225-IL MEDICO IPIONE OSPITA FLESIA E I SUOI FAMILIARI
Il giorno dopo, il sovrano di Actina aveva voluto interrogare coloro che avevano rapito Flesia, al fine di farsi rivelare il nome del nobile briccone che gli aveva commissionato il rapimento a scapito della ragazza. Ma essi, pur ammettendo senza reticenza di avere agito per conto di un nobile, gli avevano dichiarato che ignoravano chi era stato il loro committente. Anzi, non erano in grado neppure di riconoscerlo, dal momento che il ratto gli era stato ordinato da una persona di sua fiducia da lui delegata, la quale aveva fatto da intermediario. Invece il re Nortano non aveva creduto alle dichiarazioni di quei delinquenti senza scrupoli. Invece si era persuaso che essi cercavano di nascondere a bella posta il nobile per il quale stavano agendo. Così, dopo aver terminato di interrogarli, il sovrano si era recato dal suo primogenito per manifestargli le proprie impressioni sui malavitosi, che erano stati incarcerati durante la notte, per essersi resi colpevoli del rapimento della giovane Flesia. A tale riguardo, gli aveva fatto presente:
«Mio caro figlio, i rapitori tratti in arresto insistono a tenere la bocca cucita, essendo individui che non si sbottonano. Addirittura hanno inteso farmi credere ciò che in realtà non è possibile. Invece io sono fermamente convinto che essi mentono senza ritegno, circa la persona che li ha assoldati per fargli eseguire il rapimento di stanotte. Ma gli sciocchi non sanno che, non svelando il nome del loro mandante, per legge si fanno carico anche degli anni di reclusione che spetterebbero a lui.»
Godian non era stato dello stesso parere paterno, essendo dell'opinione che i rapitori dicevano la verità, avendo tutto da perdere a non parlare. Allora gli aveva voluto chiarire:
«Padre mio, probabilmente è conforme al vero ciò che i sequestratori affermano. Devi sapere che alcuni nobili, quando danno incarichi delicati e rischiosi, nonché compromettenti per loro stessi, cercano di tenersi nell'ombra. Perciò essi ricorrono all'intervento di terzi, dei quali si fidano ciecamente, per farli trattare in loro vece. Domani, ad ogni modo, gli farò anch'io una visita e li torchierò con un mio terzo grado. Allora staremo a vedere quanta verità sarò in grado di cavare dalla loro bocca, la quale per il momento non intende cantare!»
A guarigione avvenuta, il principe Godian non aveva perso tempo a recarsi alla prigione, dove si era fatto condurre dal sovrintendente alle carceri nella cella in cui erano stati rinchiusi i rapitori arrestati. In quel luogo, con sua grande sorpresa, egli aveva riconosciuto nei reclusi le stesse persone che aveva prezzolato per fare proteggere la sua ragazza. Invece essi, come constatava, non avevano avuto alcuno scrupolo a tradirlo e a fare combutta con l'oppressore della sua fidanzata, unicamente perché quello di sicuro aveva aumentato la posta. Per fortuna, Flesia ancora una volta era sfuggita al nuovo pericolo che l'aveva minacciata. Di fronte a quei traditori, i quali non avevano esitato a vendersi al migliore offerente, pur essendosi già impegnati con lui, il principe ereditario si era acceso di sdegno. Poco dopo, senza perdere l'autocontrollo, si era rivolto al capo dei malfattori e gli aveva parlato in questo modo:
«Mi riconosci oppure hai bisogno che ti rinfreschi io la memoria? Tra qualche istante, però, ti pentirai di avermi vilmente tradito!»
L'uomo, dopo averlo squadrato da capo a piedi, per cercare di ravvisare in lui qualcuno di sua conoscenza, alla fine ne aveva avuto una mezza idea. Allora, sebbene gli risultasse ancora dubbio che si trattasse proprio di lui, a causa del diverso abbigliamento, il quale adesso era quello di un principe, gli aveva risposto terrorizzato:
«Al momento, non sono in grado di riconoscerti, non avendo alcun ricordo di te. Oppure mi sbaglio? Non dirmi che sei proprio colui che ci aveva assunti per difendere una famiglia di umili condizioni da quei malintenzionati che avessero tentato di farle del male! Per favore, dimmi che non è vero e che perciò sono completamente in errore!»
«Invece sono proprio io, emerito farabutto! Sì, sono quello che voi avete tradito! Non avete esitato a macchiarvi di tradimento, credendomi un poco di buono, pur di ingraziarvi un nobile danaroso, che vi ha promesso chissà quale alta ricompensa! Ma ora vi state rendendo conto che vi siete messi contro il principe ereditario di Actina, allo scopo di favorire un nobile mascalzone? Comunque, non imputo a voi la colpa di esservi venduti ad altri a mio danno; bensì quella di aver preferito l'azione illecita a quella lecita. Adesso, nel caso che voi foste ignoranti in materia legislativa, voglio rendervi edotti su quanto la legge prevede in Actina, quando c'è di mezzo il reato di rapimento. Essa commina dieci anni di detenzione per coloro che commissionano ad altri un ratto e la metà degli stessi per i rapitori mandatari. Se poi questi ultimi si rifiutano di rivelare i nomi dei loro mandanti, finiscono per beccarsi pure i dieci anni di detenzione che spetterebbero a costoro. Dopo avervi fatto presente quanto dovevo, per il vostro bene, vi invito a farmi il nome del nobile che vi ha affidato l'incarico di rapire la ragazza. Altrimenti vi farete carico anche della decina d'anni di galera che toccherebbero a lui!»
Il capo dei rapitori, dopo che il principe aveva finito di chiarirgli come stavano effettivamente le cose circa il rapimento della ragazza da loro eseguito, si era affrettato a rispondergli:
«Se lo conoscessimo, illustre principe, sappi che ben volentieri ti riveleremmo il nome del nobile che, dopo averci corrotti, ci ha messi in questo bruttissimo guaio! Ti faremmo il suo nome per i seguenti due motivi: primo, per vendicarci del male che egli ci ha causato; secondo, per rimediare al nostro errore e farti cosa gradita, dopo il torto che ti abbiamo arrecato. Ma noi lo ignoriamo sul serio: devi crederci! Chi ci ha avvicinati ed è venuto a pattuire con noi il rapimento della ragazza non ha voluto farci il nome del nobile, di cui stava facendo le veci. Avremmo dovuto incontrarlo alla consegna della ragazza rapita. Ci aveva anche promesso che, se avessimo fatto un ottimo lavoro, il suo padrone ci avrebbe affidato un incarico ben più importante, per il quale ci avrebbe pagato un sacco di soldi! È tutto ciò che sappiamo, nobile principe!»
«Allora dove portavate la ragazza a gran carriera, se non conoscevate il luogo che avreste dovuto raggiungere? I soldati di mio padre hanno dovuto sudare non poco, allo scopo di raggiungervi e catturarvi. Infatti, essi ci sono riusciti, soltanto dopo un lungo e faticoso inseguimento per alcune vie cittadine, fino a quando non vi siete trovati in un vicolo cieco, dove siete stati costretti ad arrendervi e a farvi catturare.»
«Noi, eminente principe, stavamo seguendo l'uomo, con cui avevamo trattato il lucroso affare. Egli, però, precedendoci di un centinaio di passi, è riuscito a sottrarsi in tempo ai soldati dell'illustrissimo tuo genitore. Così ha lasciato solamente noi nei guai fino al collo, facendoci finire nella cella dove siamo in questo momento!»
«Avendo compreso come sono andate le cose, sono propenso a crederti, pendaglio da forca. Ma almeno sai dirmi se hai notato qualche segno particolare sul volto dello sconosciuto, che vi ha ingaggiati? Nel caso che esso non ti sia sfuggito e me lo riferisci, dopo saprò rendermi conto di chi possa trattarsi realmente! Allora sei in grado di rispondere a questa mia nuova domanda?»
«Me lo ricordo benissimo, illustre principe! Sebbene egli tenesse celato il capo in un cappuccio scuro, non ho avuto difficoltà a scorgere una grossa cicatrice sulla sua guancia destra. Ne sono anche rimasto abbastanza impressionato, poiché essa non era bella a vedersi!»
«Avrei dovuto aspettarmelo! È sempre lui che cerca di rapire la ragazza da me protetta! Ma non si comprende per conto di chi egli si sta dando da fare. Comunque, un giorno senz'altro riuscirò ad acciuffarlo e a fargli spiattellare ogni cosa. Allora sia lui che il suo padrone mi pagheranno le loro mascalzonate, dalla prima all'ultima!»
Alla fine Godian aveva ritenuto concluso il suo formale interrogatorio, anche se non era venuto a sapere dai rapitori inquisiti ciò che gli interessava in modo particolare. Ma prima di allontanarsi dalla cella, al fine di lasciare il carcere, aveva comunicato al suo interlocutore:
«Siccome credo nella tua sincerità, tu e gli altri avrete la punizione che la legge prevede per i rapitori mandatari, ossia per gli esecutori materiali del rapimento. Invece avrei tutte le carte in regola per infierire contro di voi, come vi meritereste; però evito di farlo. Lo sai perché? Se lo facessi, in quel caso vi punirebbe la severa vendetta del Godian uomo e non l'imparziale giudizio del Godian principe! Ed io non desidero che mi si rinfaccia da qualcuno di averlo giudicato senza equità, per essermi lasciato prendere dalla vendetta personale! Intanto vi auguro buona permanenza in questo posto!»
Il mattino del giorno seguente, Luokun, il quale era il nome del capo dei rapitori incarcerati, tramite il sovrintendente alle carceri Oldrisio, aveva mandato a chiamare il principe ereditario di Actina. Quando poi il primogenito del sovrano si era presentato davanti alla grata della sua cella, si era dato a parlargli con queste parole:
«Nobile principe, dopo il grande torto che ti ho fatto, se tu fossi d'accordo, vorrei darti una mano ad incastrare il verme che continua a perseguitare la ragazza che noi due conosciamo. Così in seguito mi sentirò soddisfatto della mia buona azione, al pensiero che essa ti avrà recato un favore grandissimo! Allora ti sta bene la mia iniziativa?»
«Prima di acconsentire, Luokun, vorrei che tu mi mettessi al corrente del piano che avresti architettato, con il quale affermi che riuscirai nella tua impresa. Dopo che lo avrò ascoltato, ti darò la risposta.»
«Vorrei far credere al nostro corruttore che, mentre i miei uomini sono stati tutti arrestati, io soltanto sono riuscito a sfuggire ai soldati regi inseguitori. Persuadendolo poi che ho già un'altra banda a mia disposizione, cercherei di entrare nelle sue grazie e guadagnarmi la sua fiducia. Sono sicuro che egli non esiterebbe a commissionarmi l'altro incarico, al quale mi aveva già accennato durante il nostro precedente accordo. Ma l'uomo, essendo un tipo molto sospettoso, prima di assegnarmelo per conto del suo padrone, giustamente vorrebbe vedermi alla testa della nuova banda a cui gli ho fatto riferimento. Per questo dovrei anche metterne su un'altra al più presto per convincerlo a dare credito alla mia parola. Ad essa, però, dovresti pensarci tu!»
«Devo ammettere, Luokun, che la tua idea non è male e potrebbe anche funzionare! Ma mi dici come farai ad incontrarti di nuovo con la persona, che dovrebbe cadere nel tuo tranello?»
«Dopo esserci stata la mia uscita da questa cella, principe, andrò a piazzarmi davanti all'abitazione della tua ragazza. In quel posto, aspetterò che egli si rifaccia vivo. Sono sicuro che il nostro uomo, sempre in modo furtivo, come è solito fare, continuerà a tenerla sott'occhio. Così mi si avvicinerà, non appena mi avrà riconosciuto da lontano!»
«Chi mi assicura, Luokun, che tu, dopo essere stato messo in libertà, non ti darai alla macchia, divenendo così uccel di bosco? Una volta uscito di prigione e divenuto un uomo libero, potresti farlo benissimo, senza curarti degli impegni presi con me. Credi forse che io abbia dimenticato che già una volta mi hai tradito, come tu sai?»
«Certo che potrei farlo, principe. Anzi, lo farei senza meno, se la persona con la quale mi sono impegnato fosse un'altra e non chi è destinato a diventare il mio futuro sovrano! Da suo mallevadore, come potrei non pensare che in seguito la mia condanna sarebbe la pena di morte, se osassi sottrarmi ai miei obblighi verso di lui? La qual cosa dovrebbe risultarti assai logica! Inoltre, a missione ultimata, potrei anche sperare in una riduzione di pena da parte tua, principe ereditario della Città Santa!»
«Ebbene, Luokun, considerato che mi hai convinto, ti permetto di provare il piano come da te ideato ed esposto; ma ad una condizione. Quando ciò avverrà, gli uomini, che dovranno costituire la tua nuova banda, saranno tutti gendarmi di mio padre. I quali, prima di mettersi al tuo servizio, dovranno camuffarsi in delinquenti comuni, come lo siete tu e i tuoi compagni. Quanto alla tua riduzione di pena, se ne parlerà solo dopo, a fatto compiuto! Per cui adesso non ti prometto niente.»
«Senz'altro dovrà essere così, principe! Infatti, anch'io avevo pensato la medesima cosa, volendo farti stare più tranquillo. In questo modo, il nostro uomo non ci sfuggirà e sarà tradotto a marcire in queste carceri, dove mi trovo io adesso. E con lui, anche il suo padrone!»
In verità, il principe Godian e Luokun avevano fatto i conti senza l'oste, poiché il piano del malvivente aveva funzionato fino ad un certo punto. Il fatto che aveva messo maggiormente in sospetto il loro uomo era stato appunto l'assicurazione di Luokun che già era riuscito a disporre di una nuova banda celermente e senza problemi. Secondo lui, per avere la possibilità di disporre di un quantitativo di uomini così nutrito, egli aveva potuto arruolarli unicamente tra i gendarmi del re Nortano. La qual cosa alla fine lo aveva spinto a pensare che egli stesse collaborando con la giustizia con l'obiettivo di incastrare lui e il suo padrone. Ma pur non avendone la certezza, egli aveva preferito non correre rischi, cucendo la bocca per sempre a chi intendeva mettersi al servizio del suo padrone. Infatti, dopo essersi fatto seguire in un luogo appartato, cogliendolo di sorpresa, non aveva esitato a pugnalarlo alla schiena. In seguito il suo cadavere, con grande rammarico del principe ereditario di Actina, era stato ritrovato il mattino seguente in un vicolo cieco della città. Allora il primogenito del re Nortano non aveva avuto dubbi, in merito al suo scaltro carnefice!
Nei giorni che erano seguiti, Godian e Flesia si erano andati rimettendo in sesto assai rapidamente. Mentre il braccio dell'uno aveva cominciato ad acquistare la primiera saldezza; la spalla dell'altra accusava sempre meno dolore. Naturalmente, il giovane principe non aveva mai voluto incontrarsi con la sua ragazza, siccome reputava che non fosse ancora giunto il momento di manifestarle la sua vera identità. Perciò, ogni volta che i suoi genitori avevano cercato di condurlo da Flesia, desiderosi di fargliela conoscere, egli aveva sempre accampato una scusa qualsiasi, pur di evitare di farsi coinvolgere da loro nella vicenda della ragazza. Suo fratello Verricio, al contrario di lui, si era dato ad interessarsi un po' troppo della bella Flesia, cercando di sedurla con una corte assidua e martellante. Perciò andava a trovarla ogni giorno nel suo appartamento e le si mostrava molto galante e garbato, celando con quel modo di fare le sue mire voluttuose. La ragazza, da parte sua, si era accorta fin dall'inizio delle vere intenzioni del secondogenito dei regnanti; però aveva fatto finta di non accorgersene. Ad ogni modo, gli si era sempre mostrata molto riservata, senza dargli l'illusione che un giorno si sarebbe arresa a lui. Ella era convinta che, fino a quando egli avesse cercato soltanto di farle capire le sue intenzioni assai spinte, non sarebbe stato il caso di preoccuparsene. In quella maniera, avrebbe continuato ad ignorarle in tutta la sua permanenza a corte. Così i pensieri del principe sarebbero sempre rimasti nella loro astrazione e privi di qualsiasi concretezza. Flesia, però, aveva fatto male i conti, se dava credito a quella sua teoria basata sulla ingenuità, visto che essa presto sarebbe risultata errata. Ella non sapeva che la buona educazione era solo di poche persone e, prima o poi, l'impazienza avrebbe privato della sua maschera camuffatrice chi intendeva farle credere di essere diverso. In questo caso, ci riferiamo all'incorreggibile fratello minore del principe Godian, poiché egli si era intestardito a possedere la bella ospite e a qualsiasi costo non voleva rinunciarci.
Erano trascorsi già una quindicina di giorni dall'inizio del soggiorno di Flesia a corte, quando ella aveva ricevuto l'ennesima visita del principe Verricio. Poiché era mattino presto, egli l'aveva trovata che si stava riordinando. In quella circostanza, perciò, la ragazza indossava una vestaglietta semitrasparente, la quale la faceva apparire molto più seducente. Preso allora da una incontrollabile furia libidinosa, il principe Verricio prima l'aveva cinta fortemente con le sue braccia e subito dopo aveva tentato di baciarla sulle labbra. Ma la ragazza, com'era da aspettarselo, aveva reagito fulmineamente, graffiandogli una guancia e mordendogli il mento. Non bastando quella sua energica reazione, si era messa pure ad urlare a gran voce, facendosi sentire perfino da quelli che stavano nei reparti vicini. Allora le urla di Flesia erano state udite anche dalle ancelle di corte e dalla regina Cluna. Quest'ultima, in quell'istante, si stava recando proprio dalla ragazza; anzi, si trovava già a due passi dalla stanza dove ella veniva ospitata.
Tutte, quindi, erano accorse nella stanza dell'ospite, nella quale si erano trovate di fronte alla furiosa lotta tra Verricio e la ragazza. Esse, però, si erano anche rese conto che ella cercava di svincolarsi con ogni mezzo dal lussurioso arrembaggio del principe, il quale cercava di trattenerla con la forza, essendo il suo intento quello di violentarla. Quando poi il secondogenito dei regnanti si era visto sotto il bersaglio di tanti sguardi che lo accusavano e lo stigmatizzavano, arrossendo, aveva abbandonato la sua abietta presa, lasciando libera la sua preda. In verità, era stato lo sguardo severo della madre a conturbarlo di più, facendolo vergognare che più non si poteva. Perciò, con la guancia graffiata e lorda di sangue, aveva abbandonato di corsa la camera di Flesia, gridando forte: "È solo una gatta selvatica e nient'altro!"
Andato via il figlio Verricio, la regina Cluna aveva ordinato alle sue ancelle di rientrare nei loro alloggi. Invece ella era rimasta ancora con la fanciulla, la quale era stata appena vittima delle molestie sessuali del figlio. Così, una volta sola con la ragazza, la regina umilmente le aveva presentato le proprie scuse, a causa del disgustoso spettacolo offerto dal suo secondogenito e del maltrattamento, al quale egli l'aveva sottoposta. A tale riguardo, ella aveva voluto farle il seguente discorso:
"Mia dolce Flesia, il tentativo di mio figlio Verricio di abusare di te mi addolora terribilmente e mi fa vergognare di essergli madre, poiché il suo gesto è stato inqualificabile ed imperdonabile! Perciò ti chiedo perdono dell'aggressione che hai subito da parte sua. Fin da quando era bambino, egli si è sempre dimostrato una testa balorda, divenendo già dalla sua adolescenza la disperazione mia e quella del mio povero marito. Pensa che il nostro secondogenito, per il suo difficile carattere, non ci ha mai dato un attimo di serenità, avvelenandoci di continuo l'esistenza nel modo più assurdo! Per fortuna, il nostro primogenito, che è l'erede al trono di Actina, è fatto di tutt'altra pasta. Il nostro retto Godian è una vera perla di ragazzo: è buono, è generoso, è affettuoso, è virtuoso, è socievole. Insomma, tutte le qualità positive albergano nel suo animo. Egli giammai avrebbe osato arrecarti neppure la più piccola offesa! Uno di questi giorni, vedrai, ti farò fare senza meno la sua conoscenza. Così, dopo che lo avrai conosciuto ed avrai lasciato la reggia, immancabilmente ti sarai fatta un'ottima opinione dei regnanti di Actina ed avrai dimenticato l'ingiusto e spiacevole torto, che oggi hai subito dalla pecora nera della famiglia reale!"
Nella tarda mattinata, anche il re Nortano era stato messo al corrente dalla consorte della riprovevole condotta del figlio Verricio, nei confronti dell'inferma da loro ospitata. A tale pessima notizia, egli si era infuriato come una bestia ed avrebbe voluto punire il figlio chissà con quale pena, per avere infangato lui e l'intera sua famiglia! Inoltre, aveva sentito il dovere di richiamare il suo secondogenito ad una condotta più decorosa e degna del rango che ricopriva. Così, quando il figlio minore gli si era presentato con la sua solita albagia nobiliare, egli lo aveva ripreso con toni molto duri e rampognandolo nella seguente maniera:
«Come al solito, Verricio, vai cogliendo tutte le occasioni per farti onore: vero? Puoi andarne assai fiero! Ma perché ti adoperi in continuazione per torturare il mio animo e quello di tua madre? Possibile che in te non ci sia niente di buono? Cosa ti costa cercare di emendarti, facendo ragionare rettamente il tuo cervello, come si comporta tuo fratello Godian? Ti sembra giusto e ragionevole ciò che volevi attuare a danno di una poveretta, la quale già conduce una vita difficile, a causa di un altro mascalzone del tuo stampo?»
Il figlio non si era affatto curato delle lagnanze genitoriali, che tendevano a condannarlo. Anzi, le aveva ascoltate con un sorrisetto quasi beffardo. Alla fine gli aveva risposto:
«Padre mio, vuoi farti il sangue cattivo per una sciocchezza così banale? Non hai altro a cui pensare, con tutte le preoccupazioni che ti procura l'amministrazione del regno? Io ti sconsiglio dal prendertela in questo modo; anzi, devi mostrarti maggiormente sensibile verso i giovani e le loro esigenze! Sappi che, se in voi persone anziane il sangue si va raffreddando e stagnando nelle arterie, in noi giovani esso non smette mai di circolare bollente e focoso! Inoltre, ti faccio presente che, se quella mocciosa ha voluto fare tanto baccano, con il suo comportamento ella ha dimostrato soltanto di essere una lurida cagna bastarda!»
«Invece, figlio mio,» aveva concluso il re di Actina «tale avrei giudicato Flesia, se, accondiscendendo alla tua voluttà sfrenata, non si fosse messa a fare il chiasso che tanto ti ha nuociuto! Ella si è dimostrata il contrario di come l'hai ingiustamente dipinta tu, ossia una ragazza seria e giudiziosa, degna di essere rispettata da tutti quanti noi!»
Anche Godian, nello stesso giorno, era venuto a conoscenza del pericolo che aveva corso la sua Flesia. Egli si era amareggiato moltissimo ed aveva consigliato al padre di pregare il nobile Ipione di ospitare la sfortunata Flesia nella sua casa. In essa ella sarebbe stata al sicuro e tranquilla, senza subire molestie da parte di nessun prepotente. Il medico di corte, da parte sua, quando il re Nortano glielo aveva chiesto, aveva accettato senza alcuna esitazione. Perciò, già il giorno dopo, Flesia era stata trasferita nella casa del medico Ipione. Costui, oltre a lei, aveva voluto ospitare pure i suoi tre familiari. Ma il trasferimento di Flesia alla casa del rinomato medico aveva fatto decidere anche Godian, il quale oramai non era più in convalescenza, a rifarsi vivo presso la sua amata, poiché ella lo stava aspettando con ansia.
La ragazza adesso conduceva una vita gaia e serena presso il palazzo dell'autorevole nobile. Abitando nella nuova casa, le giovani figlie del rispettabile Ipione la trattavano come se fosse una loro sorella, tenendola quotidianamente spensierata. Il suo pensiero, però, non smetteva mai di volare dal suo buon Peg lontano e pregava il divino Matarum di riportarglielo al più presto sano e salvo. Ecco perché, quando se lo era visto di nuovo accanto, se lo era abbracciato intensamente ed aveva provato subito una gioia incontenibile. Oramai i due giovani innamorati, essendo entrambi guariti totalmente, avevano potuto riaccendere i loro caldi ed estasianti amoreggiamenti. Ciò, perché il principe Godian aveva ripreso ad andare a trovarla tutti i giorni alla casa del medico, nella quale ella poteva gioire della sua dolce compagnia. Ovviamente, nella casa del nobile Ipione, l'uno e l'altra, oltre ad amoreggiare nei momenti liberi, trovavano pure il tempo e il modo di rendersi assai utili al padrone di casa e alle sue gentili figlie, dando una mano nelle loro faccende.