232-IVEONTE DECIDE DI DIRIMERE LA CONTROVERSIA

Quando Retinia raggiunse la ex regina di Actina, costei si trovava nel patio della reggia. In quel momento, ella si intratteneva a conversare con il figlio Francide, con Iveonte e con Astoride. La nobildonna subito si accorse del disappunto che si leggeva chiaramente sul volto dell'amica sacerdotessa. La quale, esternando una espressione di amarezza e un aspetto contrariato, appariva alquanto abbacchiata. Perciò, quando la religiosa giunse in mezzo a loro, la nobildonna le si rivolse, dicendo:

«Vedo, mia cara Retinia, che mi porti delle notizie niente affatto rosee. Ad ogni modo, esse erano già da prevedersi! Ma vorrei sapere che cosa ha tradito il tuo fiducioso ottimismo, che avevi riposto nel tuo interessamento presso la classe sacerdotale per portare a buon fine la vicenda di mio figlio Francide. C'è forse stato un incidente di percorso, quello che prima non era stato considerato e previsto da te?»

«Infatti, amica mia! Avevo già ottenuto ogni cosa che mi ero prefissa, cioè l'abrogazione della Legge di Tutuano e la nomina a Sommo dei Sacerdoti del mio amico Dumio. Ma poi l'intervento del confratello Temurio, che è stato sempre il grande amico di Chione, è riuscito a mettermi il bastone tra le ruote e a capovolgere la situazione. Esso, naturalmente, ha riguardato soltanto la Legge di Tutuano, la quale era quella che ci stava più a cuore! Perciò, non essendoci stato uno sbocco positivo durante il nostro concistoro, la questione di tuo figlio resta ancora in alto mare. Mi spiace prima per lui e poi per te!»

«Mi dici, Retinia, con quale pretesto egli è riuscito ad imporsi all'assemblea concistoriale? Vuoi dirmi pure quali sono stati gli argomenti da lui addotti, per non dartela per vinta? Ma poi non era Chione, il Sommo dei Sacerdoti, ad essere temuto maggiormente da te e da me? Noi eravamo convinte che egli soltanto si sarebbe opposto a oltranza all'abrogazione della legge di Tutuano. Per favore, amica mia, vuoi essere così gentile, da raccontarmi come si sono svolti realmente i fatti nel tempio? Sai, mi è venuta una gran voglia di apprenderli e sapere qualcosa soprattutto sullo zio de nobile Adrino!»

La sacerdotessa allora si mise a raccontare, in ogni dettaglio, ciò che era avvenuto in seno al sinodo. Inoltre, spiegò quale insormontabile pericolo avrebbe rappresentato l'Arco della Sacralità per qualunque persona si fosse azzardata ad attraversarlo, indipendentemente dalla sua condotta morale e religiosa. Infine fece presente che in passato già ne erano rimasti vittime il re Kanur e il re Perestio, che avevano tentato di attraversarlo per la medesima ragione. Quando infine la mesta Retinia ebbe terminato di riferire i vari particolari che avevano riguardato l'avvenuto concistoro, la madre di Francide si mortificò parecchio e non riusciva a capacitarsene. Presa poi dalla stizza, non si astenne dall'esprimere il proprio rammarico e dal fare seguire ad esso tali considerazioni:

«Mia cara Retina, non puoi immaginare quanto mi rattristi il tuo insuccesso nella vicenda che ci stava tanto a cuore! Esso mi sta facendo sentire la più disperata delle madri e mi ha privata della serenità che prima stava trionfando dentro di me, poiché ritenevo chiusa la questione riguardante mio figlio. È chiaro che non permetterò mai a Francide di tentare una impresa del genere, dalla quale la morte gli deriverebbe inevitabilmente. A questo punto, preferisco che mio figlio sposi la sua Rindella e regni su Actina allo stesso tempo, infischiandosi della Legge di Tutuano e della classe sacerdotale, per colpa della quale egli adesso dovrà agire in questo modo assai antipatico!»

A quel punto, Iveonte, avendo in precedenza ascoltato con attenzione l'intero resoconto della sacerdotessa, intervenne nel colloquio delle due abbattute donne. Allo scopo di rassicurarle entrambe che non c'era bisogno di disperarsi come stavano facendo, poiché non ce n'era il motivo, incominciò a parlare loro nel modo seguente:

«Non dovete preoccuparvi dell'Arco della Sacralità, principessa Talinda e sacerdotessa Retinia, perché sarò io ad attraversarlo al posto di Francide. Potete essere certe che, quando vi sarò dentro, non mi accadrà nulla di quanto da voi paventato. Così metteremo a tacere per sempre gli ostili sacerdoti, che hanno preteso l'attraversamento dell'arco!»

«Stai scherzando, Iveonte?!» tenne a precisargli la sacerdotessa «Nessuno può fare un affronto simile alla divinità di Matarum, senza venirne punito con la morte! E tu vorresti sfidare il dio, attraversando il suo sacro arco? No no, non se ne parli nemmeno! A che serve sacrificarti, senza neppure ottenere un beneficio a favore del tuo amico fraterno? Perciò conviene affrontare i sacerdoti, come ha precisato la madre del sovrano, dimostrandosi essa l'unica strada senza pericoli.»

«Invece il mio amico Iveonte potrà farcela, Retinia, poiché la sua prova è a rischio zero!» la contraddisse Francide «Egli si è già trovato diverse volte a dovere cimentarsi con altre divinità ed è riuscito sempre ad avere la meglio su di loro. Naturalmente, con la protezione di altre divinità più potenti di quelle da lui affrontate! Perciò glielo permetterò senza meno, se il mio amico vorrà mettersi nel grave cimento, attraversando l'Arco della Sacralità al posto mio!»

Allora la sacerdotessa, mostrandosi molto scettica prima verso le parole di Iveonte e poi verso quelle del suo sovrano, volle replicare a quest'ultimo, dandosi a dire:

«Re Francide, a parte il fatto che i sacerdoti vorranno che sia tu ad attraversare l'arco in questione e non un altro che prenda il posto tuo, io mi mostro abbastanza scettica circa la riuscita del tuo amico Iveonte nell'ardua impresa. Per cui non scommetterei un solo capello sulla sua incolumità, se gli venisse consentito di tentare la prova in vece tua. Poiché il dio Matarum una divinità molto potente, l'energia emanata da lui esprime l'intera sua potenza all'interno dell'arco. Perciò è in grado di intrappolare perfino altre essenze divine di grado inferiore oppure uguale al suo. Inoltre, sono convinta che la stessa divinità che è la protettrice di Iveonte, pur essendo di natura immortale, potrebbe correre un serio pericolo sotto l'arco! Mi sono spiegata adesso come dovevo?»

«Perché il dio Matarum, amica mia Retinia,» Talinda chiese alla sacerdotessa «permette che la sua energia intrappoli e castighi sia i cattivi che i buoni, evitando di intervenire a favore della giustizia e del bene? Non riesco a concepire un fatto così assurdo, se mi lasci esprimere il mio parere sulla massima divinità dell'Edelcadia!»

«In questo caso, Talinda, non è il divino Matarum a castigare qualcuno; ma è la persona che decide di immergersi nella sua energia, autopunendosi, senza che nessuno la obblighi. È come se tu avessi in casa un braciere pieno di carboni ardenti e qualche tuo ospite di sua volontà vi ficcasse dentro un dito. Si potrebbe affermare che sei stata tu a bruciarglielo, per il solo fatto che sei la proprietaria della casa? Certo che no! Con la differenza, però, che tu potresti anche disfarti del braciere, in quanto non è parte di te, allo scopo di salvaguardare l'incolumità di alcuni tuoi folli ospiti. Invece il dio Matarum non può assolutamente farlo, dal momento che la sua energia è lui stesso. Per questo, per potersene disfare, dovrebbe prima eliminare sé stesso, la qual cosa può essere soltanto impossibile. Ecco come devi considerare realmente le cose, amica mia, senza dare la colpa al nostro divino protettore!»

«Retinia, anche se ad un certo punto mi sei apparsa un po' filosofa, mi hai reso perfettamente l'idea, considerato che non avresti potuto farlo meglio! Io non ci sarei riuscita a farla intendere così chiaramente con un esempio ad hoc. Ma adesso, secondo te, che cosa dovrà fare il mio Francide per avere la felicità dalla parte sua? Su, consigliami!»

«Se ci tiene a continuare a vivere, tuo figlio deve optare per il regno oppure per la sua Rindella, dato che per lui affrontare il cimento dell'arco equivarrebbe ad un vero suicidio. A meno che egli non decida di ignorare la Legge di Tutuano, sfidando apertamente la classe sacerdotale e sposando così la sua ragazza, come già si era proposto di fare! In questo caso, però, non so affermarti quali contraccolpi potrebbero derivargli da un braccio di ferro con i sacerdoti del tempio. Infatti, non si può conoscere in anticipo da quale parte si schiererebbe il popolo di Actina. Questa è la mia tesi. Ti ho reso l'idea?»

«Non ti preoccupare, Retinia,» Iveonte intervenne a rassicurarla di nuovo «non ci sarà bisogno che Francide sfidi la classe sacerdotale. Così il popolo non avrà modo di ritenere il loro sovrano un litigioso, già al suo debutto! Per questo tutto si svolgerà, secondo quanto statuito dai tuoi confratelli, siccome sarò io ad affrontare la prova al posto di Francide, senza correre pericoli e senza che sorgano problemi di sorta. Se poi ti preoccupa il fatto che i tuoi colleghi non accetteranno che io prenda il posto del sovrano nell'ardua impresa, puoi stare tranquilla che un fatto del genere non ci avverrà, in quanto in me tutti scorgeranno il loro sovrano. Io assumerò le sembianze del mio amico, prima di attraversare l'Arco della Sacralità. Comunque, non devi temere per la mia salvezza, quando mi troverò sotto di esso, come appunto vogliono i sacerdoti del tempio, siccome in quel momento nessuno meglio di me starà in una vera botte di ferro. Sarà invece il sacerdote Temurio quello che in tale luogo si ritroverà con l'acqua alla gola, fino ad affogarci dentro, come si merita! Infatti, solo lui verrà a contatto col fuoco, il quale lo farà diventare un corpo carbonizzato. Ecco come in effetti si svolgeranno le cose!»

«Vuoi farmi comprendere, Iveonte,» gli chiese Retinia «da che cosa ti deriva questa tua sicurezza, mentre io non mi sentirei niente affatto tranquilla, solo a pensarci? Possibile che è così grande la tua fiducia nelle divinità dalle quali sei protetto, che non ti fa preoccupare minimamente della somma divinità dell'Edelcadia? Voglio pure che tu mi metta al corrente di come farai ad assumere le sembianze del re Francide durante la prova, visto che ho i miei dubbi che tu ci riuscirai alla perfezione!»

«La mia sicurezza mi proviene dal fatto che posso disporre dell'aiuto di una delle due eccelse divinità dell'universo. Come sacerdotessa, dovresti sapere che esiste una gerarchia fra tutte le divinità, siano esse benefiche o malefiche. Oppure, Retinia, non ne sei stata mai messa a conoscenza da nessuno? Già, vedo che è proprio quanto suppongo!»

«In verità, Iveonte, avendo riposto la mia cieca fiducia sempre e solo nel divino Matarum, infervorandomene a non credersi, non ho mai approfondito un simile argomento. Ma qualcosa in merito, se devo esserti sincera, mi pare che mi sia già giunto all'orecchio. Perciò saresti disposto a darmi tu delle delucidazioni su questo argomento di natura teologica, dato che esso mi risulta ignoto? Se tu lo farai, te ne sarò molto grata!»

«Eccomi a tua disposizione, Retinia! Devi sapere che la divinità per eccellenza è l'onnipotente ed onnisciente Splendor. Egli vive in Luxan, che è la dimora degli dèi positivi, cioè delle divinità benefiche. Mentre Tenebrun è la dimora degli dèi negativi, ossia delle divinità malefiche. Splendor, in seguito ad una espressa richiesta degli dèi positivi, si decise a creare Kosmos, ossia il nostro universo, a capo del quale pose due divinità gemelle, ossia Kron, il dio del tempo, e Locus, il dio dello spazio, insignendole del titolo di divinità eccelse e dotandole di iperpoteri primari. Gerarchicamente, dopo le due divinità eccelse già nominate, vengono le due divinità massime, dotate di iperpoteri secondari. La prima è la dea positiva Lux; mentre la seconda è il dio negativo Buziur. Ad esse seguono le divinità maggiori, come il dio Matarum e il dio Mainanun, le quali sono dotate di superpoteri. Infine abbiamo una schiera di divinità minori, sia benefiche che malefiche. Ora ti ho sintetizzato ogni cosa sulle divinità, per cui non hai più niente da apprendere su di loro!»

«Quali sono, Iveonte, le divinità che ti proteggono e che ti hanno fatto dono della spada e dell'anello, dal momento che entrambi gli oggetti sono opere chiaramente di natura divina? Me ne sono accorta, non appena ho scorto l'una e l'altro in tuo possesso! Posso sapere anche quali poteri ti forniscono, quando ti soccorrono?»

«Come vedo, sacerdotessa Retinia, già sei stata messa al corrente, in un certo senso, della loro prodigiosa natura dal divino Matarum! Innanzitutto devi sapere che la mia spada non è un'opera divina, ma è una divinità minore, che si manifesta sotto forma di spada. Si tratta di Kronel, la figlia del dio Kron. L'anello, invece, mi è stato inviato dall'eccelso suo genitore, servendosi del suo messaggero, il dio Osur, allo scopo di far fruire alla figlia dei suoi iperpoteri primari, in caso di bisogno. Quando impugno la mia spada, l'arma viene a diretto contatto dell'anello. Allora Kronel può disporre dei suddetti iperpoteri del padre. Perciò nessun'altra divinità di Kosmos, in quel momento, può competere con lei. Adesso che hai appreso anche quest'altra cosa rassicurante su di me, ti senti più tranquilla, senza tirare in ballo tanti inutili timori?»

«Se le cose stanno come mi hai spiegato, Iveonte, ti faccio le mie scuse, per non avere avuto sufficiente fiducia in te. Grazie a tali tue notizie, sono felicissima per il fatto che godi di tale protezione divina. Inoltre, adesso sono certa che molto presto vedrò il mio re Francide senza avere più addosso il peso della Legge di Tutuano. Ma anche scorgerò di nuovo la mia carissima amica risollevata e serena. Questa volta definitivamente, per merito tuo, giovane fortunato!»

«Non c'è bisogno di chiedermi scusa, Retinia, perché la tua mancata fiducia nei miei confronti nel nostro caso era più che legittima e giustificata dalla tua ignoranza circa la totalità delle divinità. Essa, quindi, non mi è risultata di alcuna offesa. L'importante è che Francide presto non avrà più alcun problema da risolvere, in merito al suo sospirato matrimonio con la sua dorindana Rindella!»

Data l'ultima risposta alla sacerdotessa, Iveonte stabilì di ritirarsi nel suo alloggio personale, poiché intendeva mettersi con urgenza in diretto contatto con la sua diva protettrice. Egli voleva assicurarsi che non ci fosse nulla di proibitivo in ciò che aveva intenzione di fare a favore del suo amico. Soprattutto il nostro eroe voleva chiederle il suo prezioso appoggio in quell'impresa, che si presentava umanamente impossibile. Una volta che vi fu giunto, per prima cosa, Iveonte pensò di discingersi la spada dal fianco. Ma, con sua grande sorpresa, egli non la trovò più appesa alla cintura che gli cingeva la vita. Allora il giovane si andò domandando in quale parte essa fosse finita, dopo essere scomparsa a sua insaputa. Poco dopo, invece, mentre si dava a cercarla intorno a sé, un'aggraziata voce femminile si fece udire alle sue spalle:

«Nevvero che stai cercando proprio me, mio valoroso e generoso Iveonte? Ebbene, sono qui, a tua completa disposizione!»

Il nostro eroe si voltò immediatamente indietro e si trovò faccia a faccia con una bellissima fanciulla dalle fattezze divine. Il suo volto dolce e seducente risplendeva sotto il vivido brillio di due occhi penetranti ed ammaliatori. Invece i suoi lunghi e biondi capelli, dall'aspetto serico e ondulato, si presentavano liberamente disciolti in avanti sopra i due seni eburnei, i quali mostravano dei turgidi capezzoli areolati ben conformati. Anche il resto del suo corpo, altrettanto in costume adamitico e non meno ammaliante, ostentava delle melliflue nudità, che non esprimevano né esuberanza né formosità; ma lasciavano intravedere soltanto una leggiadria di forme e un'armonia di lineamenti. Esse rapivano alla sua realtà colui che aveva la fortuna di poterle contemplare da vicino. Infatti, gli facevano vivere uno squarcio esistenziale travolgente e beatificante, siccome esso gli appariva quasi da sogno. Davanti a tale splendore di eccitante sensualità, all'inizio il giovane rimase psicologicamente bloccato, come se ne fosse stato ipnotizzato. In seguito, però, fu la stessa sublime e maliosa diva a trarlo fuori da quella specie di trance, nella quale era entrato all'improvviso. Vedendo che egli continuava a restarvi estasiato e silenzioso, volle convincerlo della propria reale presenza:

«Sì, sono esattamente io, baldo Iveonte: sono la tua Kronel, quella che desideravi vedere con gli occhi e non immaginare più con la mente! Sono convinta che la mia immagine può solo recarti piacere! E non può essere altrimenti, visto che era da troppo tempo che aspettavi questo gaio momento per te! Non è forse vero, mio grande eroe, che bramavi vedere la mia immagine, chiedendoti spesso come sarei potuta essere?»

«Hai perfettamente ragione, diva Kronel: non posso negarlo! Adesso che mi viene consentito di scorgerti, posso ammirarti al massimo, oltre che venirne inebriato. La tua bellezza si presenta così scioccante ed incantatrice, che chi la contempla non può che venirne colpito ed affascinato! È appunto quanto sta accadendo a me, in questi attimi magici!»

«Grazie per il gentile complimento, Iveonte! Ma vorrei tanto che tu mi desiderassi ed appagassi con me certi tuoi inconfessabili appetiti. Anche se li ho già vissuti altre volte, naturalmente in condivisione con la tua Lerinda, non ne sono mai rimasta pienamente appagata, per il semplice motivo che non ero stata io a suscitarli in te, come pure tu non li avevi destinati a me. Sebbene ciò mi rattristi, non posso che rispettare la tua fedeltà alla donna che ami. A questo punto, mio pupillo, puoi iniziare a dirmi di cosa volevi parlarmi, dal momento che è stato per questo che ti sei congedato dai tuoi amici e sei ricorso a me! Allora mettiti subito a riferirmi ogni cosa sulla vicenda di cui volevi parlarmi, se vuoi che io ti aiuti a risolvere in qualche modo il tuo nuovo problema!»

«Certo che è come hai detto, mia divina Kronel; ma ho l'impressione che io non abbia più niente da farti sapere, poiché già sei al corrente di ogni cosa che desideravo chiederti, essendo tu presente alla nostra discussione nel patio della reggia! Ho solo da domandarti qual è il tuo parere in merito alla mia iniziativa e quale consiglio puoi darmi in questa vicenda un po' ostica. Ma prima dovrai confermarmi che non ho promesso invano mari e monti a quanti hanno bisogno del mio aiuto. Tu sola puoi comprendermi, Kronel, perché lo sai che in me è congenito il desiderio di mettermi sempre a disposizione del prossimo, abbracciando ogni volta la causa dei più deboli e dei bisognosi. Specialmente in questa circostanza che la mia promessa è destinata al mio amico fraterno! Essa, che di solito affiora in forma spontanea dal mio animo, per lui ha rappresentato un atto dovuto. Come avrei potuto lasciare da solo nel suo complicato frangente proprio Francide, per il quale sarei disposto anche a sacrificarmi? Sono convinto che hai già studiato e compreso il suo problema, per cui pure tu sei pronta a prodigarti per lui! Nevvero?»

«Non preoccuparti, Iveonte, perché è già tutto a posto! Se hai fatto delle promesse e ti sei impegnato, senza avermi prima consultata, con questo tuo atteggiamento non hai voluto essere irrispettoso nei miei confronti; bensì hai solo dimostrato di avere una fiducia immensa in mio padre Kron. D'altronde, non potevamo lasciare il tuo amico Francide, il quale è il re della Città Santa, in balia della Legge di Tutuano, una legge che anch'io trovo del tutto lesiva della libertà personale dei suoi sovrani. Perciò noi due ci adopereremo per farla annullare per sempre in Actina!»

«Adesso, Kronel, non riesco a fare a meno di chiedermi che tipo di conflittualità ci sarà fra il divino tuo genitore e il dio Matarum, quando noi due ci troveremo sotto l'Arco della Sacralità. Vuoi ragguagliarmi tu su ciò che avverrà realmente lì sotto? Spero di non dover essere la causa di un conflitto aperto fra due divinità che si ispirano entrambe al senso del bene e della giustizia! Mi dispiacerebbe moltissimo, se, a causa mia, dovesse esserci tale scontro fra due divinità positive!»

«Se è questo pensiero che ti turba, Iveonte, puoi farne a meno, siccome due divinità benefiche non si scontrano mai fra di loro, né la più forte è tentata di sopraffare quella più debole. Perciò neanche tra mio padre e Matarum ci sarà alcuna sorta né di lotta né di confronto. Il protettore di Actina sa bene quale potentissima divinità è mio padre e mai si azzarderebbe a misurarsi con lui o a fargli un torto! Tra poco, subito dopo che questo nostro abboccamento avrà avuto termine, ritornerò ad essere la tua spada. Allora tu mi terrai impugnata per un congruo tempo, in modo da permettermi di contattare mio padre e di comunicargli la nuova impresa in cui stiamo per imbarcarci. Non vorrei che egli, nella foga di trarmi da qualche difficoltà, inconsapevolmente si ritrovasse a usare la forza contro una divinità positiva del prestigio di Matarum! Dopo che gliene avrò parlato, mio padre penserà lui stesso a sistemare per bene ogni cosa presso l'illustre divinità dell'Edelcadia. Ad ogni modo, quando avrò finito di contattarlo, te ne darò immediatamente avviso!»

«E per quanto riguarda l'assunzione, da parte mia, delle sembianze del mio amico, che cosa mi dici? Ora lo sai anche tu che i sacerdoti del tempio pretenderanno che sia il re Francide in persona ad attraversare l'Arco della Sacralità! Ho forse fatto ai miei amici una promessa che in effetti non potrò mantenere? Voglio saperlo subito, per favore!»

«Non preoccuparti, Iveonte, che non ti farò perdere la faccia, di fronte alle quattro persone che sappiamo! Il mattino stesso del giorno in cui dovrà esserci la grande prova, ti ritroverai trasformato nel tuo amico. Vedrai che, se proverete a mettervi l'uno accanto all'altro, vi renderete conto che vi somigliate davvero come due gocce d'acqua! Perciò in quel giorno nessuno si accorgerà dell'avvenuto scambio di persona.»

«Se me lo garantisci tu, Kronel,» concluse Iveonte «allora posso stare tranquillo! Da te non può che provenirmi la verità su qualunque cosa, poiché essa non dà mai adito in me a dubbi e mi rinfranca in ogni mia decisione. Quindi, a questo punto, non mi resta che ringraziarti ed augurarmi che presto mi allieterai di una tua nuova apparizione! Ad esserti sincero, già non vedo l'ora che tu mi riappaia, mia avvenente diva!»

La figlia del dio Kron, dopo avergli sorriso dolcemente, all'istante si trasformò di nuovo in spada, volendo farsi impugnare dal suo protetto e mettersi in comunicazione con il padre al più presto. Quando poi il suo colloquio con il divino genitore ebbe termine, la diva Kronel, esprimendosi con un leggero tremore, avvertì Iveonte che poteva riporre la spada al posto suo e ridarsi alle faccende che aveva programmato.

Il giovane, non vedendo ricomparire la diva per comunicargli qualche dissenso o divergenza da parte del divino genitore di lei, se ne rallegrò un mondo. Egli si era persuaso che tutto sarebbe filato liscio come l'olio per il caro amico Francide. Allora corse ad avvisarlo che per lui non ci sarebbe stato più alcun problema per l'avvenire, poiché il suo caso aveva trovato il favore anche dell'eccelso dio Kron, il padre della sua Kronel. br>