24°-IL DIO POUSUM ACCOMPAGNA ELESIA DAI SUOI GENITORI

Non appena il dio Pousum ebbe ragguagliato l’intera famiglia del gerark sul deludente esito ottenuto dalla sua missione, la dea Gedal si abbuiò; mentre la diva Elesia si sbiancò in viso. Vedendo svanire la speranza che avevano riposta nello scambio, entrambe ne rimasero terribilmente scosse. Da parte sua, il dio Vaulk all'inizio assunse un'espressione corrucciata, rendendo palese lo sdegno che provava dentro l'animo. Poco dopo si diede ad urlare e a minacciare contro i due divini bifolchi, che non avevano aderito alla sua proposta di scambio. In un certo senso, rifiutandosi di rimandargli a casa il suo secondogenito, lo avevano sfidato senza temere le conseguenze che sarebbero potute derivarne. Quando infine la sua furia si fu alquanto sbollita, si rivolse al dio Pousum e gli confermò:

«Mantenendo la parola che ti avevo dato, Pousum, adesso sei libero di ritornartene sul tuo pianeta. Insieme con te lascio partire pure la diva Elesia, siccome non sono capace di infierire contro di lei a causa delle colpe paterne. Come vedi, ho deliberato di liberarla ugualmente, nonostante il padre non abbia fatto altrettanto con il mio Ukton, da lui catturato con perfidia e tenuto suo prigioniero con infamia!»

Alla generosa decisione del gerark, il dio negativo apparve sbalordito; quasi non voleva credere alle sue orecchie. Ma nella diva non poteva registrarsi altrettanto stupore, per le ragioni di cui siamo a conoscenza. Infatti, in precedenza, il dio Vaulk aveva convenuto con Elesia che, se la trattativa del dio Pousum con il padre non fosse andata in porto, ella lo stesso sarebbe dovuta ripartire insieme con il dio di Elmud. Così, facendo rotta per il pianeta Luot, dove era tenuto prigioniero il suo Ukton e si trovava anche sua madre, ella gli sarebbe stata vicina per aiutarlo a sopportare i supplizi paterni. Da quel luogo, inoltre, avrebbe potuto tenere informato i suoi genitori, casomai il suo sequestratore avesse preso l'iniziativa di spostare ancora il figlio altrove, allo scopo di sentirsi ulteriormente protetto. Invece la diva Elesia, all’annuncio del gerark, fingendo di mostrarsi assai sorpresa per la sua indulgenza e per la sua magnanimità, subito si preoccupò di ringraziarlo, dicendogli:

«Ti sono grata, generoso Vaulk, per aver preso la decisione di liberarmi. Io la ritengo un atto nobile e di una generosità non comune. Essa mi risulta imbarazzante, poiché mi fa detestare ancora di più mio padre. Ma anche mi fa invidiare tuo figlio Ukton, il quale può considerarsi fortunato di avere un genitore come te. La snaturatezza del mio, invece, non ha limiti; anzi, è abissale! Se la mia libertà fosse dovuta dipendere da lui, senza dubbio non avrei più gustato il suo profumo; al contrario, avrei dovuto sognarmela unicamente durante i miei sogni illusori!»

Il giorno dopo quell'incontro, il dio Pousum e la diva Elesia erano già sulla via del ritorno, volendo raggiungere quanto prima il pianeta Luot. L’uno, continuando a meditare sull’incomprensibile atteggiamento del dio Vaulk, si mostrava molto sorpreso; mentre l’altra, a causa del negato scambio, appariva tremendamente delusa. La diva negativa aveva scommesso la sua felicità sulla riuscita del suo espediente. Invece il padre, facendo mostra di snaturatezza e di vigliaccheria, aveva voluto mandarlo a rotoli, senza pensarci due volte. Da parte sua, con una gentilezza senza pari, il dio degli imbrogli si offrì di accompagnare Elesia dove venivano ospitati i suoi genitori. Alla diva non dispiacque la sua generosa offerta e, accettandola di buon grado, lo ringraziò vivamente. Quando poi essi furono al cospetto dei due divini coniugi, la dea Vaen, all'apparizione della figlia, prima ne restò assai stupefatta; subito dopo si lanciò ad abbracciarsela e a baciarsela. Cessata l'emozione iniziale che si era avuta nell’una e nell’altra, la dea, mostrando una gioia immensa, si affrettò a domandare alla figlia:

«Mi spieghi come hai fatto a liberarti, Elesia mia? Non credo che sia stato Pousum a farlo! Se lo vuoi sapere, considero la tua presenza presso di noi un vero miracolo! Ti confesso che, sebbene tu sia davanti a me, ugualmente stento ancora a credere ai miei occhi!»

Siccome la diva giustamente rimase silenziosa ed imbronciata, intervenne il dio degli imbrogli a rispondere alla madre in vece sua. Perciò non ebbe difficoltà a chiarirle ogni cosa, dicendole:

«Se tua figlia è libera, Vaen, ella deve ringraziare la nobiltà e la generosità del gerark Vaulk! Mi chiedo chi mai avrebbe compiuto un gesto di indulgenza, dopo avere appreso che al figlio era stata negata la liberazione dal padre di lei! A mio avviso, nessuno! Invece egli, pur nel suo stato di dolore, lo ha compiuto, senza pensarci due volte!»

«Con ciò cosa vuoi asserire, Pousum?» reagì contro di lui il dio dell’infamia, quasi a volere giustificare il proprio netto rifiuto opposto al padre del divo positivo «Tanto si sapeva che la vicenda si sarebbe conclusa in questo modo! Perciò Vaulk poteva pure risparmiarsi la sua prodigalità, poiché essa ugualmente non gli servirà a nulla!»

«Me lo chiedi anche, Katfur? Tu non sai arrivarci da solo? Eppure, ci vuole poco a comprenderlo! Ma non illuderti che io creda a quanto hai asserito! Se a vostra figlia è andata bene, lo dovete al buonsenso del gerark di Zupes. Egli ha voluto liberare pure me insieme con lei, sebbene la mia missione non avesse avuto successo!»

«Ma io continuo a sostenere la mia tesi, Pousum. Inoltre, cosa dovrei capire, dio degli imbrogli? Me lo vuoi dire chiaramente? A mio parere, non c’è nulla da prendere in considerazione! Se poi ritieni che mi sia sfuggito qualcosa di ciò che hai detto prima, puoi sempre ripetermelo ancora una volta! Non ti sembra?»

«Ci vuole tanto a rendertene conto, Katfur?» lo riprese anche la moglie «Oppure fai lo gnorri di proposito? Ti considero abbastanza intelligente, per non prenderne atto! Sappiamo che l'incaponirti a non voler capire è soltanto una tua palese finzione, il cui scopo è quello di evitare il rinfaccio di cose assai sgradite da parte nostra!»

«Ecco un’altra che, secondo lei, la sa più lunga di me!» alterandosi, Katfur reagì alle parole della moglie «Eppure dovrebbe sapere benissimo che, al mio confronto, ella vale meno di niente! Ma quando se lo vuole ficcare in quella zucca vuota?»

«Qui non c’è bisogno di sapere qualcosa, marito mio; occorre soltanto comprendere come stanno realmente i fatti, quelli che ti ostini a volere ignorare! Si tratta, quindi, di essere solo un tantino comprensivo, come non hai mai desiderato esserlo in tutta la tua esistenza trascorsa fino ad oggi. Questa è l’amara situazione!»

«Ah, sì? Mi dici allora verso chi dovrei avere comprensione? E in quale maniera? Mi spieghi entrambe le cose, mia saputona Vaen? A quanto pare, la scienza infusa è finita interamente nella tua testa bacata e neppure un tantino in quella mia! Se le cose stanno come ho appena fatto presente, mi tocca avere parecchia pazienza!»

«È chiaro, Katfur, che dovresti essere comprensivo con il dio che ti ha fatto del bene, ossia con il gerark Vaulk! Contrariamente a te, egli ha voluto liberare la nostra Elesia, pur avendogli tu rifiutato lo scambio di lei con il suo secondogenito. Al posto tuo, adesso metterei in libertà pure il figlio di lui per ricambiare il suo nobilissimo gesto!»

«Gli ho forse chiesto io di rilasciare la mia unigenita, mia strampalata moglie? Certo che no! Se avessi agognato una cosa del genere, avrei acconsentito allo scambio che egli mi ha mandato a proporre tramite il dio degli imbrogli. Quindi, da parte mia, non ho alcun obbligo di riconoscenza nei suoi confronti! Per cui il divo Ukton continuerà a restare alla mia mercé nella casa del mio amico Seurd! Lo vuoi capire oppure no?»

Se il dio Pousum e la dea Vaen preferirono non replicare al dio dell'infamia, ritenendo ogni loro confutazione una inutile perdita di tempo, non allo stesso modo si comportò la giovane Elesia. A un tratto, la diva interruppe il silenzio mantenuto fino allora e, sbottando, riprese il padre con le seguenti frasi pungenti:

«Padre, magari vorresti anche che io plauda al tuo sordido egoismo, quello che ti fa rinnegare i tuoi stessi familiari: vero? Invece ti faccio presente che esso non ti ha mai spinto a prenderti cura di me, in nessun momento della mia passata esistenza! Oppure vorresti ancora di più, cioè che io esaltassi il tuo coraggio? Mi riferisco a quello che ti fa sentire forte come un gigante nell’inveire contro un divo che non ha neppure la forza di reggersi in piedi, a causa delle tue continue torture atroci? Credi forse che sia autentico eroismo il tuo meschino atteggiamento? Ti sbagli di grosso, se lo consideri tale! Perciò ficcatelo bene in testa, mio genitore degenere, che il tuo agire non può che definirsi coraggio da strapazzo. Esso è solo un vergognoso sfoggio di vigliaccheria, di scelleratezza, di ribalderia e di autentico schifo! Non scordartelo mai!»

L’intervento di Elesia fece restare senza fiato sia la madre Vaen che lo stupefatto Pousum, convinti entrambi che la diva non avrebbe mai avuto il coraggio di pronunciare quelle parole a suo padre. Invece lo aveva bacchettato come se fosse stato un discolo divetto e non un genitore dal carattere ombroso. Nel medesimo tempo, essi si erano già preparati a vedere esplodere la terribile reazione paterna. La quale, infatti, com'era stata prevista dal dio degli imbrogli, non tardò a farsi sentire con tutta la sua irruenza, mentre rampognava la figlia unigenita, ricorrendo alle parole qui riportate:

«Elesia, mia ingrata congiunta, non ho bisogno di prendere lezioni di vita da te, con l'intento di imparare ad agire e a prendere decisioni! Figlia incosciente, non ho da apprendere da te quello che devo o non devo fare nella mia esistenza, unicamente per conformarmi alla condotta degli altri. Inoltre, figlia sconsiderata, non mi devono derivare da te alcune sentenze insensate! Perciò, per non averlo compreso neppure un poco e per esserti permessa di trattarmi irrispettosamente come tuo pari, adesso passo ad infliggerti la punizione che ti sei meritata. Ti rinchiuderò insieme con il dio positivo, affinché anche tu abbia la tua parte di sofferenza, ogni volta che sottoporrò lui al tremendo supplizio. Ecco, figlia ribelle, quanto ho stabilito e sarà fatto nei tuoi confronti, da questo momento in poi! E tua madre non si permetta di interferire, al fine di farmi ritornare sui miei passi, poiché il suo intervento sarà inutile!»

Come il lettore potrà immaginare, Elesia non poteva aspettarsi dal proprio genitore una punizione migliore, siccome essa rappresentava per lei un ottimo premio. Il suo desiderio era appunto quello di vivere sempre accanto al suo Ukton, in ogni istante della sua esistenza. In quel modo, se lo sarebbe goduto nella maniera più meravigliosa possibile. Riguardo alla sofferenza che il padre le aveva annunciata, non poteva risultarle nuova, poiché ella si sottoponeva ad essa già da tempo di sua spontanea volontà. Infatti, quando lo scellerato genitore l'arrecava al suo Ukton, la poveretta, pur restando all’esterno della cella, l’aveva sempre vissuta insieme con lui, come se fosse propria. Per il quale motivo, la minaccia paterna, che l'avrebbe fatta soffrire alla stessa stregua del dio positivo, non l’aveva affatto spaventata. Soltanto sua madre era a conoscenza che il provvedimento del consorte giungeva alla figlia come vera manna dal cielo. Ecco perché se ne rallegrò anche lei, siccome ella aveva cominciato da poco a volere un gran bene alla figlia Elesia, siccome desiderava riparare ai tanti errori commessi nei suoi confronti in passato.


Dopo essere stata rinchiusa insieme con il suo Ukton, per Elesia fu davvero come se si fosse ritrovata al settimo cielo. La felicità sembrava sprizzarle da tutti i pori, per cui non voleva credere ai suoi occhi che quel miracolo fosse toccato proprio a lei. Almeno una volta, inconsapevolmente il padre era stato l’autore della sua fortuna. Con la sua reclusione insieme al divo positivo, egli aveva creduto di castigarla; invece, senza saperlo, l’aveva premiata. Per la verità, la diva negativa, prima di iniziare a rallegrarsene, dovette rispondere a varie domande del suo amato. Costui, a causa del suo morale basso, si era messo a sparare a zero contro di lei, come se si fosse trattato di una sua acerrima nemica.

«Lo so perché ti hanno rinchiusa nella mia stessa cella, Elesia e non c'è bisogno che tu me lo dica. Riesco ad immaginarlo anche da me stesso! Ti trovi qua dentro con il solo proposito di spiarmi e di riferire al tuo infame genitore ciò che, di volta in volta, apprendi dal mio amico Iovi. Su, emerita spia, confessa che quanto ho pensato sul tuo conto corrisponde a pura verità! Invece ti ho scoperta subito, mia traditrice!»

«Ma che dici mai, Ukton! Forse ti ha dato di volta il cervello, se osi parlarmi in questa maniera? Mio padre, rinchiudendomi nella tua medesima cella, ha creduto di punirmi, facendomi soffrire le tue stesse pene. Lo sai perché? Mi sono permessa di cantargliene quattro a quel farabutto! Dunque, anziché fare il collerico nei miei confronti, prova ad immaginare come io mi sia sentita felice, quando egli mi ha inflitto una punizione del genere! Oppure devo iniziare a pentirmene, a causa della tua stupidità di cui stai facendo mostra questo momento?»

«Allora, Elesia, mi dici che fine ha fatto il nostro scambio, quello che mi hai fatto credere fino ad oggi, facendomi intendere che lo avevi preso a cuore? Non mi avevi assicurato che esso ci sarebbe stato senz’altro? Al contrario, non te ne sei interessata per niente e mi hai solo preso in giro, in tutto questo tempo! Tu non ti sei mai mossa da questa casa, per cui non hai mai raggiunto i miei genitori! Avanti, scopri le carte e smetti di ingannarmi, Elesia!»

«Vuoi chiarirmi, Ukton, perché continui a lanciarmi addosso le tue accuse senza senso? Il guaio è che non posso neanche piantarti in asso ed andarmene per i fatti miei! Ma per il mio bene, spero proprio che tu alla fine rinsavisca! Sennò quell’esistenza, che mi ero preparata a vivere come una dolcezza accanto a te, va a finire che tu me la trasformerai in un vero tormento! Perciò, una buona volta, smettila e cerca di avere più giudizio in quella tua testolina, la quale oggi riesce solo a sragionare!»

«Se vuoi che io ti creda, Elesia, dimostrami che davvero ti sei adoperata con tutte le tue forze per trarmi fuori da questa prigione e spiegami anche come mai lo scambio non c’è stato fino al momento attuale! Se intendi dirmi ogni cosa, puoi farlo adesso, perché ti ascolto tutt’orecchi! A patto che eviterai di riferirmi corbellerie!»

«Ukton, devi sapere che, per trattare meglio il tuo scambio con me, tuo padre ha perfino fatto catturare dall’eroico Iveon uno dei nostri dèi, ossia Pousum, il dio degli imbrogli, il quale era una conoscenza di mio padre. Il mio genitore, però, lo stesso non ha ceduto e si è rifiutato di concedere lo scambio. Tu lo conosci com’è e sai che egli è un dio tanto perfido quanto insensibile come una selce. Non avrei mai pensato che egli sarebbe arrivato a tanto! Mi chiedo quale padre si sarebbe infischiato così barbaramente della libertà della propria unica figlia! Il tuo invece è davvero un padre longanime, come ho potuto rendermi conto!»

«Hai conosciuto sul serio il valoroso Iveon, Elesia?! Allora mettiti subito a parlami di lui il più possibile! Almeno così noi due avremo un interessante argomento da trattare!»

«Certo che l’ho conosciuto, Ukton! Egli mi è apparso un dio ardito e simpatico, il quale di sicuro sa il fatto suo! Trafficava sempre con il tuo genitore, poiché ci tiene anche lui alla tua liberazione. Sono convinta che, se un giorno verremo liberati dagli artigli di mio padre, ritornando ad essere felici, sarà soltanto per opera sua. Ricordatelo!»

«Adesso ti credo, Elesia! Il tuo giudizio sul conto del dio dell'eroismo non poteva essere più appropriato! Quando quel giorno ci sarà e tuo padre verrà a trovarsi di fronte a lui, stanne certa che egli gliela farà pagare come si merita! Se tu sapessi in che stato ridusse il dio negativo Trauz alcuni secoli fa, sebbene costui fosse una divinità maggiore suo pari, lo apprezzeresti ancora maggiormente. Ti prometto che in avvenire non mancherà l’occasione di parlartene in maniera ampia! Oramai le sue prodezze non si contano più e vengono tramandate di bocca in bocca in tutta Luxan e in Kosmos!»

«Menomale, Ukton, che sei rinsavito presto, altrimenti la mia convivenza con te per me sarebbe stata dura ed aspra! Tuo padre, poveretto, aveva riposto l’ultima sua speranza nel mio rilascio incondizionato, il quale per noi era solo posticcio, al fine di cercare di far cambiare idea al mio genitore. Invece è stato tutto inutile, poiché egli lo stesso ha ricusato di lasciarti libero, sebbene mia madre e Pousum avessero tentato di farlo ragionare in tal senso. Allora, essendomi arrabbiata che più non potevo, mi sono data a cantargliene di cotte e di crude. Al mio rimprovero, mio padre ha reagito malissimo e ha stabilito di impartirmi una punizione esemplare. Ecco perché adesso voglio che tu, a suo dispetto, mi faccia assaggiare il sapore della punizione, come sai fare. Se non ne approfittiamo in questa occasione provvidenziale, caro Ukton, iniziando ad amarci l'un l'altra a più non posso, sai pronosticare quando ci capiterà la prossima volta? Forse non avremo più una nuova opportunità del genere, amore mio, se la iella continuerà ad appiccicarcisi addosso!»

«Dici bene, Elesia. Anch’io ti desidero ingordamente, dopo che mi sei mancata per lungo tempo! Ti ho desiderata da morire, ho pensato solo a te, intanto che eri impegnata a tirarmi fuori dai guai! Adesso amami, dolce mia compagna; fammi scordare tra le tue braccia la nostalgia dei miei cari e della mia casa. Non dimenticare che ti voglio sposare e perciò per noi due ci sarà ancora una eternità da goderci insieme, tra emozioni intense ed incantevoli! Sei contenta, mia adorabile diva?»

«Ecco: è così che ti voglio sentir parlare, mio dolce Ukton! Perciò diamoci da fare e non perdiamo altro tempo. Il quale, quando ci si ama ardentemente, appare ogni volta fuggevole e non si lascia arrestare per niente da noi, nonostante tentiamo di trattenerlo a ogni costo! Non è forse così, mio amato divo?»

«Certamente, Elesia, ma noi non possiamo farci niente! Importante è che certe situazioni fantastiche ci siano, anche se non riusciamo a goderne per il tempo che vorremmo!»

Dopo che furono abbastanza sazi di amarsi, i due divi smisero di darsi alla loro euforia amorosa. Così subentrò in entrambi un rilassamento totale, predisponendo il loro animo ad una serenità soave e pacata. Fece perfino avvertire all'uno e all'altra ogni tipo di gioia; soprattutto infuse in loro due una serenità duratura ed invidiabile. Mentre poi vivevano quegli ameni attimi di quiete, senza alcun turbamento della loro coscienza, Elesia, rammentandosene, disse al divo:

«Ukton, adesso devo comunicare a tuo padre il fallimento anche del suo tentativo di fare ravvedere il mio genitore, mostrandosi clemente verso di me. Esso è servito solo a farmi rinchiudere nella tua stessa cella. Egli sta aspettando che gli comunichi i risultati del suo nobile gesto, prima di tentare altre soluzioni in grado di strapparti alla malvagità del mio disgustoso padre. Perciò lasciami avvisarlo!»

«Allora sbrìgati a farlo, Elesia!» la sollecitò Ukton «Quanto più presto mio padre verrà a sapere dell’esito negativo anche del tuo finto rilascio da parte sua, tanto prima egli si darà da fare, allo scopo di addivenire ad una strategia più idonea a fargli risolvere il mio problema! Immagino anche come starà soffrendo la mia sventurata madre, a causa della mia prolungata prigionia, la qual cosa mi obbliga ad affliggermi tantissimo!»

In un batter d’occhio, Elesia si predispose per mettersi in comunicazione telepatica con Iovi e cominciò a trasmettergli quelle notizie che interessavano particolarmente al gerark Vaulk. Senza che esse gli pervenissero, egli non si sarebbe potuto muovere per ulteriori azioni. Ci si riferisce a quelle che avrebbero dovuto avere ancora come obiettivo la liberazione del suo secondogenito. Allora, non appena ebbe appreso da Elesia le brutte notizie, il divino Vaulk subito convocò di nuovo Iveon nella sua fortezza, poiché intendeva incontrarlo con urgenza. Egli, comunque, non si astenne dal commentare dentro di sé che almeno una di esse poteva considerarsi soddisfacente, cioè la reclusione della diva nella stessa cella del figlio. La quale, lenendogli la sofferenza alla sua maniera, di sicuro gli avrebbe giovato un mondo. Quando il dio dell’eroismo lo raggiunse al solito posto, ossia nel suo appart, il gerark, dopo avergli riferito le novità apprese dalla figlia di Katfur, gli aggiunse:

«Hai visto, Iveon, con quale padre paranoico abbiamo a che fare? Tu ti saresti mai aspettato un atteggiamento simile da un genitore? Mi riesce assai difficile crederci!»

«Anch'io non lo avrei mai immaginato, Vaulk! Adesso sappiamo che Katfur è il peggiore dei genitori, poiché la sua incoscienza non ha limiti. Come vedo, egli si arrende esclusivamente di fronte alla forza. Mi piacerebbe impartirgli una bella lezione, come quella che diedi a Trauz tempo addietro! Ma prevedo che essa, prima o poi, ci sarà!»

«Hai proprio ragione, Iveon! Egli se la merita più di tutti! Il brutto è che abbiamo le mani legate e non possiamo ancora agire di nostra iniziativa, se volessimo risolvere la questione a modo nostro. Ciò, almeno fino a quando non avrò avuto un altro incontro con i miei fratelli! Dopo, però, se non avrò ancora avuto da loro la soddisfazione che mi attendo, pur di liberare mio figlio dalle mani di Katfur, sarò disposto a trasgredire le ordinanze che sono contemplate nel Regolamento dell’Impero!»

«Innanzitutto, Vaulk, ti consiglio di convincere gli altri tuoi fratelli ad abbracciare la tua causa. Solamente dopo una nostra eventuale incursione nell’Impero dell’Ottaedro avverrebbe nel rispetto delle norme del nostro regolamento. Caso mai tu non dovessi riuscire a convincerli, tieni presente che condividerò ogni tua decisione arbitraria. Sarò dalla tua parte fino in fondo, qualora tu decidessi di intervenire contro il dio dell'infamia anche con un’azione poco ortodossa! Comunque, sappi che la liberazione di tuo figlio Ukton sta a cuore in modo particolare pure a me e alla mia consorte Annura!»

«Grazie, Iveon, per la tua solidarietà e per il tuo appoggio morale. Te ne sono grato a non finire! Ma ora devo sbrigarmi a fissare un altro incontro con i miei germani. Alla luce dei recenti avvenimenti che lo hanno contraddistinto, voglio che si riapra al più presto la discussione sul mio povero figliolo, allo scopo di cercare un modo per liberarlo! Magari essi adesso saranno comprensivi con un padre che non potrà trovare pace, fino a quando il figlio resterà succube del dio dell’infamia!»

Dopo il colloquio avuto con il dio Iveon, il gerark di Zupes diede immediatamente ordine al sovrintendente del kosmicon di turno di avvisare gli altri tre gerark dell’impero che chiedeva un secondo incontro con loro. La richiesta partiva dal fatto che egli intendeva ragguagliarli sull’attuale situazione del figlio, appunto come si era concordato nella loro precedente sessione. Quando poi ebbe ricevuto la conferma della loro assoluta disponibilità ad incontrarlo, il divino Vaulk, senza perdere un attimo di tempo, si pose in volo alla volta di Pestuk. Esso, come sappiamo, era il pianeta sul quale, ogni volta che lo si riteneva necessario, avvenivano le riunioni dei quattro gerark dell’Impero del Tetraedro, per prendervi le decisioni di una certa importanza. Queste, in verità, gli permettevano anche di scambiarsi quattro chiacchiere e darsi così notizie riguardanti i loro rispettivi familiari.