238-IL RE FRANCIDE FA SCARCERARE I FIGLI DI TIO

Nella tarda serata, il sovrano Francide, la madre Talinda, la principessa Godesia e il suo fidanzato Astoride si ritrovarono a desinare nella sala da pranzo privata dei regnanti di Actina. Essi sedevano intorno al desco apparecchiato con molta sobrietà, poiché, conformemente all'etichetta, stavano per essere servite le varie pietanze da persone qualificate addette a tale compito. Le quali, naturalmente, avrebbero fatto da tramite tra gli addetti alla cucina e i commensali che erano seduti a tavola. Il pranzo era appena iniziato, quando il giovane re, rivolgendosi all'amico, cominciò a domandargli:

«Mi dici, Astoride, come è andata la tua odierna ispezione nelle nostre carceri? Puoi farmene una relazione orale, intanto che mandiamo giù i nostri bocconi l'uno dopo l'altro? Ovviamente, mentre ti dai a parlare, non ti chiedo di astenerti del tutto dal mangiare, di cui non faresti mai a meno, considerata la tua proverbiale fame da lupo!»

«In verità, Francide, non posso affermare che l'edificio adibito alla prigione sia in uno stato fatiscente o che esso sia un luogo malsano, cioè tale da pregiudicare la salute dei detenuti. Da quanto ho potuto accertarmi personalmente, nelle celle la vivibilità può considerarsi discreta, sebbene le norme igieniche non sempre vengano rispettate, come dal nostro regolamento carcerario in vigore. Oggi, poi, era assente anche il decrepito sovrintendente alle carceri Strullo, per cui non sono stato sufficientemente edotto su alcuni particolari inerenti a certi aspetti della vita carceraria dei reclusi. Quanto al vecchio gerarca, sono dell'avviso che bisognerebbe surrogarlo al più presto con una persona più giovane e dinamica, la quale sappia davvero il fatto suo. Perciò, mio caro amico, sempre che anche tu sia d'accordo con me, ti suggerirei di affidare la sovrintendenza alle carceri di Actina all'intraprendente Urimmo, che trovo un elemento assai in gamba! Ecco: ti ho relazionato su tutto ciò che dovevo, se non mi è sfuggito qualcosa in merito!»

«Grazie, Astoride! Ma per quanto riguarda il tuo suggerimento, mi dispiace non poterlo accogliere, poiché quel posto spetta di diritto ad un'altra persona. Proprio stamattina, Avenia, che è la vedova dell'ex sovrintendente Oldrisio, mi ha chiesto udienza, che le ho subito accordata. Il marito occupò tale carica al tempo di mio nonno Nortano e di mio padre Godian. A tale riguardo, devi sapere che l'autorevole gendarme fu la prima vittima delle epurazioni messe in atto da mio zio Verricio, subito dopo che si fu liberato del fratello. Lo vuoi sapere perché? Il poveretto era stato il fedelissimo del mio genitore. Ebbene, la sua consorte è venuta a fare istanza perché io assegni al giovane figlio Embisto la carica che un tempo fu del marito. Ovviamente, non appena Strullo si dimetterà dal servizio per vecchiaia! Senza pensarci su due volte, le ho promesso che l'avrei accontentata. Anche suo figlio mi ha fatto un'ottima impressione, se devo esserti sincero! Perciò sarà lui a succedergli, dopo che il vecchio Strullo avrà deciso di ritirarsi in pensione. Magari ricorrendo a qualche mia spintarella non proprio manifesta! Quindi, possiamo ritenere chiuso pure quest'altro argomento.»

«Francide, non devi giustificarmi alcun tuo atto, poiché sei tu il sovrano. Ad ogni modo, convengo con te che sarà senz'altro la cosa più giusta ed umana da farsi! Vuol dire che, per il nostro Urimmo, si troverà un altro incarico di prestigio, il quale risulti consono alle sue capacità di comando, dimostrandosi egli un tipo molto in gamba!»

«Hai la mia completa approvazione, Astoride, visto che anch'io trovo il giovane da te proposto un elemento positivo! Perciò, essendo consapevole che ti farà piacere aiutarlo, a cominciare da domani, potrai già metterti alla ricerca di un impiego adatto a lui. Ti consiglio, però, di andarci piano nel cercarlo, senza avere troppa fretta!»

«A proposito di carceri,» volle intromettersi nella conversazione anche la principessa Godesia «questa mattina vi sono stati tradotti due giovani, i quali, a mio avviso, possono essere soltanto innocenti. I loro volti mi sono sembrati abbastanza onesti, per commettere il reato, di cui sono stati accusati da un mercante di stoffa. Inoltre, li seguiva la madre, che si dava ad urlare e non smetteva di fare le proprie rimostranze alle guardie, alle quali andava asserendo che i figli non potevano aver fatto quanto di cui li si imputava. Ella sosteneva che, essendo la loro una famiglia abbiente, essi non avevano assolutamente bisogno di impadronirsi subdolamente del denaro altrui. Per questo motivo, l'accusa di latrocinio che veniva mossa contro di loro, non potendo reggere realmente, era da considerarsi un autentico atto doloso da parte dello stesso accusatore actinese.»

«Mi racconti, Godesia, com'erano andati i fatti, se ne sei a conoscenza?» le chiese il fratello, volendo dare alla sorella una certa soddisfazione, senza avere l'impressione di aver parlato invano, nel prendere le difese dei due giovani forestieri accusati.

«Secondo il racconto del mercante Cussio, dopo che i due fratelli hanno fatto un acquisto presso di lui e se ne sono andati via, egli si è ritrovato senza più la borsa con il denaro. Così, chiamate le guardie, li ha inseguiti insieme con loro. Dopo averli raggiunti presso un'altra bancarella, il mercante ha dichiarato che le monete d'oro possedute da uno dei fratelli erano di sua proprietà. I due giovani, invece, sostenevano che il mercante, essendosi accorto del loro gruzzolo, ha inscenato il furto per impossessarsene illegalmente. Allora il gendarme Ectro, a quelle due versioni contrastanti dei fatti, ha ritenuto giusto arrestare gli indiziati e rimandarli a giudizio davanti al suo re. Perciò, fratello, domani sarai tu a giudicarli entrambi! Ma torno a ripeterti che io credo più ai due germani e alla loro madre che non al mercante, il quale mi è apparso un tipo truffaldino!»

«Godesia,» intervenne a dirle il fidanzato «non immagini neanche quanti sono i giovani che oggi si dedicano al borseggio, cercando di carpire il denaro a colui che se l'è guadagnato onestamente! Non credi che sei stata troppo ingenua a lasciarti commuovere e convincere dalla loro madre? Devi sapere che una genitrice farebbe e direbbe chissà che cosa, pur di scagionare o difendere i propri figli disonesti! Anzi, ella sarebbe addirittura capace di rifargli una reputazione senza macchia, al fine di nascondere quella vera, nonostante essa sia corrosa da deplorevoli misfatti! Ecco come stanno realmente le cose, amore mio, in un ambito familiare malfamato!»

«Invece, Astoride, ti dico che quella donna poteva avere qualche altro evidente difetto, come ha poi dimostrato; ma sono certa che ella era sincera al cento per cento, quando perorava la causa dei suoi due figli! Nel difenderla, sono pronta a scommettere tutto quello che vuoi! Il suo volto era quello di una donna onesta e perbene!»

«Adesso che mi sovviene,» entrò in conversazione pure la nobildonna Talinda «sei mesi fa mi sono ritrovata a giudicare anch'io un caso analogo. Anzi, adesso che ricordo molto bene, si trattava proprio di un caso letteralmente identico! E sapete chi era l'accusatore anche in quell'altro processo? Voi tre non lo immagineresti mai!»

«Chi era, madre mia? Su, dicci il suo nome, poiché siamo ansiosi di apprenderlo!» la sollecitò il figlio «Esso, probabilmente, ci aprirà uno spiraglio alla verità in questa vicenda. La quale, in un certo senso, anche a me comincia a sembrarmi davvero torbida e a puzzare di losco! Perciò affréttati a riferirci il nome del mercante accusatore!»

«Ebbene, Francide, pure quella volta era il mercante Cussio a muovere la medesima accusa ad un cittadino di Cirza. Il caso me lo ricordo benissimo, siccome l'anziano uomo si difese con tutte le sue energie, non smettendo mai di dichiararsi innocente e di asserire che egli era un nobile della sua città. E, come tale, non poteva essere avvezzo ad azioni illecite e disoneste, quali gli venivano attribuite dal mercante!»

«Vedi che avevo ragione io, Astoride?» soddisfatta, riprese a parlare la ragazza «Vorrei che anche tutti quanti voi iniziaste a sentire puzzo di bruciato nelle accuse del venditore di stoffa, che considero false! Sono sicura che voi due non fareste male ad approfondire la subdola vicenda che ha coinvolto ingiustamente i due giovani!»

«Sono convinto anch'io di quanto affermi, Godesia;» approvò il re suo fratello «però le prove schiaccianti contro il mercante dove sono? Potremmo anche pensarla diversamente, cioè che il mercante poveretto sia rimasto scalognato per la seconda volta in sei mesi! In questi casi, se non lo sai, il sovrano ha le mani legate. Per cui, in mancanza di fatti probanti, egli è obbligato ad applicare la legge a favore soltanto di chi dichiara di aver subito un torto da un'altra persona, punendo legalmente l'accusato. Comprendo che si tratta di una legge che non trovo affatto giusta; però è pur sempre la legge!»

«Figlio mio,» volle aggiungere la madre Talinda «se però riuscissimo a dimostrare che il cirzese Gruvio nella sua città è davvero un nobile, allora salterebbe fuori l'intera verità sul mercante di stoffa. Ossia che egli calunnia apposta le persone che gli si rivelano possidenti, con il solo scopo di entrare legalmente in possesso del loro denaro! Perciò potremmo mandare qualcuno a Cirza ad indagare su Gruvio e vedere così se egli è davvero un nobile, come affermò durante il processo.»

«Non ci sarà bisogno di nessuna indagine, Talinda, perché Gruvio è veramente un nobile di Cirza!» le fece presente Godesia, mostrandosi molto sicura «Egli è il padre della mia intima amica Agelia ed è anche un grande amico del medico Ipione. Dunque, fu questo il motivo per cui, nel suo ultimo viaggio ad Actina, non lo si vide più fare ritorno nella sua casa! Allora si ipotizzò perfino qualche suo brutto incontro con dei predoni o qualche disgrazia accidentale che gli era accaduta lungo il percorso! Qualche mese fa, quando abbiamo lasciato Cirza per trasferirci definitivamente nella Città Santa, i suoi familiari lo attendevano ancora, sebbene con una speranza ridotta al lumicino! Stando così le cose, la verità in questa vicenda è saltata fuori pura e cristallina, per cui bisognerà porre rimedio al grande torto subito dal nobile Gruvio, scarcerandolo già domani stesso. Nello stesso tempo, bisognerà punire il suo fallace accusatore!»

Rivoltasi poi al suo congiunto sovrano, il quale stava ascoltando con totale assenso la sua perorazione in difesa dell'anziano nobile Cirzese, ella fermamente aggiunse:

«Domani, Francide, darai subito l'ordine della sua scarcerazione e lo inviterai anche a corte per accoglierlo degnamente. E giacché ci sei, farai scarcerare anche quei due innocenti fratelli, la cui madre sapete dove si trova in questo momento? Ve lo dico io! La povera donna ha deciso di trascorrere la notte all'aperto, nei pressi della prigione. Ella vuole attendere la giornata di domani in quel luogo per essere vicina ai suoi due figli, quando li condurranno a corte davanti a te, per essere sottoposti al tuo giudizio. Deve avere senz'altra una tempra non comune, quella donna benedetta!»

«Non ti preoccupare, sorella!» la rassicurò il germano «Domani all'alba, vedrai che saranno scarcerati tutti e tre. Se ne occuperà di persona il tuo fidanzato Astoride. Quanto al mercante Cussio, ti prometto che egli, una volta in mia presenza, lo farò arrestare ed imprigionare. Con il mio atto dovuto, farò passare per sempre a quel furfante sleale il vizio di agire ingannevolmente a danno di poveretti innocenti!»

«Sarà senz'altro così!» approvò l'amico, che era il comandante della Milizia Reale «Domani la loro scarcerazione sarà la mia prima mansione della giornata, per rendere giustizia a delle persone innocenti. Invece farò eseguire da Urimmo l'arresto del disonesto mercante di stoffa, dopo che tu lo avrai giudicato colpevole!»

A quel punto, Francide volle farsi chiarire dalla sorella un particolare del suo precedente discorso, che aveva riguardato la madre dei due fratelli. Siccome esso gli era apparso strano, non era riuscito ad afferrarlo appieno, per cui non aveva saputo come interpretarlo. Perciò, per avere un chiarimento maggiore sullo stesso, le domandò:

«Mi vuoi spiegare, Godesia, che cosa hai voluto dire, quando hai affermato che la loro madre poteva avere qualche altro visibile difetto, ma non quello di mentire? Hai forse riscontrato nella donna qualche pecca così vistosa, da non poter essere celata? Vuoi chiarirci quale sarebbe stato il suo evidente difetto? Te ne sarei grato!»

«Sì, fratello, ho riscontrato in lei qualche magagna, però non particolarmente inquietante! Essa non destava preoccupazione, poiché appariva di natura non grave e del tutto innocua. Se ci tieni a saperlo, la poveretta mi è apparsa un po' svampita e con le sue facoltà mentali non in uno stato ottimale: ecco cosa intendevo! Ma forse sarà stata la spiacevole circostanza a ridurla in quello stato, che ti ho appena descritto.»

«Vuoi farmi apprendere da che cosa lo hai dedotto, sorella, se mi è consentito di chiederti di essere più esplicita? Può darsi che tu non l'abbia compresa a fondo, come la poveretta meritava! Che cosa ella avrà detto di tanto sbalorditivo, per cui non l'hai ritenuta totalmente sana di mente? Vuoi darmene una spiegazione più precisa?»

«Fratello, come hai immaginato, erano proprio le cose che ella affermava a farmi pensare che le mancasse sul serio una rotella, non potendo esse corrispondere al vero. In un certo senso, tali cose non potevano reggersi né in cielo né in terra! Adesso ti ho reso bene l'idea oppure non ancora, per cui desideri un ulteriore chiarimento?»

«In verità, Godesia, non mi hai fatto capire del tutto quanto desideravo sapere! Quali cose strane la donna si è messa ad asserire, per cui esse ti sono parse bizzarre ed assurde? Ce le vuoi far conoscere?»

«Ella non smetteva di gridare ai quattro venti che tutti gli Edelcadi dovevano rispetto ai suoi figli, siccome era solo grazie al loro genitore, se essi non si ritrovavano ad essere schiavi del popolo dei Berieski. Sul conto del proprio marito, asseriva addirittura che, fra tutti gli Edelcadi, egli era stato il campione in assoluto nelle armi e nelle arti marziali. Secondo te, fratello, poteva mai essere possibile un fatto del genere?»

Le parole della ragazza fecero sgranare tanto di occhi sia al re Francide che all'amico Astoride, i quali si erano mostrati palesemente molto interessati ad esse. Perciò, dopo che ella ebbe terminato di pronunciarle, il fratello si mostrò fremente di conoscere il resto del racconto. Egli la incalzò con la nuova seguente domanda:

«Godesia, la madre dei due giovani ti ha fatto il proprio nome oppure quello del marito!? Riferisciceli subito, l'uno o l'altro, se vuoi farci un grande favore! Io e Astoride assolutamente abbiamo bisogno di conoscere i loro nomi, senza che si perda più un attimo di tempo! Su, parla!»

«Invece, Francide, ella non mi ha detto né il suo nome né quello del marito. Forse non ricordo bene se li ha riferiti a me oppure alla guardia Urimmo. Comunque, la donna ha fatto i nomi dei suoi due disavventurati figli, per cui quelli li ricordo benissimo!»

«Allora io e il tuo fidanzato vorremmo conoscerli al più presto, sorella. Su, sbrìgati a farci i loro benedetti nomi! Essi potrebbero avere per noi una importanza che neppure immagini, se davvero fossero quelli che stiamo immaginando! Avanti, dicceli!»

«Fratello, sono sicura che la madre li ha chiamati Zelio ed Ucleo. Rispondono essi alle vostre aspettative oppure no? Voglio proprio sapere se sono essi ad interessarvi!»

Appena quei due nomi uscirono dalla bocca della ragazza, Francide e Astoride, senza neppure risponderle, lasciarono all'istante il desco e si lanciarono come fulmini fuori la sala per raggiungere la prigione. Godesia non ebbe neppure il tempo di chiedergli dove si stessero precipitando, che già essi si erano dileguati dietro la porta, richiudendola dietro di loro. A tale loro atteggiamento, ella, essendosi stupita a non dirsi, domandò alla regina dimissionaria:

«Mi dici, Talinda, cosa è successo ad entrambi, tutto all'improvviso? Dove essi stanno correndo così in fretta? Tu sai darmi una valida giustificazione, in merito al loro strano comportamento di poco fa? Io non ho compreso un accidente di niente su quel loro precipitarsi. Ma dove?»

«Allora, Godesia, ti rendo noto tutto quanto ignori. Tuo fratello e il suo amico stanno raggiungendo i due fratelli per liberarli! Sono ansiosi di scarcerarli al più presto, prima che si faccia notte tardi. Inoltre, desiderano anche togliere la loro madre dalla sua angoscia e dal suo grande disagio della notte in arrivo! Non ho altro da spiegarti: è tutto qui!»

«Possibile, Talinda, che quei due giovani contino così tanto per loro due, da non poter aspettare neppure fino a domani per tirarli fuori dalla prigione? Sono convinta che essi, neppure se si fossero trovati in cella i propri genitori, si sarebbero comportati così, precipitandosi cioè come fulmini a liberarli! Credi che io abbia esagerato, riferendomi a loro due?»

«Allora devi sapere, Godesia, che per loro due, specialmente per tuo fratello Francide, essi sono più importanti anche di me e di te! Il motivo? Fu il loro genitore, il cui nome era Tio, a salvare tuo fratello dalle fauci di una tigre, quando aveva appena pochi mesi. Inoltre, negli anni che seguirono, egli lo aiutò a crescere e ne fece un vero uomo sotto tutti gli aspetti della vita. Il grande maestro fece la medesima cosa con Iveonte, che è l'unico amico intimo di Francide, il quale è assente da Actina. Per il momento, accontèntati soltanto di queste poche notizie, poiché non c'è tempo per narrarti tutto il resto. In seguito chiederai ad Astoride di raccontarti ogni cosa, ovviamente anche ciò che concerne la sua vita. Adesso, però, conviene fare sparecchiare e riapparecchiare subito la tavola dalla servitù, poiché tra poco qui avremo delle persone da ospitare prima a mensa e poi a dormire. È il minimo che possiamo fare per quelle persone benedette, siccome tuo fratello lo deve al loro stretto congiunto, se riuscì a salvarsi e se si ritrova con la formazione fisica e spirituale di cui dispone oggi!»


Usciti dalla reggia, Francide e Astoride si diressero a cavallo verso le carceri, il cui edificio si trovava a mezzo miglio dallo stesso palazzo reale. Ma bisogna sapere che c'era anche un cunicolo, il quale metteva direttamente in comunicazione l'uno e l'altro edificio. Ci stiamo riferendo a quello, di cui si serviva ogni volta il principe Godian, quando si dava alle sue escursioni a carattere sociale. Ma essi avevano voluto giungere alle carceri dall'esterno, avendo appreso da Godesia che fuori c'era la madre dei due giovani, la quale era intenzionata a trascorrervi l'intera nottata, tra grandi disagi. Quando giunsero presso le carceri, i due impazienti giovani scorsero una donna avvolta in una mantella. La poveretta era seduta a ridosso del muro perimetrale del carcere, per la precisione ad un paio di metri dal portone d'ingresso. Allora subito le si avvicinarono e la sollevarono da terra, senza che ella si rendesse conto di ciò che le stesse succedendo. Tutta insonnolita com'era, la poveretta li lasciò fare senza reagire minimamente. Alla fine il re Francide si diede a parlarle in questo modo:

«Non ci riconosci più, signora Luta? Siamo proprio noi, ossia Francide e Astoride. Siamo venuti a liberare i tuoi figli: ne sei contenta? Prima, però, abbiamo voluto metterti al corrente della loro imminente scarcerazione, la quale avverrà tra pochi minuti ad opera nostra, dopo che saremo entrati nel carcere! Sei contenta della nostra bella notizia?»

«Certo che vi riconosco, cari amici nostri! Ma come mai Iveonte non è con voi? Mi raccomando, non voglio azioni di forza da parte vostra contro le guardie carcerarie! I miei figli sono innocenti e deve essere il sovrano di Actina a riconoscere la loro innocenza e a scarcerarli! Adesso volete dirmi chi vi ha avvisati del loro arresto?»

«Sarà proprio il sovrano in persona ad ordinare la loro scarcerazione, cara Luta: te lo garantiamo! Quanto ad Iveonte, egli è in viaggio verso Dorinda e, con nostro sommo dispiacere, non lo vedremo per lunghissimo tempo. Devi sapere che lo attende un lungo viaggio, del quale non potrà proprio fare a meno. Ma adesso pensiamo ai tuoi figli!»

«E dove sta il sovrano che dovrebbe far liberare i miei due figli, Francide? Non riesco a scorgerlo da nessuna parte, adesso che ci penso! Mi hai forse mentito, per nascondermi qualche vostra azione di forza?»

«Adesso sono io il sovrano di Actina, Luta! Il Francide, che tu conosci, è diventato re di questa città e ha anche nominato il suo amico Astoride comandante della Guardia Reale! Perciò aspettaci qui, poiché tra poco ti riporteremo qui fuori Zelio ed Ucleo. Così potrai abbracciarli di nuovo, commossa e con le tue gagliarde forze nel corpo!»

Alle affermazioni di Francide, Luta rimase come rintontita, suppose perfino che stesse sognando: tanto non le sembravano vere le cose dette dal giovane! Ma i due amici, comprendendo il suo stato confusionale, non badarono più a lei. Invece corsero a bussare forte al vicino portone delle carceri, essendo desiderosi di vederlo spalancare al più presto. Alle frenetiche bussate di Astoride, una delle guardie carcerarie che svolgevano servizio notturno, pur non gradendo la bussata a quell'ora della sera, si avvicinò lo stesso al portone d'ingresso, pur mostrandosi innervosita da quegli energici colpi ripetuti. Poi, aperto lo spioncino, chiese:

«Chi siete e cosa volete, voi due, quando è ormai notte? Sappiate che non sono permesse le visite ai carcerati, fuori dell'orario previsto! Perciò fareste meglio ad andarvene e a non perdere il vostro tempo, se il vostro intento dovrebbe essere proprio quello!»

«Noi non siamo venuti a fare visita a nessun recluso, carceriere, almeno nel senso che credi tu! Io sono il comandante della Guardia Reale e scorto il re Francide nei reparti carcerari. Perciò facci entrare senza altro indugio!» fu la risposta del Terdibano, che, in un certo senso, apparve quasi seccato, dopo aver ascoltato le parole del secondino.

La guardia, all'udire quei due nomi illustri, pur mostrandosi impappinata all'inizio, facendosi poi in quattro per loro due, spalancò in un attimo la porticina che era situata in uno dei due infissi del grande portone. Quando poi i due autorevoli personaggi vi fecero il loro scattante ingresso, essa con molta deferenza gli domandò:

«In cosa posso esservi utile, eccellenze? Di sicuro avrete bisogno di qualcosa, per esservi presentati a quest'ora del giorno! Ordinate pure, perché sono a vostra completa disposizione!»

«Ci devi indicare la cella dove tenete rinchiusi due giovani fratelli, che hanno per nomi Zelio ed Ucleo!» Astoride parlò ancora pure per l'amico re «Abbiamo un'assoluta necessità di pervenirvi al più presto, poiché i due poveretti germani vi sono stati rinchiusi, benché fossero innocenti! Ed è ovvio che siamo venuti per farli scarcerare!»

«Seguitemi allora, perché vi faccio strada, eccellenze! Ma state attenti a non inciampare in qualche buca, poiché sul pavimento ogni tanto se ne incontrano anche di grosse!» esclamò il carceriere, che appariva intimorito dalla presenza di loro due.

Poi, reggendo in una mano la torcia e nell'altra il grosso mazzo di chiavi, il secondino si incamminò sollecitamente in direzione della cella dei due detenuti, dei quali essi gli avevano fatto chiaramente i nomi. Una volta che la ebbe raggiunta, rivolgendosi molto meravigliato ai due illustri visitatori che lo seguivano, parlò ad entrambi così:

«Questa è la loro cella, eccellenze! Volete che ve l'apra? Se me l'ordinate voi, lo farò immediatamente! Con molte probabilità, essi staranno già dormendo e bisognerà svegliarli, prima di trarli fuori dalla cella!»

«Certo che devi aprirla, guardia!» gli rispose Astoride «Siamo venuti qui appunto per liberare i due carcerati che vi sono rinchiusi dentro, come già ti abbiamo detto, e non per guardarli dallo spioncino! Dunque, aprila all'istante! Se davvero essi vi si fossero già addormentati, penserai tu a renderli desti, prima di farli uscire da essa!»

Una volta che ebbe aperto la porta della buia cella in gran fretta, il carceriere vi si introdusse. Dopo, illuminandone l'interno con la fioca luce della torcia accesa, egli si diede a gridare:

«I due fratelli possono svegliarsi e accomodarsi fuori: sono liberi! Qui nel corridoio sono ad attenderli le eccellenze il re Francide e il comandante della Guardia Reale Astoride. Mi raccomando, non fateli attendere molto! Se volete il mio parere, voi due siete veramente fortunati questa notte, ad averli dalla vostra parte! Non è un avvenimento che capita tutti i giorni! Perciò vi consiglio di approfittarne senza esitare troppo!»

Le parole del carceriere rallegrarono molto Zelio ed Ucleo. In un baleno, dopo essersi svegliati, essi abbandonarono i loro giacigli e si precipitarono all'esterno della cella. Ma fuori furono accolti da Francide e da Astoride con fraterna amicizia. Allora i figli di Tio se li abbracciarono con il profondo affetto che li univa a loro due. Prima di allontanarsi da quel lugubre luogo di pena, il quale continuava a suscitare in loro molto nervosismo anche adesso che si sentivano felici, Ucleo disse al re Francide:

«In cella c'è un altro detenuto, il quale sei mesi fa è rimasto vittima come noi del mercante Cussio, per cui sta scontando una ingiusta condanna. Devi fare scarcerare pure lui, Francide, se ci vuoi fare contenti. In questo modo, si compirà un puro atto di giustizia nei suoi confronti! Altrimenti, pensando a lui, non riusciremo a dormire questa notte!»

«Non preoccuparti, Ucleo.» gli rispose il giovane re «Ci fa piacere trovare pure lui nella vostra stessa cella. Liberandolo, oltre ad appagare il vostro desiderio, faccio soprattutto un favore a mia sorella Godesia. Abbiamo appreso ogni cosa su di lui da mia madre, la quale si ricordava del suo processo di sei mesi fa. Il vostro compagno di cella non è forse il nobile Gruvio, il quale è un abitante di Cirza?»

«È proprio lui, Francide! Ma tu come fai a sapere queste cose?»

«Ho solo tirato le somme, caro Ucleo, dopo quanto mi hanno raccontato poco fa mia madre e mia sorella; ma soprattutto dopo quanto mi hai riferito tu poco fa! Perciò non meravigliartene, amico mio; anzi, ritorna subito nella cella e conducilo fuori, dopo che gli avrai dato la bella notizia. Così anche lui sarà assai lieto!»

Visto che c'era il consenso del re Francide, il secondogenito di Tio rientrò in cella con una rapidità impressionante, essendo desideroso di svegliare il loro compagno di sventura. Ma l'uomo, che era stato il loro coabitatore per poco tempo, essendo già stato destato dal trambusto esterno, sollecitamente si era reso conto di ogni cosa e ne aveva gioito. Per cui lo stava già aspettando, quando Ucleo si diede a gridargli:

«Presto, Gruvio, prepàrati a lasciare questa cella malsana. Il re Francide ha autorizzato anche la tua scarcerazione. Lo sai che la sorella Godesia gli aveva già parlato di te? Perciò sbrìgati a venir fuori da questo buco, siccome non vedo l'ora di presentarti ai nostri due illustri amici, i quali sono qui fuori ad attenderci!»

Avvenute le presentazioni, i quattro giovani e l'anziano nobile cirzese lasciarono il carcere. All'esterno del quale, si assistette ad un'altra onda di emozioni, la quale si ebbe tra i due fratelli e la loro emozionata madre. Essa si svolse in una maniera inesprimibile. Alla fine, tutti insieme, essi raggiunsero la reggia, dove fu messo a disposizione dei quattro ospiti ogni cosa, di cui essi abbisognavano. Lì ci fu anche un animato raccontarsi a vicenda di avventure e di disavventure affrontate. Da una parte, se le narravano con grande fervore Francide, Astoride e la famiglia di Tio, la quale si rallegrava anche della fortuna che aveva baciato il loro amico. Dall'altra, invece, facevano la stessa cosa il nobile Gruvio e la principessa Godesia, che invitò pure il padre dell'amica a raggiungere i suoi familiari prima possibile, se non proprio il giorno dopo.

Quando poi si fece dappertutto notte fonda, ogni esposizione narrativa cessò tra i cortigiani e i loro graditi ospiti. Allora il loro pensiero fu quello di affogare nel sonno le spiacevoli peripezie attraversate da loro di recente. Essi desideravano cancellarle per sempre dalla loro memoria, non volendo più riviverle neppure come ricordi, visto che risultavano assai brutti! Ma il mattino seguente, il nobile Gruvio non vide l'ora di lasciare la città di Actina, essendo ansioso di raggiungere i suoi familiari lontani, i quali non si davano pace per la sua scomparsa e speravano ancora in un suo ritorno a Cirza. Quanto a Luta e ai suoi figli, tutti e tre furono ricevuti a colazione dal re Francide, il quale era desideroso di apprendere da loro come si erano sistemati nei territori di Terdiba, dopo che egli e i suoi amici avevano lasciato la loro casa. Anche perché si era unito alla loro famiglia l'ex predone di Kuercos, che era Murzo. Costui, oltre alle ingenti ricchezze della distrutta banda, aveva messo a disposizione del piccolo nucleo familiare del defunto Tio le sue forti e solide braccia, per darsi ai più disparati lavori domestici. Inoltre, aveva promesso alla donna e ai suoi figli che quanto prima si sarebbe dato alla costruzione di una nuova casa più spaziosa, siccome quella da loro posseduta risultava assai piccola per ospitarli tutti e quattro. La donna rassicurò anche il re Francide e l'amico Astoride che Murzo non era venuto meno alla sua parola. Perciò, grazie pure alla collaborazione dei suoi figli, egli aveva messo in piedi l'abitazione che aveva loro promessa. La quale, essendo ora dotata di qualche conforto in più, poteva considerarsi più agevole e più vivibile di quanto lo era prima.

La permanenza della vedova Luta e della coppia dei suoi figli si sarebbe protratta ancora per una settimana, ossia per tutto il tempo che sarebbero stati ospitati presso la reggia dal sovrano di Actina. Così, durante la loro presenza nella Città Santa, la nobildonna Talinda e Luta avrebbero avuto modo di scambiarsi le più disparate idee, stringendo perfino una salda e sincera amicizia. Inoltre, madre e figlio di casa reale, fin dal primo giorno, fecero loro presente che li avrebbero ospitati volentieri a corte, tutte le volte che in Actina ci fossero stati i solenni festeggiamenti in onore del divino Matarum. Allora Luta, ringraziandoli, accettò la loro offerta e promise all'uno e all'altra, anche a nome dei suoi figli, che durante tale ricorrenza religiosa, che si celebrava ogni biennio, avrebbero approfittato per andare a trovarli. Così, approfittando dell'occasione, avrebbero fatto quattro chiacchiere amichevoli insieme con loro.