223°-NUOVE PERIPEZIE ATTENDONO GODIAN PRESSO LA CASA DEL MEDICO

Pervenuto presso il palazzo del medico di corte, Godian si era trovato di fronte a quattro bravi. Essi, oltre a fare da piantoni davanti al portone di ingresso, erano abituati a sfoggiare spavalderia ed arroganza a non finire verso tutti quei poveracci che erano obbligati a passare da quelle parti. Oramai era loro abitudine comportarsi in quella maniera, benché il medico li avesse ammoniti più di una volta a non comportarsi in quel modo. Perciò, non appena avevano scorto il giovane in preda all'ansia, uno di loro subito si era dato ad insultarlo nel modo seguente:

«Straccione, mi dici che ci fai su quel cavallo di pregio? Possibile che non ti sia ancora accorto che la povera bestia si sente abbastanza a disagio, nel vedersi cavalcare da un accattone come te? Eppure, secondo me, avresti già dovuto comprenderlo da tempo, se la ragione non ti manca! O forse ne sei completamente privo?»

Godian non aveva voluto dare alcun peso a quell'offesa gratuita, la quale gli era provenuta dallo sciocco provocatore senza alcun diritto. Al contrario, mostrando una grande indifferenza verso le sue parole ingiuriose, con molta calma gli aveva risposto:

«Senti, arrogante attaccabrighe, perché non lasciamo da parte i vari complimenti e veniamo invece al sodo? Io sto cercando il vostro nobile padrone, siccome la mia ragazza ha un urgente bisogno delle sue cure mediche al proprio domicilio. Per questo, se egli adesso si trova in casa, conducetemi immediatamente in sua presenza e facciamola finita! Penso di esservi stato molto chiaro, da parte mia!»

Dopo il pacato intervento del giovane, un altro piantone non aveva esitato ad intervenire. Ma egli, mostrandosi più antipatico del precedente, lo aveva fatto unicamente per rincarare la dose. Così, visto che il giovane aveva assunto un atteggiamento alquanto serioso, aveva interloquito con una sfrontatezza maggiore di quella a cui era ricorso il compagno, facendo presente ai suoi colleghi:

«Avete visto, amici miei, come è permaloso il nostro pezzente? Egli ha perfino osato darci degli ordini! Chi si crede di essere, per parlarci in quella maniera? Forse l'erede al trono di Actina? Comunque, vi assicuro che egli non è affatto un tipo sveglio, se non si è ancora reso conto che l'illustre medico Ipione non visita la gentaglia, di cui egli non può non farne parte; invece cura soltanto quelli che sono di casato gentilizio. Ma poiché il plebeo non lo vuole intendere con la propria testa, troviamo noi il modo giusto di farglielo capire, una buona volta per sempre!»

Un terzo uomo, che fino a quel momento aveva badato solo a ridere come un babbeo, avendo trovato le battute dei suoi amici assai spiritose, aveva cercato di apparire più pratico e più intuitivo dei suoi compagni. Perciò, allineandosi alla loro condotta, aveva aggiunto:

«Mi sa che ci conviene far venire con urgenza Vurro con i suoi cucciolotti. Così ci penserà lui a fargli cambiare i connotati dalle sue bestiole! Egli, inoltre, ci eviterà l'ingrato compito di doverci sporcare le mani con il pidocchioso qui presente! Che ne dite, amici, lo chiamiamo?»

Ma poi lo stesso scagnozzo, senza attendere la risposta di approvazione da parte dei compagni, era passato dalle parole ai fatti. Per questo lo si era sentito gridare forte: “Vurro! Vurro! Vieni all’esterno del palazzo con la massima sollecitudine, però senza dimenticarti di portare con te le tue simpatiche bestie! Qui all'ingresso c'è da fare un lavoretto, che è proprio adatto alla coppia dei tuoi mastini! Quando sarai fuori, ti convincerai pure tu che non mi sto sbagliando per niente, a tale riguardo!”

Godian, mantenendo i nervi saldi, era intervenuto a riprenderli:

«Possibile che qui si continui a non comprendere che non ho intenzione di perdermi in chiacchiere con voi, poiché ho un estremo bisogno di parlare con l’illustre medico Ipione? Lo volete capire sì o no che la mia Flesia necessita con urgenza di cure adatte a farla guarire? Altrimenti, ella continuerà a soffrire per chissà quanto altro tempo! E ciò anche per colpa vostra, se ci tenete a saperlo, dal momento che siete capaci soltanto di dimostrarvi degli emeriti fannulloni!»

Era stato a quel punto che pure il quarto bravo, il quale fino allora aveva preferito tenere la bocca cucita, era intervenuto ad adoperare la lingua. Ma la sua era risultata troppo mordace, per non riuscire a far crollare la pazienza del principe. Il nuovo interlocutore, infatti, desideroso di apparire più divertente degli altri tre compagni, mostrandosi volgarmente provocatorio, aveva osato proporgli:

«Vuoi un consiglio da amico, mio caro accattone? Ebbene, uno ce l’ho giusto per te. Puoi condurre da noi la tua colombella, ma solo se è bella e ha un corpo fatto come si deve! Così dopo ci penseremo noi a prodigarle nel fienile quelle cure capaci di rimetterla in sesto. Ti promettiamo che con lei faremo un lavoretto ammodo e alla svelta, siccome ne siamo all'altezza! Allora ti è piaciuta la mia proposta, perditempo?»

Quelle parole, mentre erano state motivo di fragorose risate da parte degli altri sgherri del nobile Ipione, al contrario avevano prodotto nel principe Godian un temporaneo afflusso di sangue alla testa. Lo sdegno si era impossessato di lui così tremendamente, da non farlo più ragionare. Per questo lo aveva spinto a contrattaccare quei quattro porci villani, prima verbalmente e subito dopo con l'azione.

«Ah, è così che stanno le cose in questo posto, luride canaglie?!» egli aveva iniziato a rampognarli «Vedo che non soltanto continuate a non darvene per intesi di quanto vi vado raccomandando; ma anche osate pungermi con la vostra pestifera lingua! Nessuno vi ha mai consigliati a non tenerla troppo lunga, poiché potreste incontrare chi, risultandone insofferente, ve la potrebbe tagliare? Ebbene, io sono uno di quelli a cui le lingue taglienti recano fastidio e stizza. Quindi, preparatevi a pagare le offese che mi avete rivolte gratuitamente fino a questo momento!»

Proferite le sue parole sdegnose, il giovane era sceso da cavallo ed aveva messo mano alla spada. Poi, già stava dando il via alla sua azione punitiva, la quale si prevedeva tremendissima, allorquando un quinto bravo era sopraggiunto dall'interno del palazzo. Egli conduceva con sé due giganteschi molossi, i quali erano tenuti entrambi legati al guinzaglio. Quei cani abbaianti, che erano due bestie enormi di inaudita ferocia, adesso gli si rivolgevano contro, ringhiando rabbiosamente e digrignando la doppia serie di zanne acuminate; anzi, si mostravano già pronti ad aggredirlo. Ma il principe non si era impaurito per niente di fronte a simili bestiacce, che fremevano di rabbia ed erano impazienti di muovere all'assalto contro di lui. Anzi, il suo sdegno si era mostrato ancora più profondo di quello loro. Per il qual motivo, non aveva pensato neppure un poco di recedere dal proposito che aveva manifestato un attimo prima; invece era apparso determinato a reagire con durezza.

Allora il cagnotto, che a stento riusciva a tenere i due cagnacci a freno, essendosi reso conto che lo sconosciuto aveva ormai deliberato di venire alle prese con i suoi quattro compagni, non aveva esitato a scioglierli insieme. Inoltre, mentre li liberava dal guinzaglio, volendo aizzarglieli contro con più foga, si era messo ad urlare a tutta voce: “Avanti, mie bestiole, aggredite quell'attaccabrighe e sistematelo per bene, facendogli sbollire la furia che si ritrova in corpo! Vi raccomando: da voi mi attendo un ottimo lavoro, quello che non vi farà sfigurare!”

Assalito dalla coppia di mastini, che non smettevano di mostrarsi ringhiosi e bavosi, l'ardito giovane era stato lesto a squarciare la gola ad uno di loro, nell’attimo che gli balzava addosso. Il taglio allora lo aveva fatto stramazzare al suolo, mugolando e dimenandosi in una gran pozza di sangue. Anzi, dopo qualche minuto, lo si era visto morire dissanguato. Quanto al mastino rimasto illeso, esso era riuscito a raggiungere senza difficoltà il principe, avendolo trovato impegnato ad inferire il colpo mortale all'altro cane. Ma egli, avendo un fisico atletico abbastanza forte ed essendo già allenato nella lotta contro simili bestie, in poco tempo si era sbarazzato pure di esso nel modo che viene adesso riferito. Il valoroso principe, dopo essere stato spinto per terra dal molosso, si era affrettato a gettare via l'arma, contrattaccando poi il cagnone con due azioni simultanee ed efficaci. La prima era consistita nel tenergli il collo ben saldo nella morsa del suo granitico braccio sinistro. Invece la seconda aveva mirato a fargli affondare il pugno stretto della mano destra nelle sue profonde fauci. In quella maniera, non solo era venuto a privare l’animale suo aggressore della facoltà di mordere, ma gli aveva pure represso il respiro nella gola. Così alla fine il grosso canide, dopo aver cercato invano di liberarsi dalla poderosa stretta dell'umano avversario, era morto per soffocamento. Soltanto allora il principe Godian aveva allentato la presa intorno al collo del bestione e lo aveva lasciato riversarsi per terra esanime. Esso, infatti, era stato privato di ogni forza vitale dalla stessa persona che aveva cercato di azzannare.

Nel frattempo, Zeira, la secondogenita dell'illustre medico, essendo stata richiamata dagli abbai rabbiosi dei cani, era scesa dal piano superiore, volendo rendersi conto di quanto stava succedendo all'ingresso del palazzo. La sua comparsa era avvenuta, nell'istante esatto che si svolgevano le ultime fasi della lotta tra il principe e il gigantesco molosso. Ella, non appena il giovane si era liberato dal feroce animale e si era rialzato da terra, non si era astenuta dall'approvare l’uccisione dei due mastini del proprio genitore, da parte di chi ne aveva subito l'aggressione. In seguito, si era anche affrettata a domandare a colui che aveva in custodia i due cani del padre:

«Perché, Vurro, hai aizzato le bestie contro lo sconosciuto? Mio padre non ti aveva forse proibito di sguinzagliarle contro chiunque, fossero essi anche accattoni? Oppure stamattina lo hai scordato appositamente per un tuo divertimento? Sappi che oggi stesso ti toccherà risponderne al mio genitore, dopo che avrà fatto ritorno a casa!»

«Certo che ero al corrente del divieto di tuo padre, nobile Zeira!» il guardiano le aveva risposto alquanto stizzito «Ma quel giovane spiantato aveva proprio bisogno di una bella lezione, da parte dei due cani che erano in mia custodia, siccome egli ci aveva minacciati con la sua spada, che puoi vedere ancora per terra! Ecco come sono andate le cose!»

«Per fortuna, invece, sono stati i tuoi feroci mastini a ricevere dallo sconosciuto la lezione che volevi fargli impartire da loro! Così mio padre non incorrerà nella pesante multa che il nobile re Nortano infligge a quei patrizi, i quali hanno l'abitudine di fare aizzare i propri cani contro accattoni oppure contro altri poveracci. Chi poi si mostra recidivo di tale reato viene punito dal sovrano a tre mesi di reclusione. Ma adesso volete riferirmi cosa aveva fatto il poveretto di tanto grave, da meritarsi il castigo che volevate assegnargli? Secondo me, egli non è una persona insolente, come voi volete farla apparire!»

Allora Cionne, che era il capo di quei bricconi, le aveva risposto:

«Il miserabile aveva preteso che il nobile Ipione andasse a curare la propria ragazza nella sua catapecchia. Per come l'abbiamo vista noi, la sua assurda pretesa è stata un grave affronto all'insigne tuo genitore. Ecco perché volevamo fargliela pagare!»

«Se è stata solo questa la sua colpa, Cionne, non ci vedo nulla di grave e di offensivo. Potevate rispondergli che mio padre ha a sua disposizione un tempo molto limitato, il quale gli consente a malapena di dedicarsi alla sua folta clientela gentilizia. Dopo di che, lo invitavate cortesemente a cercarsi un altro medico altrove, senza perdere inutilmente il suo tempo! Così il discorso sarebbe finito lì, senza alcuna lite!»

«Ma egli, nobile Zeira,» il bravo le aveva ribadito «ci stava pure aggredendo con la spada in pugno, per la quale ragione siamo ricorsi ai cani! Ad ogni modo, non è detto che è finita qui, dal momento che io e i miei compagni abbiamo una maledetta voglia di aggiustarlo bene per le feste, facendo noi ciò che non hanno saputo fare i nostri cani!»

«Come figlia del vostro padrone, invece vi ordino di mantenere la calma, visto che non c’è bisogno di scaldarsi tanto per così poco!» la ragazza aveva ripreso Cionne e gli altri uomini che erano di guardia, cercando di tenerli a freno e di non farli ricorrere alle armi.

Dopo ella si era rivolta allo sconosciuto e gli aveva domandato:

«Perché, giovane imprudente, hai voluto sfidarli, mettendo mano alla spada? Non sapevi che, così facendo, ti saresti ritrovato solamente in un mare di guai? Non sai che bisogna sempre ponderare le proprie azioni, prima di finire male e pentirsene? Te ne prego, adesso cerca di restare calmo e di dimenticare quanto è accaduto qui poco fa!»

«Devi sapere, nobile figlia del medico Ipione, che non ce la facevo più a sopportare gli improperi che essi mi facevano pervenire numerosi. Ne hanno espressi perfino nei confronti della mia ragazza, i quali sono risultati anche volgari ed innominabili! Per questo motivo intendevo farglieli ringoiare! Quindi, non credo che sia stato io a cominciare!»

«A questo punto, però, ogni lite deve cessare fra di voi, incauto giovanotto! Inoltre, se è vero che sei venuto a casa nostra perché mio padre venga con te a visitare la tua ragazza, ti dico subito che la tua pretesa è irrealizzabile. Anzi, la ritengo davvero impossibile. Per il bene della tua morosa, ti consiglio di non indugiare oltre e di andare a cercarti un altro medico, in un posto diverso della nostra città. Quando il mio genitore rientrerà, anche se volesse accontentarti, egli non avrà a disposizione neanche un po' di tempo. Quest'oggi, poi, mio padre ha ben altro per la testa a cui pensare! Te lo garantisco!»

Cionne, da parte sua, non si era sentito di aderire all'invito della figlia del suo padrone, dopo che ella li aveva invitati a cessare ogni ostilità contro il visitatore. Il quale era stato trovato da lei del tutto innocente, per essere stato la sola persona offesa. Perciò, ribellandosi alla saggia decisione della ragazza, le aveva voluto chiarire:

«Se intendi fargliela passare liscia a quel porcaio, gentile figlia del padrone, noi ci opponiamo recisamente al tuo invito di finirla qui con lui. Stanne certa che egli non se ne andrà via da questo posto, se prima non lo avremo conciato nella maniera da noi considerata più adatta! Anzi, ti do la mia parola che così sarà, dimostrandotelo con i fatti! Mi sono spiegato abbastanza, in merito alla nostra intenzione, nobile Zeira?»

«Invece ve lo intimo!» gli aveva ribattuto la ragazza «Perciò, se vi azzardate ad impugnare le armi contro lo sconosciuto e ad attaccare rissa con lui, vi farò licenziare in tronco da mio padre, una volta che egli sarà rientrato! Adesso fate pure come volete, se non temete di essere licenziati su due piedi e diventare così delle persone disoccupate!»

«Se metti la questione in questi termini, figlia del nobile medico Ipione, mi preme precisarti che ce ne infischiamo di un eventuale licenziamento, da parte del tuo insigne genitore. Dovresti sapere che nella città di Actina non mancherà di certo chi sarà lieto di assoldarci, non appena avremo lasciato la vostra casa! Ecco perché è del tutto inutile che ti adoperi per difendere quello straccione da strapazzo. Tra poco, io e i miei amici lo faremo pentire caramente di essere venuto al mondo! Oramai lo abbiamo deliberato e così sarà senza meno! Aspetta e vedrai che avverrà esattamente come ti ho appena detto!»

Alle frasi minatorie dello sgherro, il principe Godian si era persuaso che in quel luogo era in procinto di esplodere una nuova contesa. Ma poiché si trovava in una situazione svantaggiata, aveva cercato di uscirne, prima che il previsto conflitto scoppiasse sul serio. Difatti, da quando il giovane si era rialzato da terra, lo scherano lo aveva sempre tenuto sotto controllo con la sua spada. Perciò gli aveva impossibilitato il recupero della sua arma, che egli teneva inchiodata sotto i propri piedi, ed ogni tentativo di reazione offensiva. Alla fine, però, dopo essere riuscito a coglierlo in una momentanea distrazione, il primogenito del re Nortano aveva spiccato un rapido salto sull'uomo che lo tratteneva da ogni azione di offesa e lo aveva atterrato con una violenza abbattitrice. Raggiunto poi tale obiettivo, prima ancora che i suoi amici avessero avuto il tempo di sguainare le loro spade e di assalirlo, egli si era reimpossessato della sua arma. Allora, brandendola con grande sdegno, si era dato a fronteggiarli con uno sguardo altrettanto minaccioso, come per annunciargli che presto avrebbe saldato i conti con loro cinque.

Mentre li scrutava biecamente, il virile giovane aveva cercato di rassicurare la figlia del medico, usando il seguente linguaggio:

«Non avvilirti per me, bella fanciulla, perché la loro decisione è quanto di meglio avrei potuto desiderare. Mi sai dire come avrei fatto a dormire stanotte, senza aver dato prima una lezione a questi bastardi malandrini? Di certo, avrei sofferto agitazione ed insonnia! In merito alla loro esplicita intenzione di cercarsi un nuovo padrone in città, so io a chi indirizzarli. Devi sapere che l'Eterna Vedova sarà lietissima di assumerli con un contratto a tempo indeterminato! A tale proposito, mi risulta che ella non rifiuta mai una sistemazione stabile e definitiva a tutti coloro che le vengono indirizzati. Il suo nome è famosissimo non soltanto in Actina, ma anche in altre parti del mondo. Se non lo hai ancora compreso, mi sto riferendo all'impietosa morte, la quale senza interruzioni assume ogni giorno alle sue dipendenze migliaia e migliaia di persone!»

Pochi istanti dopo, era divampata la paventata mischia, la quale era apparsa furibonda fin dall’inizio. In essa, il valoroso Godian subito si era fatto riconoscere come un ottimo professionista della scherma. A dire la verità, egli si poteva considerare la prima lama di Actina, avendo avuto per maestro suo padre Nortano. Il quale, a sua volta, anche se per poche lezioni, era stato addirittura allievo dell'insuperabile Tio. Il re di Actina, infatti, durante gli scontri che c’erano stati tra gli Edelcadi e i Berieski, avendo ammirato la prestigiosa scherma del giovane maestro d'armi dorindano, quando essi terminarono, lo aveva pregato di impartirgli alcune lezioni della sua eccellente arte schermistica. Allora il giovane, reputandosi onorato di esaudire la richiesta del monarca actinese, aveva voluto accontentarlo senza pensarci due volte. In cambio, Tio aveva ricevuto dei bei doni, alcuni per sé e altri da regalare alla sua donna.

Ritornando alla zuffa, che abbiamo tralasciato per un attimo, al fine di rifarci a cose che assolutamente avevano bisogno di un chiarimento, essa si era andata surriscaldando a vista d'occhio. Mentre li costringeva ad indietreggiare in continuazione, Godian scherniva i suoi avversari, mettendosi a dire a tutti loro: “Cosa ci fanno quelle spade nelle vostre mani, autentici buoni a nulla? Esse sembrano abituate più a rumorosi cicalecci, che non a veri e propri duelli. Forse, con il loro strepito, le poverette ci tengono a lamentarsi della inesperienza che riscontrano in voi oppure della pigrizia delle vostre lente braccia, le quali non si mostrano né solerti né intraprendenti. Deve essere esattamente come ho detto, se non siete capaci di fare di meglio con le vostre spade, mentre combattete da autentici debosciati!”

Alla fine il primogenito del re Nortano aveva assalito i suoi depressi rivali con una raffica di colpi tremendi e fulminanti. I quali li avevano schiacciati l'uno dopo l'altro con una furia inesorabile, senza chiedersi se fosse bene farlo. Dopo che il giovane aveva accoppato i suoi scellerati antagonisti, la basita Zeira, congratulandosi con lui, gli aveva manifestato la propria ammirazione. Secondo lei, non era di ogni giorno incontrare un combattente valoroso come lui, visto che potevano contarsi sulle dita di una mano. Riferendosi alla sua bravura, gli aveva detto:

«Bravo, baldo giovanotto! Mi compiaccio della tua meritata vittoria. Ho visto che ci sai fare molto bene con la spada, per cui ho ammirato tantissimo la tua perizia schermistica. Anche mio padre è un grande appassionato della scherma. Quando era giovane, in Actina nessuno era superiore a lui, come spadaccino. Lo stesso re Nortano, che pure era un abile professionista della scherma, dovette ammettere la sua superiorità. Ma poi il sovrano ebbe a prendersi la rivincita su mio padre, togliendogli il primato che deteneva da alcuni anni. La qual cosa avvenne dopo che cessarono le ostilità tra gli Edelcadi e i Berieski. Attualmente, nel caso che tu ne sia all'oscuro, tale primato è detenuto dal principe Godian, il primogenito del re Nortano; mentre gli è secondo il fratello.»

«Grazie, saggia figlia del nobile Ipione, per avermi messo al corrente di queste importanti notizie. Se devo esserti sincero, le ignoravo del tutto, poiché non me le aveva mai riferite nessuno. Perciò, adesso che le ho apprese, starò senz’altro alla larga dall’uno e l’altro fratello!»

«Adesso, però, giovane molto in gamba, conviene chiamare la servitù ed ordinarle di dare subito una bella ripulita all'ingresso del palazzo. La vista di tanti morti e di tanto sangue mi procura un vero sconcerto allo stomaco. Anzi, essa mi fa quasi svenire, poiché non avevo mai assistito ad una strage del genere, quale tu hai fatta in questo giorno!»


Una volta che i servi avevano portato nella legnaia i cadaveri dei cinque uomini uccisi dal principe, per tenerli allogati in quel posto fino all'arrivo del padre, la ragazza aveva ordinato loro di spazzare via ogni traccia di sangue all’esterno del palazzo e sull'acciottolato del cortile interno, mediante un lavaggio appropriato. Ella poi aveva invitato il coraggioso giovane nella sala d'aspetto della sua lussuosa casa, la quale era situata al piano superiore dell'edificio. Dopo che l'avevano raggiunta, il principe Godian si era affrettato a chiedere alla figlia del medico:

«Nobile Zeira, quando presumi che tuo padre possa rincasare? Inoltre, se non consideri la mia domanda una indiscrezione, vuoi dirmi quale motivo lo ha spinto fuori di casa? La tua frase "Quest'oggi, poi, mio padre ha ben altro per la testa a cui pensare!", che hai pronunciato fuori, mi ha portato a credere che ve lo abbia trascinato qualcosa di spiacevole. Se mi sbaglio, correggimi pure! Comunque, se non vuoi rispondermi per motivi tuoi, per me fa lo stesso.»

Allora la graziosa fanciulla, quasi venisse rapita da un triste ricordo che era da considerarsi di data abbastanza recente, aveva mostrato sul volto una pietosa espressione di immenso dolore. In pari tempo, i suoi occhi erano diventati lucidi, come se volessero darsi al pianto. Ma solamente dopo una breve pausa di meditazione, alla fine la poveretta aveva dato al giovane la seguente risposta:

«Proprio come tu hai intuito, stamattina mio padre è dovuto uscire fuori di casa, ma non per ragioni professionali. Una funesta notizia lo ha sollecitato a raggiungere l'abitazione di mia sorella, la quale era maritata da un anno con il nobile Ilso. All'alba un loro servo ci ha comunicato che mio cognato era rimasto vittima di un attentato. Lo sventurato stava per uscire dal suo palazzo, allorché una saetta gli ha trapassato il collo, recandogli una morte immediata. Quanto all'attentatore, considerata l'ora del giorno, nessuno ha potuto vederlo, mentre consumava il brutale assassinio. Perciò egli non è stato individuato ed acciuffato, durante le formali ricerche effettuate dai gendarmi del re Nortano! Ma speriamo che ciò avvenga quanto prima, poiché l’assassino dovrà essere punito!»

«Da parte vostra, nobile Zeira, in famiglia avete già qualche sospetto, circa il mandante di chi ha ucciso tuo cognato Ilso? Oppure la sua uccisione è piovuta dal cielo improvvisa e senza una motivazione apparente? Nel caso che abbiate qualche indizio a tale riguardo, dovete riferirlo al sovrano di Actina, perché egli faccia ricercare dai suoi soldati l'uccisore di tuo cognato ed emettere la sentenza capitale contro di lui!»

«Per il momento, non sospettiamo di nessuno, saggio e simpatico giovane; anzi, non abbiamo nemmeno degli indizi in merito all'assassinio del marito di mia sorella. Mio cognato poteva considerarsi una pasta d'uomo, oltre che generoso, per cui giammai crederò che si sia potuto attirare addosso una inimicizia talmente odiosa, da rimanerne freddato crudelmente. La servitù lo amava più di chiunque altro e anche gli amici lo stimavano a non dirsi!»

«Almeno vi risulta se il poveretto abbia licenziato di recente qualche servo oppure abbia litigato con qualcuno, in questi ultimi tempi? Secondo me, qualcosa sarà pur successo fra tuo cognato e colui che poi lo ha ammazzato personalmente oppure lo ha fatto uccidere da un sicario prezzolato! Allora cos’hai da rispondermi, in merito a quanto ho detto?»

Alla domanda del giovane, Zeira era arrossita ed aveva palesato qualche imbarazzo nel riferirgli i fatti, dei quali era venuta a conoscenza da alcuni giorni dalla sorella. Perciò, comportandosi come se volesse nascondere qualcosa che avrebbe potuto metterla in difficoltà a parlarne, data la sua natura scabrosa, gli aveva affermato:

«Stando a quello che sappiamo noi di famiglia, non ci risulta che mio cognato abbia licenziato qualche suo domestico; né abbiamo mai appreso che egli, di recente oppure tempo addietro, abbia litigato con qualcuno che abita nella nostra città. In Actina, quanti lo conoscono sanno che il nobile Ilso rifuggiva dalle liti, essendo un tipo portato a vivere in pace con tutti. Anche con le persone più difficili!»

Allora il principe Godian, essendo anche un ottimo conoscitore dell'animo umano, da bravo psicologo qual era, aveva compreso che la ragazza non era stata aperta nei suoi confronti, ma gli aveva nascosto qualche fatto molto importante. Inoltre, si era altrettanto convinto che il vero motivo, per cui ella aveva evitato di sbottonarsi con lui, non era stato per niente quello della sua mancanza di fiducia verso la sua persona. Invece esso era dovuto esclusivamente al fatto che l'episodio accaduto nell'ambito familiare della sorella doveva presentare dei risvolti alquanto delicati ed imbarazzanti. Perciò la secondogenita del medico Ipione aveva provato vergogna a raccontarlo, esclusivamente per una questione di pudore. Stando così le cose, il principe aveva teso a chiudere quella parentesi forse inopportuna, la quale era stata aperta da lui stesso più per un fine inquisitivo, che non per una semplice curiosità. Invece essa, come si era accorto qualche attimo dopo, aveva solo messo in difficoltà la figlia di Ipione. Allora, volendo scusarsi con lei per la sua involontaria indelicatezza, aveva precisato alla ragazza:

«Ti capisco e ti approvo, nobile Zeira, perché forse ho osato chiederti troppo, non essendo io la persona giusta, alla quale poter riferire determinate cose. A tale riguardo, ti chiedo scusa, per la mia indebita intromissione in certe questioni, che riguardano soltanto la tua famiglia.»

Alle nuove parole del suo interlocutore, all'improvviso la ragazza si era sentita spingere a nutrire una grande fiducia verso di lui. Allora, mutando atteggiamento nei suoi confronti, era addivenuta alla decisione di rivelargli ogni cosa, in merito a certi fatti che erano accaduti in passato. Così aveva iniziato a parlargli in questo modo:

«Invece, mio impavido e forte giovane, non ho affatto disapprovato la tua domanda. In essa ho scorto più un tuo caldo interessamento per la nostra famiglia ed una viva sete di giustizia, che non una mera curiosità da donnicciola. Inoltre, anche se non appartieni alla classe dei nobili, non ti nascondo che ti trovo più interessante di certi aristocratici di mia conoscenza! Tale mia valutazione nei tuoi riguardi va intesa sotto tutti gli aspetti positivi della vita. La qual cosa mi spinge a trattarti proprio come un fratello, con cui posso confidarmi senza alcun ripensamento. Tu mi fai perfino dare ragione al mio saggio genitore, quando afferma che un vero uomo lo diventa solo colui che è provato duramente dalle vicissitudini della vita. Al contrario, i vizi corrodono l’intera personalità a tutte quelle persone, alle quali l'esistenza non procaccia asprezze e contrarietà. Dopo che ho conosciuto te, sono lieta di dargliene atto!»

«Tuo padre è un uomo responsabile ed eticamente integro, graziosa figlia del nobile Ipione, se la pensa nella maniera che hai detto. Infatti, vivere la vita non vuol dire spassarsela dalla mattina alla sera, ossia bighellonando soltanto. Ma significa soprattutto far maturare la propria personalità, quella che ognuno di noi ha dentro di sé allo stato potenziale fin dalla nascita. Essa si ravviva e si corrobora, solo se si svolge nella grande tormenta delle umane traversie. Ora, poiché mi hai rivelato che ti senti di fidarti di me come se fossi un tuo fratello e che hai centrato il vero scopo della mia domanda, ti prego di rispondermi sinceramente, senza più sostituire alla verità rossore e menzogna. Vedrai che, dopo esserti sfogata con me, ti sentirai con l’animo più risollevato.»

«Va bene, giudizioso giovane! Il tuo valore e la tua saggezza hanno saputo aprire le porte della mia anima. Per questo tra poco vi leggerai ciò che di vero vi è scolpito. Prima ti ho mentito, quando ti ho riferito che non ci risultava che mio cognato avesse litigato con qualcuno, risposta che era valida per tutti gli altri parenti suoi, ma non per me e per mia sorella. Noi due siamo le sole ad essere a conoscenza dell'unico litigio che Ilso ha avuto in vita sua, il quale gli è costato anche la vita! Per fortuna, nostro padre non ne è mai venuto a conoscenza. Altrimenti non so com'egli l'avrebbe presa e quale sarebbe stata la sua reazione!»

«Allora, nobile Zeira, vorrei che tu me ne parlassi, com’esso si svolse, poiché desidero avere anch'io la mia idea su quanto accadde e fartene partecipe. Noi uomini sappiamo essere più obiettivi nelle questioni che fanno parte del campo maschile. Per questa ragione, un fatto del genere non ti deve assolutamente fare meravigliare!»

Il racconto della figlia del medico Ipione, che aveva riguardato il litigio avuto dal cognato con un nobile actinese, non si era fatto attendere molto. Infatti, dopo aver vinto ogni perplessità, ella si era data a narrare al principe Godian ogni cosa, come adesso ascolteremo anche noi.

“La lite tra mio cognato e il nobile Adrino è di data recentissima e rimonta a qualche mese fa. Fu a quel tempo che l'intimo amico del principe Verricio si presentò nel primo pomeriggio a casa di mia sorella Selinda, chiedendole di mio cognato. In Actina tutti sono a conoscenza della sua nomea di giovane impudente e facinoroso. Comunque, tale suo comportamento, il quale è da considerarsi per niente edificante, è dovuto al fatto che egli si sente spalleggiato dal Sommo dei Sacerdoti, che è suo zio Chione, e dalla sua intima amicizia con il secondogenito del sovrano. Ebbene, siccome il marito era prossimo a ritornare dalla sua villa di campagna, mia sorella, in attesa del suo ritorno, educatamente lo fece accomodare nella sala degli ospiti. Dopo ella non volle lasciarlo solo in quel luogo, considerandolo un atto di scortesia verso l'ospite. Perciò gentilmente pensò di intrattenersi a conversare con lui fino all’arrivo del consorte. Ad un certo momento, il nobile Adrino, ammesso che tale aggettivo gli si addica, cominciò a fare alla sconcertata Selinda diverse domande imbarazzanti, alcune delle quali molto oscene ed irripetibili. La mia germana allora lo richiamò rigidamente, invitandolo ad assumere un contegno e una condotta responsabili ed irreprensibili, ossia esenti da ogni trasgressività. Vedendo poi che egli seguitava a fare l’ignobile mascalzone, ella non esitò ad alzarsi per uscire dalla sala per lasciarvelo da solo. Invece lo screanzato le si piantò davanti e le vanificò ogni possibilità di uscita. Allora Selinda cercò di reagire con tutte le proprie forze al nuovo atteggiamento da lui assunto; ma il folle, approfittando della sua reazione, l'abbracciò con veemenza e cercò di baciarla sulle labbra. Mia sorella, da parte sua, mentre tentava di sottrarsi alla sua stretta satiresca, gli gridò anche a gran voce:

In quel preciso istante, fece il suo ingresso nella sala anche il marito Ilso, il quale si rese subito conto della reale situazione, ossia che la moglie stava per diventare vittima del nobile Adrino contro il proprio consenso. Soltanto a quel punto, il maiale si affrettò a liberare mia sorella dalla sua stretta insidiosa. L'improvvisa apparizione di mio cognato, se da una parte conturbò molto mia sorella; dall'altra, essa non fece alterare minimamente la mimica dello spudorato Adrino. In verità, neppure Ilso mostrò il viso brutto, davanti a quella scena, la quale avrebbe fatto infuriare qualsiasi altro marito, spingendolo perfino ad un atto inconsulto. Invece lui, conservando la sua abituale flemma, chiamò due servi e gli ordinò di sbatterlo fuori, siccome non gradiva i porci in casa sua. Allora, all'espressione di disprezzo usata da mio cognato, il nipote del Sommo dei Sacerdoti, non potendo farlo in un modo diverso, manifestò la sua ira furibonda attraverso i suoi occhi roventi. Poi, battendo i denti e stringendo i pugni, se la sgattaiolò celermente, lasciando la casa di mio cognato, senza proferire neppure una parola.”

Al termine del racconto della ragazza, il principe Godian ci aveva tenuto a farle presente:

«Tua sorella commise un grosso errore, quando decise di fargli compagnia, pur sapendo ciò che si diceva di lui. Ma mi ha fatto piacere avere appreso che tuo cognato e il nobile Adrino non vennero alle mani.»

Il primogenito del re Nortano si era appena espresso in quel modo, allorché era pervenuto all'orecchio dei due giovani un accorrere strepitoso di cavalli, i quali stavano facendo il loro rapido ingresso nel cortile del palazzo. Subito dopo, si era udito anche un uomo che ordinava ad alta voce ai suoi compagni: "Presto, date la casa alle fiamme ed ammazzate quanti vi abitano oppure vi prestano servizio continuato!" Di lì a poco, erano anche seguite le grida dei servi piangenti, i quali imploravano gli intrusi di risparmiarli, poiché non avevano colpa di niente, se si trovavano a lavorare presso quella illustre famiglia.


Alle urla e ai pianti pietosi della servitù, l'amabile figlia del medico Ipione era impallidita e si era sentita quasi paralizzata negli arti inferiori, che adesso accusavano pure dei forti tremori. Poi, mostrando degli occhi colmi di lacrime e di terrore, aveva chiesto al giovane:

«Perché vengono ad ucciderci senza pietà? Chi ci odia a tal punto, da volerci addirittura tutti morti? Mi domando che cosa di male la mia famiglia abbia potuto fare a qualcuno che ci conosce, per cui ci mostra un mortale rancore! Il guaio è che non si trova neppure mio padre in casa per difenderci, in questa circostanza molto grave per tutti noi!»

Godian, con una scrollatina di spalle, le aveva fatto comprendere che egli non ne poteva sapere niente, non facendo parte del suo nucleo familiare. Ma poi aveva voluto risponderle ugualmente, sebbene fosse all'oscuro di ogni cosa su quella squallida vicenda. Perciò aveva aggiunto alla tremante ragazza, che non smetteva di piangere:

«Sono questioni di casa vostra, graziosa figlia del nobile Ipione. Perciò solamente tuo padre potrebbe risponderti. Se poi la cosa dovesse risultare inspiegabile anche al tuo illustre genitore, sarei portato a credere che questa missione omicida provenga dalla medesima persona che stamattina ha fatto uccidere tuo cognato Ilso. Ad ogni modo, non devi aver paura di niente, a proposito di quanto sta accadendo giù in cortile, essendoci io a proteggerti da quei malintenzionati, che sono appena arrivati. Ora scendo dabbasso a rendermi conto meglio della situazione, per poi fartela conoscere. Ma non appena sarò uscito da questa sala, ti suggerisco di restarci rintanata e di sprangare bene la porta dal di dentro! Ti raccomando: segui il mio consiglio, se vuoi restare salva!»

Dopo essersi riversato fuori, l'intrepido principe si era sbrigato a scendere a pianterreno del palazzo. Ma lungo la scala che conduceva in cortile, si era imbattuto in due scalmanati razziatori. Essi, con grande libidine sanguinaria, si stavano precipitando al piano superiore. Egli, però, aveva dato ad entrambi un saggio della sua prodezza, atterrandoli con due abili stoccate. Così li aveva fatti pentire dei loro propositi che, come aveva giudicato in anticipo, non apparivano amichevoli!

Nel frattempo si scorgevano a vista altri tre omacci furiosi, i quali avevano avuto la medesima idea dei primi due, che già erano stati ammazzati dal principe. Anch'essi però erano andati incontro alla stessa sorte toccata alla coppia di compagni che li avevano preceduti. Infatti, l’inossidabile Godian li aveva accolti con l’uguale trattamento, che poco prima aveva riservato agli altri due avventurieri. Sceso poi agli alloggi inferiori, il prode giovane si era sbrigato a raggiungere lo spiazzo del cortile. Ma egli vi era appena giunto, allorquando si era visto assalire dal resto di quei razziatori assassini, poiché venivano spronati ad agire in quel modo da chi stava loro a capo, il quale sembrava un tipo per nulla raccomandabile. Comunque, l'intrepido principe non si era lasciato affatto intimorire neppure dai nuovi terribili assalitori, che adesso potevano essere una decina. Perciò, mostrandosi all'altezza della situazione, in un primo momento li aveva incalzati impavidamente, facendoli indietreggiare di circa dieci metri. In seguito era riuscito ad infilzarli con la sua impietosa spada l'uno dopo l'altro, a breve distanza di tempo.

Il fatto spiacevole di quell'assalto, il quale era provenuto dall'esterno, era stato il ferimento a tradimento del principe, da parte di chi guidava quei birbanti. Esso era avvenuto nel momento stesso che egli infilzava il nono dei suoi delinquenti antagonisti. A sua volta, l'erede al trono era stato ferito dal vigliacco figuro, il quale non aveva esitato ad aggredirlo alle spalle, ferendolo così al braccio destro. Lì per lì, però, la ferita non era apparsa preoccupante, anche se aveva fatto accasciare il giovane per terra, avendogli arrecato un dolore terebrante e anche un lieve mancamento. Egli, però, aveva saputo resistere al grande dolore, nonostante le cose per lui si stessero mettendo malissimo. A quel punto, la canaglia, avendo deciso di finirlo del tutto, era balzata da cavallo ed aveva tentato di trafiggere al petto l'avversario con la spada; ma il giovane principe, con un abile sgambetto, lo aveva steso lungo per terra. Allora fra i due lottatori la colluttazione era seguitata, tenendosi abbrancati l’uno all’altro e rotolandosi per terra. Dopo vari rotolamenti sul basalto del cortile, ad un certo momento, la birba aveva cavato fuori il pugnale ed aveva vibrato un tremendo colpo contro il petto del principe. Costui, però, era riuscito appena in tempo a fermargli il braccio con la sua unica mano abile alla difesa, la quale era quella sinistra.

Così, poiché le opposte forze in gioco risultavano impari, per il fatto che Godian era costretto a spingere con il solo suo braccio sinistro, il pugnale dell'avversario aveva iniziato ad abbassarsi sempre di più contro il suo petto. Oramai la punta dell'arma bianca già sfiorava la pelle dell'infelice giovane e presto avrebbe iniziato a penetrargli anche la cassa toracica. Invece, per sua fortuna, all’improvviso il malvagio ribaldo, emettendo un urlo di spasimo, aveva smesso di spingere sull'acuminato pugnale. Dopo egli si era anche lasciato andare su un fianco, dove era rimasto per terra morto stecchito. Allora, dal momento che il corpo del pericoloso avversario aveva cessato di gravargli pesantemente sull'addome, per cui era venuta meno anche la sua grande furia, il giovane si era alzato da terra sanguinante. Mentre si metteva in piedi, egli si era stupito nello scorgere davanti a sé il padre della sua Flesia, il quale reggeva una spada con la lama sporca di sangue.

Come mai Alisto si era trovato in quel luogo, giusto in tempo per toglierlo dai guai? La risposta è molto semplice. Egli, visto che il fidanzato della figlia tardava ad arrivare con il medico, aveva deciso di rendersi conto di persona del perché del suo ritardo. Perciò era pervenuto di corsa alla casa del nobile Ipione ed era entrato senza difficoltà nel palazzo attraverso il portone spalancato, dove si era trovato di fronte allo stato disagiato del genero. A quella vista sgradita, senza perdere tempo, si era impossessato della spada di uno dei cadaveri sparsi per il cortile. Poi, volendo farne un uso proficuo, in un attimo aveva trafitto alla schiena il malfattore, che era in procinto di accoppare il loro benefattore Peg, ammazzandolo sul colpo con tutto il suo sdegno.

Scorgendo dritto davanti a sé il padre della sua ragazza, il principe prima lo aveva ringraziato di vero cuore per il suo provvido intervento. Dopo gli aveva domandato:

«Alisto, come sta la mia Flesia? Soffre ancora molto? Il medico Ipione non è ancora rincasato. Auguriamoci che egli giunga presto ed acconsenta a venire con noi per curarla!»

«Da quando ci hai lasciati, generoso Peg, mia figlia ha continuato a lamentarsi. Ella sta soffrendo parecchio ed urla forte per il dolere! Auguriamoci che il nobile medico, dopo che sarà rientrato, si degni di visitarla, senza fare troppo il difficile. Speriamolo per davvero!»

Proprio in quell'istante, il nobile Ipione aveva fatto il suo ingresso nel proprio palazzo. Avanzando sopra la sua biga, egli era scortato da due uomini a cavallo. Accanto gli stava la giovane figlia Selinda, la quale indossava un abbigliamento da lutto, essendo divenuta vedova da poche ore. Per la qual cosa, si notavano assai visibili sia la rabbia in lui che l’afflizione in lei. Il medico, nello scorgere tutti i suoi servi uccisi e tanti altri cadaveri di persone non appartenenti alla sua servitù, all’istante aveva preso atto che nella sua casa si era consumata da poco una sanguinosa razzia. Perciò subito era divenuto bilioso, mostrandosi disposto ad azzannare chiunque. Allora, in preda ad una furia diabolica, egli non aveva perso tempo a saltare dalla propria biga e ad avvicinarsi a Godian, il cui braccio destro continuava a perdere sangue. Sfiorandogli poi il petto con la punta della sua spada, come per minacciarlo di morte, gli aveva domandato:

«Delinquente assassino, dimmi immediatamente cosa ne avete fatto di mia figlia Zeira! Inoltre, voglio sapere da te quale verme vi ha mandati in casa mia per compiervi la strage che scorgo! Adesso mi dirai ogni cosa, con le buone oppure con le cattive: te lo garantisco!»

Il giovane, indicando anche il genero che era arrivato da poco, gli aveva subito risposto:

«Almeno io e lui non siamo stati mandati da nessuno, nobile Ipione; ma vi siamo venuti di nostra volontà, essendo stati spinti dalla necessità! Piuttosto devi chiederlo ai morti, visto che essi sono stati di sicuro mandati da qualcuno, se si sono presentati a casa tua non invitati e con il proposito di uccidere quanti vi abitavano!»

«Ah, così stanno le cose? Osi fare pure lo spiritoso con me, pendaglio da forca?! Adesso ti faccio pentire di aver messo piede nella mia proprietà, maledetto furfante! Ti ridurrò in vera carne da macello! Sappi che nessuno me lo potrà proibire, avendo tu violato la mia proprietà, seminando sangue e morte in ogni suo angolo!»

«No, nobile Ipione,» era intervenuto Alisto «risparmia il buon Peg. Egli era venuto nella tua casa, solo per condurti a visitare la mia povera figliola, la quale sta molto male e ha bisogno delle tue preziose cure! Anzi, dovresti ringraziarlo, per aver preso le difese della tua casa, uccidendo tutti gli uomini che si erano dati a razziarla!»

«Farabutti, andate a recitare altrove la vostra commedia, poiché a me non la date a bere di certo! Perciò tra poco vi ucciderò entrambi; vi farò fare la fine di due cani idrofobi, poiché è quella che vi meritate, secondo me! Adesso incomincio da chi è già mezzo morto!»

«Invece, nobile Ipione, tu non ucciderai nessuno! Anzi, mi ringrazierai, mi medicherai ed accondiscenderai ad ogni mio desiderio, quando avrai appreso che tua figlia Zeira è sana e salva di sopra, esclusivamente per merito mio! Devi soltanto chiamarla, farla venire giù e chiederle se ti ho detto la verità oppure ti ho mentito.»

Godian aveva appena finito di parlare, allo scopo di spiegare ogni cosa al nobile medico, allorché era apparsa la figlia chiamata in causa, la quale aveva confermato al genitore:

«Certo che ti ha detto la verità, padre mio, quel giovane coraggioso! Grazie a lui, sono salva e la nostra casa non brucia. Egli è imbattibile nella scherma e, benché fosse solo, ha ucciso i delinquenti che puoi trovare morti in casa nostra dappertutto. Pensa che essi, approfittando della tua assenza, erano venuti a bruciare la nostra casa e a recare morte a quanti vi avessero trovati! Perciò sono salva per miracolo!»

Fatte le sue dichiarazioni, la ragazza si era lanciata tra le braccia paterne, profondendo pianti e raccontandogli quanto quegli omacci l'avevano spaventata con le loro manifeste cattive intenzioni. Allora il medico Ipione, appreso come realmente si erano svolti i fatti all’interno del suo palazzo, aveva ringraziato vivamente il principe Godian, che gli era stato presentato come il popolano Peg. Poi aveva badato a medicargli la ferita e a fasciargliela con molta cura.

Terminate le operazioni di medicatura e di fasciatura a favore di chi aveva salvato la figlia e la sua casa, l’uomo di medicina era corso a visitare Flesia a casa sua. Ce lo avevano accompagnato il fidanzato e il padre. Lì, eseguita la diagnosi, il medico Ipione aveva riscontrato nella ragazza una seria slogatura alla spalla sinistra. Per rimetterla a posto in modo ottimale, aveva ritenuto indispensabili dieci frizioni. Egli gliele avrebbe somministrate gratuitamente una al giorno. Mentre poi eseguiva il suo massaggio con un lenimento speciale, il medico aveva chiesto al salvatore della figlia come la sua ragazza si fosse procurata quella brutta slogatura. Allora l’interrogato gli aveva narrato l’intera disavventura, a cui ella era andata incontro, ad iniziare dal suo primo tentato rapimento. Al termine del suo resoconto, aveva concluso con rabbia:

«Come possiamo renderci conto, mio nobile Ipione ed illustre medico, abbiamo ciascuno un generoso protettore, il quale si diverte a dardeggiarci spietatamente! Sono sicuro che, prima o poi, il mio si scoprirà. Allora gliela farò pagare con gli interessi! Lo credi pure tu?»

«Ci credo senz'altro, forte giovane. Ma anche quando avrò individuato il mio, stanne certo che me la pagherà a caro prezzo! Se poi dovesse essere proprio la persona che sospetto, in quel caso non mi curerei della sua amicizia con il principe Verricio e della sua parentela con il Sommo dei Sacerdoti! Nei suoi confronti, mi vendicherei di persona con durezza, sebbene egli abbia tali persone insigni come suoi protettori!»

«Comprendo la tua ira, nobile Ipione. Ma se tu riuscissi ad ottenere delle prove incontestabili contro il tuo sospettato, ti consiglierei di denunciarlo al re Nortano. Egli, essendo giusto, saprà renderti giustizia dei torti subiti. Non pensi alle tue ragazze, le quali sono già orfane di madre? Immagina un poco che cosa ne sarebbe di loro due, una volta che venissero private pure del tuo ottimo consiglio e della tua protezione!»

«Hai ragione, giovanotto: la tua lingua è saggia, come solido è il tuo braccio! Adesso vi lascio e vado a consolare un po' le mie povere figliole. Esse stasera ne hanno un particolare bisogno, per cui necessitano della mia presenza a casa, specialmente in questo momento che sono rimaste senza la compagnia della servitù ed è calata la notte. La quale facilmente procura pensieri lugubri ed inquietanti alla gente disperata! In attesa di rivederci domani per la seconda frizione, vi auguro una notte serena!»