236-IPIONE RIFERISCE SU FLESIA, DOPO LA SUA MORTE APPARENTE
Ricordo quel giorno maledetto, proprio come se fosse stato ieri. Esso era sorto solo per colpire brutalmente l'animo del principe Godian. In un attimo, il suicidio di Flesia lo aveva fatto piombare nella disperazione più cupa e deprimente, nella tribolazione più feroce e distruttiva. Alla fine il tormento si fece sentire così atroce in lui, per cui lo rese totalmente insofferente di quel greve clima di morte. Il quale si era instaurato intollerabile intorno a lui e dentro di lui, facendolo quasi impazzire. Ad un certo punto, dopo aver demandato a me i due incarichi della circostanza, ossia quello del funerale della sua indimenticabile ragazza e quello della tumulazione della sua salma, l'afflitto principe non volle trattenersi un attimo di più nella stanza di Flesia. Così, con il suo pesante fardello di dolore, se ne uscì senza neppure salutarmi ed abbandonò la mia casa. Da parte mia, comprendendo il suo stato, mi prestai ad accompagnarlo fino al portone del mio palazzo, cercando invano di essergli di qualche tipo di conforto. Oramai l'angoscia si era impossessata di lui e non lo faceva ragionare neppure un poco. Egli avvertiva esclusivamente il bisogno di isolarsi dal mondo intero, siccome intendeva vivere il parossismo della sua struggente pena nella totale solitudine.
Poco dopo, fatto ritorno al capezzale di Flesia, prima di mettere al corrente i suoi e i miei familiari del suo tragico gesto e della sua immatura morte, decisi di estrarle il pugnale dal petto, che si presentava striato da grumi di sangue. Ma non appena le ebbi estratto l'arma dal costato, all'istante riprese il sanguinamento dal taglio profondo che la ragazza si era procurato. Eppure era risaputo che le ferite delle persone morte non potevano dar luogo a manifestazioni emorragiche, per la qual cosa me ne stupii enormemente. Non bastando quell'insolito fenomeno, un attimo dopo mi parve che un gemito le fosse uscito flebilmente dalle labbra socchiuse. Lì per lì, non credetti alle mie orecchie; ma esso lo stesso mi spinse subito a tastarle di nuovo il polso. Infatti, volevo essere certo di non essermi sbagliato nella precedente diagnosi eseguita sul corpo della ragazza. Allora, con mia inimmaginabile sorpresa, notai che in esso, seppure con una frequenza molto debole, si avvertiva ancora il battito cardiaco. Prima invece esso, per un fenomeno davvero inspiegabile, si era dimostrato totalmente impercettibile! Ciò mi fece dedurre che la lama del pugnale, essendosi conficcata trasversalmente nel suo corpo, anziché ledere qualche organo vitale, le aveva soltanto schiacciato l'aorta, riducendole al minimo il flusso ematico diretto a tutti gli altri vasi sanguigni. Quindi, era stato soltanto in seguito all'estrazione della lama dalla profonda ferita che la circolazione sanguigna aveva ripreso il suo corso normale, ridandosi nello stesso tempo ad ossigenare a pieno ritmo i suoi vari organi, ad iniziare da quelli vitali e finendo ai restanti, che si presentavano come secondari!
Allora, avendo acclarato che Flesia era ancora viva e che si era trattato soltanto di una morte apparente, mi adoperai subito per arrestare l'emorragia, che in lei si era rimessa in moto. Per prima cosa, mi precipitai a rifornirmi dello strumentario chirurgico necessario. Nello stesso tempo, invitai mia figlia Selinda a seguirmi e a darmi una mano nel delicato intervento. Esso consistette nello sterilizzare in primo luogo la profonda ferita e poi nel sottoporre la stessa ad una sutura complicata. Per fortuna, le condizioni fisiche della ragazza si presentavano alquanto deboli. Infatti, la sua fiacchezza, mentre le suturavo la ferita, le fece avvertire il dolore il meno possibile. Al termine del mio riuscito intervento chirurgico, Flesia si diede a lamentarsi e a manifestare una sofferenza maggiore. Ma solo in seguito ci fu in lei un alternarsi di deboli lamenti e di scarse domande, le quali furono le seguenti:
«Che cosa mi è successo e dove sono, medico Ipione? Perché sto soffrendo così tanto?» ella si chiedeva frastornata, mentre era nel suo stato di semicoscienza, però senza mai smettere di lamentarsi a causa del forte dolore in atto, il quale non l'abbandonava.
«Sei a casa mia, Flesia. Adesso, però, cerca di riposare, siccome hai un gran bisogno di riposo!» le risposi «Non ricordi più che hai tentato di toglierti la vita? Sul principio, Godian ed io ti abbiamo data per spacciata. Per questo possiamo affermare che è stato un vero miracolo, se ti ritrovi ancora viva nella tua camera! Ma adesso necessiti della massima tranquillità, alla quale dovrai darti più che mai! Mi hai sentito?»
«Dov'è allora il mio Godian, buon Ipione? Perché non è qui a largirmi il suo conforto? Egli mi ha forse abbandonata, lasciandomi sola con la mia sofferenza? Scommetto che l'avrò fatto arrabbiare sul serio con il mio gesto sconsiderato, se non si trova più qui accanto a me! Sono stata proprio una sciocca ad agire come ho fatto, per ubbidire a sua madre!»
«L'averti creduta morta al pari di me, Flesia, lo ha distrutto psicologicamente. Perciò non se l'è sentita di esserti vicino, mentre giacevi sul letto immobile e senza vita! Ma prima di allontanarsi da qui, mi ha anche incaricato di disporre per te il miglior funerale e di farti erigere il più bel sepolcro. Avresti dovuto vederlo in quale stato lo sventurato tuo amato era ridotto, mentre si allontanava dal tuo capezzale e dalla mia casa! Pareva che il mondo gli fosse crollato addosso interamente ed inesorabilmente! Sei stata tu, con il tuo gesto, a ridurlo in quello stato.»
«Povero il mio Godian! Chissà quanto lo avrò fatto soffrire e quanto gli sto ancora martoriando l'animo! Prima di lui, però, veniva il popolo di Actina! Me lo aveva fatto presente anche la regina Cluna. Volevo rinunciare a lui, unicamente per il bene della nostra città e per la salute di suo padre! Altrimenti, mentre il re Nortano sarebbe morto di crepacuore, il popolo di Actina sarebbe andato incontro ad una grande catastrofe! Non sarebbe stato forse così, nobile Ipione, se il principe Verricio fosse diventato lui re della Città Santa?»
«Certamente, Flesia; ma adesso non occorre che tu ti ponga questi problemi, perché sei viva. Invece bisogna avvertire al più presto il principe Godian della tua avvenuta resurrezione! Così lo faremo ritornare ad essere felice e beato come una volta! Lo sventurato principe deve sapere che non sei morta e lo stai aspettando con ansia e a braccia aperte!»
«Invece non farlo, nobile Ipione! È meglio che egli non sappia che sono ancora viva per miracolo. Soltanto credendomi morta, il mio Godian accetterà di essere incoronato re di Actina e di sposare una donna principessa, al posto mio. In questo modo, i suoi genitori ne saranno felicissimi, mentre il suo popolo ne trarrà dei grandissimi benefici. Non fa niente, se poi dovrò soffrirne in modo terribile e se il mio amore per lui sarà costretto a convivere con la mia angoscia, proprio come fratello e sorella! Che almeno il nostro amplesso di questa mattina desse il suo frutto! Così, beandomi della nostra creatura, mi distrarrei, vedrei dissiparsi in me l'afflizione dell'animo. Accarezzandola, sarebbe per me come sfiorare pure il corpo del mio Godian; baciandola, rivivrei i suoi baci passionali; tenendola stretta tra le mie braccia, sarebbe per me come stringermi al petto il suo adorabile padre! Oggi e per sempre, è questo che desidero e nient'altro, illustre medico. E tu mi darai retta!»
Esaurito il suo intimo sfogo, Flesia, colta da improvviso pallore e da un brusco abbassamento della pressione arteriosa, cadde in deliquio. Quando si riebbe dallo svenimento, ella accusava una coscienza difettosa, totalmente in preda al delirio. Predominava in lei uno stato confusionale, il quale le veniva causato da accessi di forti rialzi termici. Senz'altro l'aumento della sua temperatura corporea era sintomatico proprio di una sepsi della ferita. Essa, tramite l'apparato circolatorio, era riuscita a veicolare i germi patogeni nell'intero suo organismo, dando luogo ad una setticemia generalizzata. La crisi della sua infezione ebbe una durata di quattro giorni e quattro notti. Durante il quale periodo, io, le mie figlie e i genitori della ragazza ci adoperammo senza tregua, al fine di tenere sotto controllo l'elevazione termica. Ricorrevamo soprattutto a contromisure naturali, come le immersioni in acqua fredda, oltre alla somministrazione di sostanze antipiretiche, dovendo risultare anch'esse molto proficue. Alla fine la deperita Flesia vinse la sua battaglia contro lo stato infettivo che si era instaurato in lei; ma il suo organismo ne uscì defedato e molto compromesso. Allora, al fine di farla rimettere dalla sua grave debilitazione, Selinda e Zeira si diedero a prepararle ogni giorno dei pasti succulenti ed abbastanza nutrienti, con la chiara intenzione di farli risultare appetitosi alla ragazza. Così, facendola rifocillare a sufficienza, nel giro di una ventina di giorni, le mie due figlie le permisero di recuperare la totalità delle sue energie fisiche, che aveva perduto in precedenza. Di quanto era accaduto e stava succedendo a Flesia, volli informare i regnanti di Actina. Essi condivisero appieno ed apprezzarono la decisione della ragazza di farsi credere morta dal loro primogenito. Il re Nortano volle incaricarsi di persona di farle erigere nella necropoli un sontuoso sepolcro. In quel modo, il suo primogenito non avrebbe avuto modo di insospettirsi neanche lontanamente e quindi avrebbe continuato a credere morta la sua adorata ragazza. Quanto al resto, ci avrebbe pensato il tempo.
Dall'inizio del terzo mese in poi, essendosi accertata nella ragazza l'interruzione del flusso mestruale per ben due cicli, se ne arguì che ella era rimasta incinta. Così, sei mesi più tardi, con un parto prematuro, Flesia partorì una bellissima bambina, la quale, col passare dei mesi, andò somigliando sempre più incredibilmente al padre Godian. La madre aveva voluto che la neonata si chiamasse Godesia, un nome coniato appositamente per lei. La cui originalità stava nel fatto che esso rappresentava entrambi i nomi, quello paterno e quello materno.
Un giorno il re Nortano e la regina Cluna mi chiesero di portargliela a corte, mostrandosi ansiosi di conoscerla e di tenerla un po' con loro. Dopo essi pretesero anche che gliela conducessi di tanto in tanto. A corte, quando gliela portavo a vedere, dopo averla tenuta tra le braccia ed averla trastullata per qualche oretta, i regnanti di Actina me la restituivano, restandone ogni volta immensamente contenti di avere avuto la graziosa nipotina con loro. Avreste dovuto vedere quanto si commuovevano i due coniugi reali, nel tenersela vicina e nel prodigarle le loro tenere carezze, le quali erano quelle di veri nonni!
In seguito giunsero le nozze del principe Godian. Allora Flesia volle assistere al corteo nuziale, portando con sé anche la figlioletta, la quale allora aveva quattro anni. Quando poi rincasò, ella aveva gli occhi raggianti di gioia e l'animo appagato. Quel suo atteggiamento le proveniva da un duplice motivo: primo, perché era riuscita a vedere Peg, il grande suo amore; secondo, perché il suo sguardo si era soffermato a guardarla per alcuni istanti, mentre gli mostrava il frutto della loro grande passione. Così la soddisfatta madre rimase felice per il resto della giornata.
Con il tempo che trascorreva, arrivò anche il giorno in cui il re Godian fu assassinato da mano ignota. Allora il suo assassinio si abbatté sulla ragazza simile ad un fortunale, che piomba improvviso e sconvolgente su un'esile pianticella. Dopo l'uccisione del suo amato, la poveretta si ritrovò a gestire una situazione difficilissima; anzi, immensamente critica per lei, sotto il cui peso ben presto ella sarebbe crollata. Difatti, demoralizzata e spossata com'era, non resse al suo dolore impossibile, che era venuto a soggiogarla e a martoriarla oltre i limiti della sopportazione. Perciò, in poco tempo, ella imboccò il tunnel di una grave crisi esistenziale, che le scombussolò l'intero apparato nervoso. Essa, oltre a smorzarle il vigore dell'animo e la vitalità dello spirito, le insidiò mortalmente l'integrità fisica e quella psichica, che le erano ancora rimaste. Così, divenuta preda di una grave forma di anoressia mentale, Flesia cominciò a rifiutare ogni sorta di cibo, fino ad arrivare a provare per esso una vera idiosincrasia. Per questo il suo destino poteva considerarsi segnato. Infatti, giorno dopo giorno, iniziò ad instaurarsi nella giovane madre uno stato cachettico irreversibile, il quale l'avrebbe condotta rapidamente alla tomba. Ma prima di spirare serenamente in pace, la lucida ragazza mi si rivolse, dicendo:
«Godian ed io, nobile Ipione, ti affidiamo la nostra piccola Godesia, poiché sei stato l'unica persona a mostrarsi generosa verso la mia sfortunata famiglia. Inoltre, ti raccomandiamo caldamente di farle da buon padre e di non farle mancare mai niente, proprio come hai fatto finora, mentre ero in vita nella tua casa! Perciò te ne saremo riconoscenti per sempre! Che il divino Matarum ti protegga in ogni tempo!»
Subito dopo la moribonda Flesia chiamò anche le mie figlie presso il suo capezzale. Così, tenendole strettamente per mano entrambe, intanto che si angosciava e singhiozzava, incominciò ad esprimersi a loro due con queste toccanti parole:
«Anche a voi, mie ottime amiche Selinda e Zeira, Godian ed io rivolgiamo una supplica. Vi chiediamo di farle da vere madri e di volerle lo stesso bene che le avete voluto fino ad oggi. Ella ne avrà tantissimo bisogno, specialmente dopo che la mia dipartita l'avrà resa orfana di tutti e due i genitori. Vi raccomando caldamente: vegliate sempre su di lei e non le fate mai mancare niente! Che il buon dio Matarum protegga anche voi e non allontani mai i suoi occhi benigni dai vostri nobili spiriti!»
Le ultime sue parole, invece, furono per il suo indimenticabile Godian. Rivoltosi a lui, Flesia si diede a parlargli così:
"Caro Peg, mio eterno amore, finalmente sto per raggiungerti. Quando ciò avverrà, non ci lasceremo mai più e vivremo insieme per l'eternità! Il gelo della morte, oramai, già comincia a penetrarmi in tutto il corpo e presto mi annebbierà anche la vista, privandomi infine della sensibilità. Avverto che la mente mi si va ottundendo e si affretta a darsi alla sua fugace corsa verso l'ignoto. Ma io sono sicura che, dopo che sarò morta ed avrò riaperto gli occhi, tu mi apparirai davanti. Allora i nostri spiriti si ricongiungeranno e riprenderanno a vivere la passione amorosa, poiché essa, non potendo essere distrutta da niente e da nessuno, seguiterà a farci beare in eterno!"
Pronunciate quelle sue bellissime parole d'amore rivolte al suo amato Godian, la ragazza spirò; ma questa volta morì per davvero e per sempre. La sua definitiva morte fece uscire fiumi di lacrime dagli occhi delle due mie figlie disperate, le quali non si erano mai sentite più afflitte di quel tragico momento. La salma di Flesia trovò riposo in quel sepolcro vuoto che, per volere dei regnanti di Actina, già era stato eretto nella necropoli della città qualche lustro prima. Esso si trovava esattamente di fianco a quello del suo adorato Godian, il quale l'aveva preceduta nel loro infausto e crudele destino.
Nei giorni che seguirono il funerale di Flesia, il clima politico in Actina andò divenendo sempre più irrespirabile. Allora, facendosi più probabile una ripicca da parte del principe Verricio verso di me e la mia famiglia, per essere stato molto amico del fratello Godian, decisi di lasciare la città con le mie due figlie e con la piccola Godesia. Prima di partire, raccomandai ai genitori di Flesia di dare ogni tanto una occhiata alla mia casa, ma senza dare nell'occhio e cercando di essere molto prudenti. Così ci trasferimmo a Cirza, dove potevo contare, per qualche aiuto, su amicizie di vecchia data. Comunque, non lo intendevo di tipo finanziario, dal momento che già disponevo di considerevoli averi.
In seguito, una volta che ci fummo sistemati nella nuova città, senza essere mai venuta meno in noi una grande nostalgia per la nostra Actina, man mano ci andammo acclimatando alla nuova realtà socio-ambientale, senza trovarci per niente a disagio nella nuova città. In Cirza, grazie alla mia rinomanza di chirurgo provetto, la mia famiglia ebbe modo di frequentare il fior fiore dell'aristocrazia locale, proprio come già era avvenuto nella mia città natale. Comunque, ogni anno non mi lasciavo sfuggire l'occasione di venire ad Actina, dopo essermi camuffato alla meglio ed essermi reso irriconoscibile. Qui in città, però, le mie visite erano riservate ai soli nonni materni di Godesia e alla mia abitazione. Essa, stando ogni volta alle impressioni di Alisto, il quale era il padre di Flesia, non era stata mai fatta oggetto di alcun controllo da parte dei soldati del principe Verricio. Almeno così gli era sembrato. Ma era sempre possibile che la mia dimora venisse fatta sorvegliare dal despota nella massima segretezza, con la speranza di sorprendermi in essa e di potermi mettere le mani addosso. Nel qual caso, ero convinto che la sua vendetta nei miei confronti sarebbe stata inesorabile, ossia tramite decapitazione! Tre anni fa, però, con mio grande dispiacere, non trovai più i familiari di Flesia ad attendermi nella loro casa; né riuscii ad avere notizie di loro. Non sapendo spiegarmelo, decisi di ritornarmene a Cirza, prima che i gendarmi del principe Verricio venissero a conoscenza della mia presenza in città.
Quanto alla piccola Godesia, ella cresceva sana, bella, intelligente e spigliata al massimo. Io ero diventato il suo impareggiabile nonno e le mie figlie rappresentavano le sue zie adorabili. La mia primogenita Selinda dedicava la maggior parte del suo tempo a darle da mangiare, a lavarla, a vestirla e a prepararle dei dolci a base di mandorle e marmellata. La mia secondogenita Zeira, invece, spendeva il suo tempo unicamente a coprirla di tenerezze, a farla divertire e a raccontarle le più belle favole. Inoltre, le insegnava a leggere, a scrivere e a fare i conti. Da parte sua, la bambina, come suo ringraziamento, si profondeva per luna e per l'altra in baci e carezze. Ella non risparmiava le sue moine neppure alla mia persona. Godesia era consapevole che anche io, oltre a procurarle ogni tanto qualche divertente giocattolo, spesso mi dedicavo a lei, riempiendola di coccole e portandola a cavalluccio, proprio come se fossi un bambino come lei. Ma nel frattempo gli anni trascorrevano veloci. Se, da un lato, essi aprivano le porte della beata giovinezza alla nostra Godesia; dall'altro, carpivano alle mie figlie la freschezza della gioventù, facendole avvizzire sempre di più. Invece a me spianavano la strada verso la canizie e la vecchiaia, mettendomi di fronte ad un'amara realtà. La quale era dovuta all'approssimarsi del mio viale del tramonto, lungo il quale mi sarei immerso negli innumerevoli tristi ricordi del passato.
Due mesi fa, gli anni del mio volontario esilio si avviavano a diventare quasi trenta, senza più nessuna speranza di riportare la mia famiglia in patria, allorquando il mio amico Erpesio arrivò con delle magnifiche notizie dalla nostra Città Santa. Egli ci comunicò che il principe Verricio era stato ucciso dal nipote, il quale, a distanza di tanti anni, era ritornato ad Actina ed aveva vendicato il padre, il defunto re Godian. Inoltre, il principe vendicatore stava per succedere alla madre abdicataria. Le due notizie ci risollevarono moltissimo e decidemmo di fare immediatamente ritorno alla città, la quale ci aveva visti nascere e conservava i nostri ricordi più belli e più cari. Così, dopo esserci equipaggiati per il nostro lungo viaggio, ci siamo messi in cammino alla volta di Actina, senza incontrare difficoltà per quasi l'intero percorso. Ciò, almeno fino a quando non ci sono apparse in lontananza le imponenti torri merlate della nostra Actina, la qual cosa è avvenuta tre giorni fa. Solo allora, infatti, mentre ci affrettavamo a superare le ultime miglia che ci separavano da essa, siamo stati assaliti da una ciurmaglia, la quale era composta da sei spregevoli individui. Quanto alle loro reali intenzioni, non sono riuscito né a comprenderle in quel momento né ad immaginarle dopo. Non posso nemmeno affermare se essi venissero spronati ad attaccarci più dall'intenzione di derubarci oppure da quella di approfittare delle donne. Ma per fortuna, è intervenuto in nostro soccorso il vostro coraggioso Astoride. Egli ci ha permesso di liberarcene senza subire né oltraggio né perdite di tipo materiale. Per il suo prezioso intervento, io, le mie figlie e Godesia gliene saremo per sempre immensamente grati!
Dopo il loro incontro, inoltre, è venuto a sbocciare un grande amore fra Astoride e Godesia, i quali, senza indugio, hanno deciso di fidanzarsi con il mio beneplacito. A tale riguardo, sperando che pure voi accogliate con favore l'unione dei due giovani innamorati, mi auguro che essa molto presto si concluda con un felice e fortunato matrimonio, come si conviene a due autentici principi! A questo punto, termina il mio esaustivo racconto, essendo sicuro di non aver tralasciato nulla che poteva riscuotere il vostro interesse e il vostro gradimento.