218°-IL RAVVEDIMENTO DEL SACERDOTE DUMIO

Perché il gong del tempio, mentre Francide e Tionteo combattevano contro le guardie regie a servizio del principe Verricio, aveva iniziato a far sentire i suoi colpi allarmanti? Certamente, esso non si era messo a funzionare a caso e in modo martellante dall'alto del sacro edificio, facendosi sentire in tutta Dorinda! Una ragione c'era stata senz'altro, se di repente si era dato a farsi sentire a quell'ora del mattino! Perciò cerchiamo di capirci qualcosa in merito. Ebbene, nel tempio, alle prime luci dell'alba, mentre la sacerdotessa Retinia si recava nell'abaton, dove era solita andare a recitare le sue preghiere mattutine, era stata avvicinata da Dumio. Costui, che era uno dei sacerdoti più vecchi del dio Matarum, l'aveva fermata di proposito, ma non per augurarle una serena e splendida giornata, come era abituato a fare nei suoi riguardi ogni mattino. Al contrario, mostrandosi assai imbronciato, egli si era dato a dirle:

«Buongiorno, amica mia Retinia! Il dio Matarum ti preservi lo stesso dai morbi maligni, anche se non dovrei augurartelo, per non esserti fidata ciecamente di me, in un momento così delicato! Possibile che tratti in questo modo i tuoi veri amici, quelli che per te farebbero chissà cosa, pur di vederti sempre felice e lontana da ogni grave sventura?»

«Da dove ti viene quest'aspro linguaggio di primo mattino, carissimo Dumio? Dimmi: Hai forse fatto una indigestione di sonno questa notte, per cui adesso vieni a fare l’inacidito cervellotico con la tua preziosa amica? Sappi che ho sempre trattato con la massima stima e con grande affetto i miei amici. Tu dovresti saperlo benissimo già da molto tempo!»

«Magari fosse stato come dici, Retinia! Così le cose si sarebbero svolte assai diversamente! Invece, se lo vuoi sapere, per colpa tua e della regina Talinda, esse sono andate nel modo peggiore! A quanto pare, per te non conto più niente, se non hai voluto confidarti con me e parlarmi di fatti importanti! Se tu invece lo avessi fatto, come sarebbe stato tuo dovere farlo, tu e la tua amica sovrana non vi sareste messe nei guai in cui vi trovate oggi per vostra colpa. E che grossi guai!»

«Dumio, non sei mica un sonnambulo, per continuare a mostrarmi un dissapore ostinato, a quest'ora del giorno? Oppure è stato qualche tuo brutto sogno ad instillarti il pessimo umore, che in questo mattino ti ritrovi addosso e non smette di tenerti alla sua mercé? Per favore, mi dici a quali guai ti sei voluto riferire un attimo fa, a cui saremmo andate incontro la mia amica regina Talinda ed io? Dal momento che hai iniziato ad aprir bocca, continua a farlo, senza chiuderla fino alla fine!»

«Retinia, innanzitutto tengo a rammentarti che non sono affetto da nessun sonnambulismo e non ho fatto alcun sogno terribile, come tu hai supposto! Tra poco, però, ti obbligherò a non fare più la finta tonta con me, dopo che ti avrò riferito dei fatti che potranno solo dispiacerti. Ieri sera tardi, a tuo dispetto, sarei dovuto restarmene a letto per non sentire e per non vedere alcunché. Così un'altra volta avresti avuto più fiducia in me! È possibile che tratti in questo modo l'essere, che è il tuo migliore amico? Oppure ho sempre sbagliato a considerarmi tale? Nei tuoi confronti, invece, la mia amicizia si è sempre dimostrata profonda, sincera ed immutata. Inoltre, essa mi ha comportato dei doveri e degli obblighi, ai quali ho sempre fatto di tutto per non venir meno. Ma adesso che il guaio è stato combinato da te e dalla nostra sovrana, non so proprio che farci, siccome non può esserci uno sbocco alla vicenda! Mi dispiace per il poveretto principe; ma sarà proprio lui ad andarci di mezzo e a pagare la vostra leggerezza, rimettendoci forse perfino la vita. La qual cose, se si avvererà, sarà per colpa di voi due sprovvedute, che non avete saputo proteggerlo nella maniera giusta!»

«Allora, mio buon amico, alla fine ti decidi a parlare chiaro e tondo con me? Oppure vuoi tirarla alla lunga fino a stasera con questi tuoi sproloqui, i quali, a mio giudizio, non hanno né testa né coda? Dumio, se prima non ti sbottoni con me senza ricorrere a tante frasi vuote, mi dici come faccio a sapere in che modo avrei tradito la tua amicizia?»

«Retinia, perché non mi avevi riferito del ritorno del principe Francide, quando invece avresti dovuto parlarmene senza perdere tempo? Se tu lo avessi fatto, avrei potuto consigliarvi entrambe come sottrarlo alla malvagità del principe Verricio. Ma voi donne, ritenendovi più brave di me, avete voluto fare ogni cosa da sole! Perciò ecco i bei risultati che avete ottenuti con il vostro comportamento, il quale si è dimostrato unicamente a danno dell'erede al trono della nostra città!»

«Per amore del cielo, Dumio, dimmi a quali risultati ti stai riferendo! Cosa è successo al figlio della nostra regina? Grande amico mio, non farmi stare più sulle spine! Ho bisogno di sapere ogni cosa sulla vicenda inerente al nostro principe! In questo modo, si potrà trovare la giusta via d’uscita, che lo tragga fuori dal pericolo in cui si troverebbe adesso!»

«Non so nulla, mia cara Retinia, almeno per quanto attiene al principe Francide! Quel poco, di cui sono venuto a conoscenza stanotte, è ciò che mi sto affrettando a farti sapere con un mio succinto resoconto. Esso, come ne sono certo, potrà schiarirti meglio le idee! Perciò apri bene le orecchie e stammi ad ascoltare con la massima attenzione!»

Come è ovvio, pure noi verremo a conoscenza dei fatti che c’erano stati al tempio direttamente dalla bocca del vecchio sacerdote Dumio. Li apprenderemo, intanto che egli li racconta all'amica sacerdotessa, con una stringata esposizione.

"Ieri, sul fare della notte, il principe Verricio ha invitato tutti noi sacerdoti nei suoi alloggi privati, dove abbiamo banchettato fino a mezzanotte, essendoci state messe a disposizione pietanze in grande quantità, oltre che dei vini pregiati. Probabilmente, vi sono stato invitato per errore, essendogli sfuggite la mia grande amicizia con te e quella tua con la regina. Ebbene, al termine del convito, il principe ci ha fatto presente che Chione aveva da comunicarci qualcosa di molto importante. Così il Sommo dei Sacerdoti ci ha messi al corrente che il figlio della regina, non essendo stato ucciso tanti anni fa dall’ancella incaricata di farlo, era ritornato in città, allo scopo di vendicare il padre e di reclamare il trono di sua spettanza. Ma siccome già una volta avevamo decretato la morte del principino, schierandoci dalla parte del principe Verricio, adesso non potevamo tirarci indietro ed agire diversamente dall’altra volta. Perciò, se non volevamo correre dei seri pericoli, occorreva comportarci come tanti anni prima, acconsentendo di nuovo all'uccisione del principe ereditario. Bisognava, quindi, darne mandato quella notte stessa al secondogenito dell'estinto re Nortano, il quale non avrebbe avuto difficoltà alcuna a farla eseguire dai suoi gendarmi più fidati. Altrimenti le cose per noi si sarebbero potute mettere piuttosto male.

In merito a tale decisione, ti giuro, Retinia, che quel giorno, per motivi di salute, disertai tale concistoro, per cui non presi parte alla loro sporca congiura. Inoltre, in seguito neppure ne ero stato messo a conoscenza! Soltanto questa notte, grazie alla loro labile memoria, l’ho appresa per la prima volta! Adesso, andando avanti nel mio rapporto, sempre secondo il parere di Chione, se il figlio del defunto Godian non fosse stato messo a tacere per sempre, in seguito la nostra stessa incolumità sarebbe stata a rischio. Perciò, proponendoci l'eliminazione fisica del redivivo principe Francide (una proposta che ci è parsa davvero un autentico ordine), ci ha pregati di appoggiarla unanimemente. Dopo egli ha voluto perfino che la si mettesse ai voti. Così, com'era da prevedersi, essa è stata votata con il consenso di tutti, compreso il mio. Perciò, avendo la proposta del Sommo dei Sacerdoti ottenuto l'unanimità dei voti, il principe Verricio ne è apparso molto soddisfatto. Nello stesso tempo, si è assunto l'onere di portare a termine la missione, assicurandoci che durante la notte avrebbe fatto un lavoro pulito.

Ecco, come sono andati esattamente i fatti durante la scorsa nottata presso gli alloggi del cognato della regina, mia cara amica! Essi oramai non possono essere più cambiati in qualche modo né da te né da me né da nessun altro! Mi sono spiegato, Retinia, amica mia leale e fedele?"

Al termine del ragguaglio del vecchio sacerdote sulla vicenda di Francide, il quale l'aveva allarmata non poco, la sbigottita sacerdotessa gli si era espressa con le seguenti frasi:

«Quindi, Dumio, anche tu ti sei voluto macchiare dell'infame delitto di lesa maestà? Possibile che non ti sei ribellato all'orrendo delitto, opponendoti alla proposta di Chione? Ma come hai potuto tramare contro il legittimo re di Actina? Me lo vuoi spiegare, per favore?»

«Sai dirmi, Retinia, a cosa sarebbe valso il mio unico voto contrario? Naturalmente, a niente! Anzi, la mia opposizione mi avrebbe soltanto causato la disistima degli altri sacerdoti e l'inimicizia del principe Verricio. Ma ciò non mi sarebbe importato granché! Invece la mia preoccupazione era un'altra, che adesso ti faccio presente. Se mi fossi ribellato a tale proposta, il principe mi avrebbe fatto uccidere, prima ancora che fossi uscito dai suoi alloggi privati. Infatti, i suoi gendarmi erano lì per far fuori tutti quei sacerdoti che avrebbero dissentito dalla proposta dell'insigne Sommo dei Sacerdoti.»

«Possibile che il dio Matarum non abbia contato niente per tutti voi? Possibile che vi siate infischiati della sua collera e del suo castigo, senza temere neppure un poco l’una e l’altro? Dopo aver preso parte all'approvazione di un atto così esecrando, mio buon amico, il rimorso neanche a te riesce a rodere la coscienza e non te la fa tribolare in modo insopportabile? Avanti, rispondi senza il minimo indugio a queste mie domande e dimmi la verità, se hai il coraggio!»

«Certo che esso mi sta distruggendo l'animo, mia cara Retinia! È per questo che sono ricorsa a te. Tu soltanto puoi additarmi la via della redenzione e puoi aiutarmi ad espiare la mia gravissima colpa. Questa notte non sono riuscito a chiudere occhio; inoltre, delle orribili visioni mi si sono affollate nella mente. In essa, poi, le medesime si sono messe anche a volteggiare in una danza macabra e terrificante, rendendomi l’esistenza che peggio non si poteva! Dunque, suggeriscimi tu cosa devo fare, allo scopo di riuscire a riscattarmi dal peccato, in modo da regolare ogni pendenza verso la nostra illustre divinità. Ti prometto che ti ubbidirò immediatamente, dopo che me lo avrai indicato!»

«Il tuo ravvedimento, Dumio, va già considerato un primo passo verso la redenzione. Se poi mi darai una mano a salvare il futuro re di Actina, alla fine ti garantisco che ti sarai affrancato completamente dalla colpa, della quale ti sei macchiato questa notte. Prima, però, voglio apprendere da te chi è stato ad avvertire il principe Verricio dell'esistenza di Francide e del suo imprevisto arrivo nella nostra Città Santa.»

«Credo di avertelo già accennato prima, Retinia. È stata l’ancella Urtesia ad avvertirlo, subito dopo che vi ha lasciate. Ma la donna sventurata è andata incontro alla pena che si meritava, poco dopo aver spiattellato al principe ogni cosa, di cui era venuta a conoscenza da te e dalla nostra sovrana. Sono stati due sicari del principe Verricio a sopprimerla senza alcuna pietà nel patio della reggia, dove la sciagurata attendeva di ricevere la ricompensa che l'infido principe le aveva promessa.»

«Soltanto adesso, Dumio, comprendo il motivo della morte di Urtesia! Eppure a corte essa è stata fatta passare come un delitto misterioso a sfondo passionale! Adesso, però, mio grandissimo amico, vai avanti a fare le tue considerazioni sulla vicenda del nostro principe, sperando che da te ne vengano delle ottime per lui, poiché egli ne ha davvero un gran bisogno! Noi non possiamo permetterci di perderlo di nuovo!»

«A questo proposito, Retinia, prima devo fare un appunto sia a te che alla sovrana. Non ti sembra che tu e la regina abbiate peccato di troppa leggerezza? Dopo che Urtesia vi aveva raccontato ogni cosa del suo lungo viaggio intrapreso con l'obiettivo di uccidere il principino, dovevate congedarla all’istante. Invece l’avete fatta restare insieme con voi, anche mentre ti facevi inondare dal dio e ricevevi da lui il dono di poter guardare a distanza, sia nel tempo che nello spazio. In tal modo, ella è venuta a sapere sul principe Francide quanto non doveva, per cui subito dopo è corsa a riferire allo zio Verricio ciò che aveva appreso da voi. L’incauta delatrice lo aveva pure messo al corrente che stamani all’alba il principe Francide sarebbe stato accompagnato a corte da Tionteo, il comandante della Milizia della Regina, per ordine di sua madre.»

«Hai ragione, Dumio, il nostro è stato un madornale errore, che non avremmo dovuto commettere. Per colpa del quale, stiamo mettendo a rischio l'incolumità della persona, alla quale teniamo di più al mondo! Stando così le cose, possiamo soltanto sperare che siamo ancora in tempo per salvarlo dallo zio fratricida. Altrimenti, la sua uccisione farà anche morire di crepacuore la mia amica regina Talinda!»

«Con la sua delazione, però, mia cara Retinia, l'ancella si è data la zappa sui piedi. Anziché guadagnarsi la lauta somma di denaro chiesta al principe Verricio, la megera ha danneggiato prima sé stessa e poi il principe Francide. Alla fine, essendosi cacciata nei guai con le proprie mani, palesando di non essere riuscita ad uccidere il principino, ella non è potuta scampare alla morte. Urtesia è stata la prima vittima di una lunga catena di morti sicure, ossia di quelle che il divino Matarum vorrà far seguire a danno degli oppositori del figlio della regina. Perciò ti faccio presente che se ne conteranno molte altre!»

«Povera sciocca! Il tradimento, quindi, le è costato la vita! Per fortuna, Dumio, ci sono gli uomini di Tionteo a proteggere il nostro principe Francide. Essi saranno in grado di difenderlo degnamente contro gli ingenti gendarmi del cognato della regina! Così tutto si appianerà e le cose evolveranno a favore dell’erede al trono di Actina!»

«Invece ho timore, Retinia, che essi non potranno fare niente per il figlio della sovrana. Nel frattempo, come ho appreso, lo scaltro principe Verricio non se n'è restato con le mani in mano, pur di riuscire nel suo maligno piano! Ecco quanto dovresti sapere!»

«Che cosa intendi dire con ciò, Dumio!? Prima non mi avevi parlato per nulla di tale particolare! Per questo sei pregato di chiarirmelo adesso, dal momento che hai accennato ad esso con una certa preoccupazione, la quale mi sta spaventando tantissimo!»

«Volevo farti presente che le porte dell’alloggio della Milizia della Regina sono state serrate con cura dall’esterno, per ordine del principe Verricio. Per la quale ragione, i militi non potranno intervenire per recare il loro aiuto all’unigenito della regina Talinda e per metterlo in salvo dai suoi numerosi nemici. Adesso ti è chiaro anche questo particolare, amica mia? A questo punto, non so a cosa pensare per trarlo in salvo!»

«Se credi che il principe Francide sarà ucciso, Dumio, sappi allora che la volontà del divino Matarum è ben altra! L’eccelso dio lo ha destinato ad altri più gloriosi traguardi e non a morire miseramente per mano di uno sporco fratricida! Per questo ciascuno di noi è chiamato a fare da tramite, perché ciò si realizzi. Adesso il tuo compito è quello di salire di corsa sul tempio. Una volta lassù, raggiungi la guardiola dove si trova l’enorme gong e mettiti a dare sulla sonora lastra metallica insistenti colpi di allarme. Lo farai, fino a quando le tue forze te lo consentiranno. Invece io ho un’altra missione da compiere altrove. Devo affrettarmi a portarla a termine al più presto, se voglio fare in modo che essa abbia un’ottima riuscita! Dunque, diamoci da fare, amico mio!»

Così dicendo, la sacerdotessa si era lanciata come una saetta fuori del tempio, senza neppure salutare il sacerdote. Una volta all'esterno del luogo sacro, si era impadronita del proprio cavallo e si era data a correre a gran velocità per le vie di Actina. Ma qual era la missione di Retinia, alla quale ella intendeva dare la precedenza assoluta, considerandola della massima importanza? Naturalmente, seguendo la religiosa nella folle corsa che ha appena intrapresa, verremo a saperlo pure noi.


Come già abbiamo avuto modo di apprenderlo, quando la sacerdotessa si era fatta ispirare dal dio Matarum, al fine di rintracciare nel tempo e nello spazio le varie fasi dell’esistenza di Francide, ella era venuta a conoscenza che uno dei due amici del figlio della regina di sicuro era protetto da qualche essere divino. Altrimenti non era possibile spiegarsi il fatto che egli fosse fornito di una spada e di un anello che si rivelavano opere attribuibili unicamente ad una divinità. La quale doveva essere di alto rango, se riusciva a celarsi perfino ad un dio, come il protettore di Actina! Ella se ne era convinta senza dubbio. Dunque, chi meglio di lui era idoneo a trarre dai guai il suo amico, che ora risultava essere il principe ereditario? A suo parere, neanche una intera armata sarebbe riuscita a spuntarla contro di lui! Ecco perché immediatamente bisognava metterlo al corrente della brutta situazione in cui si trovava l’amico e farlo precipitare in suo soccorso.

Quando Retinia si era trovata all’esterno del tempio, nelle strade già si erano cominciati a sentire i primi colpi di quell’echeggiante strumento rumoroso. I cui effetti, in un batter d’occhio, erano venuti a mettere la città in grande subbuglio e in un’ansia terribile. Perciò la gente era stata scorta accorrere da ogni parte in direzione del tempio, intanto che tutti si andavano domandando il perché di quell’allarme a quell’ora del mattino. Esso li aveva spinti a buttarsi subito dal letto, dopo averli inchiodati ad una grande apprensione. Il popolo di Actina, all’inizio a piccoli gruppi e in seguito in folte schiere, si era affrettato ad avviarsi verso la sacra costruzione per pervenirvi prima possibile. Dopo averla raggiunta, la folla avrebbe preteso di essere messa al corrente di ciò che stava realmente succedendo. Così più erano passati i minuti, più gli Actinesi erano stati presi da una certa frenesia di conoscere la verità, la quale si era fatta accompagnare da varie manifestazioni fobiche.

Qualche tempo dopo, invece, le stesse persone, dirigendosi verso la prestigiosa dimora del dio Matarum, erano state viste chiassare, agitarsi, delirare e darsi a spettacoli di piazza, i quali avevano rasentato la follia. A volte i loro gesti farneticanti avevano perfino minacciato persone ignote ed imprecato contro di loro. Altre volte, invece, tali espressioni scorrette erano scemate di aggressività e si erano alquanto ammorbidite, fino a spegnersi totalmente, da parte di chi vi ricorreva. Infatti, in ognuno di loro dominava la palese ignoranza di ciò che stava accadendo in una parte ignota della loro città.

Allora la sacerdotessa Retinia, la quale si era data a cavalcare a spron battuto, spingendo la sua bestia ad una corsa forsennata, facendola quasi volare, per le strade semideserte di Actina, era apparsa una vera freccia, tanto velocemente correva! Probabilmente, qualcuno di facile suggestionabilità, scorgendola così abbattuta e lanciata a tutta corsa verso la sua meta che le era ben nota, l'aveva scambiata per una invasata dal demonio, la quale andava a prendere parte ad un sabba. Comunque, pur dandosi a quella sua galoppata sfrenata, l’amica della regina in pari tempo concitava gli animi della gente che si stava dirigendo dritta verso il tempio. A tutti quanti andava gridando fortemente: "Actinesi, alla reggia vogliono uccidere la vostra buona sovrana. Dunque, accorrete tutti a salvarla, a strapparla alle grinfie del cognato principe Verricio, il quale è anche il vostro sfruttatore. Egli vuole sbarazzarsi di lei per impadronirsi del trono. Perciò non siate insensibili di fronte ad una nefandezza simile! Il divino Matarum vi vuole in armi, vi desidera al fianco della vostra benamata regina!"

Per questo la valanga umana, cambiando all’istante direzione, aveva iniziato ad accorrere verso la nuova meta, la quale adesso era la reggia e non più il tempio. Intanto che vi si dirigeva, essa si mostrava chiaramente ostile all’odioso principe, contro il quale si era dato ad imprecare e a lanciare improperi di ogni sorta. Se avessero potuto, tali persone lo avrebbero linciato senz'altro nella pubblica piazza! Ma essendo impedite a farlo, finivano per arrabbiarsi soltanto.


Gli echi dei rintocchi del gong erano giunti anche alla Taverna del Pipistrello ed avevano allarmato quanti vi stavano riposando. In particolar modo, essi avevano messo in agitazione Iveonte e Astoride, il pensiero dei quali era volato subito al loro amico Francide, ritenendolo in serio pericolo. Perciò i due amici avevano stabilito di precipitarsi alla reggia per dargli manforte. Ma essi si erano appena alzati dai loro sgabelli, allorché il vecchio Daleno, essendosi svegliato di soprassalto ed urlando come un ossesso, si era avvinghiato al solido braccio di Iveonte e non si decideva più a lasciarlo. Infine, sempre tenendosi avvinto al giovane, si era messo a gridare:

«È la fine del mondo, giovanotto! Il dio Matarum ha deciso di punire la perversa razza umana! Guai ai cattivi della terra, i quali presto saranno puniti! Pentitevi e ravvedetevi subito, ubriaconi malvagi!»

Iveonte, a quelle grida del vecchio, le quali parevano non voler più aver fine, staccandogli le mani dal suo braccio, lo aveva ripreso:

«Non c’è nessuna fine del mondo, Daleno! La verità è che nella reggia qualcosa non procede per il verso giusto. Quindi, se stai ancora dormendo e continui a sognare ad occhi aperti, cerca di svegliarti al più presto! Se non lo sai ancora, noi abbiamo molto da fare altrove. E anche con una certa fretta! Perciò lasciaci andare in pace!»

Daleno, da parte sua, smettendo di inveire contro tutti, di nuovo si era abbrancato al corpo di Iveonte. Subito dopo aveva ripreso ad urlare:

«Sento che muoio, giovanotto! Il cuore mi sta venendo meno! Salvatemi, per favore! Non c'è mica un medico in questa bettola maledetta, che possa visitarmi e salvarmi?»

Il giovane, pur avendo una grande premura di andare, si era mosso a pietà di lui. Allora aveva cercato di tranquillizzarlo, come meglio poteva. Ma poi lo aveva rassicurato:

«Non stai mica morendo, Filosofo! Si tratta solamente di una tua impressione, considerato che stai farneticando! Non sai che chi sta morendo non ha la forza di urlare, come stai facendo tu? Per questo cerca di rendertene conto anche tu, facendoti coraggio!»

Invece, proprio in quel momento, lo sventurato Daleno si era staccato dal corpo del giovane ed era stato visto afflosciarsi come uno stelo appassito e lasciarsi cadere per terra. Allora i due amici avevano cercato di rianimarlo e di farlo rialzare. Ma il suo corpo irrigidito li aveva portati all’amara constatazione che egli era davvero morto. Così, di lì a poco, essi, avendo già regolato il conto con l'oste, informandolo anche della morte di Daleno, avevano deciso di abbandonare la taverna. Oramai in essa tutti erano svegli, a causa del frastuono che proveniva dall'esterno.

Infine Iveonte e Astoride già si trovavano in prossimità dell’uscio, allorché si erano imbattuti in una donna, la quale proprio allora vi si stava riversando precipitosa e tutta accaldata. Ella, dopo aver superato la soglia della taverna, immediatamente si era rivolta a quanti vi riposavano ed aveva domandato a tutti loro:

«Chi sono i due amici del principe Francide?! Per favore, giovani forestieri, fatevi riconoscere con sollecitudine da me, siccome ho un maledetto bisogno di voi! La vita del vostro amico è seriamente compromessa e soltanto voi due potete salvarlo!»

«Siamo noi, brava donna!» Iveonte le aveva subito risposto, parlando anche a nome di Astoride.

«Allora seguitemi, senza perdere un attimo di tempo! Il vostro amico, il quale è un principe, potrebbe trovarsi in grande difficoltà. Dovete sapere che egli è il figlio della regina Talinda ed è perciò anche l’erede al trono di Actina. Ma c’è chi vuole toglierlo di mezzo per usurpargli lo scettro regale! Mi riferisco allo zio principe Verricio. Egli oltre venticinque anni fa già fece eliminare il padre di Francide per succedergli sul trono!»

A tali notizie, Iveonte e Astoride si erano infiammati di un furore tremendo ed avevano stabilito di intervenire senza altro indugio. Così, in pochi secondi, erano montati sopra i loro cavalli e, seguendo la sacerdotessa a pochi metri di distanza, si erano precipitati vertiginosamente alla volta della reggia. Giunti nei pressi del palazzo reale, i due giovani vi avevano trovato già un grande assembramento di gente. La quale gesticolava ed inveiva contro l’esecrabile principe Verricio, serbandogli un rancore mortale. Ma oltre a quelle dimostrazioni ostili di protesta che erano tante, la folla dei presenti non poteva fare niente altro, siccome dei massicci chiavistelli tenevano saldamente chiusi i cancelli della reggia. Allora Iveonte e Astoride, dopo essere stati istruiti dalla sacerdotessa Retinia sulla pianta dei vari ambienti reali, arrampicandosi ai bugnati, ai rosoni, ai veroni e ai cornicioni della facciata esterna dell’edificio, alla fine erano riusciti a raggiungere una finestra che era aperta, penetrandovi con tutta foga. La loro incredibile irruzione, però, non era risultata inosservata a sei gendarmi del principe Verricio, i quali controllavano dalle altre finestre la sommossa esterna. All'irruzione dei due audaci giovani, essi avevano deciso di farli pentire della loro temerarietà. Invece avevano dovuto pentirsi loro di aver cercato di fermarli. Infatti, i due amici, dopo avere eluso i loro colpi, li avevano storditi con una procella di poderosi pugni. Al termine del confronto, essi li avevano buttati giù da un terrazzino, tra le grida di effusione della gente, che continuava le sue numerose proteste.

Polverizzata quella prima esile resistenza, opposta dai sei gendarmi di Verricio, i due amici, attraverso una postierla, avevano raggiunto ben presto il corridoio che conduceva alla stanza privata della regina. Ma poiché l'avevano intravista invasa da una congerie di ostinati soldati, essi avevano compreso che era giunto il momento di darle di santa ragione. Perciò, impugnate le loro spade, avevano aperto le ostilità contro gli stessi. Anzi, non avevano smesso di dare batoste per lungo tempo, ossia fino a quando non li avevano visti conciati molto male, facendoli diventare moribondi! Così agendo, Iveonte e Astoride avevano recato un valido aiuto all’amico Francide e al capo della Milizia della Regina, essendo venuti a privarli di una parte dei loro prepotenti assalitori. Per essere precisi, il loro intervento era andato esclusivamente a vantaggio del loro amico, considerato che, fin dall’inizio del loro arrivo, Tionteo era rimasto praticamente ferito ed inabile a combattere, per cui non aveva più potuto lottare, come egli avrebbe desiderato.