228°-IL PRINCIPE GODIAN INCHIODA IL NOBILE ADRINO

Sul fare della sera, quando il principe Godian aveva fatto ritorno alla reggia, il padre, come sovrano di Actina, gli aveva chiesto di metterlo al corrente dei reati ascritti al nipote del Sommo dei Sacerdoti. Beninteso, con quella sua richiesta, egli non intendeva affatto sindacare l'operato del figlio prediletto; invece era soltanto sua intenzione conoscere i capi di imputazione ascrivibili ad Adrino, per una ragione abbastanza semplice. Dopo averli appresi, avrebbe potuto dare una risposta che giustificasse il provvedimento preso dal suo primogenito contro il nobile reo a quanti avessero cercato di intercedere presso di lui in suo favore, ad iniziare dall'autorevole suo zio Chione, il Sommo dei Sacerdoti. Allora il suo primogenito non aveva esitato a raccontargli, per filo e per segno, quanto il perfido patrizio aveva osato contro l'umile Flesia e come egli l'avesse sempre difesa, senza essere mai riuscito ad agguantare Sigrid. Inoltre, gli aveva parlato dell'ultimo ignobile marchingegno, con il quale Adrino e il suo scagnozzo avevano cercato di farlo passare come borseggiatore, con l’intento di indurre i gendarmi ad arrestarlo. Invece, in seguito a quella loro mossa incauta, le due canaglie erano rimaste incappate nella rete che essi stessi avevano gettato per intrappolare colui che gli risultava abbastanza scomodo.

Dopo avere ascoltato l'incredibile narrazione dei fatti esposti dal proprio primogenito, il re Nortano aveva approvato l'equanime provvedimento preso dal figlio contro l’amico del suo secondogenito. Perciò, mostrandosi solidale con lui, convintamente gli aveva asserito:

«La tua decisione è stata giusta, Godian, perché Adrino non si è comportato da persona nobile, ma da ignobile malfattore. Quindi, poiché la giustizia non deve guardare in faccia a nessuno quando sentenzia, come si comportano la morte e il tempo meteorologico con tutti noi, paghi il patrizio la sua colpa ugualmente al plebeo! Pensa un poco, figlio mio, se tu fossi stato un povero diavolo che difendeva la sua sfortunata ragazza! Pregiudicando in Actina il corso della giustizia, quei mascalzoni ti avrebbero fatto arrestare come ladro, sebbene tu fossi dalla parte della ragione. Adesso, però, posso sapere da te che pena hai deciso che io debba infliggere ai due sfacciati trasgressori della legge? Stanne certo che decreterò per loro ciò che tu riterrai giusto propormi!»

«Padre mio, come si può parlare di punizione, se prima non avrò inquisito a fondo sulla sporca vita privata del nipote del Sommo dei Sacerdoti? Credi che egli si sia macchiato solamente dei reati di tentato rapimento e di calunnia diffamatoria? Invece ti dico che, frugando nella sua torbida esistenza, si arriverà alla scoperta di azioni delittuose ben più pesanti! Ci sono ancora degli omicidi premeditati e compiuti a sangue freddo, dei quali non si conoscono ancora mandanti e mandatari. Io nutro dei forti sospetti che essi siano stati commissionati proprio dall’amico di mio fratello; ma quanto prima ne avrò anche le prove!»

«Godian, sappi che le prove della sua colpevolezza nei gravi delitti ai quali hai fatto accenno dovranno essere irrefutabili, se vorrai inchiodarlo senza errori. Ma fino a quando esse nelle tue mani risulteranno solo pure supposizioni, dovremo andarci coi piedi di piombo, prima di accusarlo e di condannarlo per i suoi gravi crimini. Perciò approfondisci bene la cosa perché, solo quando potrai dimostrare che egli è colpevole dei reati da te presupposti, si procederà a comminare nei suoi confronti la condanna che si merita, ossia la morte!»

«In verità, padre, in merito a tali assassini, per il momento dispongo unicamente di astratte cognizioni di logica; però sono certo che presto verrò in possesso anche di prove concrete ed inoppugnabili. Ho le mie buone ragioni di attribuire alle macchinazioni inique del nostro indagato pure l'uccisione del nobile Ilso, ossia il genero del medico Ipione, e quella di tutto il personale inserviente dello stesso medico. C’è già a suo carico un sicuro movente, il quale dovrà condurci a scoprire l’intera verità su di lui. Stanne certo che le mie indagini mi faranno ottenere dei risultati positivi al più presto, non appena mi sarò mosso in tal senso!»

«Allora, figlio mio, prima di decidere con te la massima pena da infliggere al nobile Adrino, attenderò che tu concluda la fase inquisitoria del processo, il quale è stato ormai istruito da te contro lo stesso indiziato. Nel frattempo, però, potresti anticiparmi qualcosa in merito, mettendomi a conoscenza del materiale, il quale ti è servito a farti avanzare delle ipotesi incriminatorie e dei fatti probatori così gravi contro di lui? In questo modo, potrò già farmi una idea della gravità della sua colpevolezza e del castigo che ne potrebbe derivargli, nel caso che i tuoi sospetti dovessero risultare fondati. In Actina, ad ogni modo, non permetterò a nessuno di oltraggiare la giustizia, senza che egli venga dopo punito in maniera adeguata alla sua prevaricazione! Te lo garantisco!»

Alla richiesta del padre, Godian gli aveva raccontato l'episodio avvenuto in casa del nobile Ilso, ossia quello che aveva appreso dalla bocca di Zeira, la secondogenita del medico Ipione. Inoltre, secondo lui, l'atteggiamento dispregiativo di Sigrid verso il medico, nonché il loro tentativo di coinvolgerlo e di metterlo in cattiva luce agli occhi del sovrano costituivano pure dei validi indizi, che incrementavano i suoi sospetti. Allora il re Nortano, convincendosene pure lui senza alcuna riserva, aveva convenuto sulle argomentazioni ineccepibili del figlio, trovandole più che plausibili. Ma era meglio attendere quelle prove certe, le quali avrebbero inchiodato in modo innegabile l’amico intimo del loro familiare Verricio. Secondo il sovrano, con sospetti, senza che ci fossero prove convincenti, non si sarebbe potuto procedere alla sua incriminazione. Invece bisognava avvalersi dei soli reati a suo carico, i quali risultassero non solo ipotizzati, ma anche innegabilmente provati.

Qualche ora dopo il sagace Godian si era messo subito all'opera per esperire tutti i mezzi possibili e riuscire ad ottenere in quel modo le prove lampanti che gli avrebbero consentito di incastrare il prepotente Adrino e di accusarlo legalmente dei suoi gravi reati. Ma egli era più che convinto che il nipote dell’autorevole religioso era altresì responsabile dell'assassinio del nobile Ilso, nonché dell'eccidio di tante persone innocenti, che era stato commesso nella casa del medico Ipione. Dunque, se voleva risolvere quel difficile caso, gli toccava ricorrere a degli abili escamotage. Il principe, comunque, era consapevole che aveva a che fare con due scaltre volpi, le quali difficilmente si lasciavano incastrare, senza ricorrere ad un abile espediente capace di smascherarli, magari mettendoli apposta l'uno contro l'altro. Tanto per cominciare, nella tarda serata il primogenito del re Nortano era andato in carcere a far visita al suo indiziato principale. Egli aveva in mente di attuare un piano che, a suo giudizio, si sarebbe rivelato infallibile. Perciò, una volta che si era trovato davanti alla cella del nobile, egli aveva iniziato a parlargli così:

«Mi dispiace, Adrino, di aver dovuto ordinare l'esecuzione del tuo arresto; ma delle forze maggiori me lo hanno imposto. Il brutto è che dovrai restarci, fino a quando le cose non si saranno dipanate a tuo favore. Sono certo che vorrai conoscere le ragioni per cui sono stato spinto a spiccare un mandato di cattura nei tuoi confronti. Non è forse vero che è proprio come ti sto dicendo?»

«Le voglio conoscere senza meno, principe Godian, considerato che mi trovo qui, senza avere colpa di nessuna cosa, ossia da autentico innocente. Inoltre, è un mio diritto venirne a conoscenza! Ma chi meglio di te può saperlo! Comunque, è manifesto che sono stato vittima di una macchinazione, da parte di chi mi vuole assai male!»

«Allora eccoti accontentato, Adrino! Rammenti che oggi, dietro tua espressa richiesta, il sovrintendente alle carceri Oldrisio ha dovuto mettere a disposizione del tuo Sigrid un drappello di soldati, affinché andasse ad arrestare un tale, il quale ti aveva scippato una grossa somma di denaro? Se le cose non fossero andate in questa maniera, sei pregato di correggermi adesso, prima che io vada oltre!»

«Come potrei scordarmi un fatto del genere, principe Godian! Presso le carceri, in quel momento, ero molto adirato, per essere stato borseggiato da un ladro di professione sotto i miei stessi occhi! La qual cosa, senza accorgermene, mi ha fatto perfino esagerare con il bravo Oldrisio, le cui doti di sovrintendente reputo ineccepibili!»

«Ebbene, quell'individuo, dopo essere stato trovato presso la casa del medico Ipione, ha reagito fulmineamente ed ha trafitto a morte Sigrid. Allora, prima di spirare in pace, il tuo uomo di fiducia, davanti a numerosi testimoni, ha fatto una confessione spontanea, che ora ti cito testualmente: "Il dio Matarum abbia pietà di me e non mi condanni all'espiazione eterna! A lui chiedo perdono dei miei misfatti scellerati. Inoltre, confesso a quanti mi stanno ascoltando che il mio feritore è innocente e non ha affatto derubato nessuno. Si è trattato di una grande menzogna del mio padrone, il nobile Adrino. Per suo ordine, ho pure trafitto a morte il nobile Ilso ed ho tentato di rapire più volte la fidanzata del giovane, che volevamo far passare per ladro. Infine dichiaro che la scorreria effettuata nella casa del medico Ipione è stata ugualmente ordinata dal mio padrone. Svelo queste cose, perché il divino Matarum non infierisca tremendamente contro di me, quando mi ritroverò davanti a lui nell'altra esistenza!" Dopo averti mosso di propria spontanea volontà tali pesanti accuse, il tuo accusatore ha cessato di vivere.»

«È impossibile, principe, che egli abbia potuto confessare tali cose, considerato che esse non stanno né in cielo né in terra, essendo delle autentiche menzogne di sana pianta!»

«Invece, nobile Adrino, questo episodio mi è stato confermato da Oldrisio e dai suoi soldati, oltre che dal medico Ipione e da quanti si trovavano con lui nel suo palazzo. Tu lo sai che le nostre leggi tengono in grande considerazione le affermazioni di una persona in punto di morte. Specialmente, poi, se quest'ultima le fa in nome del divino Matarum! Dunque, come vedi, sei davvero in un grosso pasticcio. Perciò, riguardo a tale confessione, cos'hai da riferirmi a tua discolpa? Ti ascolto con la massima attenzione, se hai qualcosa da farmi presente!»

Allora Adrino, dopo essere diventato di tutti i colori, mostrandosi assai collerico, non aveva tardato a rispondergli:

«Quel porco di Sigrid è stato un grande bugiardo e uno spergiuro vendicativo, per cui non bisogna tener conto delle sue bugie, dette con il proposito di rovinarmi. Un giorno lo feci frustare e per questo oggi egli ha cercato di mettermi nei guai, con il chiaro intento di vendicarsi di me. Si vede che in quel momento se la legò al dito ed ha atteso il momento adatto per attuare la sua vendetta, che è senz’altro dovuta a rancore!»

«Sì, forse non bisogna tener fede alle affermazioni di una persona incline alla vendetta, come Sigrid. Ma tu devi prima attestarmi per iscritto che il tuo uomo, di propria iniziativa, ha ucciso il nobile Ilso. Inoltre, agendo nella tua più completa estraneità agli addebiti che ti vengono mossi, ha eseguito l'incursione presso l'abitazione del nobile Ipione e ha più volte tentato di rapire la ragazza Flesia. Dopo che avrai stilato la tua dichiarazione sulla pergamena, che ho qui già pronta, ti farò uscire. Dunque, sei disposto a mettere nero su bianco, mio nobile Adrino, la qual cosa potrà esserti più che utile nel difenderti dal defunto tuo accusatore mendace? In caso affermativo, ti pongo l’occorrente per farlo.»

«Sono disposto a farlo subito, principe Godian! Perciò dammi l'occorrente che già scorgo nelle tue mani. Dopo vedrai che ti stilerò e ti sottoscriverò in un attimo le controdeduzioni che mi hai citate poco fa. Maledetti siano tutti gli spergiuri della terra! Essi dovrebbero sparire, dal primo all'ultimo, e liberarci della loro lurida compresenza!»

Il primogenito del re Nortano non si era fatto pregare più di tanto dal nipote del Sommo dei Sacerdoti. Per cui all’istante aveva consegnato al recluso il materiale che gli occorreva per approntare le proprie dichiarazioni scritte. Quando poi Adrino aveva terminato di stilarle e gli aveva restituito la preziosa pergamena redatta e sottoscritta da lui, il principe inquirente se l’era conservata con molta cura. Ma prima di lasciare quel luogo, si era rivolto al patrizio speranzoso e gli aveva asserito:

«Siccome devo andare, mi congedo da te, Adrino. Tu intanto inizia a raccomandare la tua anima al dio Matarum, chiedendogli di esserti vicino. Soprattutto in questi delicati momenti, i quali si presentano particolarmente critici per la tua salvezza! Ma mi domando se noi due avremo ancora modo di rivederci nell'avvenire! Per la verità, ne dubito!»

Alle nuove parole del principe Godian, le quali non promettevano nulla di buono per lui, il nobile Adrino era rimasto confuso e stravolto. Quando poi si era riavuto per un attimo dal brutto colpo ricevuto, egli aveva cercato di reagire alle sue parole, dandosi a rammentargli:

«Principe Godian, mi avevi dato la tua parola che mi avresti fatto uscire, dopo che ti avessi dichiarato per iscritto che Sigrid era l’unico responsabile dei succitati reati, avendoli commessi di propria iniziativa e a mia insaputa! Quindi, perché vieni meno alla promessa che mi avevi fatta, negandomi la scarcerazione, alla quale ho pieno diritto?»

«Sì, è vero che mi ero impegnato con te a farti uscire, Adrino. Ma se ricordi bene, non ti avevo mica detto anche da dove ti avrei fatto venir fuori! Comunque, non di certo dal carcere, dove rimarrai ancora per poco! Semmai dalla tua vita immonda, quella che hai sempre condotta da vivo. Adesso ti sono stato chiaro? Stanne certo che mi adopererò con tutto me stesso per mantenere la mia promessa!»

Dopo l'incontro avuto con il nobile Adrino, il principe Godian se n'era ritornato dal padre. Così lo aveva messo al corrente che l'indomani gli avrebbe comprovato la colpevolezza dello spregevole nipote del Sommo dei Sacerdoti, circa i gravi capi di accusa che prima aveva sospettato a suo carico. Per lo stesso motivo, aveva fatto avvisare pure il medico di corte di trovarsi il giorno dopo in mattinata nella reggia, dove avrebbe assistito a qualcosa, che gli sarebbe risultato di sommo gradimento.


Il giorno seguente, accogliendo l'invito ricevuto dall'amico principe, il nobile Ipione si era presentato a corte all'ora da lui stabilita. Così Godian, accompagnato da suo padre e dal medico, aveva raggiunto le carceri e si era recato presso la cella della decapitazione. Un’ora prima, egli aveva preso accordi con l’amico Oldrisio di condurre anche Sigrid nel luogo della morte, ma solo dopo che vi fossero giunti loro tre. In quel luogo, l'imputato doveva essere decapitato per i gravi delitti da lui commessi. Quando poi il condannato era stato condotto in tale cella dalle guardie, il principe Godian gli aveva parlato nel modo seguente:

«Sigrid, come vedi, la tua ora è scoccata! Tra poco, sarai decapitato dal carnefice e finirai per sempre di nuocere al tuo prossimo. La mannaia è impaziente di troncarti il capo dal collo con un taglio netto. Adesso sei soddisfatto della tua condanna, che non potrebbe essere più equa, considerate le tante gravi colpe da te commesse?»

Sigrid, dal canto suo, non stimando l’attuale suo reato così grave, da essere punito con la pena capitale, aveva cercato di ribellarsi a quel palese abuso, da parte di chi amministrava la giustizia in Actina. Ma le sue proteste avevano riscosso soltanto il silenzio dal suo interlocutore. Allora egli, risentito ed indignato, gli aveva domandato:

«Posso sapere perché vengo condannato a morte, senza che io sia stato colpevole di un reato punibile con la pena capitale? Contesto tale provvedimento, poiché esso rappresenta un atto di illegalità e di ingiustizia! Non c’è dubbio che io meriti qualche mese di galera, per essermi sbagliato nel riconoscere il ladro del mio padrone; però, per uno sbaglio così banale, non mi si può punire con la massima pena, che è la morte!»

Alle sue rimostranze, il principe Godian gli si era avvicinato. Mettendogli poi sotto il naso la pergamena scritta di proprio pugno dal nobile Adrino, lo aveva invitato a leggere. Terminata la lettura dell'attestazione fatta per iscritto dal suo aristocratico padrone, il disperato Sigrid si era indignato ed era diventato abbastanza furioso. Infine si era messo ad urlare con quanta voce avesse in corpo, dichiarando a gran voce:

«Il nobile Adrino è un porco, se ha affermato quanto è scritto sopra questa pergamena! Giuro sul dio Matarum che è stato lui ad incaricarmi di ammazzare il nobile Ilso, di rapire la ragazza e di mandare degli uomini alla casa del medico Ipione, perché vi seminassero la distruzione e la morte. Invece adesso, pur di salvare la pelle, la canaglia si è tirata indietro, addossandomi l'intera responsabilità. Perciò, se sono meritevole di morte, per avere ucciso il nobile Ilso; egli se la merita più di me, essendo stata la sua libidine a provocare un sacco di vittime e molta angoscia in tante persone innocenti!»

Le dichiarazioni fatte da Sigrid, l'uomo di fiducia del nobile Adrino, avevano soddisfatto il principe Godian come desiderava, per cui ne aveva gioito immensamente. Subito dopo, però, egli volle approfittarne per fargli la seguente richiesta:

«Sigrid, saresti pure disposto a mettere per iscritto ciò che hai appena dichiarato a voce? Se tu acconsentissi a farlo, per te sarebbe una rivincita sul tuo padrone voltafaccia! Non sembra pure a te? Purtroppo, oggi non ci si può fidare proprio di nessuno!»

«Certo che sono disposto a farlo, principe! Non vedo l’ora di scriverlo! A patto, però, che il mio scritto valga a farmi trascinare nelle tenebre anche il nobile Adrino, dove anch'egli è degno di finire! In verità, non mi sarei mai aspettato il suo tradimento!»

«Naturalmente, Sigrid, avverrà ciò che ti aspetti da essa! La tua denuncia scritta non gli darà scampo e lo costringerà a seguirti nell’aldilà. In quel luogo potrete continuare a farvi compagnia, magari per la prima volta senza andare d'accordo. Ma sono certo che non potrete mai più arrecare nocumento a nessuno, tranne che a voi stessi!»

Raggiunto il suo scopo, Godian aveva invitato il padre e il medico Ipione a lasciare quel luogo, dove la morte si preparava a fare ancora due vittime. Ma uscendo dalla cella, egli aveva lasciato detto al boia di turno di attendere il suo ordine, prima di procedere all'esecuzione capitale del condannato. Da parte loro, il re Nortano e il medico Ipione avevano elogiato l'acuta sagacia del giovane principe. Egli, con un abile stratagemma, era riuscito ad ottenere delle prove incontrovertibili contro il nobile Adrino, allo scopo di poterlo incriminare pubblicamente. Per questo il giorno dopo non gli era stato difficile, in qualità di amministratore della giustizia, far firmare dal padre la sentenza di morte del nipote del Sommo dei Sacerdoti, siccome quella di Sigrid già era stata firmata nella sera precedente. Quando poi il medico si era congedato da loro, il re Nortano e il principe Godian avevano avuto un breve colloquio. Durante il quale il sovrano aveva desiderato dal figlio una risposta al quesito che gli stava ponendo con queste parole:

«Senza meno, Godian, ricorrerà a me l’autorevole zio del nobile Verricio, con l’intento di chiedermi la grazia per il nipote, che ovviamente gli negherò. Ma se egli mi farà una esplicita richiesta di incontrarlo nella sua cella, come dovrò comportarmi? Se lo vuoi sapere, figlio mio, non ci troverei nulla di strano, se gli accordassi una visita al figlio del fratello. Comunque, vorrei che fossi tu a pronunciarti su tale sua richiesta!»

«Anch’io, padre, sono propenso a permettere all’autorevole religioso di avere un incontro con il nipote! Anzi, adesso che ci penso, prima che glielo concediamo, mi toccherà verificare un particolare, che non mi ha mai convinto del tutto. Se quest'ultimo dovesse rivelarsi come sospetto, in quel caso dovremo negarglielo senza meno.»

«Godian, mi dici quale sarebbe questo particolare e cosa ha esso a che vedere con la visita del Sommo dei Sacerdoti al nipote? Non riesco a connettere a tale riguardo! Perciò cerca di chiarirti meglio!»

«Per il momento, padre, neppure io sono in grado di dirti qualcosa in merito. In me c’è un sospetto, che solamente Sigrid potrà dipanarmi. Adesso vado a ripresentarmi a lui e gli chiederò una conferma oppure una smentita, in relazione a quanto mi frulla nella mente. Ma se io avessi ragione, in quel caso si dovrà rifiutare ad ogni costo la visita del religioso Chione al proprio nipote. Ora vado da lui e ritorno subito da te, padre, per ragguagliarti sulla fondatezza o meno del mio sospetto!»

Quando il principe Godian aveva raggiunto l’uomo fidato del nipote del Sommo dei Sacerdoti, senza indugio gli aveva parlato così:

«Sigrid, sono tornato da te perché tu mi chiarisca un particolare, il quale continua a non farmi stare tranquillo. Si tratta di un rebus, che non riesco a districare da solo. In verità, nutro solo dei sospetti intorno ad esso, mentre desidero avere la certezza che si tratta di autentica verità. Allora sei disposto a darmi una mano a risolverlo?»

«Non è vero, illustre principe, che vuoi sapere da me chi era la persona che mi accompagnava, quando abbiamo obbligato te e il medico Ipione ad avere un’aspra disputa con noi due? La quale dopo ti ha affrontato con il chiaro proposito di ammazzarti, poiché a questo egli mirava con ostinazione. Ebbene, se sospetti che fosse tuo fratello, il principe Verricio, sei nel giusto. Egli, però, si è lasciato coinvolgere dall’amico Adrino nella vicenda con il solo proposito di vendicarsi della ragazza, per averlo ella rifiutato a corte. Quindi, tuo fratello intendeva solo ucciderle il fidanzato per pura vendetta; ma era all’oscuro che sotto le sue mentite spoglie ci fossi tu, come lo ignoravamo anche io e il mio padrone Adrino. Inoltre, posso assicurarti che il principe Verricio ignorava le altre malefatte, di cui si stava macchiando il suo amico fedele!»

Appreso da Sigrid ciò che intendeva conoscere sul fratello, il principe Godian se n’era ritornato dal padre, a cui aveva raccontato il tassello mancante della storia di Flesia. Il quale vi aveva visto coinvolto, ma solo limitatamente ad esso, anche il loro congiunto stretto. Allora insieme avevano stabilito che bisognava assolutamente vietare che i due parenti si incontrassero, ad evitare che il Sommo dei Sacerdoti venisse a sapere dell’episodio che aveva implicato anche la partecipazione del loro familiare. In quel caso, egli avrebbe potuto pretendere che Verricio venisse trattato alla stessa stregua del nipote, con l’intenzione di trarre dai guai il figlio del fratello.

Com’era da aspettarselo, non erano mancati quelli che avevano accolto la sentenza capitale del nobile Adrino con immenso dispiacere. Tra i quali, si erano dati da fare specialmente il suo amico intimo, che era il principe Verricio, e lo zio Chione, che era il Sommo dei Sacerdoti. Il secondogenito del re Nortano, non appena era stato informato della condanna emessa contro l’amico per la pelle, all'istante era volato dal padre. Una volta in sua presenza, gli si era rivolto con queste parole:

«Padre mio, perché vuoi arrecare al mio animo uno strazio così enorme, deliberando l'atroce sentenza di condanna contro il mio amico più caro? Non voglio sapere cosa di male egli abbia potuto fare, invece desidero che tu annulli la sentenza decretata nei suoi riguardi, la quale prevede la pena capitale. In fondo, egli è pur sempre un nobile e il nipote del Sommo dei Sacerdoti! Per favore, padre, fallo per la mia felicità!»

Allora il saggio genitore non aveva affatto accolto la sua supplica piagnucolosa, siccome i vari reati ascritti a carico del condannato erano di una gravità orrenda. Perciò, senza lasciarsi influenzare minimamente dal suo profondo cordoglio, sebbene fosse sincero e vivamente sentito, la sua risposta perentoria al suo secondogenito era stata la seguente:

«Figlio mio, la giustizia non ha redini e non si lascia guidare da nessuno. Essa viene soltanto applicata dai regnanti. Chi permette che nel proprio regno avvengano violenze ed abusi senza punire i responsabili delle une e degli altri, egli non applica la giustizia; ma la ignora oppure desidera ignorarla. Stanne certo, però, che in quel regno dove la giustizia viene calpestata dal sovrano, lì sono anche prossimi il crollo e la fine! Essa deve essere fatta valere senza distinzione di classi, poiché nell'universalità della giustizia sta e resta la vera forza di un regno. Perciò, Verricio, non saranno il tuo pianto e il tuo dolore a farmi andare contro di essa oppure a farmela ignorare per una volta. Il tuo amico ha commesso eccessi di criminalità ed è giusto che egli paghi per essi. Applicando la giustizia su di lui, la condanna di morte è stata il minimo che io gli abbia potuto infliggere, dopo che egli ha commissionato ad altri tante terribili nefandezze contro terzi! Anche te, figlio mio, dovrei far punire, per esserti lasciato coinvolgere dal tuo amico in una parte della sua sporca vicenda riguardante la ragazza Flesia. Per cui hai perfino rischiato di farti uccidere da tuo fratello, dopo averlo sfidato con l’intento di ammazzarlo. Non cercare di negarlo, poiché lo abbiamo appreso da Sigrid, l’uomo al servizio del nobile Adrino. A causa di ciò, sono anche costretto a rifiutare al Sommo dei Sacerdoti la visita a suo nipote, per timore che quest’ultimo possa riferirgli di te nell'intrigante vicenda.»

L’ultima parte della risposta paterna aveva indotto al silenzio il principe Verricio, che non aveva osato replicare, poiché il suo torto si dimostrava marcio e palese. Per cui aveva preferito tacere ed abbandonare la sala del trono immusonito, ma anche tenendo la coda tra le gambe. Inoltre, non aveva neppure desiderato di dare il saluto di addio all’amico intimo, il quale stava per essere decapitato.

Anche il Sommo dei Sacerdoti, com’era previsto, dopo avere appreso la notizia della condanna a morte di Adrino, era ricorso al re Nortano per implorare la grazia per lo sventurato nipote. Ma il sovrano, dopo avergli fatto presenti i vari crimini commessi dal figlio del defunto suo fratello Epros ed avergli fornito nello stesso tempo le prove, aveva risposto all’alto esponente religioso con una certa pacatezza:

«Eminente Chione, mi dispiace non poter esaudire la tua preghiera. Le vittime di tuo nipote stanno gridando vendetta e giustizia dall'aldilà, le quali mi hanno ordinato la morte sia per lui che per il suo fedele Sigrid. Inoltre, non predichi tu stesso, nel nome del sacrosanto dio Matarum, bene, uguaglianza e giustizia? Perché adesso si dovrebbe attentare ad uno di questi begli ideali, unicamente per soddisfare i desideri dell'amico oppure del caro parente? No, non me la sento di tradire la giustizia; come non lo avrei fatto, neppure se si fosse trattato di un mio figlio! Tradendola, mancherei anche verso il mio popolo di Actina! Ma ciò che mi dorrebbe di più, se ci tieni a saperlo, sarebbe il rimorso di non avere assecondato i sacri voleri del divino Matarum, che è la nostra somma divinità. Il quale, come voi predicate nel tempio, è fermamente contro ogni forma di ingiustizia! Inoltre, non chiedermi di incontrarlo, poiché egli ha dichiarato espressamente di non volere avere visite da parte di nessuno, compresi te e l'amico Verricio, che sarebbe mio figlio.»

Era avvenuto così che il nobile Adrino aveva subito la stessa sorte che era toccata al suo fido Sigrid. Le loro giuste morti c’erano state nello stesso giorno nella cella della morte, l'una dopo l'altra. Con le due condanne a morte e con l'esecuzione delle medesime, si era finalmente resa giustizia a quanti erano rimasti vittime innocenti della loro prepotenza e della loro malvagità. Per cui ben si può affermare che il delitto non paga, siccome esso, prima o poi, apporta danno a chi lo commette con indubbia malvagità.