230-TRAGICO EPILOGO DI UNA STORIA D'AMORE
Il sole era splendente ovunque ed infondeva vigore nella natura sottostante, quando il principe Godian si era presentato nella camera della sua amata Flesia. Nel trovarla ancora a letto, si era meravigliato; ma non in maniera tale, da impensierirsi seriamente. Dopo che si era avvicinato a lei, il giovane all'istante aveva letto nei suoi occhi sia inquietudine che sofferenza: esse la tenevano sotto pressione. Allora si era allarmato, nel constatare che il suo sguardo gli risultava diverso dal solito; anzi, gli si rivelava terribilmente strano. Inoltre, i suoi pensieri, mentre vi ondeggiavano sinistramente, apparivano inafferrabili ed arcani. Perciò, essendosene preoccupato, le aveva chiesto molto premuroso:
«Che cosa ti succede questa mattina, mia dolce Flesia!? Forse non ti senti bene, amore mio? Mi sembra proprio che tu stia fuori di te e totalmente assente dalla realtà che ti circonda! Ti scorgo quasi vagare con la mente nel buio dell'oltretomba, come se tu già ci avessi messo piede e l'avessi scelta come tua fissa dimora! Dunque, tesoro mio, mi dici cosa ti spinge ad essere, come mi appari in questo momento?»
La ragazza, allo scopo di tranquillizzarlo, non aveva potuto fare a meno di tenergli nascosto il suo dramma interiore. Così, poco dopo, con voce sommessa, si era data a chiarirgli:
«Non ho niente, mio caro Godian, poiché sto bene e non mi opprime alcun grave male, come hai sospettato. Anzi, faresti meglio ad avvicinarti di più a me! Ma prima lìberati di quelle brutte armi, le quali appesantiscono il tuo corpo. Non so perché, ma stamattina esse mi fanno rabbrividire e non le sopporto affatto, vedendole addosso a te!»
Dopo avere appagato il desiderio della sua Flesia, il giovane si era chinato su di lei per darle il buongiorno con il suo solito bacio ardente. A quel punto, ella ne aveva approfittato per cingergli il collo con le braccia. Mentre si teneva strettamente aggrappata a lui, quasi volesse restarci per sempre in quella posizione, lo aveva tirato a sé ancora di più. Nel fare ciò, aveva cominciato ad esclamargli con tono elegiaco:
«Stringimi forte a te, mio buon Godian, e non lasciarmi mai più! Avverto in me un tremendo freddo, per questo ti chiedo di riscaldarmi con il tuo caldo amore! Oggi desidero che tu mi possieda tutta, come se fossi già tua moglie, poiché ho tanta voglia del tuo corpo! Almeno per un istante, liberami dall'immensa angoscia, che dentro di me si è messa a furoreggiare e non smette di torturarmi in maniera terribile!»
All'invito della ragazza, Godian immediatamente le aveva ubbidito, bramando anche lui da molto tempo una sua richiesta del genere. Allora i due innamorati si erano congiunti come non avevano mai fatto; si erano fusi in un amplesso paradisiaco, il quale produceva in loro delle ritmiche e piacevoli sensazioni di godimento incontenibile. Così facendo, avevano iniziato a vivere degli attimi incantevoli ed esaltanti, i quali si manifestavano i più magici della loro esistenza. In quella circostanza stupenda, i due giovani si erano visti trascinare nel meraviglioso mondo della delizia, dell'appagamento totale dei sensi e dello spirito, poiché adesso esso suscitava in entrambi delle emozioni forti ed innumerevoli. Vivendo nella nuova estasiante realtà, i loro pensieri si sentivano svuotare di ogni problema e di ogni contrarietà; mentre il loro animo non avvertiva più alcun affanno. Repentinamente, i due amanti si erano ritrovati ad essere nel regno delle idealità più pure, più sublimi e più inebrianti. L'attuale mondo fantastico, nel quale si stava adesso protraendo la loro esistenza, riusciva a realizzare per l'uno e per l'altra dei momenti di gioia sovrumana, dando loro la possibilità di vivere un amore completamente nuovo e al di fuori di ogni rituale schematismo. Esso, ad un tratto, aveva rappresentato l'intima compenetrazione del materiale con lo spirituale, del sensibile con il soprasensibile, del temporale con il sopratemporale. Soprattutto alla ragazza, tale amore risultava una esperienza fascinosa e magica, dal momento che era in grado di catapultarla nell'oasi incontaminata di un gaudio soprannaturale. Perciò i contrasti interiori e le fobie più assurde, che prima la obbligavano con impietosità a macerarsi, all'improvviso si erano dissolti nel suo animo ed erano stati cancellati dalla sua mente, permettendole di vivere nell'ascetismo più assoluto e di estraniarsi da ogni patema interiore.
Quando infine si era spento in loro il veemente impeto della passione ed essi avevano assunto di nuovo il composto atteggiamento di prima, Flesia aveva finto di accusare dei forti capogiri e di stare tremendamente male. A quel suo malore, Godian si era spaventato a tal punto, da precipitarsi subito a chiamare il medico Ipione, quasi fosse stato un fulmine. Allora la ragazza, approfittando dell'assenza del fidanzato, si era impossessata del suo pugnale. Così, proprio mentre il principe e il medico stavano per varcare la soglia della stanza, senza esitare neppure un istante, aveva vibrato un forte colpo contro il proprio petto, in direzione del cuore, il quale l'aveva fatta rovesciare tramortita sul pavimento. Ella aveva agito in un attimo, senza dare al suo ragazzo il tempo di ordinarle di non farlo, poiché aveva temuto che avrebbe potuto ubbidirgli.
Il principe Godian e il nobile Ipione, di fronte a quello spettacolo agghiacciante, dapprima erano restati allibiti; però, di lì a poco, avevano cercato di soccorrere Flesia. Perciò l'avevano sollevata con cura da terra e l'avevano adagiata sopra il letto, il quale era rimasto ancora tiepido. Ma la morte, come sembrava, stava già penetrando con infiltrazione inarrestabile nel corpo della fanciulla, il cui volto cominciava a diventare quasi cereo. Infine la ragazza, abbozzando un sorriso al giovane, aveva voluto scusarsi con lui per il suo atto sconsiderato, dicendogli:
«Perdonami, mio adorabile Peg, per il terribile dolore che ti sto arrecando, anche se non lo meriti! Ti prometto che questo stupendo mattino di gioia lo serberò per sempre e con cura dentro di me, poiché dovrà costituire il faro luminoso del mio immenso amore per te! Sì, esso giammai distoglierà i miei pensieri dalla tua persona e manterrà saldamente uniti i nostri spiriti nello scorrere infinito dei secoli!»
Pronunciate tali parole con il sorriso sulle labbra, la sventurata ragazza si era accasciata sul letto, con il capo riverso sopra il guanciale. Ma se la vita era parsa che si fosse definitivamente spenta nelle sue membra, la gioia aveva seguitato a brillare nei suoi occhi luccicanti! Il medico, da parte sua, dopo averle tastato il polso ed abbassato le palpebre, si era mostrato visibilmente dispiaciuto per il triste evento. Infine aveva abbracciato con profondo cordoglio l'amico, che si mostrava immerso in un cupo silenzio, e gli si era espresso con queste parole:
«La tua Flesia è morta, principe Godian, per cui non c'è da fare più niente per lei! Perciò consentimi di esprimerti le mie più sentite condoglianze! Pace alla sua anima benedetta e che il divino Matarum l'accolga nella sua luce eterna. Ella lo merita più di ogni altra donna al mondo, per la sua bontà e per le molte disavventure che l'hanno perseguitata!»
Davanti al corpo inanimato della sua Flesia, all'inizio il giovane era stato preso da un folle dolore e da una terribile disperazione. Poi egli si era sentito disfarsi in un vuoto e in un nulla sconfinati; ma anche aveva avvertito una sensazione di gelo e di brivido. Alla fine il poveretto era stato colto da un vero delirio, sotto l'effetto del quale si era pianto così bene la sua ragazza ormai estinta, che aveva perfino fatto commuovere e lacrimare il maturo medico Ipione. Costui, poco dopo, si era adoperato per infondere una certa dose di coraggio nel distrutto giovane, cercando di distrarlo quanto più possibile dalla mesta immagine della sua carissima Flesia, la quale oramai era rimasta senza vita. Con le sue parole, l'inossidabile nobile voleva evitare che il principe la imitasse, commettendo qualche pazzia identica a quella della sua adorata ragazza.
Ritornato ad essere di nuovo calmo e ragionevole, l'affranto Godian si era rivolto al medico e, con un tono abbattuto, gli aveva chiesto:
«Perché mai lo avrà fatto la mia Flesia, se con me si trovava benissimo ed aveva ripreso a vivere felicemente? Sai dirmi qualcosa in merito, nobile Ipione? Oppure dovrò restarne per sempre all'oscuro, senza mai conoscere la verità sull'odierno suo gesto inconsulto?»
«Ne so meno di te, principe Godian.» gli aveva risposto il medico Ipione, mostrando un certo disagio nel parlargli, poiché sapeva che gli stava mentendo «È noto che l'essere umano a volte si rivela tanto misterioso quanto imprevedibile, come questa mattina è accaduto anche alla tua povera Flesia! Bisogna soltanto rassegnarsi davanti a certe stranezze messe in atto dal crudele destino!»
In verità, il medico avrebbe voluto rispondergli che la sua Flesia si era suicidata, soltanto perché si era dimostrata una donna esemplare e un'autentica eroina. Ella si era sacrificata per la salute del re Nortano e per il bene del popolo di Actina! Ma egli, per il giuramento fatto alla regina, non aveva potuto rivelargli queste cose. Il maturo patrizio aveva compreso che l'eroica ragazza aveva intravisto nel proprio sacrificio la soluzione a tutti i problemi che erano derivati al regno di Actina dall'amore del principe Godian per lei. Perciò, senza darsene pena e in modo inesorabile, la sventurata giovane donna aveva voluto porvi rimedio nell'unico modo considerato possibile, ossia con la sua morte prematura! Così si era tolta la vita, senza pensarci due volte.
Ad un dato momento, il principe Godian, sforzandosi come poteva, aveva desiderato dare alla sua amata un ultimo ardente bacio sulla fronte, perché esso l'accompagnasse per sempre nella tomba. Dopo che si era rialzato dalla salma della sua Flesia, mostrando una grande pena nel cuore, sommessamente aveva dichiarato all'amico medico:
«Non me la sento di restare un minuto di più presso il capezzale della mia amata Flesia, Ipione, essendo ella priva di vita. Se restassi ancora presso il suo corpo esanime, il quale mi appare come se dormisse, finirei davvero per impazzire. Devo andarmene subito in un altro posto e darvi sfogo a tutto il mio dolore e a tutta la mia disperata tragedia, poiché l'uno e l'altra mi rodono terribilmente dentro. Forse vi rimarrò delle ore, forse dei giorni, oppure dei mesi. Insomma, non te lo so dire, mio buon amico! Perciò ti chiedo di pensare tu al suo funerale. Ti raccomando di non far mancare alla mia Flesia delle ottime onoranze funebri ed una degna sepoltura, quali si addicono ad una grande regina, siccome ella sarebbe stata di sicuro al mio fianco, se non si fosse votata al suicidio!»
«Certo, mio nobile principe,» lo aveva accontentato il medico, in preda ad una forte commozione «penserò io a tutto quanto occorrerà per le solenni esequie! Vedrai che per lei farò celebrare quelle esequie che nessuna donna ha mai avuto alla sua morte. Per tomba, le farò avere un sepolcro monumentale solenne e degno di una vera regina!»
Rassicurato dal medico in merito alla sepoltura di Flesia, Godian, dopo essersi riabbracciato con lui, si era allontanato dalla sua casa, evitando di vedere e di salutare tutti i suoi amici e i suoi conoscenti che vi dimoravano. Il principe si era comportato in quel modo, solamente perché aveva ritenuto che la sua sofferenza fosse già abbastanza ingente, per volere scorgerne dell'altra nei loro sguardi afflitti e smarriti. Ma in special modo perché non avrebbe resistito ai loro caldi abbracci.
A tre anni dalla morte della sua amata Flesia, il principe Godian non si era ancora ripreso dal suo dolore. Egli aveva continuato a conservarsi la sua Flesia nella mente e nel cuore. Il ricordo di lei non smetteva di procurargli un forte rimpianto ed una profonda mestizia. L'erede al trono, in tutto quel tempo, si era estraniato interamente da ogni cosa ed aveva vissuto una vita solitaria. Egli si era limitato a rispondere quasi sempre con pochi monosillabi alle varie domande, che i suoi genitori e qualche amico avevano voluto rivolgergli. Ogni volta le sue risposte erano state telegrafiche, poiché si era espresso con il minimo indispensabile di parole, non avendo voglia di parlare con nessuno e di alcun fatto, da quando il suo amore era sparito dalla propria vita.
In seguito, poiché si sposava il suo primogenito, Scitone, il re di Statta, aveva invitato ai festeggiamenti nuziali i vari sovrani delle altre città dell'Edelcadia. Approfittando di quell'evento, il re Nortano aveva pensato di inviare in sua vece il figlio Godian. Con tale decisione, aveva tentato di smuoverlo da quel suo clima di indifferenza e di glacialità, il quale si era inflessibilmente impadronito di lui. Invece, facendo stupire il genitore, egli non si era opposto alla proposta paterna ed era partito alla volta della città di Statta con una scorta di soldati e con ricchi doni per gli sposi novelli, i quali li avrebbero accettati con grande gioia. Ma, a dieci miglia dalla loro meta, gli Actinesi si erano imbattuti in un aspro combattimento tra la scorta del re di Stiaca ed un numero soverchiante di predoni. Allora il principe Godian aveva impartito l'ordine ai suoi soldati di intervenire in aiuto degli Stiachesi. Così, con una carica fulminea ed efficace, era riuscito a sbaragliare in brevissimo tempo gli aggressori famelici. In quello scontro, il primogenito del re Nortano aveva anche dato modo a quanti vi avevano partecipato di stimare le sue ottime capacità di stratega e di combattente.
Bisogna far presente che anche il re Edrio stava raggiungendo Statta per lo stesso motivo, conducendo con sé la bellissima figlia Talinda. La principessa stiachese, con il suo saper fare, in meno di un giorno, si era conquistato il cuore del giovane Godian. Inoltre, si era fatta sposare da lui l'anno seguente, precisamente dieci giorni prima che si spegnessero l'esistenza del re Nortano e quella della regina Cluna. Le cui morti c'erano state nello stesso giorno, sorprendendo con immenso dolore il popolo actinese. Il quale aveva partecipato alla solenne cerimonia funebre dei suoi sovrani commosso e piangente, poiché li amava e li rispettava.
Venti giorni dopo c'era stata anche l'incoronazione del principe Godian, che succedeva sul trono al padre re Nortano. Una volta incoronato re di Actina, il re Godian aveva iniziato a governare saggiamente sul suo popolo. Egli si era dato a favorire specialmente le fasce più umili della popolazione, per cui gli Actinesi lo osannavano e lo magnificavano in qualunque quartiere della Città Santa. Allora ogni cosa era divenuta di nuovo felice e sorridente per lui, specialmente dopo che la moglie Talinda aveva generato un bellissimo maschietto, al quale era stato dato il nome di Francide. Egli, però, era all'oscuro che nella sua reggia e nel tempio del dio Matarum si stava complottando contro la propria persona, da parte sia di suo fratello Verricio che di Chione, il Sommo dei Sacerdoti. Infatti, in quella sporca congiura, essi si erano alleati. Il primo lo faceva per l'avidità del trono; mentre il secondo ruminava da tempo la sospirata vendetta contro colui che considerava il responsabile della morte di suo nipote, il nobile Adrino.
Così, ad un mese esatto dalla nascita del suo primogenito, il re Godian era rimasto vittima di un attentato, i cui autori dopo avevano mirato ad eliminare anche il piccolo Francide. Perciò la notte successiva il principe Verricio lo aveva consegnato nelle mani dell'ancella Urtesia, affinché lo portasse lontano dalla Città Santa e lo ammazzasse. Ma come già siamo al corrente dei fatti relativi a tale vicenda, la donna non era riuscita ad ucciderlo con le proprie mani perché una tigre glielo aveva sottratto, prima ancora che ella potesse compiere il brutale infanticidio. Soltanto dopo aver visto la belva feroce portarselo via, tenendolo tra le sue fauci, l'ancella actinese aveva fatto ritorno alla Città Santa. Pervenuta alla reggia dopo moltissimo tempo, ella aveva garantito al suo mandante che il principino era da considerarsi spacciato per sempre; ma si era rifiutata di spiegare a qualunque persona in che modo il piccolo era stato ucciso da lei.
Ai funerali del giovane re Godian, i quali si erano avuti un mese dopo, precisamente il giorno successivo alla scomparsa del piccolo Francide, era intervenuto anche il suocero Edrio, il re di Stiaca. Egli subito aveva sospettato che, nell'assassinio del genero, ci fosse stata l'indubbia macchinazione del principe Verricio. Anzi, egli ne era così convinto, che, prima di congedarsi dalla figlia e di lasciare la Città Santa, aveva preteso un incontro a quattr'occhi con il secondogenito del defunto re Nortano. Durante il quale, il sovrano stiachese gli aveva dichiarato senza peli sulla lingua quanto segue:
“Lo strano assassinio del valente tuo fratello non mi convince, principe Verricio. Se lo vuoi sapere, nutro dei forti sospetti sulla tua persona, ritenendoti il primo responsabile della morte del re Godian e della scomparsa di suo figlio Francide. Perciò, prima di partire per la mia città, ti voglio ammonire che, se dovesse accadere qualche disgrazia anche alla mia figliola, non esiterei a muoverti guerra, allo scopo di fartela pagare. E tu sai che la mia decisione di dichiararti guerra obbligherebbe pure gli altri re edelcadici miei alleati a fare lo stesso nei tuoi confronti! Nella circostanza, ti sta bene il detto "Uomo avvisato mezzo salvato!"»
La minaccia del padre della cognata aveva obbligato il principe Verricio a rinunciare a farsi incoronare re di Actina, senza congiungersi in matrimonio con la moglie del fratello, come la legge prevedeva, ma facendola uccidere. Per questo egli, accettando di diventarlo secondo la legge, aveva intrapreso la strada del corteggiamento per farsi sposare dalla vedova Talinda e divenire in quel solo modo possibile re della Città Santa. Ma ciò non era avvenuto, avendo peccato di ingenuità nel confessarle che, per la futura tranquillità di entrambi, era stato costretto ad incaricare l'ancella Urtesia di sopprimere fisicamente il piccolo Francide. Allora la regina in carica, a quella notizia, si era rifiutata di sposarlo, sebbene le nozze fossero imminenti, mancando ad esse dieci giorni. Così, nonostante la vedova sua cognata si fosse rifiutata di sposarlo, il principe Verricio, memore della minaccia del padre di lei, non era ricorso anche al suo assassinio. Egli aveva temuto che l'uccisione della regina Talinda avrebbe potuto indurre Stiaca a le altre città sue alleate ad assediare Actina per punire la sua azione omicida.