglierti da esso. Non è forse vero che ho ragione?»

«Nella città di Actina, mia dolce Lerinda, ho appreso dalla sacerdotessa Retinia che solo andando a Tasmina mi sarà possibile apprendere chi sono i miei genitori. Perciò ho deciso di raggiungere tale isola, dove il mago Zurlof, che ne è il padrone sovrano, dovrà indicarmi il modo di pervenire alla loro conoscenza. Non temere però per me, tesoro mio; lo sai anche tu che, grazie all'anello, non potrà succedermi alcun male!»

«Amore mio, se ci vai per una ragione così importante, non posso che essere d'accordo con te, sebbene in me già comincino a serpeggiare una certa agitazione ed una montagna di inquietudine! Sono sicura che, se tu non affrontassi tale viaggio e restassi sempre all'oscuro di chi sono i tuoi genitori, non te lo perdoneresti mai e non saresti più quello di una volta. Scorgerei in te soltanto un uomo finito ed abbattuto in tutti i sensi, totalmente privo della gioia della vita. Perciò puoi essere certo che mai te ne vorrò, a causa di questo tuo nuovo viaggio, il quale sarà interminabile; anzi, hai la mia totale comprensione. Quando lo intraprenderai, ti accompagneranno il mio pensiero a te rivolto e la mia benedizione. In pari tempo, ti augurerò un'ottima riuscita ed un felice ritorno tra le mie braccia. Soprattutto spererò che quest'ultimo avvenga al più presto possibile, per permetterci di unirci con grande intensità!»

«Grazie, cara Lerinda, per aver compreso e condiviso la necessità di questo mio avventuroso viaggio. Ti prometto che farò di tutto per farlo durare il meno possibile, se non ci saranno lungh'esso ritardi dovuti a cause di forza maggiore. Come pure ti garantisco che, al mio ritorno da esso, il nostro amore vivrà momenti ancora più belli e più indimenticabili di quelli che abbiamo vissuti fino alla data odierna. Infatti, essi trascorreranno beatamente nel sacro vincolo del nostro fortunato matrimonio!»


Il mattino seguente si ripartì alla volta della città di Dorinda, la quale fu raggiunta dalla piccola comitiva nel giro di una settimana. Una volta che vi furono giunti, prima di recarsi alla reggia, Iveonte e Lerinda innanzitutto decisero di riaccompagnare Rindella dalla sua Madissa, la quale l'attendeva con ansia ed impazienza. Nel rivedersela all'improvviso davanti, la brava donna ne fu lietissima e pianse dalla gioia. Essendo poi venuta a sapere che Francide era diventato re di Actina, ne gioì immensamente e provò un piacere inesprimibile, a causa della stupenda sorte toccata alla sua Rindella. Anzi, ella dette ragione al suo meraviglioso uomo Lucebio, per avere favorito fin dall'inizio il suo fidanzamento con il giovane Francide, come se avesse previsto il suo epilogo molto tempo prima, quasi fosse stato un bravo veggente.

Anche tutti coloro che abitavano la casa del facoltoso Sosimo, in special modo i due padroni di casa, furono molto contenti di apprendere le bellissime notizie apprese sul conto del valoroso Francide. Così, dopo una breve permanenza nel palazzo dell'amico di Lucebio, i quattro accompagnatori della ragazza, tra i quali erano compresi anche Tionteo e Telda, pervennero alla reggia, dove badarono a rifocillarsi e a riposarsi in misura congrua. Una volta a corte, com'era da aspettarselo, anche il re Cotuldo venne a conoscenza della fortuna toccata all'amico fraterno di Iveonte; ma la notizia dell'investitura di Francide a re di Actina non lo fece meravigliare più di tanto. Invece l'accolse come un fatto di ordinaria amministrazione, senza dare ad essa alcun significato particolare.

Già il pomeriggio del giorno successivo, i due giovani innamorati decisero di salutarsi con abbracci e baci, che erano sembrati non volere più venir meno tra l'uno e l'altra. Al termine delle loro manifestazioni amorose, essi si congedarono con le lacrime agli occhi e con una grande mestizia sul loro volto sofferente. Ma prima che Iveonte uscisse dalla sua stanza privata, la ragazza gli fece presente:

«Ti raccomando, caro Iveonte, durante il tuo viaggio senza fine verso l'isola di Tasmina, non scordarti di chiedere a Kronel di farci incontrare ogni tanto in sogno nella maniera che ella conosce bene! Almeno così, se non potremo stare vicini ad amoreggiare, abbracciandoci ed amandoci realmente, avremo modo di appagarci con il nostro rapporto notturno, il quale ci risulterà altrettanto reale!»

«Se veramente lo gradisci, mia cara Lerinda, glielo chiederò senza meno, considerato che, come già abbiamo sperimentato una volta, il suo espediente farà bene ad entrambi. Ricòrdati, però, che starai sempre nel mio cuore a consolarlo! Arrivederci, amore mio!»

Così dicendo, Iveonte uscì dalla stanza e si allontanò in fretta dalla sua amata, essendo ansioso di rivedere il saggio amico Lucebio. Mentre poi si precipitava per l'ampia scalea che conduceva alla sala del trono, il giovane incontrò di nuovo il fratello della sua ragazza. Allora il re Cotuldo, nell'imbattersi in lui, si lanciò a salutarlo e a prenderselo sotto il braccio. Subito dopo, però, si diede a parlargli nel modo seguente:

«Scusami, mio caro cognato, se prima non mi sono mostrato abbastanza contento, per la bella sorte toccata al tuo amico fraterno! In quel momento, ero soprappensiero e non ho potuto rallegrarmene, come sarebbe stato giusto fare da parte mia! Sai che una volta ci sono stato anch'io nella Città Santa? A tale riguardo, ti posso affermare che la speciale manifestazione, che si svolge in Actina in onore del dio Matarum, è indiscutibilmente impressionante. Ma ora, cambiando argomento, ho avvertito molto la tua mancanza, così pure quella della mia sorellina. Proprio stamani mi sono chiesto quanto tempo saresti ancora rimasto lontano da Dorinda. Invece eccoti qui, con tutta la tua superba prestanza fisica! Sai, Iveonte, che ho alcune interessanti proposte da farti? Perciò, se mi fai la gentilezza di seguirmi nel mio salottino privato, in quel luogo raccolto te le potrò riferire con calma e con molto piacere!»

Il giovane, mentre lo seguiva nel suo ambiente privato, il quale era il solito salottino rosso, si andava domandando quali fossero le proposte importanti che egli aveva da fargli; ma non riusciva ad immaginarne nessuna. Quando poi essi si furono appartati nel confortevole locale, il re Cotuldo incominciò ad esprimerglisi con le seguenti parole:

«Un grande, anzi un magnifico disegno ho ideato, insuperabile Iveonte, il quale dovrebbe riguardare noi due. Vedrai che anche tu lo troverai abbastanza geniale. Chi l'avrebbe mai pensato che in questa mia testa ci fosse tanto talento, da portarla a concepire qualcosa di veramente sbalorditivo! Ma il mio progetto non potrà avere effetto concreto, cioè non potrà realizzarsi, se non ci sarà un'ottima mano esecutrice, la quale sappia dargli l'input necessario e la potenza per farlo andare avanti. Comunque, solo in te scorgo la persona adatta a renderlo effettivo, poiché in te ci sono la forza, il coraggio e l'astuzia per portarlo a termine. Inoltre, fra di noi si instaurerà pure un vincolo di parentela, considerato che un giorno sposerai Lerinda, la mia cara sorella che tanto ti ama. Perciò cerca di starmi ad ascoltare con la massima attenzione!»

«Invece avrei una certa premura di lasciare la tua reggia, cognato mio, dal momento che ho da raggiungere il mio amico Celubio. Per questo, se tu ti sbrigassi a specificarmi di cosa si tratta davvero, te ne sarei infinitamente riconoscente!»

«Adesso vengo subito al dunque, Iveonte. Ebbene, nel caso che tu fossi d'accordo con me, con un esercito bene armato al tuo comando, non avremmo alcuna difficoltà a sottomettere alla mia autorità l'intera Edelcadia e ad estendere il nostro dominio sopra un vastissimo territorio. Tutto questo sarebbe incredibilmente bello per entrambi! Non ti sembra, mio futuro cognato? Su, palesami il tuo sincero pensiero in merito, siccome la tua opinione mi interessa in modo particolare! Sappi che tu dovresti essere il grande artefice concretizzatore del mio fenomenale progetto. Non serve dirti che, dalla sua realizzazione, in qualità di mio vice, ti deriverebbero in quantità ingente vari benefici, che giammai ti sogneresti di procurarti in modo diverso!»

Iveonte, mostrando un evidente disgusto per quanto il re Cotuldo gli aveva proposto, poiché gli risultava vomitevole, di contro gli rispose:

«Io non sono nato per privare il mio prossimo della libertà; ma il mio compito principale è quello di aiutarlo a recuperarla, se per caso gli è stata sottratta da qualche prepotente che la pensa alla tua stessa maniera. Tienilo sempre in mente, re Cotuldo, ogniqualvolta pensi alla mia persona e prima di pianificare simili progetti liberticidi!»

Subito dopo, senza aggiungere neppure un'altra sillaba, il giovane si alzò alquanto nervoso e si diresse verso la porta, uscendosene insalutato ospite. Così lasciò il sovrano di Dorinda tutto solo nel suo salottino rosso in modo alquanto irrispettoso.

Dopo aver abbandonato la reggia, Iveonte raggiunse Lucebio, al quale raccontò tutto ciò che era avvenuto ad Actina. Quanto alla vicenda di Francide, il giovane volle congratularsi con il vegliardo, per la sua sagacia e per le sue giuste supposizioni. Quando infine ebbe terminato di raccontargli la nuova condizione sociale dei suoi amici Francide e Astoride, oltre che dell'infame progetto del fratello della sua cara Lerinda, il giovane volle parlargli del nuovo viaggio, che stava per intraprendere. Dal canto suo, Lucebio, come si prevedeva, si rallegrò immensamente dei vari avvenimenti che si erano succeduti in Actina. Inoltre, volle metterlo al corrente che il re Cloronte e la regina Elinnia adesso si trovavano prigionieri presso il carcere di Casunna.

Il giovane apprese la notizia con grande sollievo, essendo convinto che nella nuova cella la prigionia dei due ex regnanti di Dorinda sarebbe stata meno oppressiva che a Dorinda. Infine, riguardo al suo nuovo viaggio che stava per intraprendere verso l'Isola della Morte, pur ritenendolo assai pericoloso, Lucebio gli fece presente:

«Dovunque tu voglia andare, Iveonte, l'importante è che tu ci vada con tutto il cuore e con tutta la mente. Sappi che la vera erudizione umana sta proprio nel viaggiare. Visitando nuove terre e venendo a contatto con diversi popoli, si impara a combattere il male, a propugnare la giustizia e ad accettare il diverso, dal momento che i modi di esplicazione dell'anima umana diventano più numerosi e più vari. Perciò si può ricavare da essi un maggiore chiarimento e un ulteriore ampliamento dell'umano sapere. Le quali cose ci occorrono, al fine di potenziare il nostro processo perfettivo e di arricchire il nostro spirito, poiché esso si mostra sempre affamato di sapere. A parte quest'aspetto intellettuale di un lungo viaggio, che è di primaria importanza, va preso in considerazione anche l'altro, il quale si presenta prettamente di natura empiristica. Esso si basa sulla sete di conoscenza propria dell'uomo e sulla sua esigenza di confrontarsi con tutto ciò che lo circonda e gli suscita sete di sapere. Ma oggi non intendo annoiarti con le mie lezioni dottrinali, delle quali non riesco mai a fare a meno. Per questo, Iveonte, taglio corto e ti affermo: Parti coraggioso e ritorna vittorioso al più presto, mio caro e valoroso amico! Inoltre, ti faccio presente che la mia benedizione non ti abbandonerà mai; anzi, essa continuerà a seguirti durante l'intero tuo arduo tragitto, in qualunque regione della terra verrai a trovarti!»

Pure il cieco Croscione, il quale già si era trasferito nel campo di Lucebio da un paio di mesi, desiderò augurare ad Iveonte un sereno viaggio e tanta fortuna. Il pentito uomo, inoltre, gli espresse tutta la sua fiducia e la sua gratitudine, palesandogli la sua convinzione che egli se la sarebbe cavata brillantemente nella nuova impresa, che si preparava ad affrontare. Anche se essa si lasciava prevedere abbastanza lunga e faticosa oltre ogni immaginazione!

Fu così che il nostro giovane eroe si incamminò impavido e tenace incontro a mille inenarrabili avventure. Le quali, come si prevedeva, avrebbero richiesto da lui fatiche esorbitanti ed avvedutezza acutissima, se egli aveva intenzione di portarle a termine con la vittoria in pugno e con un sicuro trionfo.

I due volumi che seguiranno tratteranno esclusivamente il suo avventuroso viaggio fino all'isola di Tasmina. In entrambi, avremo modo di conoscere un Iveonte tutto potenza ed acume, nonché seriamente impegnato nel suo svolgimento integrale di uomo e di eroe. Vedremo, inoltre, come egli riuscirà a far raggiungere dei valori altissimi alla forza e al coraggio, facendo superare brillantemente all'una e all'altro l'apice delle possibilità umane. Ma soprattutto si fregerà di un singolare eroismo, ogni volta che ciò accadrà.