221°-IL PRINCIPE GODIAN INCONTRA FLESIA E SE NE INNAMORA

Alcuni decenni prima regnava sul trono di Actina il re Nortano, al quale la moglie Cluna aveva dato due figli: il primogenito era stato chiamato Godian, mentre al secondogenito era stato dato il nome di Verricio. I due fratelli, una volta diventati giovani, si presentavano con un carattere ed un temperamento differenti, direi quasi antitetici. Se il primo era cresciuto esemplarmente virtuoso e nobile d'animo; al contrario, il secondo era stato un collezionista dei vizi peggiori. A tale proposito, si diceva che il principe Godian, sia nel fisico che nel carattere, avesse preso dal nonno materno Errod, il re di Polca, il quale era stato un re saggio nella sua città. Inoltre, l’erede al trono, non avendogli mai arrecato né dispiaceri né mortificazioni di alcun genere, risultava la somma delizia dei suoi genitori. Comunque, i regnanti della Città Santa, da una parte, si rattristavano enormemente, a causa della pessima condotta del loro secondogenito. Dall'altra, invece, si sentivano risollevati, al pensiero che sul trono di Actina un giorno sarebbe salito il retto Godian, anziché lo scapato Verricio. Secondo loro, sarebbe stata una grave sciagura per la città di Actina e per il suo popolo, se Verricio fosse nato per primo e l'eredità al trono gli fosse spettata di diritto. Per fortuna il divino Matarum aveva voluto destinare la primogenitura al generoso Godian per fare evitare alla sua città prediletta un incalcolabile danno. Per la quale ragione, i coniugi reali non smettevano di essergli riconoscenti. C’erano poi da far presenti altre notevoli differenze esistenti fra i due fratelli. Mentre l'onesto Godian ricorreva al padre, soltanto quando aveva la necessità di intercedere presso di lui per qualche perseguitato dalla sorte; al contrario, Verricio, che aveva un anno meno di lui, si rivolgeva all’autorevole genitore unicamente con propositi opposti, però senza avere nessun ascolto dal padre. Infatti, egli gli si rivolgeva, quando intendeva far punire coloro che gli risultavano poco simpatici e per niente graditi. Addirittura spesso li calunniava senza alcun motivo oppure li accusava di reati, dei quali essi non si erano affatto macchiati. C'era infine un altro particolare, da considerarsi il più rilevante di tutti gli altri, poiché esso faceva distinguere vistosamente il carattere di un fratello da quello dell'altro. Verricio era solito darsi delle arie, per cui cercava di mettere in mostra il suo titolo principesco con alterigia. Dal canto suo, Godian ripudiava ogni atteggiamento di superiorità verso gli altri e si mostrava intollerante della stereotipata vita di corte, che lo annoiava a non finire. Per cui si sottraeva ad essa, ogni volta che l'anziano padre non aveva bisogno della sua collaborazione nel disbrigo degli affari di governo, dandosi così alle sue solite uscite in incognito.

Al compimento del suo ventesimo anno di età, il virtuoso primogenito del re Nortano si presentava un giovane fisicamente aitante e moralmente integro. A parere del principe ereditario della città di Actina, un re non sarebbe stato in grado di governare saggiamente il popolo, se non avesse avuto prima un'ottima conoscenza dei suoi problemi sociali e non li avesse approfonditi in modo adeguato, attraverso il diretto contatto con le diverse realtà socio-economiche della città. Ecco perché amava frequentare gli ambienti più disparati della borghesia, oltre che scorrazzare libero per i campi verdeggianti e sospirare le fragranze della natura in rinascita. Così facendo, gli sarebbe riuscito più facile penetrare i problemi dei suoi futuri sudditi, a qualunque classe essi fossero appartenuti. Soprattutto ne avrebbe conosciuto realmente le ambasce, i disagi, le ansie, i punti di vista, i modi di vedere e di pensare; nonché si sarebbe reso conto dei vari moti del loro animo. Perciò, siccome aveva tale visione della vita, Godian era considerato dal padre, che se ne compiaceva moltissimo, un principe ultraliberale e ultrademocratico.

L'affabile principe ereditario della Città Santa, quando si dava alle sue girate a cavallo per i campi oppure per le tante vie della città, era solito camuffarsi in un autentico bighellone. Con il suo travestimento, faceva in modo che non trasparisse dalla propria persona alcuna parvenza di regalità. Anzi, dopo essere ricorso ad esso, il principe finiva per essere scambiato per un giovane qualunque della strada, senza né arte né parte, come si soleva dire. Ebbene, era stato proprio mentre ritornava da uno dei suoi proficui vagabondaggi che Godian aveva avuto modo di incontrare sulla propria strada Flesia, la ragazza che da subito aveva amata follemente e dalla quale era stato riamato in egual misura. Ma i due innamorati avrebbero pagato a caro prezzo la loro fervida e calda passione. A tale riguardo, è opportuno chiarire un particolare assai importante. La fanciulla avrebbe dedicato il suo amore genuino, cioè quello che era nato fin dal primo istante del loro fortuito incontro, alla persona comune che Godian rappresentava in quel momento. Perciò si era innamorata del giovane spericolato e temerario, il quale era abituato a mettere il proprio coraggio a disposizione di chiunque ne avesse necessitato. Difatti era stato quello il tipo di uomo che il principe impersonava, quando aveva affascinato la ragazza di umili condizioni e l’aveva spinta ad amarlo con uguale ardore.

Godian stava ritornando appunto da una delle sue consuete escursioni, nel momento in cui il cielo aveva iniziato ad imbrunire, punteggiandosi qua e là dello scialbo luccichio di qualche astro nascente. In riferimento alla stagione di quel tempo, bisogna far presente che si era sul finire della primavera, siccome essa era da considerarsi abbastanza inoltrata. Entrato in città per le porte di ponente, il principe ad un certo punto si era riversato in una strada secondaria, la quale appariva angusta e malconcia. Su entrambi i suoi lati, tra l'altro, vi si incontravano piccoli porticati e diversi vicoletti serpentiformi, i quali parevano rifugiarsi mestamente nelle profonde viscere della terra. In verità, in quella sua millenaria realtà, Actina appariva più fiera che altrove, dove la città aveva la funzione di reggere nel suo grembo l'ininterrotto prodursi di vita operosa. Infatti, in seno al sovrumano silenzio di quei suoi abitacoli, l'immagine sapiente degli antenati si avvertiva più viva e trascinatrice, più sentita ed intramontabile, più profonda e coinvolgente, più orgogliosa e sensazionale, più realistica ed autentica, più palese ed inconfondibile. Insomma, la loro espressione austera sembrava trapelare dai muri scalcinati di quelle abitazioni semibuie ed ammuffite, come se essa volesse additare ai posteri mete gloriose di vibranti successi!

Pochi minuti dopo, la fascia di cielo visibile, essendo divenuta interamente tempestata di vivide stelle, faceva intendere ad ogni viandante che era già notte. Se ne era accorto anche il principe Godian, mentre si infilava in uno di quei vicoli che si diramavano sul suo lato sinistro. Pur transitandovi per la prima volta, secondo lui, la nuova stradina gli avrebbe fatto raggiungere speditamente la reggia, poiché essa non poteva essere molto lontana da quel posto in cui si trovava a cavalcare, facendo andare al passo il suo cavallo. Quando poi il giovane ne aveva già percorso la metà, gli era parso di avvertire delle grida di implorazione. Allora esse lo avevano indotto ad arrestare all'istante la sua bestia. Dopo, al fine di scoprire la loro provenienza, si era messo ad ascoltare con la massima attenzione. Infine qualcosa di indistinto, forse si trattava di un rumore oppure di una voce, lo aveva attratto presso una finestra, le cui imposte sprangate erano vecchie e in parte anche rose dai tarli. Esse erano formate da più assi ravvicinate, la cui commettitura lasciava a desiderare parecchio, siccome le varie tavole, non combaciando perfettamente tra loro, davano luogo a degli interstizi. I quali, a loro volta, in alcuni punti formavano delle vere e proprie fessure, che facevano trapelare dei guizzi di luce, intanto che si sprigionavano da un lume ad olio situato all'interno dell'abitazione. Quest'ultima, che era costituita di un unico vano, faceva da cantonata alla strada percorsa dal principe e ad un vicolo cieco, dove era situato l'uscio di casa.

Ebbene, il filantropico Godian si era servito degli spiragli di quell'unica finestra per dare una occhiata dentro il monolocale, che dava sulla strada. Così l'interno gli aveva permesso di assistere ad una scena riluttante, poiché egli vi aveva scorto tre tipacci, che stavano commettendo atti di prepotenza e di abuso a danno di una famigliola di infime condizioni sociali. Intanto che due di loro tenevano immobilizzata un'avvenente fanciulla, il terzo costringeva a stare a debita distanza l'uomo di casa, che cercava di reagire alle loro imposizioni. Il brutto ceffo, rasentandogli il collo con la punta della sua spada, precludeva al capofamiglia ogni possibilità di intervenire a favore della sua giovane e graziosa figlia. Invece, in un canto del vano, una bambina, dall'apparente età di cinque anni, piangeva e strillava forte: "Per favore, non portatemi via la mia Flesia!". Da parte sua, una donna, probabilmente coetanea dell'uomo, continuava a disperarsi e a supplicare invano i tre malviventi perché rinunciassero a rapire la loro innocente figliola. La terna di furfanti, però, si mostrava inflessibile alle suppliche delle due poverette piangenti. Infatti, l'uomo, che teneva a bada il padrone di casa, si dava a riprenderle e a minacciarle di morte. Lo faceva, ricorrendo alle seguenti parole: "Se voi due non la smettete di fare baccano, saremo costretti ad uccidervi tutti. Quindi, se vi è cara la pelle e volete seguitare a vivere, chiudete quel vostro noioso becco e lasciateci portare via la vostra congiunta. Anche perché i vostri sciocchi lamenti non potranno servirvi a niente, non volendo ascoltarli nessuno qui intorno!"

A quella scena antipatica, il principe Godian subito si era proposto di intervenire in soccorso di quelle sfortunate persone, che erano divenute a un tratto vittime della prepotenza e dell'oppressione. Due erano stati i motivi che lo avevano spinto a dare una mano agli sventurati maltrattati: primo, egli si mostrava per sua natura intollerante di simili truci spettacoli; secondo, era rimasto molto colpito dall'affascinante fanciulla, il cui volto gli era apparso più bello di un'alba rosea di primavera. Perciò, sceso da cavallo, il primogenito del re Nortano si era avvicinato alla porta di casa ed aveva iniziato a bussare con entrambi i pugni. Non ricevendo risposta dall'interno, si era dato a picchiare all'uscio con maggiore forza ed insistenza. Così aveva fatto comprendere a quanti erano in casa che non se ne sarebbe andato via di lì, se prima non gli fosse stato aperto. Solo così quelli di dentro si erano decisi ad aprirgli.

Era venuta fuori la madre della ragazza, mostrando due occhi atterriti. Il caporione dei malfattori, prima di darle il permesso di aprire e di uscire, le aveva ordinato di licenziare in quattro e quattr'otto l'inatteso visitatore serale con una scusa qualsiasi. Ma non avrebbe dovuto fargli sospettare niente, se ci teneva alla vita delle due figlie! Perciò, stando sulla soglia di casa affatto tranquilla e manifestando anche una forzata impazienza, ella si era affrettata a chiedere al giovane sconosciuto:

«Viandante, che cosa vuoi dalla nostra famiglia a quest'ora del giorno, quando in strada è già buio? Ti prego di rispondermi in breve e di andartene dopo, senza il minimo indugio. Mi sono spiegata? In casa ho dei bambini che si sono appena addormentati, per cui a nessun costo vorrei che venissero svegliati! Ti sono stata chiara, brav'uomo?»

«Sento un gran bisogno di bere, signora, per cui desidero dell’acqua da chi abita in questa casa. Spero che essa non mi venga rifiutata!»

«Invece si dà il caso che in questo momento non ce ne sia neppure un gocciolo, poiché sono stata io stessa a bere l'ultima acqua che era rimasta. A ogni modo, giovanotto, più avanti, a cento metri da qui, si trova un pozzo, dove potrai dissetarti a tuo piacimento con la sua fresca acqua! Adesso, però, ti prego gentilmente di togliere il disturbo e di lasciarmi rientrare, siccome ho ancora parecchie faccende da sbrigare!»

Dopo essersi espressa in quel modo, la donna aveva deciso di tagliare corto con lo sconosciuto. Ma mentre ella si accingeva a chiudergli la porta in faccia per ritornarsene nella sua abitazione, il giovane era intervenuto prontamente per ostacolarne la chiusura, fermandola con il suo braccio nerboruto. Nello stesso tempo, egli si era messo a gridarle:

«Non me ne andrò via di qui, donna inospitale, se prima non mi avrai dato l’acqua che ti ho chiesta. Tra poco entrerò con la forza in casa tua e, se appurerò che mi hai detto una bugia, ti garantisco che reciderò la testa a tutti i tuoi figli maschi! Così, con la mia esecuzione, li farò addormentare sul serio! Perciò adesso togliti di mezzo e fammi passare!»

Nel momento stesso che proferiva quelle finte minacce, Godian aveva spinto la porta con violenza; poi, dopo avere obbligato la donna a farsi da parte, aveva fatto irruzione nella sua abitazione con la rapidità di un fulmine. Una volta nell'interno di essa, rivolgendosi ai tre intrusi portaguai, aveva ripreso ad esprimersi in questa maniera:

«Così eravate voi i bambini che mi si chiedeva di non svegliare? Vedo che avete proprio uno strano modo di dormire, voi tre! Ebbene, pregate il divino Matarum che la vostra mammina abbia detto il vero, riguardo all'acqua; altrimenti vi farò venire il sonno a modo mio! Avete udito anche voi che ho dato la mia parola a vostra madre che avrei ucciso i soli maschietti! Se non sbaglio, qui dentro voi siete gli unici ad esserlo, visto che le altre due sono femminucce. Le quali, come posso constatare, sono anche carine e più garbate di voi. A questo punto, però, devo verificare se c'è acqua in questa casa!»

Il rapitore, che teneva a guardia il capofamiglia con la punta della sua spada, non avendo accolto di buon grado lo sgradito intervento del principe, era uscito dai gangheri. Ma poi, volendo farlo ragionare e costringerlo ad andarsene via da quella abitazione, aveva cercato di prenderlo con le buone. Perciò lo aveva ripreso, dicendogli:

«Se hai un tantino di senno, miserabile straccione, ti sarai già reso conto che in questa casa tira una pessima aria per chi vi abita. Quindi, prima che essa coinvolga pure te, ti conviene sparire al più presto, ossia immediatamente! Noi non siamo tipi da sopportare a lungo la tua sbornia. Allora mi sono spiegato abbastanza, mio egregio ficcanaso?»

«Dovrei forse considerare le tue parole una minaccia, ridicolo spaccone? Se lo credi, me ne faccio una risata! A proposito, che ci fate voi tre in questa casa, che non può essere vostra?»

«Ubriacone, le mie parole sono peggiori delle minacce! Anzi, se non sarai sparito da qui in pochi attimi, giuro che te ne farò pentire! La nostra pazienza sta per scadere e presto, se rimarrai ancora qui, ti ritroverai in grossi guai! Perciò fila via di corsa, finché sei in tempo! Altrimenti ci saranno guai pure per te, pur non essendo della famiglia!»

«Se siete dell'idea che la minaccia gravi su di me e non su di voi, ciò sta a significare solo una cosa: o io non mi sono spiegato bene o voi avete capito le cose alla rovescia! Adesso vi avverto che, se nell'anfora c'è dell'acqua, stanne certo che non esiterò a passare dalla teoria alla pratica. In tal modo, riuscirò ad esservi più comprensibile e convincente con la spada, la quale, vi prometto, saprà trattarvi come vi meritate!»

Subito dopo il principe, chiamata presso di sé la bambina, la quale lo aveva raggiunto rapidamente, quasi avesse scorto in lui il loro salvatore, le aveva domandato:

«Per favore, vuoi dirmi come ti chiami, mio bel tesoruccio? Hai un visino abbastanza grazioso: lo sai? Scommetto che mai nessuno te lo aveva detto, prima che lo facessi io!»

«Mi chiamo Clenina, gentile signore.» ella gli aveva risposto «Grazie per il gentile complimento, che hai voluto farmi! Ma devo contraddirti, poiché pure altre persone mi hanno detto che sono molto carina! Anzi, esse hanno anche aggiunto che sono parecchio intelligente! Allora me lo riconosci anche tu che lo sono per davvero?»

«Certo che sei dotata anche di intelligenza, Clenina: te lo confermo! Ma ciò che conta è che tu sei soprattutto una brava ed educata figliola! Le altre persone si sono preoccupate di dirti pure questo? Non lo credo per niente! Sono convinto che sono stato il solo a farti presente quest'altro particolare importante! È vero che adesso non mi sbaglio?»

«Hai proprio ragione, signore! Si vede che ci hai visto meglio di loro nel valutarmi, se tali persone sono apparse un po' miopi in quel momento! Grazie ancora, gentile signore!»

«C'è poi da far presente che per fortuna non somigli per niente a quei cattivoni dei tuoi fratelli! Chi non se ne renderebbe subito conto, dopo averli osservati per bene, da capo a piedi?»

«Signore, quelli però non sono...» la bambina stava per precisare, poiché desiderava far conoscere la verità al nuovo visitatore. Il quale, in tale circostanza, risultava l'unico ospite gradito e simpatico nella loro casa, dove tutto stava andando storto.

Ma prima che ella riuscisse a completare la frase e ad aggiungere "i miei fratelli", il principe Godian di proposito le aveva tappato la bocca con una mano, troncandole la parte finale della frase. Subito dopo egli si era affrettato ad affermarle:

«Lo so che essi non sono buoni come te e come la tua dolce sorella! Ti garantisco che li farò pentire della loro cattiveria, se c'è acqua in casa tua. Perciò adesso conduciti alla svelta all'anfora e sappimi dire se ne contiene. Ricòrdati, Clenina, che se c'è acqua in essa, dovrò uccidere i tuoi fratelloni. Mi dispiace per te, ma dovrò farlo assolutamente, dovendo mantenere la mia promessa fatta alla tua mammina. Sai, è mia abitudine essere un uomo di parola! Altrimenti, non riuscirei a guardare in faccia nessuno e neppure farei sonni tranquilli, dopo aver mancato alla mia parola data!»

All'invito del giovane, la fanciulla aveva fatto una rapida corsa verso il recipiente di terracotta. Ma pur scrutando per bene nel suo interno, oltre al suo fondo asciutto, non vi intravedeva nient'altro, neppure un po’ di umidità riflettente. Insomma, non scorgendovi neanche la più piccola traccia del bel liquido fresco e trasparente, che invece avrebbe voluto trovarvi, la poveretta era rimasta muta. Anzi, intanto che teneva appoggiata una mano sull'anfora, la piccola si era messa ad indirizzare delle occhiate profonde ora nel recipiente di argilla, come se volesse vedervi l'acqua a qualunque costo; ora verso Godian, a cui non si sentiva di riferire che il prezioso liquido non c'era affatto. Infine, avendo colto un ammicco da parte del padre, il quale con esso le aveva fatto intendere che doveva dire che l'acqua ci stava nel vaso con le anse, la piccola si era data a gridare al giovane, che attendeva la sua risposta:

«Signore, l'acqua c'è nell'anfora: essa è piena fino al collo! La mamma prima si è sbagliata, quando ti ha riferito che non ci stava. Quindi, puoi punire quei birboni dei miei fratelli, come le hai promesso! Se lo fai, ti avverto che non mi dispiacerà e mi farai pure un grande favore! Allora mi hai ascoltata, bravo giovane?»

«Se ho anche la tua approvazione, giudiziosa bambina, vorrà dire che sul serio manterrò la promessa fatta a tua madre, siccome ci tengo alla mia reputazione. Così nessuno in avvenire potrà rinfacciarmi che non sono un uomo di parola e che me ne infischio, quando calpesto il mio onore. Tra poco, vedrai come li sistemerò a dovere!»

Così dicendo, Godian aveva impugnato la spada, manifestando la sua intenzione di adoperarla. Allora, a quell’azione imprevista dell’intruso, l'uomo, che faceva le veci di capo, senza indugio e con un fare assai rabbioso, volendo esortare gli altri due brutti figuri ad intervenire contro di lui, si era dato ad urlare forte a entrambi:

«Presto, eliminate quel malavveduto, senza perdere un attimo di tempo! Dovete farlo pentire alla vostra maniera di aver dato mano all’arma! Il suo è stato un gesto provocatorio che non possiamo in nessun modo tollerare, tantomeno perdonargli! Mentre voi due lo punite, io mi pianterò davanti all'uscio di casa e lo sorveglierò, affinché nessuno di quelli che sono in casa possa scapparci. Su, datevi da fare, bricconi!»

All'incitamento del loro caporione, i due uomini, che si trovavano ai fianchi della ragazza, in un attimo avevano sguainato le spade e si erano avventati contro il principe ereditario. Ma egli, essendo già avvezzo a simili baruffe, in breve tempo si era sbarazzato dei suoi violenti aggressori con colpi precisi e mortali. Dopo si era scagliato anche contro il terzo uomo, intenzionato ad aggiustare pure lui bene per le feste. Il malandrino, però, visto che l'avversario si era dimostrato un'ottima lama a cui non facilmente si poteva tener testa, aveva preferito tagliare subito la corda e darsela a gambe levate.


Dopo aver trascinato all'esterno della casa i corpi senza vita dei due delinquenti, dei quali aveva sventato il rapimento che stavano per compiere, Godian era rientrato in casa. Poi, una volta in presenza dei due consorti, egli gli si era rivolto, dicendo:

«Signori, eccovi liberati dagli uomini, che hanno tentato di rapire la vostra figliola! Adesso potete dormire il sonno del giusto. Quanto ai cavalli dei due manigoldi che ho uccisi, li porterò via con me e li venderò. Così domani, quando mi rifarò vivo presso di voi, vi consegnerò il ricavato della loro vendita. Sono certo che esso potrà esservi abbastanza utile, siccome, come posso rendermi conto, non siete delle persone che sguazzano nella ricchezza. Chiunque lo capirebbe facilmente!»

Allora il capofamiglia, mostrando una gioia raggiante negli occhi, si era affrettato a ringraziarlo. Perciò, con tono sottomesso, gli si era espresso con queste parole:

«Tu, valoroso giovanotto, mi dici come hai fatto a comprendere che la nostra famiglia navigava in cattive acque? Ma non posso negare che sei un tipo sveglio, al quale non sfugge niente di niente. Inoltre, sei pronto ad affrontare qualsiasi pericolo, pur di togliere dai guai qualche perseguitato dalla sorte. Per tale motivo, mi ritengo molto onorato di avere avuto l'onore e il piacere di ospitarti nella mia casa!»

«Brav'uomo, per me è stato semplice rendermi conto dei vostri disagi e non c’è stata alcuna sagacia da parte mia per comprenderli senza troppa fatica! Prima di bussare alla vostra porta, essendo stato richiamato dalle grida della tua piccola Clenina, avevo già spiato e visto quanto di brutto stava avvenendo in casa vostra. Questa è la pura verità!»

«Davvero dici, simpatico giovanotto?! Se la mia domanda è lecita, vorrei anche sapere in che modo ci sei riuscito, dal momento che mi è difficile farmene una idea!»

«Naturalmente, guardando attraverso le fessure, che presentano le ante della vostra finestra. Voglio precisare, però, che non stavo affatto curiosando, poiché non è mia abitudine farlo. Come vi ho già fatto presente, ero stato attirato alla vostra finestra dalle grida di implorazione, che venivano emesse dalle donne della famiglia.»

«Ciò vuol dire che spontaneamente hai voluto rischiare la vita per noi, generoso giovane! Allora il dio Matarum te ne renda merito! Già, se non ci diamo una mano tra noi poveracci, a chi possiamo ricorrere? Non sarà di certo qualche potente signorotto a venirci incontro, poiché essi vogliono soltanto maltrattarci come bestie. Ancora peggio si comportano il nostro re Nortano e i suoi due figli, dai quali è impossibile sperare qualcosa di buono! Ma cosa ci possiamo fare, se la nostra vita è quella che attualmente si presenta?»

«Come fai ad affermare che il re Nortano e i suoi figli affliggono la povera gente? Te lo ha riferito forse qualcuno, che è disinformato? Invece mi risulta che il sovrano di Actina è interessato ai problemi di tutti, in particolar modo della povera gente! Te lo posso senz’altro garantire io, che sono al corrente di come stanno realmente le cose, per averlo saputo da persone che lo frequentano molto da vicino!»

«Giovane difensore della famiglia reale, invece non me lo ha riferito nessuno. Io stesso sono stato testimone oculare di un episodio, il quale mi ha spinto a fare le precedenti considerazioni! Ecco: è tutto qui! Comunque, adesso posso pure cambiare opinione sul mio sovrano, dopo che mi hai asserito alcune cose su di lui, delle quali ero all'oscuro. Ti prometto che lo farò senza meno!»

«Ma adesso, se non ti dispiace, posso chiederti di rapportarmi sull'increscioso episodio, al quale hai fatto accenno un istante fa? Se lo farai, te ne sarò molto grato!»

«Non mi dispiace affatto, giovanotto, considerato che la richiesta mi proviene da te! Si tratta di un episodio che qualche mese fa mi è capitato sotto gli occhi per puro caso. Mentre mi aggiravo per il mercato, ho visto avvicinarsi un giovane nobile a cavallo con una scorta di venti soldati. Poiché la gente tardava a liberare la strada, egli subito ha dato di piglio alla frusta ed ha cominciato a dare colpi a dritta e a manca. Intanto che le frustate fioccavano e schioccavano dappertutto, egli si dava ad urlare: "Pezzenti, fate largo al principe Verricio!" In quella occasione, ho avuto modo di conoscere la prima volta uno dei due figli del nostro re Nortano ed ho preso coscienza che i bisognosi della città non potevano sperare niente di buono neppure dai regnanti di Actina! Allora cosa ne pensi di tale episodio, giovane dai sani propositi altruistici?»

«Senza dubbio sarà vero, onest’uomo, ciò che mi hai raccontato. Ma al posto tuo, non mi azzarderei a giudicare il sovrano e l'altro suo figlio alla stessa stregua del principe Verricio. Costui potrebbe essere, anzi lo sarà sicuramente, la pecora rognosa della famiglia, poiché quasi in tutti i nuclei familiari ce n'è qualcuna! In tal caso, che colpa possono avere i suoi restanti componenti? Ti ripeto che sono a conoscenza che il re Nortano ha sempre cercato di difendere gli interessi dell'umile popolo. Allo stesso modo, perfettamente in linea con le vedute paterne, si comporta il principe ereditario Godian. Anch'egli ama il popolo ed è intento in continuazione a migliorare le sue condizioni, quando esse sono pessime.»

«Trovo la tua osservazione sensata e giusta, assennato giovane. Ma nessuno mi toglie dalla testa che il mancato rapimento di questa sera, la cui vittima designata era la mia povera Flesia, è stato opera di qualche nobile. La cui unica occupazione, non avendo egli altro da fare, è quella di divertirsi a molestare le giovani ragazze di famiglie indigenti. Così facendo, fa soffrire i loro genitori, che già fanno fatica a tirare avanti!»

«Tutto è possibile e ne convengo anch’io!» aveva acconsentito Godian «Ma chi ce lo può confermare con assoluta certezza è soltanto la tua figliola. In questo caso, ella avrà ricevuto delle profferte amorose, da parte di qualche nobile, senza piegarsi a corrispondergli. Allora, non avendo accolto di buon grado il suo rifiuto, egli avrà deciso di farla rapire dai suoi uomini per possederla con la forza nel suo palazzo.»

Dopo aver dato ragione al padre della ragazza, Godian si era rivolto alla figlia, con l'intento di avere da lei la conferma oppure la smentita di quanto aveva asserito. Perciò, dopo averla osservata con particolare interesse, le si era dato a parlare in questo modo:

«Allora, graziosa fanciulla, cosa puoi rivelarci, a questo proposito? Soltanto tu puoi farci comprendere meglio come in realtà stanno i fatti. Per questo, se sei al corrente di qualche episodio che i tuoi genitori ed io ignoriamo, sei pregata di raccontarcelo. Così dopo te ne saremo molto grati! Quindi, cosa puoi riferirci in merito?»

La bellissima Flesia, che stava ascoltando il coraggioso e loquace giovane con grande interesse, quasi se ne andava accendendo d'amore via via che lo sentiva parlare, vedendosi chiamare in causa da lui, si era avvampata nel volto. A dire il vero, all'inizio c'erano state nella ragazza gratitudine e simpatia verso il suo salvatore. In un secondo momento, però, essendo stata avvinta anche dalla sua piacevole parlantina e dalla sua prestanza fisica, le cose erano mutate nel suo intimo. In senso positivo, si intende! Ella, poco alla volta, ne era stata affascinata e si era perfino invaghita di lui. Il giovane aveva appena finito di parlarle, che già la fanciulla si era sentita immedesimarsi con lui, fino a goderselo in una beatificante estasi. La qual cosa stava a dimostrare unicamente che il suo comportamento era da considerarsi il frutto di una forte passione amorosa, la quale si stava accendendo fervidamente nel suo cuore, apportandole una gioia immensa. Quando poi in lei si era placata la forte emozione, che le aveva impedito per un breve istante di usare scioltamente la lingua, la sua dolce favella si era data a spiegare:

«Non so se ciò che sto per riferirvi possa avere una relazione con il tentato rapimento di stasera. Parlandovene, forse sarete voi a giudicare meglio se ne ha oppure no.»

Invitata dal padre e dall'ospite a renderli partecipi di ciò che le era successo, Flesia si era messa a raccontare in forma succinta l’increscioso episodio, che le era accaduto in precedenza, in una delle sue uscite insieme con la propria sorellina.

«Tre giorni or sono, condussi Clenina a visitare il tempio del divino Matarum, siccome ella me lo aveva chiesto con insistenza. All'uscita dal sacro edificio, fui avvicinata da un nobile a cavallo, il quale poteva avere una trentina d'anni. La mia sfortuna fu che, proprio un momento prima, la mia sorellina, essendo stata attratta da un abile giocoliere, lo aveva raggiunto in un attimo, piantandomi improvvisamente in asso. Allora il giovane cercò di convincermi ad andare a fargli compagnia nella sua villa di campagna, promettendomi in cambio un prezioso monile di perle e delle monete d'oro. Invece, se avessi rifiutato la sua proposta, avrebbe preso dei provvedimenti spiacevoli nei miei confronti. In quel caso, oltre a non regalarmi più le cose che mi aveva promesso, avrebbe perfino fatto del male ai miei familiari. Da parte mia, manifestandogli molto disprezzo, facevo di tutto per evitare il suo abbordaggio e le sue espressioni, le quali alcune volte si rivelavano di una trivialità ripugnante. Quando poi Clenina ritornò presso di me, l'importunatore smise di infastidirmi e si allontanò. Una mezzora dopo, però, proprio quando io e la mia sorellina eravamo giunte sul nostro uscio di casa, ci raggiunse lo sfrontato giovane con il suo cavallo, esclamandomi: “Mia cara bellezza, devi sapere che non so rinunciare a quanto ho deciso di possedere! Ti anticipo che ci rivedremo molto presto!” Dopo avermi parlato in quel modo, riprese la sua galoppata. Da quel giorno, pur di evitare di rincontrarlo, non ho più avuto la voglia di uscire di casa. Ecco: adesso vi ho riferito ogni cosa riguardante il mio spiacevole episodio!»

Avvenuta l'esposizione dei fatti da parte della figlia, circa il suo incontro avuto con il nobile sconosciuto, il padre si era dato ad urlare con quanta voce avesse. Ovviamente, con le sue urla aveva voluto soltanto imprecare come un ossesso contro colui che aveva importunato la figlia. Le sue grida erano state le seguenti: "Lo avevo detto io che il tentativo di ratto di mia figlia era tutt'opera di qualche signorotto prepotente! Mia figlia me lo ha attestato senza ombra di dubbio! Che il giusto Matarum distrugga la perversa razza dei nobili, facendola bruciare viva! È la morte che si meritano tutti quanti loro!"

Un momento dopo che c’era stata l'imprecazione dell'infuriato capofamiglia, era seguita la compassionevole e commovente lamentela della moglie Ucilla. La quale poi si era conclusa con il seguente accorato appello alla somma divinità dell’Edelcadia: "O celeste Matarum, lo sai che già patiamo l'indigenza. Dunque, perché dovremmo anche sopportare le prepotenze di chi, non pago di essere fornito di ogni bene possibile, vuole sadicamente divertirsi ad arrecare molestia alla povera gente? Se con molta pazienza rinunciamo alla ricchezza, altrettanto non intendiamo fare con l'onore. Per noi esso è sacro, perché alimenta il nostro coraggio di vivere! Quindi, dio giusto e buono, fai che la nostra casa non venga mai visitata dalla vergogna del disonore, proteggendo la mia povera figlia dalle mire voluttuose di quel nobile porco! Da questa sera, il mio animo non starà più tranquillo, ma sarà incessantemente tormentato dalla preoccupazione che la mia Flesia possa venirmi rapita, da un giorno all'altro. Quel vizioso briccone di nobile di sicuro farà nuovi tentativi di rapimento contro la mia povera figliola, fino a quando non l'avrà avuta nelle sue sporche grinfie e non l'avrà disonorata!" Al termine del suo sfogo personale con la divinità dell'Edelcadia, la donna prima si era abbracciata la figlia con amore e poi si era rivolta all’ospite, dicendogli:

«Questa sera ci hai soccorsi tu, generoso giovanotto. Ma domani, come pure negli altri giorni che seguiranno, chi ci offrirà il suo soccorso? La minaccia, come vedi, continuerà a pendere sulla nostra famiglia, in particolar modo sulla mia sventurata Flesia. Ella sarà costretta a barricarsi in casa, come se fosse una reclusa, pur senza aver commesso alcuna colpa! Inoltre, chi ci garantisce che, pur restando dentro casa, sarà ugualmente al sicuro? Quanto è successo stasera non ce lo assicura!»

«Ci sarò ancora io a difenderla, buona donna!» Godian l'aveva rassicurata «Perciò vi esorto a non demoralizzarvi per niente. Vi prometto che, anche se quel nobile dovesse essere il principe Verricio, non riuscirebbe mai a torcere un solo capello alla vostra Flesia. Io la proteggerò come se fosse una mia sorella e non permetterò a nessuno di arrecarle anche la minima offesa. Prima, però, vorrei essere certo che Flesia non è contraria alla mia protezione. Sapete, ella potrebbe essere innamorata del nobile, che ha tentato di sequestrarla! In quel caso, non so se farei bene a difenderla da lui.»

Allora la ragazza, facendosi tutta rossa in volto, si era indispettita. Quasi avesse ritenuto le sue parole un'autentica provocazione, ella aveva reagito, dicendogli:

«Io, innamorata di quel mascalzone? Neanche se fosse il principe ereditario di Actina! Ho giurato al divino Matarum che mai mi innamorerò di un nobile. Così sarà per sempre! Essendo io povera, aspiro a sposare un mio pari, cioè un giovane della mia stessa condizione sociale. Sì, valente mio salvatore, l'ultimo che sceglierei come mio sposo, fra tutti i giovani di Actina, sarebbe sicuramente il principe Godian, il primogenito del re Nortano! Perciò, con sommo gradimento, accetto la tua protezione, siccome essa proviene da un povero scavezzacollo, che è ricco solo di ardimento e di bontà. Mi devi promettere, però, che sarai sempre prudente e pondererai i pericoli, prima di affrontarli, poiché sento già di tenerci alla tua vita! Ora mi fai il favore di dirmi qual è il tuo nome, visto che il mio già lo conosci? In questo modo, potrò chiamarti con esso; potrò ripetermelo cento, mille volte e, perché no, anche all'infinito. Comunque, sempre dolcemente e sognandoti con somma gioia!»

«Il mio nome è Peg, mia dolcissima Flesia. Per tranquillizzarti, ti faccio solenne promessa che in avvenire sarò assai prudente nell'intraprendere le mie imprese temerarie. Adesso, prima che me ne ritorni a casa, voglio che tu sappia che mai le carezze materne mi hanno sfiorato così teneramente e mi hanno allietato così tanto, quanto lo hanno fatto le odierne tue soavi parole. Perciò te ne sono infinitamente grato!»

Dopo il principe Godian, augurata la buona notte alla ragazza e ai suoi familiari, se ne era ritornato celermente alla reggia, essendosi fatto più tardi del solito. Egli aveva dovuto anche giustificare il proprio ritardo ai suoi preoccupati genitori. Gli aveva riferito che, siccome il proprio cavallo si era azzoppato, non aveva potuto farlo andare al galoppo. Allora essi gli avevano creduto sulla parola e si erano pure tranquillizzati.

Nei giorni che erano seguiti, nessun malintenzionato si era rifatto vivo alla casa di Flesia, poiché l'erede al trono aveva preso delle precauzioni. Mentre di giorno c'era stato lui a vigilare sulla ragazza, di notte l'aveva fatta sorvegliare a vista da una dozzina di uomini avventurieri. Egli li aveva assoldati, fintantoché il nobile molestatore non si fosse scoperto, facendolo così arrestare. Durante la prima nottata, i genitori della ragazza si erano lasciati impressionare dall'insolito movimento di gente, la quale stranamente si era messa a circolare nei pressi della loro abitazione. Ma la mattina seguente il giovane li aveva tranquillizzati, facendogli presente che tali persone, siccome erano dei suoi amici fidati, stavano lì unicamente per vegliare su di loro e per vigilare che nessuno si permettesse di arrecare del male sia a Flesia che agli altri membri della sua famiglia.