219-FRANCIDE VIENE INCORONATO RE DI ACTINA

La regina Talinda, dopo che il figlio ebbe ucciso il prepotente zio Verricio, cercò di conoscerlo meglio con un'assidua frequentazione. Così le bastarono pochi giorni per avere la certezza che egli era preparato in ogni campo del sapere, oltre che essere un guerriero di grandissimo talento. Per questo dispose che si accelerassero i tempi della sua incoronazione, affinché la Città Santa avesse il suo legittimo sovrano. In verità, ella avrebbe voluto una cerimonia regale in pompa magna, cioè con festeggiamenti solenni e con l'invito esteso a tutti gli altri re dell'Edelcadia. Francide, da parte sua, si affrettò a raffreddare ogni suo entusiasmo iniziale. Per cui ci tenne a farle presente:

«Madre mia, voglio essere incoronato re di Actina senza né sfarzi né festeggiamenti alla grande, non vedendone la necessità. Anche perché non acconsentirei mai che gli altri sovrani dell'Edelcadia partecipassero alla cerimonia della mia incoronazione. Vuoi conoscerne il motivo? Nessuno di loro è degno di presenziare le mie nozze. Se prima ne eri all'oscuro, adesso sai come la penso in proposito! Quindi, è meglio che non se ne parli più, su vuoi farmi un favore.»

«Sul serio, figlio mio, non desideri invitare nessun sovrano edelcadico alla tua incoronazione? Neppure tuo nonno Edrio, che è il re di Stiaca? Egli sarebbe felicissimo di assistere alla cerimonia che dovrà incoronare sovrano della Città Santa il suo nipote materno! Mi dici perché li consideri indegni di prendere parte alla tua incoronazione, se neppure li conosci? Vorrei proprio sapere quando ti sei fatta una idea negativa nei loro confronti. Attendo la tua risposta, Francide mio!»

«Mi comporterò esattamente come ho detto, madre mia! Non farò eccezione per nessuno di loro, compreso il tuo genitore, anche se egli è mio nonno! Anzi, non desidero nemmeno vederli da lontano, poiché essi non meritano la mia stima e il mio rispetto. A tale riguardo, mi sono spiegato in modo chiarissimo. Perciò il discorso sulla mia incoronazione è chiuso, poiché essa avverrà come ti ho esplicitamente dichiarato!»

«Non comprendo questa tua presa di posizione, figlio mio. Vorrei almeno conoscere le ragioni di questo tuo atteggiamento, se mi è permesso chiedertelo. A mio parere, non conoscendoli, questa sarebbe l'occasione buona per fare la loro conoscenza: non ti pare?»

«Il motivo è molto semplice, mia cara genitrice. Essi, nessuno escluso, hanno sulla loro coscienza un comune misfatto deplorevole. Per questo è mia convinzione che, fino a quando l'onore avrà il medesimo valore che ha oggi, sarà sicuramente impossibile che la loro scelleratezza possa essere cancellata dalla memoria dei posteri! A questo punto, sai tutto sul perché non acconsentirò che tali scellerati regnanti senza onore partecipino alla solenne cerimonia che mi incoronerà re della Città Santa!»

«A dire il vero, figlio mio, non so ancora niente di niente in merito a tale motivo. Tu hai omesso di riferirmi il misfatto che addebiti agli altri sovrani e al mio genitore. Non credi di stare esagerando nei loro riguardi? Almeno vuoi giustificarmi con fatti concreti il tuo ostile atteggiamento verso di loro, che non riesco ancora a farmene una idea?»

«Non mi dire, madre, che sei all'oscuro del tradimento da loro perpetrato ai danni della città di Dorinda e del suo nobile re Cloronte. Gli sciagurati non esitarono a mostrarsi immemori di quanto suo padre, il defunto re Kodrun, aveva fatto per le loro rispettive città durante l'invasione dei Berieski. Così approfittarono della morte incidentale del re Amereto per scagliarsi come ingordi sciacalli contro il re dorindano e i suoi possedimenti. Presa poi a tradimento l'Invitta Città, essi la spogliarono delle sue ricchezze e ne smembrarono il regno per dividerselo. Infine costrinsero il re Cloronte e la consorte Elinnia a marcire in una cella di Dorinda, dove tuttora i poveretti si trovano a consumare la loro vita, come se fossero dei delinquenti comuni! Ti sembra davvero poco quanto di cui essi si macchiarono tanti anni addietro? Non lo credo affatto!»

«Quanto hai detto è tutto vero, figlio mio. A quel tempo, anch'io ne sentii parlare e ne deplorai l'ignominiosa vicenda, sebbene ad essa avesse partecipato anche mio padre. Eppure, fino a quel momento, lo avevo sempre considerato un uomo morigerato e timorato del dio Matarum, oltre che incapace di macchiarsi di una simile infamia! Non appena venni a conoscenza che pure il mio genitore aveva preso parte ad una ignominia del genere, me ne vergognai immensamente, figlio mio, quasi da morirne! Ma non potevo farci niente, pur stimando gravissima la sua colpa e quella degli altri sette sovrani correi!»

«Vedi, madre, che ho le mie ragioni a volere agire come ho deciso?»

«È proprio così, Francide. Adesso, al pari di te, anch'io penso che tutti loro si siano sempre portato addosso il marchio dell'infamia. Esso vi ci rimarrà incancellabile ed umiliante per l'intera loro esistenza! Perciò, ripensandoci bene, nobile figlio mio, non posso che condividere l'equanime decisione che hai preso contro di loro. Ma almeno al tuo popolo, il quale in questi lunghi anni è stato costretto a sopportare le angherie di tuo zio Verricio, non puoi negare la soddisfazione di festeggiarti con tutta la gioia e come il cuore gli detta. Ciascun tuo suddito vorrà partecipare alla solenne cerimonia della tua incoronazione con una felicità, la quale certamente esploderà in lui schietta, immensa e strepitosa! A mio parere, ciò glielo devi, se non ti dispiace, figlio mio!»

«Riflettendoci meglio, madre mia, non hai per niente torto, in merito al mio popolo. Se non altro, nel giorno che sarò incoronato re di Actina e negli altri giorni festivi che seguiranno, riuscirò a ravvisare sul volto dei miei sudditi le più calde effusioni di serenità e di spensieratezza. Dalle quali cose i poveretti sono stati tenuti lontani per lunghissimo tempo, per colpa del malvagio mio zio, che ha pensato solo a tartassarlo.»

Essendo d'accordo anche il figlio, l'indomani, tramite il banditore reale, la regina Talinda fece annunciare in tutta Actina che ella abdicava in favore del figlio Francide e che l'incoronazione del suo unigenito sarebbe avvenuta al termine dei festeggiamenti in onore del dio Matarum. Insieme a tale annuncio, ella fece comunicare ai suoi sudditi che, per l'occasione, sarebbero stati indetti altri festeggiamenti, improntati questa volta alla più pretta laicità. Essi sarebbero durati altri trenta giorni ed avrebbero permesso ad ogni Actinese di divertirsi un mondo, dedicandosi a luculliani banchetti e a giochi divertenti. Questo era il suo volere e così sarebbe stato! Le tre belle notizie, cioè l'abdicazione della regina, l'incoronazione del figlio Francide e l'indizione dei nuovi allegri festeggiamenti, essendovi state propalate dai banditori reali a suon di tube e di tamburi, in breve tempo dilagarono in tutta la Città Santa. Anzi, esse si diffusero rapidamente per l'intero reame ed oltrepassarono perfino i suoi confini, pervenendo pure negli altri regni.


Quando mancavano soltanto tre giorni all'incoronazione del principe Francide, repentinamente e senza preavviso, l'ottantenne suo nonno Edrio, il quale era re di Stiaca, fece il suo ingresso in Actina con il suo fastoso seguito. Egli, dopo essere pervenuto alla reggia, si fece condurre dalla regina e da suo figlio, mostrandosi molto risentito per il mancato invito da parte di suo nipote. Perciò incominciò a lamentarsi con entrambi, dicendogli alquanto risentito:

«Vorrei sapere da voi, che siete mia figlia e mio nipote, perché mai mi si è mancato di rispetto da parte vostra. In che modo? Estromettendomi deliberatamente dalla cerimonia di incoronazione del mio ritrovato nipote Francide. Uno di voi due è forse adirato contro di me, se ha deciso di farmi un torto così grande? Se non chiedo troppo, vuole l'una oppure l'altro riferirmi anche le ragioni del suo sdegno verso la mia persona?»

«La risposta è molto semplice, nonno.» gli rispose Francide «Il dio Matarum, il quale è contrario ad ogni tipo di iniquità, eccettuato il deposto re Cloronte, non vuole nella sua città nessun altro dei sovrani dell'Edelcadia, non essendo essi degni di entrarvi e di prendere parte sia all'odierna cerimonia della mia incoronazione sia a quella futura delle mie nozze! Ti basta questo a giustificare l'omesso invito alla tua persona?»

«Per quale ragione l'eccelsa divinità non dovrebbe volerci nella città a lui consacrata, mio caro Francide? Tu parli come se ci fossimo tutti macchiati di chissà quale orrendo delitto! Parlando poi personalmente di me, non mi risulta di averne commesso qualcuno di una gravità tale, da essere considerato imperdonabile! Nel caso poi che tu fossi di parere avverso, nipote mio, ti sfido a dimostramelo!»

«Hai dimenticato, nonno, il vostro proditorio assalto alla città di Dorinda? Tu e gli altri re edelcadici tuoi alleati, dopo la presa della città, infieriste anche vigliaccamente contro il suo magnanimo re Cloronte. Perciò non posso che manifestare disistima e disprezzo nei confronti dei sette sovrani che vi presero parte, per un loro turpe tornaconto!»

Le affermazioni del nipote, con le quali egli gli aveva rinfacciato ciò che non poteva essere negato, misero in grande difficoltà il confuso re Edrio. Ma poi il sovrano stiachese, volendo giustificare in qualche modo comprensibile il loro vergognoso operato di tanto tempo addietro, cercò di scusarsi nella seguente maniera:

«Devi sapere, Francide, che il figlio del glorioso re Kodrun voleva farci uccidere tutti, come già aveva fatto ammazzare il re Amereto. Allora noi, avendolo previsto in tempo, fummo costretti a fare quello che egli avrebbe fatto a noi, se non lo avessimo anticipato nell'intento. Altrimenti, per niente al mondo, mi sarei unito agli altri re edelcadici!»

«Invece questa fu solamente una vostra giustificazione fasulla, nonno! Ognuno di voi, in vista di un pingue bottino, si rifiutò di intravedere, nella proposta del giovane principe Cotuldo, il vituperoso marciume che la sorreggeva! Infatti, il re Amereto era stato ucciso per sbaglio dal settenne terzogenito del re Cloronte; ma il ragazzo subito dopo ebbe paura di confessare la propria colpa al disperato genitore!»

A tale notizia del nipote, che gli giungeva del tutto nuova, il re Edrio si irritò e si trasfigurò in volto per lo sdegno. Ma dopo un breve silenzio, non sapendo come giustificarsi, si rivolse alla figlia, chiedendole:

«Anche tu, Talinda, sei della stessa opinione di tuo figlio? Oppure ti dissoci da lui? Io non mi considero niente affatto colpevole, poiché il principe Cotuldo allora ci fece credere tutt'altra verità, senza farci sospettare della sua malafede! Così decidemmo di andare incontro al suo dolore, il quale in quel momento ci apparve assai verace!»

«Certo, padre mio, che la penso anch'io come il mio retto Francide!» gli rispose la figlia «Egli è nel giusto, mentre tu sei nel torto. A quel tempo, tutti i re dell'Edelcadia, fatta eccezione di mio suocero re Nortano, coalizzandosi contro il re Cloronte, si giocarono la loro dignità di uomo, prima ancora di quella di sovrano. Cercare poi oggi di far ricadere la colpa dei propri errori interamente sul re Cotuldo mi sembra una indubbia pretesa spropositata e stolta! Invece dovevate essere voi re maturi a decidere saggiamente, senza farvi influenzare da un giovane scapestrato e coinvolgere da lui nei suoi progetti folli e vituperosi. Ecco perché mio figlio ha fatto bene a non invitarvi in toto alla cerimonia della sua incoronazione. Anch'io sono convinta che egli, con il suo giusto atteggiamento, ha interpretato il volere del dio Matarum!»

«Figlia mia irrispettosa, poiché tu e tuo figlio fate leva sul volere della massima divinità dell'Edelcadia, allo scopo di far valere le vostre ragioni, mi comporterò alla vostra stessa maniera. Così vi dimostrerò che la sua volontà è ben altra, ossia che io resti in Actina a presenziare l'incoronazione di mio nipote, anche se è maldisposto nei miei confronti!»

«In quale modo, padre mio, potrai darci la dimostrazione di quanto affermi, se è lecito saperlo?» trasecolata, gli domandò la figlia Talinda «Ma se ci tieni a conoscere il mio pensiero in merito, non sono affatto convinta che tu potrai dimostrarcelo, come affermi!»

«Ve ne darò la dimostrazione attraverso l'ordalia, figlia mia! Solo così conosceremo il vero giudizio del divino Matarum su di me! Se sarò riconosciuto da lui colpevole, me ne ripartirò alla volta della mia Stiaca; altrimenti, mio nipote dovrà accogliermi come ospite gradito durante la sua incoronazione. Inoltre, dovrà accettare i miei doni, i quali sono quelli di un nonno molto premuroso. Da lui non esigerò neanche le dovute scuse, per avermi insultato molto aspramente un momento fa!»

«Ne hai il pieno diritto, nonno!» gli diede ragione Francide «Ma mi manifesti che cosa proponi come prova ordalica, la quale dovrebbe accusarti oppure scagionarti dalle tue colpe del passato? Avanti, sei pregato di farcelo sapere! Così dopo valuteremo con senso di giustizia la tua proposta e ti daremo anche una risposta immediata!»

«Nipote mio, propongo un combattimento ad armi pari tra il mio campione e il tuo, ammesso che tu abbia già avuto il tempo di scegliertene qualcuno fra i tuoi soldati. In caso contrario, potrai sempre cercartene uno fra di loro, attraverso un proclama a tale scopo. Vedrai che se ne presenteranno parecchi, quasi come nugoli di mosche, per essere insigniti da te di tale titolo onorevole! Mi sai dire a quale guerriero intrepido non piacerebbe fare da campione al proprio sovrano? Ti do io la risposta, Francide: a nessuno! Perciò comincia a scegliertelo!»

«Non ho bisogno di ricorrere ad alcun campione che combatta per me, nonno, se ci tieni a saperlo! Invece sarò io stesso a scendere in lizza contro il tuo gaglioffo campione, avendo tanto il coraggio quanto la preparazione per sconfiggerlo! Ti sta bene come ho detto oppure non sei affatto d'accordo con questa mia decisione?»

«Mi dispiace, nipote mio; ma non posso accettare. Sono venuto nella Città Santa per assistere alla tua incoronazione e non al tuo funerale! Sappi che il mio Oltrus ha già disputato più di un centinaio di scontri e ne è uscito ogni volta sempre imbattuto. Come vedi, egli ha al suo attivo più di cento vittorie. Se vuoi conoscere il mio parere, egli ti farebbe a pezzettini in pochissimo tempo, se tu osassi misurarti con lui! Per questo ti invito a metterti già alla ricerca, tra i tuoi valorosi soldati, di un vero campione, il quale sia in grado di affrontare quello mio nel pomeriggio di domani. A tale riguardo, ti suggerisco di non indugiare parecchio nel cercartelo, poiché il tempo stringe! Mi sono spiegato?»

Francide, simulando una tremarella, non si astenne dal rispondergli:

«Lo sai che mi hai spaventato a morte, nonno? Ho l'impressione che ti debba anche ringraziare, per avermi messo al corrente del rischio che avrei potuto correre, affrontando personalmente il tuo fortissimo campione! Ma soprattutto devo esserti molto riconoscente, per avermi fatto comprendere che è più conveniente far rischiare a qualcun altro la pelle, al posto mio! Ti ringrazio di cuore, per il tuo ottimo suggerimento!»

Ovviamente, la madre Talinda aveva compreso all'istante che il figlio stava celiando, mentre rispondeva al nonno, anche se a sua insaputa. Ella, alcuni giorni prima, aveva avuto modo di conoscere di persona il suo altissimo valore di combattente e la sua insuperabile perizia d'armi.

In quello stesso giorno, prima del calare del tramonto, a mezzo di un bando, il popolo di Actina fu messo al corrente dell'ordalia invocata dal re Edrio. Esso conobbe anche i motivi che avevano spinto il padre della regina ad invocarla. Ma fu soprattutto messo a conoscenza delle modalità del suo svolgimento, dell'ora e del posto, in cui la prova ordalica si sarebbe dovuta svolgere. Essa avrebbe avuto luogo il pomeriggio del giorno precedente l'incoronazione del principe. Invece lo scontro fra i due contendenti si sarebbe disputato sull'amplissimo spiazzo che si estendeva davanti al tempio. La scelta di quel posto era dovuta al fatto che la tenzone assumeva un carattere sacro. Il popolo, infatti, era convinto che nell'ordalia era l'intervento del dio Matarum a decidere delle sorti del combattimento, favorendo il combattente che stava nel giusto.


Nelle prime ore pomeridiane del giorno in cui era stato stabilito il previsto evento ordalico, lo spiazzo sopracitato presentava una sua area rettangolare transennata. Essa era lunga cento metri e larga trenta; inoltre, su uno dei suoi lati, era stata costruita la tribuna d'onore, la quale era riservata ai regnanti e ai notabili della città. Alla destra della regina Talinda, la quale aveva fatto sapere che avrebbe abdicato l'indomani, sarebbe dovuto sedersi il figlio Francide; invece vi aveva preso posto l'amico Iveonte. La sovrana di Actina, però, giustificò l'assenza del futuro re sia al padre che al suo popolo. Infatti, fece presente che essa era dovuta esclusivamente a un improvviso malore, da cui era rimasto colpito il figlio poco prima della prova ordalica. In riferimento al malessere del nipote, il re di Stiaca, volendo scherzarci sopra, non si astenne dal chiedere alla figlia:

«A tuo figlio, Talinda, non farà mica impressione la vista del sangue?! Se la sua assenza fosse imputabile ad una emofobia, riterrei che egli abbia uno stomaco assai delicato. La qual cosa giustificherebbe la sua intolleranza verso il sangue. Ma in quel caso, ne dedurrei pure che mio nipote non abbia preso per niente dal suo genitore, il formidabile re Godian. Egli dimostrava davvero di essere fatto di tutt'altra tempra!»

«È proprio come hai detto, illustre re Edrio!» interloquì allora Iveonte «Tra poco nell'agone sicuramente il sangue incomincerà a scorrere a rivoli dal corpo del tuo massacrato campione. Ti garantisco che egli sta per accingersi ad affrontare l'ultimo combattimento della sua vita! Perciò prepàrati a vederlo uscire da esso ben conciato, come non immagineresti mai, siccome le ferite abbonderanno sul suo fiaccato corpo!»

L'intervento di Iveonte instillò nel vecchio sovrano di Stiaca un cocente malumore, il quale lo fece adirare moltissimo. Anzi, esso lo indispettì a tal punto nel suo orgoglio, da farlo reagire subito nei riguardi del suo giovane interlocutore sconosciuto. Perciò si diede a dirgli:

«Vorrei sapere tu chi sei, per parlarmi come hai fatto adesso, giovane sfrontato! Ben presto tutti vedranno quale spettacolo saprà dare sul campo il mio Oltrus! Egli è stato sempre imbattibile e continuerà a restare tale anche nell'odierno combattimento! Perciò sarà lui a dare origine a rivoli di sangue, il quale non potrà essere che quello del suo rivale! Ti do la mia parola che tra poco sarà come ho detto!»

Allora la figlia Talinda, che fino all'indomani era ancora da considerarsi la regina di Actina, intervenne immediatamente a smorzare sul nascere quella che si prevedeva una lunga ed accesa polemica tra i due contendenti. Perciò, prima che lo facesse il compagno del figlio, fu lei a rispondere al padre, parlandogli nel modo seguente:

«Visto che il giovane Iveonte è l'amico fraterno del mio Francide, non trovi normale, padre mio, che egli abbia voluto prendere le difese del suo campione? Inoltre, anche tutti gli Actinesi, che oggi sono qui presenti, tra poco tiferanno per il loro concittadino. Dovresti saperlo che il tifo spesso fa sragionare da entrambe le tifoserie, poiché questa è l'assurda ed incomprensibile legge dell'agone!»

«Hai proprio ragione, figlia mia, e ti do atto che hai parlato saggiamente. D'altronde, sono stato io a fare per primo la mia parte di tifo gonfiato e caricato, a favore del mio campione! Dunque, devo fare le mie scuse al migliore amico di tuo figlio. Egli ha soltanto voluto prendere le difese di colui che tra poco rappresenterà mio nipote.»

La nobildonna era appena riuscita nel suo intento, allorquando si presentarono sul campo i due cavalieri, che si dovevano affrontare in singolar tenzone. Entrambi cavalcavano un cavallo bardato ed indossavano un'armatura leggera provvista di celata, la quale non faceva apparire il volto dei due sfidanti. Essi, oltre ad essere armati di tutto punto, imbracciavano uno scudo con umbone e sorreggevano una lunga lancia da torneo. I due campioni, dopo essersi avvicinati alla tribuna e dopo aver rivolto il loro saluto a quanti la occupavano, andarono a collocarsi ciascuno alla propria estremità del campo di lotta. In quel luogo, essi attesero poi che il suono delle tube desse il via allo scontro, il quale, come la legge ordalica imponeva, era previsto all'ultimo sangue.

Quando infine le tube si misero a squillare, per ordine della sovrana di Actina, l'uno e l'altro cavaliere si scagliarono con la lancia in resta contro il proprio avversario, allo scopo di sbalzarlo da cavallo. Ma all'incrociarsi delle lance che andarono a spezzarsi sugli opposti scudi imbracciati dai cavalieri, ci fu uno scontro violento e rovinoso. Allora i due cavalli, adombrandosi, si inalberarono paurosamente. Comportandosi in quel modo, le due bestie prima disarcionarono i rispettivi cavalieri e poi si allontanarono, come se fossero stati due fulmini, ovviamente ciascuna per proprio conto. Una volta che i due sfidanti si furono rialzati da terra, senza che nessuno di loro avesse riportato qualche ferita grave nella caduta, il cavaliere actinese mise mano alla spada, mentre quello stiachese diede di piglio al mazzafrusto. Così, dall'una e dall'altra parte, iniziarono a diluviare dei colpi tremendi ed insistenti, i quali andavano a ridurre in rottami i due scudi che tentavano di pararli ad ogni costo.

Combattendosi poi in quella maniera, ad un certo punto, la catena dell'arma del campione stiachese si avvoltolò intorno alla lama della spada del campione actinese. Da entrambe le parti, quindi, si cercò di approfittarne per disarmare l'avversario, imprimendo sulla propria arma una forza tirante. Alla fine, però, fu chi impugnava la spada ad averla vinta. Egli, dopo aver sottratto di mano all'avversario il mazzafrusto, con la sua stessa arma, maneggiata nel modo giusto, glielo lanciò a parecchi metri di distanza. Agendo in quel modo, obbligò pure il suo avversario ad armarsi di spada, tra le acclamazioni della folla applaudente. Quando i due campioni poco dopo ebbero dato inizio al nuovo tipo di combattimento, il re Edrio si andò convincendo che il rivale del suo Oltrus era davvero altrettanto formidabile.

Da parte sua, il popolo di Actina non poté fare a meno di chiedersi chi fosse mai il rappresentante del suo futuro sovrano. Intanto che esaltava la sua bravura e se ne infervorava, esso si dispiaceva che il principe Francide non era presente allo scontro ad ammirare la prodigiosa valentia del suo campione. Quest'ultimo, da quando la contesa era proseguita con le sole spade, senza neppure gli scudi che erano stati buttati via totalmente sfasciati, dominava egregiamente la situazione ed andava imponendo al rivale la sua indiscussa supremazia. A volte lo incalzava con un rovescio di colpi, che lo facevano barcollare e trepidare; altre volte, invece, gli concedeva un po' di respiro, non volendo farlo stramazzare subito al suolo. Ma era esattamente nelle pause di rilassamento che il duellante actinese, una dopo l'altra, andava togliendo di dosso a quello stiachese le singole parti dell'armatura. Con colpi magistrali ben diretti, ora gli sottraeva una gambiera, ora gli faceva volare via una ginocchiera; ora lo privava di un cosciale, ora lo spogliava di un bracciale; ora gli sottraeva uno spallaccio, ora gli faceva cadere una manopola; ora lo lasciava senza una cubitiera, ora gli strappava la panciera. Soltanto alla fine il guerriero di Actina passò a demolirgli la celata. A quel punto, si videro volare dal capo nascosto dell'avversario la gorgiera, la ventaglia, la cresta, il coppo e la vista. Mentre operava simili acrobazie di svestimento, mettendo in ridicolo l'avversario, il campione actinese divertiva sé medesimo e faceva divagare i suoi concittadini presenti alla prova ordalica. Invece non ci trovava gusto il vecchio sovrano di Stiaca. Egli per la prima volta scorgeva il suo campione crollare davanti alla superiorità del rivale e venire da lui trattato come un vieto ed inutile rottame. Talune volte lo costringeva a barcollare sotto i suoi colpi possenti e a mordere con disonore la polvere che aveva sotto i piedi!

Svolgendosi in quella maniera il combattimento, il re Edrio riconobbe con imparzialità la bravura indiscussa del campione actinese, il quale continuava a stupirlo e non ebbe difficoltà a riconoscerlo. Per cui si affrettò ad esclamare all'amico del nipote:

«Volendo essere obiettivo, Iveonte, devo ammettere che, dei due opposti giudizi da noi espressi poco fa sui due contendenti, era senz'altro il mio quello errato. Perciò non posso che chiederti nuovamente scusa per il mio precedente risentimento nei tuoi confronti. Mi sono anche accorto che il combattimento sta andando avanti solo per la generosità del campione di Francide, il quale ha già risparmiato cinque volte quello mio. Quando lo scontro sarà terminato, prima che io lasci Actina, dal momento che è questa la volontà del dio Matarum, vorrei tanto che quell'eccellente uomo d'armi mi venisse presentato. Sappi che ci tengo a congratularmi con lui e ad esprimergli la mia più grande stima! Il motivo? Io sono abituato ad onorare sempre i grandi campioni, anche se essi si trovano a combattere dall'altra parte della barricata!»

«Invece, padre, non ci sarà bisogno di presentartelo,» interloquì la figlia Talinda «dal momento che già lo conosci benissimo! Se lo vuoi proprio sapere, si tratta precisamente di tuo nipote Francide! Egli, come hai potuto renderti conto in questa circostanza, è senz'altro molto in gamba; anzi, più di quanto lo era il padre!»

All'inattesa rivelazione di sua figlia, il re Edrio si stupì e si emozionò tantissimo. Quasi non riusciva a crederci! Egli non aveva mai visto un guerriero tanto forte, quanto si stava dimostrando il nipote. Il quale, a suo giudizio, davvero aveva superato anche la bravura paterna. Ma poco dopo, con una punta di orgoglio, esclamò:

«Francide è proprio degno del suo genitore! Ad ogni modo, se ho visto bene, direi che egli lo abbia perfino superato, a quanto pare! Ti ricordi, figlia mia, quando Godian ci liberò da quella banda di predoni? Certo che sì, perché fu in tale circostanza che lo conoscesti e te ne innamorasti follemente, fino a sposartelo dopo brevissimo tempo!»

«Come potrei dimenticarlo, padre mio!? Accanto a lui, la mia vita cambiò radicalmente!» gli rispose la figlia, facendosi prendere da una commozione incredibile. Nello stesso tempo, però, ella si rattristò alquanto nei suoi cupi occhi, che volevano quasi mettersi a lacrimare!

Poco dopo Francide, avendo deciso che la prova ordalica risultasse incruenta, passò a disarmare il suo avversario per l'ultima volta. Avvenuta la qual cosa, egli rinfoderò la spada, si scoprì il capo e si diresse verso la tribuna d'onore. Allora Oltrus, approfittando che il giovane rivale gli voltava il tergo, subito si rialzò da terra. Poi, raccolta in un attimo la sua spada, vigliaccamente tentò di aggredirlo e colpirlo alla schiena. Ma di quella vigliaccata, più che le grida sdegnose di protesta dei suoi concittadini, fu la lunga ed avanzante ombra dell'avversario a mettere Francide al corrente del vile tentativo di Oltrus. Egli, scorgendola allungarsi dietro di lui, fino a raggiungerlo, si rese conto di ciò che stava avvenendo alle sue spalle. Quando poi essa lo superò, gli fece intuire le imminenti mosse del campione stiachese. Allora si voltò indietro per infliggergli la punizione che si meritava. Come notava, la sua longanimità nel fargli grazia della vita non era servita a niente. Vedendolo poi agguerrito ed aggressivo, nonché intenzionato a trafiggerlo con spietatezza, il futuro re di Actina non si scompose; né ricorse alla sua spada per far fronte alla malvagia aggressione dell'avversario. Fra la grande meraviglia degli Actinesi presenti e la viva trepidazione di sua madre e di suo nonno, egli se ne restò ad attenderlo, stando con le braccia conserte. Quando poi l'avversario gli sferrò il colpo brutale, convinto che esso sarebbe stato risolutore e conclusivo, il giovane Francide, manifestando una grande perizia nella lotta, lo accolse con un rapido susseguirsi di tecniche e di azioni imprendibili. Naturalmente, egli aveva potuto eseguirle, grazie alla sua alta professionalità nelle arti marziali. Le quali, dopo avergli fatto disarmare e scaraventare per terra il suo aggressore, finirono poi per fare trovare quest'ultimo con la testa fra le sue gambe. I due arti inferiori, a loro volta, operando in successione prima una forte stretta e poi un brusco strappo, gli spezzarono l'osso del collo e lo fulminarono sul colpo. Questa volta il principe Francide aveva agito contro il suo avversario senza alcuna pietà. Comunque, dopo essersi rialzato da terra, egli, tra le interminabili ovazioni del pubblico, raggiunse la tribuna, da dove provenivano anche gli applausi e le effusioni di ammirazione.

Da parte sua, la madre Talinda, accogliendolo con grande orgoglio tra le sue braccia allungate, volle abbracciarselo calorosamente. Anche suo nonno, mostrandosi pieno di entusiasmo, fece altrettanto verso il nipote. Ma poi volle aggiungergli a voce:

«Bravo, Francide, hai combattuto da insuperabile campione! Il popolo di Actina potrà andar fiero di avere un re così in gamba, specialmente se ti dimostrerai altrettanto bravo nel governarlo! Da parte mia, rispettoso del risultato dell'ordalia, la quale è anche in linea con i tuoi espressi desideri, domattina, prima che abbia luogo la cerimonia della tua incoronazione, lascerò Actina con il mio seguito. Quanto ai miei doni, se li accetterai, ti permetterò di farne l'uso che riterrai più giusto. Potrai perfino regalarli alla tua gente più bisognosa, poiché non ho alcuna voglia di riportarmeli indietro a Stiaca. Anche perché, durante il viaggio, essi mi risulterebbero un peso ingombrante! Non lo credi pure tuo, nipote mio, che ho ragione, in merito a questa mia iniziativa?»

Messa dal nonno in quei termini la questione dei tanti suoi regali, alla fine Francide decise di accettarli, poiché dopo la sua incoronazione egli li avrebbe devoluti in beneficenza ai poveri della città. Secondo lui, elargendo alle persone più indigenti della Città Santa il loro controvalore in monete sonanti, egli le avrebbe rese felici come non mai, riscuotendo anche la loro sincera gratitudine, siccome essa sarebbe stata tantissima.

Incoronato re della Città Santa, Francide, come suo primo gesto, fece pervenire al suo popolo un proclama. Con esso gli annunciò che, con la morte del malvagio zio Verricio e con la propria incoronazione, ogni atto ingiusto ed ogni sopruso sarebbero cessati per sempre in Actina. Nel contempo, augurò a tutti loro pace e prosperità; ma anche si mostrò fiducioso che, in avvenire, lui e gli Actinesi avrebbero collaborato insieme nel conseguimento del benessere della loro città. Infine invitò la gente a festeggiare l'evento per tutto il tempo stabilito dal bando e a svagarsi in modo spensierato. In quella occasione, ammonì i suoi sudditi più facinorosi a non darsi a nessun tipo di violazioni, se non volevano essere perseguiti penalmente dalle giuste leggi vigenti.

Il popolo accolse con gioia l'invito del suo giovane sovrano e, rispettoso dei suoi ammonimenti, fece di tutto per non sgarrare in alcun modo nel turbinio delle sue effusioni di quei giorni festosi. Volendo essere un poco obiettivi, come si poteva sperare che nessuno trascendesse in quella occasione, nella quale si festeggiava con la massima euforia il loro retto ed amato sovrano?