224°-IPIONE A CORTE PER CURARVI IL PRINCIPE GODIAN E FLESIA

Era già notte inoltrata, quando il medico Ipione era rincasato. Egli era stato atteso con grande ansia dalle sue due figlie. Le infelici donne erano rimaste proprio sole nella loro casa, dopo che tutti gli inservienti erano stati trucidati e non c'era stato il tempo di rimpiazzarli con altri mediante nuove assunzioni. Esse se l'erano vista brutta ed avevano sofferto moltissimo, durante la temporanea assenza del genitore. I sintomi della paura, resi più spettrali dal silenzio e dalla solitudine della sera, erano penetrati terribilmente nelle due poverette, impadronendosi di loro senza alcuna commiserazione. In seguito, però, la presenza del padre le aveva rincuorate, poiché aveva infuso nel loro animo un senso di sicurezza e di sollievo. Specialmente in quella terribile circostanza!

Più tardi, mentre si cenava, dopo un breve accenno al probabile colpevole dell'uccisione del consorte di Selinda, com’era da prevedersi, il discorso era scivolato sul prode giovane. Lo sconosciuto spadaccino, il quale aveva difeso la loro casa ed aveva salvato Zeira, dimostrandosi davvero formidabile, era venuto ad occupare gran parte della loro conversazione. Parlando di lui, la secondogenita del medico ne era apparsa assai entusiasta e non aveva tenuto celata al padre e alla sorella la sua ammirazione per l'incredibile e misterioso Peg. Perfino il nobile Ipione aveva manifestato una stima immensa nei confronti del giovane, la cui fisionomia non gli risultava nuova. Perciò si stava sforzando con la mente, al fine di riuscire a rammentarsi a qualunque costo del suo volto. Egli cercava di ricordare la persona di sua conoscenza, la quale aveva una grande somiglianza con il giovane salvatore della sua Zeira. Infine, euforicamente, il medico aveva esclamato alle sue due congiunte:

«Ecco: adesso ci sono, figliole mie! Peg è la perfetta copia del principe Godian. Direi che si rassomiglino come due gocce d'acqua! La differenza tra l'uno e l'altro sta soltanto nel modo di vestire e di ordinarsi. Posso affermare con certezza che è identico pure il loro timbro vocale! Se Peg si presentasse a corte con una pettinatura e con degli abiti diversi, tutti i cortigiani lo prenderebbero per il suo gemello! Ne sono sicurissimo, mie care!»

Dopo le asserzioni paterne, che le avevano dato da pensare parecchio, Zeira, da parte sua, aveva cercato di rincarare la dose, azzardando su di lui la seguente ipotesi:

«Padre mio, mi è permesso congetturare che in passato il nostro sovrano Nortano abbia avuto un’amante segreta e che dalla sua relazione nascosta sia nato un figlio adulterino, nella fattispecie il Peg di Flesia? Voglio vedere che tipo di risposta saprai dare a questa mia domanda, che per la verità ritengo sia un po’ cattivella!»

«Figlia mia, considero quanto hai supposto un fatto non soltanto improbabile ma perfino impossibile, siccome conosco il nostro sovrano fin dalla sua adolescenza. Egli non è stato mai il tipo di uomo avvezzo ad impelagarsi in qualche tresca, tenuto conto della sua integrità morale e dei suoi sani principi! Sono certo che neppure un’autentica venere sarebbe stata capace di sedurlo e di farsi amare da lui al di fuori del matrimonio! Comunque, Zeira, non è escluso che potrebbe essere stato invece il suo genitore ad avere avuto nel passato una relazione adulterina! Come possiamo negarlo?»

Ipione aveva appena espresso il suo giudizio sul re Nortano, il quale era conseguito a quello fisionomico dato al fidanzato di Flesia, quando uno dei suoi due uomini che erano rimasti al suo servizio, chiedendo scusa per la sua inopportuna presenza, si era presentato ai tre membri della famiglia. Egli era venuto ad annunciare al padrone di casa che il sovrintendente alle carceri di Actina, ossia Oldrisio, insisteva ad essere ricevuto da lui con una certa fretta. A quella strana notizia, il medico aveva invitato il suo uomo ad accompagnarlo immediatamente nella sua sala da pranzo, senza farlo attendere oltre. Così, dopo che lo aveva ricevuto affabilmente in casa sua, essendoci tra loro due una grande amicizia, il nobile Ipione aveva domandato all'autorevole gendarme:

«Perché mai, Oldrisio, sei venuto a farmi visita a quest'ora insolita, quando è già sera tarda? Ci sono forse delle novità sull'esecutore materiale dell'assassinio del mio defunto genero? Avanti, accòmodati a tavola con noi e gradisci anche una caraffa del mio ottimo vino, prima di metterti a parlarci di quanto hai da riferirci da parte del nostro re! Lo sai che mi faresti piacere, se tu accettassi l'invito che ti ho appena fatto!»

«Mi dispiace di non poterti accontentare, nobile Ipione, poiché questo non è proprio il momento giusto di approfittare della tua solita generosità! In altra circostanza, come ne sei al corrente, di certo non mi sarei fatto pregare da te. Adesso, però, vengo subito al dunque. Mi manda la regina Cluna con l'ordine di condurti a corte senza perdere tempo, poiché il principe Godian ha una brutta ferita ad un braccio, la quale gli sanguina paurosamente. Essa di sicuro gli porterà via le forze, se non si interverrà con la massima urgenza!»

Le parole del sovrintendente alle carceri avevano prodotto uno stupore inverosimile nel medico Ipione, poiché gli si era venuto a riferire che l’erede al trono era seriamente ferito. Ciò, proprio quando si stava parlando di lui e gli si stava attribuendo una grande somiglianza con il difensore della sua casa e di sua figlia Zeira! Il quale, per una coincidenza altrettanto strana, aveva subito anch'egli una ferita nella stessa parte anatomica durante quella giornata movimentata! Sorvolando poi sulla rassomiglianza e sulla coincidenza tra i due personaggi, il medico aveva chiesto al sovrintendente:

«Mi sai dire, Oldrisio, come ha fatto l'erede al trono a procurarsi la ferita, di cui mi hai parlato, se entrambi sappiamo che egli è un grande esperto d'armi, oltre che essere il primo spadaccino della nostra città? In verità, lo trovo assolutamente assurdo!»

«Si è trattato semplicemente di un banale incidente, nobile Ipione. La lama della mia spada lo ha ferito ad un braccio per un mio malinteso. Era da stamattina che egli si allenava con me, poiché si esercitava a difendersi da aggressioni che potevano derivargli alle spalle. Ad un tratto, c'è stato un equivoco da parte mia e il principe si è beccato il brutto colpo, quello che adesso dovrai badare a riparare al più presto.»

Il racconto di Oldrisio aveva raffrenato nell'insigne medico la sua corsa fantastica verso le ipotesi più audaci. Le quali ora gli venivano suggerite dall’incredibile combinazione del ferimento contemporaneo del principe Godian e del suo sosia. Il medico di corte si era quasi azzardato a ritenere che il principe e l'ardito fidanzato di Flesia fossero la medesima persona. Ma pur vedendosi sfatare le sue supposizioni troppo spinte dalle affermazioni dell'amico Oldrisio, lo stesso non aveva voluto arrendersi. Difatti gli risultava di difficile digestione dovere ammettere di essere giunto a supporre alcune assurdità, che effettivamente non sarebbero mai potute essere possibili! Neppure ammettendole per ipotesi!

Allora Ipione, che non intendeva arrendersi con facilità, desiderando avere una ulteriore conferma dal sovrintendente alle carceri sulla veridicità del suo racconto, la quale questa volta sarebbe dovuta dimostrarsi più solida ed inattaccabile, aveva voluto da lui il seguente chiarimento:

«Se non erro, Oldrisio, hai dichiarato che il principe Godian è rimasto con te per l'intera giornata, ossia dalla mattina alla sera, senza mai assentarsi: è vero che è stata questa la tua dichiarazione o mi sbaglio?»

«Certamente, Ipione! Non ti sbagli.» gli aveva confermato il soprintendente «Ma adesso dobbiamo correre a corte senza perdere altro tempo e togliere al più presto dalla loro disperazione sia la regina Cluna che il sovrano Nortano. Ma soprattutto bisogna andare a salvare il principe ereditario, che un nostro ulteriore ritardo potrebbe far morire dissanguato, portandocelo via per sempre! Mai sia un fatto del genere!»

Poco dopo il nobile Ipione ed Oldrisio, scortati dal drappello di soldati che aveva accompagnato lo stesso soprintendente, si erano avviati rapidamente verso la reggia di Actina. Questa si trovava a due miglia di distanza dalla casa dell’illustre medico, procedendosi da est verso ovest. Ma com'era stato possibile che il principe Godian, pur essendo stato medicato e fasciato con perizia dal medico di corte, si era ritrovato a fine giornata con la ferita che aveva ripreso a sanguinare e continuava a farlo tuttora? Per la verità, nella reggia i fatti non erano andati come Oldrisio aveva riferito, ma come ora vengono spiegati qui appresso.

Giunto alla reggia del padre attraverso il solito passaggio segreto, il quale conduceva direttamente ai reparti carcerari, Godian aveva indossato gli abiti che gli facevano riprendere la sua vita di principe. Pochi istanti dopo, egli si era condotto dal suo amico Oldrisio, il quale era il sovrintendente alle carceri. Costui gli era molto fedele ed era l'unica persona, dopo il padre Nortano, ad essere al corrente della doppia vita del principe ereditario della Città Santa. Spesse volte il maturo uomo aveva ammonito il giovane principe a non immischiarsi in quelle faccende che si fossero presentate alquanto rischiose. Così facendo, egli non avrebbe corso il pericolo di compromettere in qualche modo la propria integrità fisica, la quale si presentava assai preziosa. Inoltre, secondo il sovrano, essa avrebbe rappresentato la felicità e il benessere che sarebbero derivati al popolo actinese dalla sua futura incoronazione. La quale ci sarebbe stata per lui senza meno, dopo la sua morte.

Ebbene, una volta raggiunto il buon amico e confidente, Godian lo aveva tratto in disparte senza dare nell'occhio e gli aveva parlato così:

«Senti, Oldrisio, mio fedele compagno, sono qui da te per chiederti un grande favore, poiché dovrai togliermi da una situazione incresciosa. Dopo che mi ci sono cacciato senza volerlo, essa adesso mi crea un enorme disagio. Se ti metterai a mia disposizione, non mi dimenticherò mai più di te! Devi sapere che oggi mi è toccato di battermi con dei delinquenti che stavano perpetrando abusi ai danni di alcune persone poverette. Anche se li ho uccisi tutti, sono rimasto ferito a tradimento da uno di loro al braccio destro. La grave ferita mi è stata medicata e fasciata dal medico Ipione; ma egli, travestito com'ero, è rimasto all'oscuro della mia vera identità.»

«Mi dispiace, principe, per l'incidente che oggi ti è capitato! Eppure ti ho sempre avvertito di non lasciarti coinvolgere in situazioni assai rischiose! Lo sai che, ora come sempre, sono disposto ad accontentarti in ogni cosa che vorrai ordinarmi. Ci mancherebbe che non lo facessi, trattandosi di te! Dunque, comanda ed io ti ubbidirò in ogni cosa!»

«Desidero che i miei genitori non sappiano del mio scontro avuto con quegli uomini scellerati e che il medico Ipione non scopra che io e l'avventuriero Peg siamo la stessa persona. Perciò ho deciso di giustificare il mio ferimento, presentando loro una versione dei fatti del tutto differente da come è stata nella realtà. Ma essa non dovrà dare adito a sospetti. Per ottenere ciò, ho bisogno della tua preziosa collaborazione. Riferiremo a mio padre e a mia madre che tutt'oggi noi due siamo rimasti sempre insieme ad esercitarci nella scherma. Inoltre, diremo che, proprio in questo momento, tu mi hai ferito incidentalmente. Soltanto in questo modo, riusciremo senza difficoltà a dissipare ogni dubbio nei miei preoccupati genitori e nell'esperto medico Ipione. Il quale molto presto sarà chiamato a corte da loro. Mi hai inteso per bene?»

«La tua idea mi sembra ottima, nobile principe! Devi dirmi però come intendi realizzarla, senza che la tua trovata insospettisca le persone alle quali dovremo presentarla come reale. Secondo me, ti toccherà di inventarne un'altra, la quale sia molto più credibile!»

«Tra poco, dopo aver liberato la ferita dalle bende asettiche dell'esimio medico, la riporterò al precedente stato sanguinolento. Agendo in questo modo, la farò apparire come se mi fosse stata provocata or ora da te. Dopo tu, facendomi da sostegno, mi condurrai senza indugio dai miei genitori, ai quali reciteremo la parte, come da me architettata. A questo punto, essendo pure tu d’accordo, mettiamoci subito all'opera!»

Oldrisio innanzitutto aveva badato a zaffare alla meglio la sua ferita e poi aveva assecondato il suo principe amico, felice di potergli essere utile, anche se in quella maniera affatto piacevole. Prima però lo aveva obbligato a promettergli che non si sarebbe più fatto trascinare in fatti d’armi altamente rischiosi, poiché egli intendeva stare tranquillo. Dopo, senza perdere altro tempo, essi si erano recati dai regnanti di Actina, ai quali si erano presentati come da accordi presi, ossia con il soprintendente che sorreggeva a fatica il ferito principe, il cui arto superiore manifestava una modesta emorragia. Allora la regina, nello scorgere il figlio prediletto con il braccio tutto sanguinante, si era spaventata e preoccupata parecchio. Poi l'ansiosa genitrice aveva voluto apprendere da Oldrisio come avesse fatto il figlio Godian a procurarsi la brutta ferita. Appresi così i vari fatti accaduti nell'immediato passato, senza perdere altro tempo, l'agitata sovrana aveva ordinato al sovrintendente alle carceri di condurre al più presto a corte l'illustre medico. Il quale avrebbe dovuto curare il profondo taglio, che l'infortunato figlio aveva ricevuto al braccio destro per un banale errore.


Dopo essere pervenuto a corte, il medico Ipione era stato introdotto con sollecitudine nell'alloggio personale del principe Godian. Al suo interno, in preda ad un'ansia incredibile, gli facevano compagnia sia il re Nortano che la sua sconsolata consorte. In attesa del suo arrivo, la ferita del giovane era stata tamponata e fasciata alla meglio, allo scopo di contenere il fatto emorragico. Ma l'ancella, la quale aveva cercato di arrestare l’emorragia con una fasciatura, non era riuscita a fermare del tutto il sanguinamento. Per cui il sangue era continuato a gemicare dalla profonda ferita del braccio.

Quando si era trovato presso il capezzale dell'illustre paziente, per prima cosa, il medico aveva cominciato ad infondere animo negli allarmati regnanti, che erano i suoi genitori. Perciò si era dato a rassicurarli, dicendo che il taglio del loro figlio di sicuro era cosa da niente e non doveva suscitare in loro nessun allarme e nessuna preoccupazione. Del resto, era sua abitudine esternare del buonumore, quando visitava un suo paziente. Con quell’atteggiamento, egli tendeva a risollevare i familiari dell'ammalato dal loro patema d'animo, oltre che tirare su il morale dell'infermo stesso. Passato poi alla vera diagnosi della ferita, Ipione aveva stimato che non sarebbe stata bastevole una semplice fasciatura, se si voleva ottenere la definitiva emostasi. Per questo, per abbattere l'evento emorragico, aveva dovuto suturarla in brevissimo tempo con dei fili sottoposti all’ebollizione dell’acqua.

Portato a termine il modesto intervento chirurgico, il quale era stato seguito con trepidazione dai genitori del paziente, il medico Ipione, in preda all'ira, si era dato a sfogarsi con il sovrano di Actina.

«Nobile re Nortano,» aveva iniziato a dirgli «stamani, proprio quando ero da te a denunciare l'assassinio di mio genero, è stata pure effettuata nella mia casa una cruenta incursione. Tutta la servitù è stata barbaramente uccisa. Soltanto la mia povera figliola si è potuta salvare, grazie all'intervento tempestivo di un giovane temerario, il quale ha anche impedito con grande coraggio che il mio palazzo venisse dato alle fiamme. Ma l'intera compagnia dei malviventi ha ricevuto la punizione che si meritava, per mano di colui che ha preso le difese della mia casa. Sono convinto che la persona, la quale ha inviato nella mia abitazione la scalmanata accozzaglia sitibonda di sangue e di devastazione, è la medesima che ha fatto assassinare il marito di mia figlia. Per questo motivo, sollecito un tuo interessamento, affinché la mia famiglia non continui a vivere sotto l'incubo di una nuova scorreria da parte di chi ci odia. Per sfortuna di lui non si conosce il volto e non abbiamo neppure il minimo indizio, perché tu possa farlo punire con la massima pena!»

«Penso anch'io la stessa cosa, nobile Ipione.» aveva acconsentito il saggio sovrano «C'è qualcuno che ha cominciato a non digerire più la tua famiglia, se cerca di distruggerla a tutti i costi. Il guaio è che nessuno di voi familiari sa fornirmi almeno un indizio utile, che possa mettermi sulla pista giusta per farmi individuare il colpevole. Così egli riesce a tramare indisturbato nell'ombra, senza farsi scoprire. Per questo, ammesso che io volessi interessarmene, non saprei da dove iniziare e che pesci pigliare. Al massimo, posso distaccare presso la tua casa una ventina di soldati; ma non posso permettermi di fare di più!»

«Invece, padre,» lo aveva contraddetto il figlio «non mi pare una giusta soluzione quella di far presidiare e proteggere la casa del nobile Ipione da una tua guarnigione. Un provvedimento di questo tipo allontanerebbe provvisoriamente il suo nemico da nuovi attentati alla sua abitazione e alla sua famiglia, senza dargli modo di scoprirsi. Inoltre, fino a quando dovresti tenere distaccati i tuoi soldati presso la casa dell'illustre medico? Verrebbe pure il giorno del loro ritiro e allora l'ostile attentatore si rimetterebbe all'opera. Io suggerirei, almeno per il momento, di soprassedere e di lasciare le cose come stanno. Sono convinto che chi vuole il male della famiglia del nobile Ipione, per un bel po' di tempo di sicuro non si rifarà vivo, dovendo pensare a rifarsi della bella batosta ricevuta oggi. Più in là, fra dieci giorni e non di più, mi interesserò di persona al caso del medico. Ti prometto che riuscirò a scovare l'aspide velenoso che molesta la sua casa ed insidia la serenità della sua famiglia. Mi auguro proprio che l'illustre medico condivida le mie considerazioni. Oltre ad essere giuste, le vedo come le sole praticabili!»

Le decisioni del giovane principe erano state accolte preziosamente dal padre e dal medico di corte. Entrambi erano convinti che l'erede al trono di Actina sarebbe riuscito nel suo intento, dal momento che non gli mancavano anche delle ottime doti inquisitive.

Godian, appena era rimasto solo nella sua camera, aveva mandato a chiamare Oldrisio, incaricandolo di condursi alla casa di Alisto, affinché rassicurasse i suoi domiciliatari che il loro Peg stava abbastanza bene. Inoltre, avrebbe dovuto comunicargli che egli, avendo intrapreso un lungo viaggio, si sarebbe assentato da Actina una ventina di giorni. Ricevuto l'incarico dal principe, il sovrintendente alle carceri, dopo essersi travestito da straccione pure lui, com'era solito fare il suo amico principe, anzi aveva usato i suoi stessi abiti, lo aveva portato immediatamente a termine, rassicurando in quel modo sia la ragazza che i suoi familiari preoccupati. Da parte sua, il medico Ipione aveva seguitato ad andare a praticare le sue frizioni alla povera Flesia, presentandosi ogni volta presso la sua abitazione con canestre colme di cibi e di frutta varia. All’inizio aveva anche chiesto del coraggioso fidanzato della ragazza, siccome desiderava assumerlo presso la sua casa. Intendeva, cioè, nominarlo capo del personale addetto alla sorveglianza e alla protezione del suo palazzo. Se egli avesse accettato, avrebbe ospitato nella sua abitazione anche l'intera famigliola di Flesia. Ma il capofamiglia gli aveva risposto che degli impegni improcrastinabili lo avrebbero tenuto lontano da Actina almeno per una ventina di giorni. Per la quale ragione, almeno fino a quando il genero non fosse ritornato dal suo viaggio, non si sarebbero potuti fare sulla sua persona progetti di alcun tipo.

La sesta sera, quando il nobile Ipione si era ripresentato alla casa di Flesia, anziché scorgere nell'umile nucleo familiare la consueta tranquillità, egli vi aveva soltanto assistito a pianti e a disperazione. Inoltre, non vi aveva trovato la sua graziosa paziente ad attenderlo per essere curata da lui. Avendo poi il medico chiesto i motivi della sua assenza, il capofamiglia lo aveva messo al corrente che la figlia era stata rapita da una dozzina di malviventi. Essi, dopo averla caricata sopra la groppa di un cavallo, l'avevano condotta via con la forza. L'orribile episodio aveva fatto indignare parecchio il medico, il quale aveva poi badato a consolare i familiari della ragazza. Agli addolorati sventurati aveva promesso anche che avrebbe fatto il possibile per ritrovarla e per ricondurla da loro. Ne avrebbe perfino parlato al nobile re Nortano, che si sarebbe interessato al loro caso, essendo egli un sovrano giusto e generoso! Dopo il medico Ipione se ne era ritornato a casa sua, ansioso di rivedere e riabbracciare le sue giovani figliole. Strada facendo, si andava convincendo che quanto era successo a Flesia, da un momento all’altro, poteva accadere anche a loro due, poiché adesso esse erano prive di protezione. Per questo era impaziente di raggiungerle nella loro abitazione.

Giunto poi a casa, oltre alle figlie in attesa del suo ritorno, vi aveva trovato ancora Oldrisio, il quale lo stava aspettando da poco tempo. Egli, naturalmente, si era meravigliato moltissimo della nuova presenza dell’amico sovrintendente nella propria casa. Allora, spinto dalla curiosità, si era affrettato a domandargli:

«Perché mai ti si vede ancora in casa mia, mio buon Oldrisio? Non mi dire che la regina Cluna ti ha mandato ancora da me per il principe suo figlio! Comunque, non ci credo, poiché sono convinto che egli, dopo avergli suturata la ferita, ormai è da considerarsi al sicuro da ogni complicazione! Allora mi dici cos'altro la preoccupa?»

«Non poteva essere altrimenti, nobile Ipione, considerata la fama del chirurgo che lo ha curato! Questa volta non è stata la regina Cluna ad inviarmi da te; invece è stato il re Nortano. Egli mi manda a pregarti di correre con sollecitudine alla reggia. Ma non certo per curare il suo primogenito, il quale si va ormai riprendendo rapidamente!»

«Per favore, Oldrisio, mi dici perché il sovrano ha premura che io lo raggiunga alla reggia? A corte è forse successo qualcos'altro di spiacevole? Amico mio, deciditi a riferirmi ogni cosa, per favore!»

«Illustre medico, a corte abbiamo una giovane fanciulla, la quale accusa una dolorosa slogatura ad una spalla. Pensa che l'abbiamo appena liberata da dodici farabutti rapitori, che adesso si trovano a marcire nelle carceri regie! Tali delinquenti l’avevano rapita da poco ai suoi genitori e la stavano portando via con loro in gran fretta fuori città! Invece le cose gli sono andate storte, per fortuna della ragazza!»

«Scommetto, Oldrisio, che la ragazza si chiama Flesia! Non dirmi che non è così!» aveva esclamato Ipione, facendosi prendere da una gioia incommensurabile.

«Nobile Ipione, il suo nome è proprio Flesia!» aveva confermato Oldrisio «Tu come fai a conoscere la ragazza? Te lo stavo dicendo io il suo nome; ma tu hai voluto anticiparmi nel riferirmelo, manifestando anche molta contentezza.»

«Dopo che è stata chiarita ogni cosa, Oldrisio,» il medico aveva soggiunto «raggiungiamo subito la reggia. Così non faremo spazientire il nostro benamato sovrano ed eviteremo di far soffrire di più la poveretta! Ella è davvero sfortunata, poiché non le concedono un attimo di pace! Mentre galoppiamo per andare a soccorrerla, ti racconterò come, quando e dove ho conosciuto la sfortunata Flesia.»

In verità, il sovrintendente alle carceri aveva finto, quando aveva chiesto al nobile Ipione come facesse a conoscere Flesia, dal momento che egli era al corrente del fatto che il medico ogni giorno andava a farle a casa le sue frizioni per richiesta del principe Godian. Il quale, a sua volta, lo teneva informato di ogni cosa circa la sua relazione con la ragazza e con la famiglia del medico di corte.

Adesso al nobile Ipione premeva più incontrarsi con la ragazza che non di accontentare il suo re, poiché era desideroso di farsi narrare da lei la nuova brutta esperienza, che era stata costretta a vivere. Comunque, gli interessava anche essere ragguagliato su come l'intera milizia di scorta del re Nortano, per fortuna della poveretta, fosse venuta a trovarsi proprio sul cammino dei suoi rapitori. Naturalmente, si era trattato di una combinazione fortuita, la quale, almeno in tale circostanza, era risultata tutta a suo vantaggio!

Il medico di corte aveva gioito immensamente, appena si era trovato al cospetto di Flesia. Dopo le aveva praticato un massaggio coi fiocchi, il quale aveva mitigato alquanto il suo spasimo. Alla fine Ipione aveva ritenuto giusto che ella restasse il più a lungo possibile nel palazzo reale, dove la considerava al sicuro da ogni pericolo, almeno fino a quando non fosse ritornato il suo valoroso fidanzato. Per il quale motivo, egli di proposito aveva emesso un responso talmente serio sulle condizioni della ragazza, da indurre il re Nortano a preoccuparsi molto di lei e a concederle perfino un soggiorno a corte di una ventina di giorni, perseguendo così il suo scopo.

Era già passata la mezzanotte, quando il medico di corte aveva deciso di lasciare la reggia e di fare ritorno alla propria casa; prima, però, aveva desiderato tranquillizzare i genitori di Flesia, i quali comprensibilmente stavano penando un sacco per lei. Così, dopo averli svegliati, li aveva informati di come il dio Matarum era stato vicino alla loro famiglia, in un momento tanto critico per la loro figlia!

Ma come mai la ragazza, anziché trovarsi prigioniera dei suoi rapitori, per un incredibile caso, era divenuta ospite del re Nortano? Quale strana e felice coincidenza l'aveva fatta ritrovare a corte? Tra poco conosceremo ogni cosa sulle due circostanze, le quali si erano verificate per un fortuito caso a favore della dolce Flesia.


La sera precedente, un uomo incappucciato, mostrandosi abbastanza cauto, aveva avvicinato il caporione degli avventurieri che il principe Godian aveva assoldati, perché vigilassero di notte sulla casa della sua Flesia. L’individuo misterioso, prendendo tutte le precauzioni possibili, gli si era accostato con circospezione. Poi gli aveva chiesto a bruciapelo:

«Vi piacerebbe guadagnarvi una bella somma, senza che dobbiate arrabattarvi neanche un poco? Ma che sciocco che sono, a rivolgervi una simile domanda! Chi non accetterebbe una proposta così allettante come la mia? Credo proprio nessuno, voi compresi!»

«Se non ti dispiace, sconosciuto, mi dici che somma ci farebbe guadagnare la tua proposta e in che maniera?» gli aveva risposto l’interrogato, mostrandosi alquanto interessato.

«Il mio padrone è disposto a pagarvi dieci volte la somma che il vostro committente vi corrisponde per un mese di vigilanza, a patto però che gli rendiate un piccolo servigio, il quale è completamente esente da rischi. Ti assicuro che si tratta di un lavoretto da niente! Ti premetto che sarebbero in grado di portarlo a termine anche degli adolescenti!»

«Se il lavoro richiede così poco tempo e, per giunta, non è neppure pericoloso, perché il tuo padrone ci offrirebbe così tanto denaro? Me lo vuoi spiegare, sconosciuto? Sono tentato di sospettare che l’affare, che intendi proporci, non sia affatto come vorresti farci credere! Quindi, parla chiaro, se non vuoi che io perda la pazienza e ti mandi dritto al diavolo! Ti ho reso bene l'idea, nostro importunatore? Anzi, sbrìgati a farlo, se non vuoi che io passi a conciarti come neppure immagini!»

«Invece devi crederci, uomo di poca fede, se non vuoi pentirti di un eventuale tuo rifiuto! Devo farti presente che il mio padrone vi offre tanto denaro, solo perché oggi si trova in vena di essere generoso con voi! Allora la mia risposta ti ha soddisfatto completamente? Se non ne sei convinto, ti basta soltanto dichiararmelo!»

«A dire il vero, non mi ha soddisfatto del tutto, amico, se lo vuoi sapere! Comunque, ugualmente sei pregato di venire al sodo. Perciò dicci subito quale commissione dovremmo eseguire per conto del tuo padrone e quanto egli sarebbe disposto a sborsarci, come compenso della medesima. Dopo che ce lo avrai comunicato, sapremo se davvero il tuo padrone è generoso, come asserisci; oppure ci renderemo conto che ci stai raccontando solo panzane! Sappi che saranno i fatti a parlarci nella maniera giusta e non le tue astratte promesse!»

«Vi ripeto che tu e i tuoi uomini non dovete fare nulla di straordinario! Dovrete solamente prendere con la mano sinistra ciò che stringe la vostra mano destra. Dopo vi toccherà consegnarlo al mio padrone, il quale così vi ripagherà profumatamente per il vostro piccolo favore. Credete che ci sia qualche pericolo oppure qualche difficoltà in questa vostra banale operazione? Secondo me, non ci sono né l’uno né l'altra, considerata la facilità del lavoro che vi viene richiesto! Perciò vi conviene darmi retta, se siete persone che sanno ragionare!»

«Senti, sconosciuto, probabilmente sarò io duro di comprendonio; però non mi è mai piaciuto giocare agli indovinelli, come stai facendo tu in questo momento. Quindi, adesso o ti spieghi chiaramente oppure ci costringi a prenderti a calci nel sedere. Allora mi hai inteso?»

«Ebbene, con i tuoi uomini, non stai tu proteggendo una ragazza, per conto di un vero straccione? Come vedi, conosco ogni cosa del vostro lavoro attuale. Altrimenti non vi avrei fatta la mia ottima proposta, la quale vi promette tutt’altro compenso!»

«Con ciò cosa vuoi dimostrarci, compare? Intanto voglio precisarti un particolare importante, che non conosci. La persona, che con un certo disprezzo chiami straccione, ci ha già pagati per un mese intero con monete sonanti! Perciò ti conviene affrettarti a venire al dunque, riferendoci che cosa desideri da noi realmente, visto che non siamo disposti a tollerare altri indugi e sotterfugi da parte tua!»

«Intendevo farti sapere che il mio padrone vorrebbe che gli consegnaste proprio la ragazza, che voi state proteggendo per conto dell'altro tipo insignificante! A questo punto, ciò che per te poco fa era un enigmatico indovinello, ora è diventato una proposta lampante molto remunerativa. Esattamente, dovete portar via a voi stessi la vostra protetta. Ci vedete forse un rischio in un lavoro del genere, se si tiene conto che ella è alla vostra mercé? Io non direi! Adesso che conoscete di cosa si tratta, sono convinto che la pensate allo stesso modo mio! Nevvero? Non potrebbe essere altrimenti!»

«Proprio come hai affermato, sconosciuto, non rischiamo assolutamente niente nel lavoro che vorresti commissionarci. Invece hai corso tu un grosso rischio, venendo ad offrirci un simile affare, siccome potevi trovarci avversi alla tua proposta, in quanto amici del committente. In quel caso, avresti potuto rimetterci la pelle!»

«Niente affatto, compare! Io ho agito nella più assoluta sicurezza per due motivi. Primo, se in questo lavoro venite pagati con monete sonanti, il committente non può essere un vostro amico. Secondo, era assurdo che voi vi sareste messi contro un nobile potente, qual è appunto il mio padrone, per il solo gusto di favorire un poveraccio di pezzente, qual è colui che vi ha assunti. Anzi, dovreste pure ringraziare il mio nobile signore, per aver deciso di ottenere quanto gli preme nella maniera che ora conosci. La quale risulta a vostro vantaggio. E non puoi negarlo!»

«Perché a nostro vantaggio, sconosciuto? Vuoi chiarirti meglio?»

«Per il semplice fatto che il mio padrone, per la metà del denaro che è disposto ad offrirvi, poteva benissimo ingaggiare una banda formata dal triplo dei tuoi uomini. Così facendo, vi avrebbe fatti liquidare tutti quanti da essa, ottenendo ugualmente lo scopo che si era prefisso! Se non è come ti ho palesato, puoi anche correggermi, amico! Ma non credo che tu possa contraddirmi con ragioni, che possano considerarsi valide!»

«Devo convenire con te, sconosciuto, che il tuo ragionamento stavolta non fa una grinza. Così pure hai visto giusto, quando hai pensato che avremmo abbandonato il nostro attuale cliente, se ci fosse stata fatta un’offerta migliore. Ma ora vuoi riferirmi chi è il tuo aristocratico padrone, che prodigalmente si è voluto rivolgere a noi e, sempre secondo quanto ci hai fatto intendere, possiede anche una barca di soldi?»

«Per il momento, non posso farti il suo nome. Lo conoscerete di persona, solo quando avrete portato a buon fine il vostro lavoro. Egli mi manda a dirvi che, se lo accontenterete senza che abbia niente da ridire sul vostro operato, appena possibile vi commissionerà un altro lavoro, il quale vi frutterà molto più denaro. Per questo dovrete ritenervi abbastanza fortunati, dopo che sarete riusciti ad entrare nelle sue grazie!»

«Se le cose stanno come hai detto, faremo del nostro meglio per soddisfarlo appieno! Ma quando il tuo padrone vuole che gli consegniamo la ragazza che stiamo proteggendo? Per noi, la consegna può avvenire anche questa notte stessa, se egli è d’accordo. Ciò che pretendiamo da lui è che ce lo faccia sapere in tempo utile!»

«Allora, se a voi sta bene, il rapimento della ragazza potrà avvenire anche domani sera sul tardi. Ci sarò anch'io, siccome dovrò farvi da punto di riferimento. Dopo averla prelevata dalla sua catapecchia, non dovrete fare altro che seguire me. Io vi farò strada fino alla dimora del mio nobile padrone, dove lo conoscerete di persona!»

Chiariti i termini del rapimento della ragazza, poco prima della mezzanotte del giorno successivo, quegli avventurieri venali avevano fatto irruzione nella casa di Alisto ed avevano prelevato con la forza la bella Flesia. Dopo averla imbavagliata e caricata sulla groppa di un cavallo, a guisa di un sacco di patate, l'avevano portata via, lasciando i suoi mortificati familiari a lamentarsi e a disperarsi immensamente. Ma per quegli uomini che si erano venduti, se sequestrare la ragazza era stato un gioco da bambini, non si era rivelato altrettanto semplice portare l'ostaggio del sequestro a buon fine. Essi avevano avuto molta scalogna, nel tentativo di fare la loro consegna a domicilio. Infatti, proprio mentre cavalcavano con una andatura sostenuta, attraversando le deserte strade di Actina e mantenendo una distanza costante dal loro battistrada, c'era stato un imprevisto. Strada facendo, era accaduto che essi si erano imbattuti nella milizia reale, la quale scortava il re Nortano che ritornava alla reggia, dopo essere stato presso il Sommo dei Sacerdoti. Da parte loro, i rapitori avevano tentato di non dare nell'occhio, scantonando all'improvviso e riversandosi poi in una delle vie secondarie della città, senza neppure sapere dove essa conducesse.

Il sovrano, essendosi insospettito in seguito al loro comportamento, subito aveva subodorato la verità su quegli uomini di ventura, che furbescamente avevano cercato di sottrarsi alla sua milizia. Per tale motivo, aveva dato ordine ad una parte dei suoi soldati di inseguirli e di investigare sul loro operato notturno. Secondo il suo ottimo fiuto, a quell'ora di notte, esso appariva ambiguo e sospettoso, se non addirittura illegale. Così cento dei suoi soldati si erano dati all'inseguimento dei rapitori di Flesia. I quali, dopo vari infruttuosi tentativi di disperdere i militi e di sottrarsi al loro inseguimento, avevano dovuto desistere ed arrendersi ai loro inseguitori. Ma la persona, che li aveva corrotti e spinti a rapire la ragazza, facendogli da guida fino a quel momento, era riuscita ad eclissarsi in tempo, senza farsi catturare dai soldati del re.

Una volta messo al corrente del tentato rapimento di Flesia e della sua infermità, il re Nortano aveva ordinato che gli infami rapitori venissero arrestati e consegnati al sovrintendente alle carceri. Inoltre, aveva voluto che la sventurata ragazza, che era stata rapita, venisse condotta nella reggia. Dove sarebbe stata ospitata con tutti i riguardi e curata dal medico di corte, il quale era l'illustre Ipione. Raggiunto infine il palazzo reale, il re di Actina aveva preso atto che la ragazza si doleva molto, a causa della sua spalla slogata. Allora aveva inviato il soprintendente alle carceri a chiamare il nobile Ipione, perché si adoperasse per lenirle ogni sofferenza. Il medico, da parte sua, non si era fatto attendere molto nel presentarsi nella reggia, dopo aver appreso che la ragazza, a cui doveva andare a prestare delle cure adeguate, era la sua paziente Flesia. La quale era scampata al rapimento per puro miracolo.