231-LA SACERDOTESSA RETINIA ATTACCA LA LEGGE DI TUTUANO

Francide non aveva nascosto il suo grande entusiasmo, nonché una vivissima commozione, nell'ascoltare l'appassionante storia dell'insigne genitore. Mentre la seguiva con la massima attenzione, egli si era sentito infiammare di benevoli sentimenti verso l'eccezionale figura paterna, tra i quali era venuto a primeggiare sopra tutti l'orgoglio di essere suo figlio. Il giovane ora si mostrava fiero di avere avuto un padre così straordinario, per la qual cosa si rivolse alla madre e le disse giubilante:

«Madre mia, ti rendo grazie per avermi dato una visione completa dell'eccezionale personalità del babbo, per cui oggi posso giustamente inorgoglirmi di essere suo figlio. Ma non attenderti da me alcun ripensamento, circa la mia decisione di unirmi in matrimonio con Rindella, poiché essa ormai è stata presa da me in modo definitivo ed irrevocabile. Per questo devi considerare la mia scelta irreversibile e nessuna cosa al mondo potrà mai farmi tornare sui miei passi. Ho deciso di sposarla e lo farò senza meno e a qualsiasi costo. Perfino se dovessi diventare il più grande mendico dell'Edelcadia! Sappi che, senza avere accanto la mia adorabile ragazza, il trono mi diverrebbe un autentico strazio. Quindi, se pensi che io possa rinunciare a lei, per governare sulla città di Actina, la tua è e resterà una speranza vana, siccome giammai la vedrai realizzarsi, essendo io pertinacemente contrario!»

«Possibile, Francide, che tu non voglia ripensarci neppure un poco e che non rappresentino niente per te la corona regale e il prestigio che ti deriverebbe dall'essere il sovrano della Città Santa? Io non ci posso assolutamente credere, figlio mio, che tu possa rinunciare ad essere re!»

«Convinciti, madre mia, che io non inseguo né onori né gloria, quali mi potrebbero provenire dall'essere un sovrano. Si vede che non sai che mi sento già soddisfatto della serenità e della felicità, che la mia umile Rindella riesce a procurarmi. D'altro canto, non tollererei di vederti infelice e tribolare a causa della mia scelta obbligata. Allora, essendo desideroso di ottenere la tua e la mia felicità, mi vedo costretto a lottare contro la classe sacerdotale, fino a quando non gli avrò imposto d'autorità l'abolizione dell'inflessibile legge del mio lontano progenitore! Vedrai che l'avrò vinta con gli infami religiosi, che sono nemici della giustizia!»

Talinda, visto che il figlio non era affatto differente dal padre, per la qual cosa il trono di Actina rischiava di rimanere senza il suo legittimo sovrano, si allarmò tutta. In un primo momento, si disperò e si tormentò nel modo peggiore; poco dopo invece si diede a meditare e a cercare un rimedio al suo problema. Alla fine decise di consultare la sua consigliera, la quale non poteva essere che Retinia, ossia la zelante sacerdotessa del divino Matarum. Secondo lei, chi, se non la sua grande amica, avrebbe potuto aiutarla a sbrogliare quell'intricata matassa, la quale si presentava difficile da dipanare? Allora, quando la religiosa andò a trovarla nel pomeriggio, dopo essersi scambiati i convenevoli, le parlò così:

«Mia buona Retinia, delle grosse nubi temporalesche si addensano sul trono di Actina. Mio figlio Francide non intende rinunciare alla sua Rindella ed insiste nel volere sposarla in qualunque modo. Ma siccome ella non è una principessa, la Legge di Tutuano gli vieta di sposarla. Dal canto suo, Francide si è dichiarato disposto a rinunciare alla corona di Actina, pur di potersi congiungere in matrimonio con la sua amata ragazza. Adesso però, non volendo vedermi infelice, egli ha deliberato di costringere tutti voi sacerdoti ad abrogare la pessima legge del suo remoto antenato, facendo uso della sua autorità regale. Insomma, intende fare ciò che nessun altro sovrano, fino ad oggi, ha avuto l'ardire di fare. Per l'esattezza, mio figlio è deciso a sfidare la classe sacerdotale e a costringerla con la forza ad ubbidire alla sua sovranità. Ciò avverrà, quando tra qualche giorno le imporrà forzosamente di rinunciare alla Legge di Tutuano, non essendo essa per niente materia di carattere religioso. Non ti sembra questa una brutta faccenda, amica mia?»

«Altro che brutta! Io direi bruttissima, nobile Talinda! Ma vorrei anche sapere qual è la tua idea a tale riguardo. Più esattamente, saresti capace di seguire con fermezza tuo figlio nella sua stravagante eterodossia? Per me, è molto importante apprendere ciò che pensi anche tu in merito a questa spinosa questione secolare! Soltanto dopo che tu mi avrai risposto, saprò regolarmi ed agire di conseguenza!»

«Certo che asseconderei mio figlio, Retinia, qualora egli intendesse dare concretezza a tale sua idea, gettandosi in essa a capofitto! D'altro canto, non voglio assolutamente che il mio Francide smetta di essere un re. Pur di non vederlo rinunciare al trono di Actina, sono disposta ad appoggiare qualunque decisione egli vorrà prendere, compresa quella di far guerra alla classe sacerdotale! Dopo che l'unigenito del mio defunto consorte avrà abdicato al trono, sai dirmi chi potrà regnare legittimamente sulla nostra Città Santa? Questo problema mi turba e mi assilla a non finire! Anzi, dovrebbe preoccupare anche voi sacerdoti, se si prospetta l'eventualità che Actina possa ritrovarsi un domani senza un sovrano, mancando un altro erede al trono nella propria discendenza! Ora che ho risposto alla tua domanda in modo esaustivo, attendo da te ciò che vorrai dirmi in merito alla scottante questione, esimendoti però da ogni consiglio tendente ad invitare mio figlio a ravvedersi e a cambiare il suo manifestato proposito.»

«Mia cara nobildonna Talinda, tu non farai un bel niente e a maggior ragione lo farà il sovrano tuo figlio! Non voglio nella maniera più assoluta che egli, dopo essere stato appena eletto re, si ritrovi già a guerreggiare con la classe sacerdotale! Pensa un poco quale cattivo esempio daremmo tutti noi al popolo di Actina! Ecco perché, nella fattispecie, sarò io ad agire presso i miei confratelli con diplomazia e, se mi costringeranno, anche in maniera risoluta. Fin da adesso, ti prometto che condurrò felicemente a termine la controversia storica. Vedrai che riuscirò a fare radiare dalla Raccolta delle Leggi in custodia della casta sacerdotale quella che porta il nome di Tutuano. In questo modo, il re Francide potrà continuare a regnare senza intralcio alcuno sulla città di Actina, pur sposando la sua amata Rindella. Adesso ti senti tranquilla e risollevata, dopo che ti ho fatto presente che mi assumerò io l'incarico di dirimere la controversia esistente tra tuo figlio e la classe sacerdotale?»

«Certo che lo sono, mia affabile amica Retinia! Le tue convincenti parole mi hanno allietata molto e spero che il divino Matarum ti dia l'aiuto necessario per farti vincere la battaglia, che hai deciso di ingaggiare a favore di mio figlio! Se davvero riuscirai a farcela, in seguito sia io che il mio Francide potremo vivere serenamente per sempre!»

Il giorno seguente, la sacerdotessa Retinia, pur essendo persuasa che il Sommo dei Sacerdoti non avrebbe accolto di buon grado la sua iniziativa, ugualmente convocò la totalità dei sacerdoti nel tempio del dio Matarum. Nel quale ella prima fece presente a tutti loro che la sua convocazione era dovuta ad una questione di capitale importanza per la città di Actina e dopo si diede a fare il seguente discorso:

"Miei cari confratelli, se oggi vi ho radunati in questo luogo sacro in seduta plenaria, non è stato senza una validissima ragione. Almeno una ce n'è ed ha una rilevanza non di poco conto, considerato che essa ha assunto una valenza sia politica che religiosa! Sono convinta che anche voi, una volta che mi avrete ascoltata, ve ne renderete conto. Ebbene, il nostro novello re Francide ama una ragazza, la quale non è una principessa; ma desidera lo stesso unirsi in matrimonio con lei. E poiché la Legge di Tutuano gli vieta di sposarla, egli sarebbe disposto anche a rinunciare al trono di Actina, pur di essere libero di prenderla in moglie. Solo che il nostro sovrano intende perseguire, oltre alla felicità propria e della sua ragazza amata, anche quella della sua genitrice, che è la nostra ex regina. Costei, da parte sua, morirebbe di dolore, se il figlio rinunciasse ad essere il sovrano della nostra città.

Allora il re Francide, pur di non fare addolorare la madre, ha decretato di scavalcare la casta sacerdotale e di ignorare la legge del suo lontano predecessore. Specialmente dopo che è venuto a conoscenza della connivenza dei sacerdoti nell'assassinio di suo padre ed in quello tentato poco tempo fa contro di lui, egli intende farvi guerra aperta, a meno che voi non decidiate di abrogare la Legge di Tutuano! Il nostro sovrano, secondo quanto ho appreso, comincerebbe col far presente al suo popolo i vostri due gravi crimini. In questo modo, si procurerebbe anche l'appoggio dei suoi sudditi, i quali senz'altro prenderebbero a cuore la sua giusta causa. Di fronte a queste due prospettive, l'una peggiore dell'altra, per noi non c'è altra soluzione che quella di annullare la Legge di Tutuano e di mettere a tacere ogni cosa. Così si eviterà uno scandalo e si permetterà ad ogni sovrano di Actina di essere libero di sposarsi con la donna di cui vorrà innamorarsi. Se oggi votassimo l'abrogazione dell'iniqua legge, il novello re sarebbe il primo a beneficiarne. Invece la casta sacerdotale, la quale per ben due volte ha peccato gravemente, si sottrarrebbe al plateale scandalo!"

Dopo che la sacerdotessa ebbe parlato, le si oppose l'ottantenne Sommo dei Sacerdoti. Chione, sfuriando come un ossesso, iniziò a dire:

«Mai e poi mai permetterò che accada un fatto del genere! Il grande re Tutuano non sarà mai tradito da noi, con il solo scopo di compiacere il desiderio di un giovane re scapestrato, il quale, avendo poco sale nella zucca, crede di poter fare tutto ciò che desidera! Perciò noi sacerdoti non ci piegheremo mai all'irragionevolezza e alla sfrontatezza di un simile sovrane cervellotico. Come sappiamo, pure il padre, il quale era un'altra testa svitata come lui, si propose di commettere la stessa sciocchezza, manifestando una grande insipienza nel suo comportamento! Secondo me, cari confratelli, è meglio non avere nessun sovrano sul trono di Actina, anziché averlo come il defunto Godian e il giovane suo figlio Francide! Perciò spero che siate tutti d'accordo con me!»

Il modo pungente e gravemente offensivo, al quale era ricorso il religioso Chione, intanto che si rivolgeva ai suoi religiosi subalterni, non fu gradito neppure un poco dalla sacerdotessa Retinia. Ella, dopo essersi agitata per le sue gratuite offese rivolte a persone che non lo meritavano per niente, fino ad indispettirsi, si affrettò a riprenderlo a tono:

«Illustre Chione, ti invito ad avere più rispetto dei sovrani di Actina, in special modo di quelli che veramente si sono dimostrati dei grandi re! A mio avviso, Godian è stato un re di grandissima stima e di indubbio valore. Credi forse che non sappiamo che ce l'hai sempre avuta a morte con il primogenito di Nortano, da quando fece condannare alla pena capitale tuo nipote Adrino? Al figlio di tuo fratello sì che si potevano affibbiare gli epiteti più spregiativi, essendo un essere ignobile e spregevole! Per fortuna la giustizia, allora amministrata dal retto principe Godian per conto del re Nortano, riuscì a farlo punire con severità, respingendo giustamente la tua intercessione per lui!»

«La tua è una vera falsità, consorella Retinia, e ti proibisco di rivolgerti a me in modo così sprezzante, offendendo iniquamente mio nipote Adrino! Egli era il contrario di come adesso lo hai dipinto, per cui non meritava affatto la condanna a morte!»

«So quello che dico, Sommo dei Sacerdoti. Perciò nessuno sarà mai capace di non farmi dichiarare la verità! Quanto al re Francide, se il divino Matarum ha voluto salvarlo da tante sventure, ciò significa che egli merita davvero di essere sovrano della sua città. Anche l'eccezionale valore che ha dimostrato nella recente ordalia, come tutti sanno, ce lo ha confermato senza ombra di dubbio. Stando così le cose, c'è forse qualcuno tra di voi che intende sindacare l'opera del dio Matarum? Egli ha voluto che il figlio del re Godian si rifacesse vivo dopo tanti anni e vendicasse il padre, rimasto vittima di una infame congiura. Ma il fatto più riprovevole fu la vostra connivenza nell'assassinio del re Godian, poiché allora voi appoggiaste il perfido principe Verricio nella sua macchinazione brutale. A mio parere, per esservi alleati con lui nel favorire l'uccisione dell'allora sovrano di Actina, è come se vi foste macchiati pure voi della sua medesima colpa! Ma non vi illudete che il divino Matarum vi lascerà impuniti! Prima o poi, a ciascuno di voi giungerà la sua giusta punizione, quando e nel modo che egli vorrà!»

«Al contrario, consorella Retinia, ti affermo che le tue sono delle accuse infamanti del tutto gratuite, che noi respingiamo con risolutezza. Gli altri confratelli, i quali oggi sono qui riuniti nel tempio, la pensano certamente come me a unanimità! Te lo posso garantire!»

«È inutile che cerchi di discolparti, illustre Chione, dal momento che tu e gli altri confratelli avete di nuovo peccato allo stesso modo di tanti anni fa in questi giorni. Infatti, non bastando aver contribuito in passato con il vostro assenso all'assassinio del padre Godian, avete ulteriormente infamato la vostra coscienza nei confronti del figlio Francide. So per certo che volontariamente avete voluto macchiarvi dello stesso tremendo crimine di quel tempo, poiché avete appoggiato ancora il principe Verricio, quando vi ha chiesto di essergli solidali nel suo terrificante proposito di sbarazzarsi nuovamente del principe Francide. Per questo mi vado domandando come fa la vostra coscienza a non scoppiare, sotto il peso di così terribili colpe! Devo ritenere, miei confratelli, che l'abbiate davvero di pietra, se essa non vi scoppia per il grande rimorso! A mio avviso, voi siete indegni perfino di entrare in questo sacro tempio, siccome esso è stato consacrato al nostro magnanimo dio Matarum!»

«Invece questa è un'altra tua insana calunnia, nostra indegna consorella Retina, per cui la respingiamo alla mittente! In merito, parlo anche a nome di tutti i confratelli presenti, i quali, da oggi in avanti, vorranno stare alla larga da te, ad evitare di venire infettati dal morbo maligno, quello che si è messo ad uscire dalla tua pestifera bocca!»

«Allora, Chione, se consideri calunniosa la mia accusa, non hai che da dimostrarmelo davanti alla nostra divinità onnipossente. Perciò vieni a giurare ai piedi del simulacro del divino Matarum che è tutto falso quanto di cui vi ho accusati. Soltanto in questo modo, mi darai atto che io sono nel torto e voi tutti siete nella ragione! Dunque, se ti senti con la coscienza a posto, dovresti essere disposto a farlo.»

All'invito della consorella accusatrice, Chione andò ad inginocchiarsi ai piedi della statua del dio. Subito dopo, aveva già iniziato a dichiarare: "Giuro davanti al divino Matarum che…", allorquando lo si vide spalancare orridamente gli occhi e storcere la bocca, la quale adesso si presentava piena di bava. Anzi, di lì a poco, la sua lingua prima si protruse e poi si inarcò orribilmente, come se lo si stesse strozzando. Alla fine, emettendo un forte rantolo, piombò a terra fulminato da una forza misteriosa. Quell'episodio, il quale si mostrò talmente allucinante, da convincere ognuno dei presenti che in esso era stata manifesta la presenza del dio Matarum, infuse in tutti gli altri sacerdoti un folle terrore, poiché si sentirono anch'essi minacciati dall'eccelsa divinità. Per questo ciascuno di loro avvertì il bisogno di darsi al più schietto ravvedimento e al pentimento più profondo. Attraverso i loro sguardi, che apparivano atterriti e contriti, in quel momento i sacerdoti sembravano chiedere alla veggente del dio la via più breve per purificare la loro anima contaminata dal male e per rasserenare la loro coscienza sconvolta dal peccato. Oramai, dopo l'orribile evento, al quale avevano assistito stravolti, essi erano inclini ad assecondare ciecamente i voleri della loro pia consorella.

Allora la sacerdotessa del dio Matarum, dal canto suo, avendo inteso il loro subitaneo cambiamento nei suoi confronti, cercò di prendere la palla al balzo ed approfittarne, al fine di dirigere la barca verso la direzione da lei desiderata. Così, qualche attimo dopo, con aria di sussiego, intervenne a parlare agli altri allibiti sacerdoti, dicendo a tutti loro:

«Ditemi, miei confratelli: Volete forse imitare anche voi il vostro defunto superiore Chione? Di certo, non lo credo, considerato che non siete dei presuntuosi e degli spergiuri, quale egli si stava dimostrando. Sappiate che con il divino Matarum non si scherza! Chi tenta di farlo può essere certo che l'attende una fine orribile, ossia lo strozzamento per mano sua, come ha fatto con il nostro ex superiore! Adesso, visto che leggo sui vostri volti l'ansia di rimediare al vostro male e una grande voglia di redimervi, voi avrete indicata da me la strada che vi condurrà alla riabilitazione e alla redenzione.»

«Sì, è questo che vogliamo da te, consorella Retina!» il sacerdote Dumio la invitò ad indicargli la via che li avrebbe fatti riabilitare e redimere davanti alla loro divinità.»

«In merito a quanto mi chiedete, miei confratelli, poiché il nostro divino Matarum ha dato sufficienti segni di non gradire l'ingiusta Legge di Tutuano, rispettando il suo volere, noi oggi l'abrogheremo unanimemente. Essa è una legge crudele ed antireligiosa, in quanto, oltre a costringerlo a disperarsi, vieta ad un generoso sovrano di fare un'opera pia. Cioè, non gli permette di sposare una ragazza di umili condizioni, nel caso che se ne innamori. Inoltre, considerato che ci è venuto a mancare il Sommo dei Sacerdoti, vi proporrei di elevare a tale alta carica il nostro confratello Dumio. A lui va il merito di aver salvato l'attuale re di Actina, avvertendomi in tempo della trappola che gli aveva tesa lo zio. Per questo, nel caso che siate pienamente d'accordo con me, possiamo già votare seduta stante entrambe le proposte che vi ho suggerito.»

Le proposte della sacerdotessa Retinia, come se fossero state avanzate direttamente dal dio Matarum, furono accolte dalla stragrande maggioranza dei sacerdoti, i quali perciò votarono l'abrogazione della famigerata Legge di Tutuano. Alcuni minuti dopo, essi passarono anche alla votazione per eleggere il loro confratello Dumio a Sommo dei Sacerdoti; ma pure per lui si prevedeva che egli avrebbe avuto a favore la maggioranza dei consensi. Riuscita a fare abrogare la Legge di Tutuano, Retinia apparve molto soddisfatta. In attesa poi che i sacerdoti terminassero la votazione che doveva fare eleggere l'amico Dumio a Sommo dei Sacerdoti, ella non vedeva l'ora di ritornarsene presso la sua amica. Infatti, la sacerdotessa voleva metterla al corrente al più presto dell'ottimo risultato conseguito in seno al sinodo sacerdotale e liberarla dallo stato di sofferenza nel quale versava. Ad ogni modo, fu sufficiente appena una mezzoretta, perché Dumio venisse eletto Sommo dei Sacerdoti dagli altri ventinove confratelli, con il solo voto contrario del sacerdote Temurio, la cui amicizia con Chione era arcinota a tutti gli altri sacerdoti di Matarum.

Dopo l'elezione a Sommo dei Sacerdoti del suo amico Dumio, la sacerdotessa Retinia stava per sciogliere il sinodo, allorché il sacerdote, il quale in precedenza era andato controcorrente, volle fare il suo inatteso intervento. Infatti, Temurio, rivolgendosi ai suoi confratelli in procinto di sfollare dal tempio, incominciò a parlargli ad alta voce:

«Se non vi dispiace, miei egregi confratelli, avrei anch'io qualcosa da farvi notare. È vero, la nostra consorella Retinia può considerarsi paga dell'esito positivo che c'è stato nella votazione per l'elezione del Sommo dei Sacerdoti. La quale è risultata a favore del suo amico Dumio, soltanto perché essa è stata spudoratamente pilotata da lei, in nome del nostro dio. Ella, però, non potrà rallegrarsi allo stesso modo, per quanto riguarda l'avvenuta abrogazione della Legge di Tutuano, siccome essa continuerà a vietarle di cantare vittoria. Vedo che tutti voi vi state chiedendo che cosa io abbia in mente e dove voglia arrivare con il mio intervento inatteso. Vi assicuro che c'è un motivo, se mi sono deciso ad intervenire sulla questione della Legge di Tutuano; ma leggo sui vostri volti che non ne siete convinti per niente. Ebbene, vi affermo che il vostro voto contrario alla suddetta legge non può ancora sancirne definitivamente la totale cassazione dalla Raccolta delle Leggi, da noi tenuta in custodia da molti secoli.»

«Mi dici chi lo avrebbe deliberato?! Forse tu, confratello Temurio?» lo interruppe la sacerdotessa Retinia, la quale non aveva accolto di buon grado il suo inopportuno intervento «A quanto pare, continui ad insistere nell'opporti al volere del divino Matarum, solo perché eri amico del defunto Chione. Il quale, ne siamo stati testimoni, si è rivelato un autentico spergiuro, per cui è stato travolto dalla nostra eccelsa divinità!»

«Non l'ho deciso io, presuntuosa consorella Retinia! Fu lo stesso re Tutuano a prendere una tale decisione, nel migliorare la sua legge. In un suo successivo rimaneggiamento, egli riportò in calce ad essa il seguente codicillo: "Se un giorno qualche mio discendente dovesse convincere la classe sacerdotale a disconoscere la mia legge, allora sappi egli e sappiano anche tutti i sacerdoti consenzienti che lo hanno fiancheggiato che non sarà bastevole il solo voto del concistoro a decretarne la cassazione dalla sacra Raccolta delle Leggi. Invece, perché tale atto sia valido a tutti gli effetti, occorrerà che il sovrano attraversi l'Arco della Sacralità e ne esca indenne. Soltanto in tal modo, egli dimostrerà di avere pure il beneplacito del nostro divino Matarum, oltre che il consenso dell'intera classe sacerdotale!" Allora, miei confratelli, adesso che le conosciamo, vogliamo aderire, sì oppure no, alle ultime disposizioni del suo legislatore? Secondo me, noi siamo obbligati ad attenerci pedissequamente ad esse, se ci teniamo a stare nel giusto!»

Dopo aver citato la postilla che il re Tutuano aveva apposto alla propria legge, il sacerdote Temurio, volendo presentarla storicamente, alla fine si diede a fare presente:

«Dai nostri testi sacri, risulta che già altri due sovrani di Actina vollero sottoporsi al giudizio della nostra eccelsa divinità e per la medesima ragione. Essi furono prima il re Kanur e successivamente il re Perestio. Ma secondo quanto ci viene tramandato dagli storici, entrambi, non appena si furono trovati nella parte centrale dell'arco, vennero scaraventati con violenza fuori di esso, privi di vita e completamente carbonizzati. Perciò il re Francide, se proprio ci tiene a contrarre il suo matrimonio morganatico, attraversi prima l'Arco della Sacralità e ci dimostri che è capace di uscirne integro! Esclusivamente in questa maniera, egli ci assicurerà che il nostro dio Matarum è dalla sua parte ed approva il suo matrimonio. Il quale, per il momento, è da considerarsi soltanto eterodosso! Adesso, miei cari confratelli, sta a voi decidere!»

«Io sono contraria a quanto proponi, confratello Temurio!» Retina cercò di controbattere la sua tesi «Dopo che è stata annullata una legge, sono inficiate pure tutte le postille o chiose che ad essa si rifanno. Perciò il re Francide può già da subito sposare la donna che desidera, sia ella principessa oppure no, senza più doversi sottoporre a nessuna prova per dimostrare di essere dalla parte del giusto. Quanto ad una dimostrazione di questo tipo, egli l'ha già data, provando di essere l'unto del dio Matarum nell'ordalia di alcuni giorni fa. In quell'occasione, tutti ci siamo resi conto che gli occhi benigni dell'eccelsa divinità dell'Edelcadia vigilano sopra il nostro sovrano!»

«Invece non sono d'accordo con quanto affermi, consorella Retinia! Il nostro re non può sottrarsi alla prova dell'Arco della Sacralità, come previsto, se vuole dimostrarci che il tipo di matrimonio da lui prescelto gode della benedizione del dio Matarum. Questa è la volontà del defunto re Tutuano e così dovrà avvenire oggi, se il re Francide intende sposare la sua amata ragazza, dal momento che ella non è una principessa!»

«Ma tu, confratello Temurio, nel perorare la tua tesi in modo perseverante, sei proprio sicuro di essere nel giusto? Oppure, con essa, ti prefiggi il larvato scopo di vedere morto il nostro sovrano, che il tuo amico Chione tanto odiava, come già aveva odiato il padre Godian? Rispondimi in piena onestà e giuralo sul nostro dio che il tuo intervento in questa vicenda è da considerarsi disinteressato!»

«Certo che sono nel giusto, consorella Retinia, e lo giuro anche sulla nostra divinità! Se davvero ci fosse un modo per dimostrarlo ai miei confratelli presenti, sarei lieto di offrire loro una dimostrazione inconfutabile! Più di così, non so come convincervi tutti quanti che non agisco affatto per secondi fini! Ve lo garantisco!»

A quel punto, la sacerdotessa Retinia decise di combattere il suo puntiglioso avversario sul suo stesso terreno minato e con le sue medesime armi. Perciò, non dubitando nel modo più assoluto che lo avrebbe fatto spaventare con la sua proposta, ella si affrettò a contraddirlo, facendogli la seguente controproposta:

«Eppure un modo c'è per comprovarcelo, confratello Temurio! Oppure speravi che io non riuscissi a trovarlo? Tu dovresti fare per primo ciò che vuoi imporre al nostro sovrano, ossia dovrai precederlo nell'attraversamento dell'Arco della Sacralità. Se riuscirai a percorrerlo impunemente, ci convincerai che hai ragione tu. In caso contrario, la ragione sarà dalla parte del nostro re Francide, per cui egli non sarà più tenuto ad affrontare la prova imposta dal re Tutuano. Allora cosa ne pensi della mia idea, la quale forse sarà stato lo stesso dio ad illuminarmela, allo scopo di dimostrarti che sei nel torto marcio?»

«La tua è una proposta insana, consorella Retinia, perché non sono stato io a sfidare la Legge di Tutuano, ma il nostro sovrano! Perciò spetta soltanto a lui sbrigarsela con il nostro dio Matarum. Inoltre, non hai detto che gli occhi del dio sono benignamente rivolti verso il re Francide e vigilano di continuo sul suo capo? Quindi, dal momento che non ha niente da temere dal dio, affronti egli serenamente la prova!»

«Al contrario, confratello Temurio, constato che la tua ostinazione non deriva da un senso di legalità e di giustizia, bensì da una meschina vendetta. Il fatto che tu pretenda dagli altri ciò che non sei disposto a dimostrare di persona evidenzia quanto siano grandi in te la palese incongruenza e la tapina viltà. Perciò non mi resta che sottoporre la questione al giudizio insindacabile del sinodo, affinché emetta il verdetto finale sulla nuova controversia! Così da esso sapremo quale dovrà essere la nostra strada da seguire, riguardo alla nuova situazione che è venuta a crearsi in questa assemblea plenaria.»

Nonostante il Sommo dei Sacerdoti Dumio premesse perché venisse accolta la proposta dell'amica Retinia, la maggioranza dei voti fu a favore di una terza proposta, la quale era stata presentata dal sacerdote Pullico. Costui era venuto a proporre l'ingresso simultaneo nell'Arco della Sacralità sia del re Francide che del loro confratello Temurio. I quali vi sarebbero dovuti entrare ed uscirne dalle due aperture opposte, ammesso che fossero stati in grado di farlo! In verità, il responso sinodale non fu gradito dal sacerdote Temurio. Egli, nell'apprenderlo, si era subito sbiancato in volto. Ma neppure fu accolto con favore dalla sacerdotessa Retinia, la quale aveva reagito con nervosismo. La poveretta, mostrandosi indispettita per la decisione che era stata presa dalla maggioranza dei sacerdoti, non si astenne dall'attaccare duramente tutti quei confratelli che avevano votato a favore della proposta di Pullico, rimbrottandoli nel modo seguente:

«Vedo che ancora una volta la maggior parte di voi ha assunto una condotta demenziale, schierandosi caparbiamente contro la volontà del divino Matarum. Essi forse ignorano il vero motivo dell'esistenza dell'Arco della Sacralità, il quale sta solo a rappresentare la potenza e il prestigio del dio. Perciò tentare di attraversarlo da parte di un essere umano, sia esso retto o malvagio, è sempre considerato da lui come un atto di sfida nei confronti della sua divinità. Così, dopo averlo ucciso, lo scaraventa all'esterno dell'arco, che fu eretto a commemorazione della sua vittoria sul rivale dio Strocton. Anch'io, che sono la sua diletta serva e ne vengo ispirata, non sopravvivrei a tale attraversamento, venendo a significare anch'esso un affronto alla sua divinità. Ecco perché il re Tutuano ancora una volta sbagliò grossolanamente, quando lo indicò come strumento di verifica, ossia una specie di ordalia, appunto per testimoniare ciò che era vero e giusto oppure per smascherare ciò che era falso ed ingiusto. Quindi, voi che avete voluto seguire la sua strada, state commettendo il medesimo errore, senza accorgervi di essere nel torto, la qual cosa potrebbe farvi punire dal dio molto severamente! Secondo me, ciò avverrà senza meno e molto presto!»

Alla fine risultò vano ogni tentativo della sacerdotessa di fare recedere il sinodo dal verdetto da loro emesso. Gli stessi, che avevano votato a favore di esso, non vollero ripensarci per nessuna ragione, benché gli fossero pervenute da parte di lei le dilucidazioni in merito all'arco. Per questo motivo, l'irritata sacerdotessa si rivolse nuovamente alla maggioranza dissidente, ma facendo questa volta la seguente profezia:

"Io non so quale verrà ad essere il destino del re Francide in questa vicenda; ma voi, confratelli, che siete stati arbitri di un simile verdetto, rammentate bene quello che adesso sto per predirvi. Nello stesso momento che il nostro sovrano si troverà a percorrere a piedi l'Arco della Sacralità, tutti voi subirete la medesima sorte di Chione! Quanto al confratello Temurio, una volta sotto l'arco del dio, troverà la sua terribile punizione! Vi garantisco che avverrà esattamente quanto adesso vi ho preannunciato, sacerdoti dissenzienti!”

L'assemblea sinodale si sciolse con le ultime parole profetiche della sacerdotessa Retinia, la quale appositamente aveva voluto calcare la mano nella sua predizione, appunto per infondere nei suoi destinatari ribelli un folle terrore. Subito dopo, colei che veniva ispirata dal dio Matarum si affrettò a raggiungere l'amica Talinda per riferirle come si erano svolti i fatti nel tempio durante il concistoro.