217-IL PRINCIPE VERRICIO VIENE UCCISO DAL NIPOTE FRANCIDE
Una volta che il capo della milizia lo ebbe accompagnato al cospetto della sovrana di Actina, dopo averlo introdotto nel suo appartamento privato, l'intraprendente Francide non si lasciò impressionare neppure minimamente dalla sua regalità. Per qualche attimo, il giovane se ne restò a contemplarsela con molto interesse, come se da lei gli provenisse una specie di sollievo interiore. Invece, solo dopo che la ebbe scrutata per bene, alla fine egli si decise a chiederle:
«Posso sapere, illustre e nobile regina, qual è stata la vera ragione che ti ha spinta ad invitarmi a corte? Secondo me, se lo hai fatto, sicuramente c'è qualcosa che bolle in pentola. Per questo vorrei sapere da te di cosa si tratta, se non ti dispiace raccontarmi ogni cosa in merito!»
«È questo che pensi di me, Francide? Comunque, può anche darsi che le cose stiano come tu affermi! Per il momento, ero solo ansiosa di conoscerti meglio, dopo il nostro incontro avvenuto ieri nel tempio. Secondo te, credi che questa mia risposta sia sufficiente a soddisfare la tua grande curiosità oppure essa ti risulta ancora non bastevole?»
«Ad esserti sincero, sovrana di Actina, essa mi ha soddisfatto appena un poco! Visto però che mi hai dimostrato di conoscere varie cose della mia vita, forse più di me, gradirei essere messo al corrente maggiormente di quanto mi riguarda. Soltanto così potrai soddisfare appieno la mia curiosità. Perciò inizia a palesarmi chi è stato ad informarti su alcune cose che mi concernono, se vogliamo andare d'accordo!»
«Sebbene sia vero ciò che hai asserito, Francide, in verità neppure io ti conosco ancora nella maniera che vorrei! Ti ho mandato a chiamare, appunto per arrivare a questo risultato. Tanto per cominciare, mi farebbe piacere apprendere da te da dove provieni e chi sono i tuoi genitori, siccome sono all'oscuro di entrambe le cose. Perciò saranno le tue risposte a rivelarmi con certezza quanto desidero conoscere! Allora sei disposto a riferirmi le notizie che ti ho appena chiesto?»
«Stando così i fatti, amabile regina, non mi è possibile esaudire il tuo desiderio, poiché mi chiedi ciò che anch'io vorrei sapere. Al riguardo, ero convinto che, venendo da te, avrei appreso finalmente la verità sulla mia origine e sui miei genitori. Invece ho scoperto che in effetti conosciamo le stesse cose, per cui non c'è da rallegrarsi molto. Eppure mi avevi dimostrato di essere abbastanza informata sul mio conto, facendomi illudere che da te avrei appreso il resto di quanto mi riguardava, siccome lo ignoravo. Perciò, come prima tu avevi deluso me, così adesso ho io deluso te. Comunque, vorrei che tu mi dicessi in che modo sei venuta a conoscenza del mio nome e di altre cose attinenti alla mia persona. Non immagini quanto tu mi abbia strabiliato, nel mettermi di fronte alla mia nuova realtà, che si presenta confusa ed inesplicabile!»
«Francide, se non ti dispiace, vorrei potermi esimere dal soddisfare questa tua richiesta. Ti prometto che assai presto darò una risposta esauriente a ciascuna delle tue domande. Per il momento, ti metto solo al corrente che l'intero enigma, ossia quello riguardante la tua esistenza, resta risolto per metà in te e per l'altra metà in me. Perciò sono convinta che, se mettiamo insieme le due metà che sono conosciute da noi distintamente, vedrai che alla fine ciò che adesso rappresenta per noi due un autentico mistero, dopo non ci si presenterà più come tale. Anzi, ti garantisco che esso cesserà di rimanere involto nel suo attuale involucro arcano! Allora, giovanotto, possiamo proseguire nella nostra reciproca conoscenza con tutta serenità?»
«Senz'altro, mia nobile sovrana! Quindi, sbrìgati a dirmi quali notizie vuoi ricevere su di me, poiché esse, secondo quanto mi hai fatto presente prima, costituiscono metà soluzione della mia enigmatica esistenza. Spero che tu abbia davvero ragione, nell'asserire una cosa di questo tipo, poiché ciò mi darebbe un grande conforto e la massima gioia!»
«Innanzitutto, Francide, bisogna chiarire un particolare che ti riguarda direttamente. Mi devi dire se porti tatuato sul petto il nome che hai, che è quello che ti fu dato alla nascita dai tuoi genitori. Allora puoi rispondermi affermativamente a quanto ti ho chiesto oppure ne sei del tutto all'oscuro? A ciò dovresti essere in grado di darmi la risposta!»
«Certo che posso dartela, sovrana di Actina, dichiarandoti che essa è affermativa! Sul mio petto c'è il tatuaggio, a cui ti sei riferita! Ce l'ho fin dalla mia più tenera età. Esso, però, durante la mia crescita, in pari tempo si è andato ingrandendo e sbiadendo parzialmente. La qual cosa è stata inevitabile, come puoi comprendere anche tu!»
Mentre glielo confermava, il disinibito giovane si era alzata la casacca fino al mento, mettendo in mostra il suo torso nudo. Così la regina e Tionteo poterono scorgere sul suo petto, in scolorite lettere azzurrognole, il nome del giovane, ossia Francide. Dopo averglielo mostrato per bene, l'ospite della regina badò a ricoprirsi all'istante, per una questione di pudore e anche per una forma di delicatezza verso la sovrana.
«A questo punto, Francide, siamo certi di conoscere già i tre quarti dell'enigma.» continuò a dirgli la regina Talinda «Ci rimane da svelare il suo ultimo quarto, perché tu possa diventare figlio di genitori noti. Tutto dipende dalla risposta che darai a quanto sto ancora per chiederti. Quindi, dimmi: Ti è stato mai parlato di come venisti al mondo? Anzi, mi correggo e ti riformulo la domanda. La persona, la quale ha continuato a prendersi cura della tua crescita e della tua formazione fino a oggi, ti ha mai detto come entrasti a far parte della sua vita? Oppure non sai cosa rispondermi, per il fatto che ti è ignoto questo particolare? Nel qual caso, saremmo costretti a sorvolare su di esso, senza tenerne conto!»
«Invece sono in grado di dare una risposta anche alla tua nuova domanda, mia nobile regina. Il buon Babbomeo, cioè l'uomo che si volle prendere cura prima di me e in seguito anche del mio amico Iveonte, dovette ammazzare una tigre enorme, siccome essa mi stava portando via per divorarmi. Fu così che egli riuscì a strapparmi alle sue fauci ingorde e ad impossessarsi del mio corpicino. A quel tempo, secondo quanto appresi in seguito da lui, potevo avere circa quattro mesi di vita. In merito a tale episodio, esso accadde nella foresta situata a sud di Dorinda, dove io e il mio amico Iveonte siamo vissuti insieme fino alla morte del nostro eccellente maestro. Mi riferisco all'eccezionale uomo che, mediante i suoi infiniti insegnamenti, ci permise di diventare dei veri uomini sotto ogni aspetto! Tu stessa, mentre ti parlo, puoi rendertene conto senza alcuna difficoltà!»
Di lì a poco, per espressa richiesta della regina, Francide non si astenne dal soffermarsi anche su alcuni particolari della sua trascorsa esistenza, il cui racconto interessò moltissimo la sua interlocutrice regale, poiché ella, mentre lo ascoltava, appariva come incantata. Infatti, intanto che il giovane riferiva con squisita sobrietà ciò che ella gli aveva chiesto con ansia, il suo volto si era andato illuminando di un giubilo e di un gaudio quasi trascendentali; ma soprattutto il suo animo si andò colmando di una contentezza immensa ed indefinibile. All'improvviso, la nobile sovrana si era sentita come modificare psichicamente da ondate di emozioni favolose. Esse, dopo averla trascinata attraverso un trascolorare di sentimenti stupendamente piacevoli, erano venute anche ad assoggettarla a trasfigurazioni e a contemplazioni estatiche inverosimili. Non si era comportata da meno neppure la sua trasformazione umanamente intesa. Essa si era ritrovata a vivere, in breve tempo, tutta una esperienza incredibile, la quale le era sembrata durare una eternità. Intanto che la viveva, la maternità aveva trionfato sopra ogni altro sentimento e sopra ogni altra sensazione. Il vedersi e il sentirsi di nuovo madre le avevano fatto spiccare il volo nell'entusiasmo più vivo e palpitante, più sensibilmente travolgente. Tutto a un tratto, la regina Talinda aveva visto spegnersi dentro di sé il senso della regalità, poiché era intervenuto a sopprimerglielo quello della beata maternità. Il quale era venuto a furoreggiare nella sua sfera psichica e vi aveva spazzato via qualunque altro sentire, che non provenisse dal suo senso materno oppure non si riconducesse ad esso, esprimendosi totalmente in funzione del medesimo. In quel momento mirabile, esclusivamente sentendo in chiave materna, aveva pensato, aveva gioito, aveva sognato, aveva amato, aveva manifestato desideri, aveva decantato l'esistenza umana e, in essa e per essa, aveva compreso ancora una volta l'importanza della vita. In quell'atmosfera patetica e commovente, la felicità e l'autorevolezza del figlio erano divenute i suoi unici obiettivi da vivere, volendo goderne a più non posso. Perciò ella li avrebbe perseguiti e raggiunti con qualsiasi mezzo e con l'abnegazione più assoluta. Magari a costo di rimetterci perfino la propria esistenza!
Dopo che il giovane suo interlocutore ebbe terminato di riferirle l'intero percorso dei suoi anni addietro, ovviamente mediante un succinto racconto, la povera donna, la quale non stava più nei propri panni, appariva in preda ad una intensa commozione. Nello stesso tempo, mostrava gli occhi colmi di lacrime, che già cominciavano a rigarle il volto. Alla fine, sotto l'incalzare delle emozioni più travolgenti, di scatto la sovrana di Actina si lanciò verso di lui con le braccia aperte e protese in avanti, esclamandogli con voce squillante: “Francide, figlio mio, sei proprio tu!” Così dicendo, in uno slancio di affetto e di tenerezza, l'inebriata donna abbracciò il giovane ed iniziò a riempirlo di ripetuti e caldi baci. I quali non smettevano di fioccargli sulla fronte, sulle guance e sul dorso delle mani. Quasi egli rappresentasse per lei il suo prezioso tesoro perso e ritrovato dopo lungo tempo! Quando poi i baci ebbero termine sul giovane, la regina riprese a parlargli in questo modo:
«Il dio Matarum, figlio mio, ha voluto strapparti alla perfidia di mio cognato Verricio, che fu il mandante dell'assassinio del tuo sventurato genitore, affinché un giorno si compisse la sua giustizia divina! Egli è il malvagio tuo zio, il quale decretò anche la tua morte; è l'uomo che hai sentito minacciarmi al tempio. Ma dopo che sarai incoronato re di Actina, avvenimento che prevedo a breve termine, dovrai fargli pagare il suo fratricidio e il suo tentato assassinio nei tuoi confronti. Dovrai punirlo per i suoi tanti abusi e per le sue ingenti nefandezze, che continua a compiere nella Città Santa, a danno del nostro popolo!»
In seguito, la regina Talinda non volle rinunciare ad un proprio sfogo intimo. Il quale si sarebbe dimostrato così traboccante di amore materno e di delicata sensibilità verso chi adesso considerava il frutto del suo seno, da indurre anche il presente Tionteo a commuoversi come non gli era mai capitato, fino ad avere i brividi. Il suo caldo ed articolato linguaggio si sarebbe espresso con accenti altamente toccanti, poiché a volte avrebbe rispecchiato le ansie accorate del suo stato d'animo, altre volte si sarebbe invece intonato al lirismo delle sue parole. Per il quale motivo, esso avrebbe manifestato un tale pathos e una tale carica emozionale, che alla fine il Terdibano non avrebbe potuto fare a meno di farsi coinvolgere con l'animo e con la mente dal suo sentito sfogo, fino a viverne i passaggi più significativi. Allora affrettiamoci a seguirlo anche noi direttamente, mentre la sovrana dava libera manifestazione ad esso. Così facendo, riusciremo ad intenderlo meglio nella sua profondità ed avremo inoltre l'opportunità di coglierne gli attimi maggiormente patetici e più significativamente toccanti, oltre che assai coinvolgenti.
«Figlio mio, non puoi immaginare neppure lontanamente quanto il mio cuore stia esultando di gioia in questo beato momento! Esso trabocca di giubilo, percorre i sentieri della dolcezza, è inondato dalla somma delizia. Anche il mio animo sta assaggiando una gioia incontrollabile ed incontenibile, una felicità autentica ed insuperabile, siccome entrambe le cose sono quelle di una madre al massimo grado della commozione. Lo sai perché? Perché ella, dopo tantissimi anni, ha ritrovato il proprio figliolo, quello che si era rassegnata a credere per sempre morto. Sì, i tantissimi istanti di gaudio, che sto ora vivendo in un colpo solo, hanno cancellato in me la sofferenza e la disperazione, le quali mi sono state le uniche compagne fedeli per oltre cinque lustri. E non senza aver provocato in me dei traumi enormi, poiché esse hanno seguitato a trasformare la mia vita in un vero inferno! Devi sapere, Francide mio, quali tribolazioni hanno dilaniato il mio corpo e il mio spirito, in tutti questi interminabili anni! È stato come se mi fossero venuti meno il sole e l'aria, come se il mondo intero mi fosse crollato addosso e mi avesse fatta stramazzare nell'angoscia più inquietante ed ossessiva! Tu non puoi comprendere quale pena indicibile sia stata per me svegliarmi e non trovarmi più accanto la mia dolce creaturina, che eri tu; l'essere costretta a rinunciare al tuo tiepido respiro sul mio nudo seno, il quale ti nutriva e ti faceva anche crescere; il non sentire più i tuoi vagiti, che reclamavano il mio calore e il mio affetto, le mie carezze e le mie coccole, di cui non riuscivi a fare a meno! Da quella circostanza terribile, che non oso augurare a nessun'altra madre, tutti i successivi istanti della mia vita mi sono risultati delle spine trafittive molto dolorose, poiché mi si sono conficcate in ogni parte del corpo, martoriandolo senza pausa e senza pietà! Così i giorni prima, come i mesi e gli anni dopo, sono trascorsi senza concedermi un po' di serenità. Al contrario, mi hanno costretta a rintanarmi nella mia solitudine e nella mia indifferenza verso tutti e verso ogni cosa. L'una e l'altra, naturalmente, erano permeate di una pena che non conosceva limiti e non lasciava intravedere davanti a sé sbocco alcuno. Adesso, figlio mio, spero che tu riesca ad accettarmi come tua madre autentica, con la stessa intensità con cui io ti ho accolto come vero figlio mio. In questo modo, mi metterò l'animo in pace, diverrò la più fortunata delle donne, vedrò appagato il mio desiderio più grande! Perciò ti prego di non mostrarti indifferente verso questo mio cuore di madre, il quale è già tutto trepidante per te, e verso questa mia sensibilità materna. Essa, se non te ne sei ancora accorto, già freme in maniera inconsueta e vorrebbe soltanto badare alla tua vita e alla tua gioia, per il resto dei giorni che ancora mi restano!»
In principio, intanto che la regina si dibatteva nel suo concitato discorso, Francide era rimasto quasi di stucco; anzi, del tutto scioccato, poiché non sapeva come reagire e cosa decidere di fronte alla logorrea della rispettabile donna. Ella non gli aveva dato tregua e, con una certa morbosità, lo aveva quasi obbligato a darle retta, a prenderla sul serio, ad immedesimarsi con le sue ansie e con i suoi moti dell'animo. Per tale ragione, ad un certo punto, aveva creduto di trovarsi in presenza di una povera mentecatta, di una vittima di allucinazioni, di una testa bacata. La quale aveva bisogno più della sua commiserazione che non della sua considerazione oppure del suo compiacimento. Quelle cose, che la regina andava attestando con convinzione, secondo lui, non potevano stare né in cielo né in terra. Quindi, erano da riferirsi esclusivamente a delle congetture inconcepibili e paradossali.
In Francide, i primi dubbi si smorzarono, quando l'avvenente regina terminò di dar sfogo alla sua bella emozione del momento e all'esacerbante dolore che si era portata nell'animo per parecchi anni. In seguito vi presero posto anche la riflessione e la ragione, le quali immediatamente gli troncarono i falsi giudizi espressi sulla sovrana e le brutte impressioni che stava ancora avendo di lei. Oramai egli iniziava a rendersi conto che ella poteva essere proprio quella madre, che era venuto a cercare nella Città Santa per soccorrerla e salvarla, dopo aver fatto un tragitto lungo oltre mille miglia! Allora perché non assecondarla, come era giusto fare? Riconsiderando i fatti alla luce dei riflettori dell'obiettività, il giovane interdetto adesso arguiva che era ingiusto non prendere in seria considerazione quanto la regnante di Actina gli andava asserendo, avendogli già dimostrato di sapere molte cose su di lui e sulla sua vita privata. Al tempio, inoltre, egli aveva avuto l'impressione di stare a difendere più una propria congiunta che non la sovrana di una città, la quale non era neppure la sua. Per tale ragione, il giovane cominciava a sentirsi legato a lei in maniera strana, quella che neppure lui riusciva a spiegarsi. Era come se una forza interiore nuova, proveniente dal suo subconscio, lo acclimatasse alla realtà della regina, al suo modo di vedere e di sentire, alla sfera dei suoi sentimenti e delle sue sensazioni.
Improvvisamente, la sovrana era diventata buona e bella, come una madre; affettuosa ed amorosa, come una madre; carissima e speciale, come una madre; interessante ed attraente, come una madre; preziosa ed insostituibile, come una madre! Infine, navigando nel mare di tali sue piacevoli constatazioni, che andavano acquistando sempre di più un sapore di dolce familiarità, Francide si convinse che egli poteva essere solo il figlio della regina Talinda e del defunto re Godian. Probabilmente, a scuoterlo dall'imbarazzo e dall'incredulità iniziali, era stato più il desiderio di vendicare il padre che non quello di cedere all'amore materno. Quanto al secondo sentimento, soltanto in quel momento esso iniziava a prendere forma e consistenza nella sua mente. Inoltre, c'era un altro particolare, che l'obbligava ulteriormente a credere nella regina di Actina. Finalmente egli si era reso conto perché la sua Rindella quel giorno, mentre se lo abbracciava, lo aveva chiamato Godian, ossia con il nome del padre. Di sicuro era stata una divinità ad indurla a proferirlo inconsciamente, quasi avesse voluto fargli conoscere pure il nome del padre. Ad ogni modo, Francide volle rivolgersi alla regina madre con due fermi propositi, i quali per lui avevano una importanza capitale. Con il primo, egli le avrebbe puntualizzato che non c'erano dubbi che la sua vendetta ci sarebbe stata contro lo zio, il quale aveva fatto uccidere il padre durante il sonno. Con il secondo, invece, avrebbe cercato di riparare a quella indifferenza che poco prima aveva mostrata verso il suo amore materno, senza corrispondere ad esso in modo conveniente. Perciò alla fine volle esprimersi a lei con le seguenti parole:
«Madre mia, ti chiedo perdono per il mio freddo atteggiamento che ho opposto alle tue affettuose parole, quando invece avrei dovuto accoglierle con l'amore e il calore filiali che esse meritavano. Anche se è vero che non ci possono essere scuse che tengano da parte mia, tu non puoi non comprendere il mio repentino impatto odierno. Il quale è avvenuto con una realtà, che forse in passato avrò anche sognata con folle desiderio e che oggi già non speravo più di poter godere. Essa, risultandomi piacevolissima, mi è piombata addosso all'improvviso, caricandomi di una forte emotività, che non mi ha fatto capire più niente e mi ha tolto perfino il respiro! Per questo motivo, ti prego di comprendermi e di non far caso alla freddezza e all'imbarazzo che hai notato in me, mentre mi parlavi sotto l'empito della gioia. Sono certo che l'una e l'altro mi venivano dettati dalla mia impressionabilità del momento, per cui erano da imputarsi unicamente a quest'ultima. Ma ti prometto che molto presto fra noi due si instaureranno degli ottimi rapporti, quelli che una madre e un figlio non possono che augurarsi con il cuore e con la mente.»
«Grazie, Francide mio, per esserti reso conto che fra noi due dovrà cominciare ad esserci uno splendido rapporto, quello che solamente fra una madre e un figlio può nascere in modo meraviglioso.»
«Nel mio animo, però,» il giovane seguitò a dirle «non potrà trovare posto l'amore per mia madre, se prima in esso non si saranno assopiti gli attuali sentimenti di odio e di vendetta, i quali se ne sono impadroniti con rabbia furiosa. Oggi avverto in me esclusivamente una tremenda ira che mi va accecando; per cui mi vado convincendo che essa sbollirà, solo dopo che avrò vendicato mio padre. A tale proposito, mia affettuosa genitrice, ti faccio solenne promessa, come pure mi impegno con il defunto mio genitore, che lo zio Verricio da quest'oggi cesserà di esserti di ostacolo. Oramai egli ha i giorni contati, poiché presto verrà trafitto mortalmente dalla mia spada. Così vendicherò il mio povero babbo!»
La gioiosa regina Talinda accolse con immensa soddisfazione e con animo sereno il bellissimo discorso che il figlio ritrovato le aveva fatto. Subito dopo, però, in relazione al suo scontro diretto con lo zio fratricida, il quale ci sarebbe stato senza meno quanto prima, pur temendolo in parte, volle fargli le seguenti raccomandazioni:
«Mi auguro, Francide mio, che tu riesca ad assolvere l'impegno che ti sei assunto con il tuo defunto genitore. Ma ti consiglio di andarci cauto nel tuo giustificato intento, siccome tuo zio, oltre ad essere uno spadaccino di prim'ordine, è anche più scaltro di una volpe e più crudele di una iena. Egli non si fa scrupolo di niente, non evita di comportarsi come una carogna con il suo avversario e, se ha la possibilità di giocarlo vilmente, stanne certo che non esita a farlo. Inoltre, è capace di fingere qualunque cosa in un combattimento, pur di riuscire a confondere e a spiazzare il rivale, nonché a colpirlo a tradimento. Per questo, figlio mio, anche se suppongo che in te non manchino né il coraggio né una preparazione d'armi sufficiente per affrontare tuo zio, lo stesso ti esorto ad eccedere nella prudenza, quando te lo troverai di fronte. In pari tempo, ti raccomando di non farti alcuno scrupolo neppure per un attimo, quando giungerà per lui l'ora della resa dei conti, per cui dovrai infliggergli il colpo fatale senza alcuna esitazione. Comunque, dopo che sarai diventato sovrano di Actina, per tua maggiore sicurezza, ti consiglio di farlo prima arrestare per le sue ingenti malefatte. In seguito lo processerai e comminerai contro di lui la pena capitale. Agendo in questo modo, non correrai alcun rischio di sorta! Mi sono spiegata?»
«Non preoccuparti, madre mia, perché mio zio giammai riuscirà ad averla vinta con me, pur ricorrendo alle sue subdole magagne! Alla fine, vedrai, egli si ritroverà con il corpo infilzato dalla mia spada giustiziera, senza neanche accorgersene. Così, mentre io vendicherò mio padre da lui fatto assassinare, egli avrà la morte che si merita, ossia quella di un lurido verme schifoso, degno di essere spiaccicato senza misericordia!»
Proprio in quell'istante, fu vista aprirsi la porta della stanza dove madre e figlio si stavano facendo le loro confidenze, in presenza del comandante della nuova milizia di corte. Da essa allora apparve il principe Verricio, il quale si diede ad esprimersi così al nipote redivivo:
«Come vedo, Francide, pretendi troppo dalla vita! Ma quello che non sai è che, prima ancora che la tua spada riuscirà a trapassare il mio corpo, cento altre spade trafiggeranno il tuo. Urtesia ha già pagato con la morte, per aver fallito molti anni fa nel compito che le avevo assegnato. Adesso tocca a te morire come lei, poiché chi è considerato morto da tempo non ha più il diritto di resuscitare e di ripresentarsi tra noi vivi! Ecco quanto hai da sapere, prima che la morte venga ad annientarti!»
Parlato in quel modo presuntuoso, il perfido principe si voltò verso l'ingresso ed ordinò: "Avanti, miei prodi soldati, uccideteli entrambi, poiché sono dei cani rabbiosi! Ma come già vi ho fatto presente, dovete lasciare salva solo la regina, poiché non posso fare a meno dell'esistenza di mia cognata. Della quale, se potessi, anche mi libererei volentieri!"
Dopo l'ordine impartito dal principe Verricio, si videro irrompere nella stanza della regina numerosi gendarmi, i quali si mostravano intenzionati a fare a pezzi i due giovani. Allora entrambi, vedendosi assalire da una fiumana di soldati armati fino ai denti, sguainarono all'istante le loro spade e si prepararono ad affrontare la zuffa, la quale scoppiò violenta e tremenda in mezzo alla folla di quegli assalitori scalmanati. Francide, da parte sua, combattendo con molto sdegno, non si asteneva dal gridare all'indegno suo zio: “Sporco fratricida, credi forse di cavartela, separandomi da te con una barriera di armati? Sappi invece che io demolirò, sormonterò e valicherò questa barricata umana. Alla fine, dopo aver fatto piazza pulita di loro, ti garantisco che ti raggiungerò e ti ucciderò come un lurido scarafaggio, poiché è alla loro maniera che meriti di essere ucciso da me! Perciò non illuderti di sfuggire alla mia vendetta!»
Intanto che pronunciava le sue frasi colme di forte rabbia, Francide si scatenava furibondo ed irresistibile contro i gendarmi dello zio, dandosi a massacrarne a più non posso. Oramai in lui dominava una irrefrenabile brama di vendetta e di strage, per cui nessuna probabilità di scampo si intravedeva per coloro che gli capitavano davanti. Egli li andava totalmente mutilando, scannando ed annientando, senza alcuna perplessità e senza la minima misericordia! Con i suoi affondi imprevedibili e con le sue stoccate micidiali, il giovane arrecava ai suoi avversari uno sterminio grande e sbalorditivo. Egli voleva liberarsi di loro prima possibile, essendo desideroso di agguantare al più presto il suo peggior nemico e fargli pagare i torti da lui subiti. Il suo odio implacabile era venuto a fare scatenare nel suo animo una furia incontrollabile, la quale adesso si dava a mietere tutt'intorno a sé decine e decine di vittime. Esse, sotto i suoi colpi furiosi e possenti, non potevano che soccombere miseramente ed accasciarsi al suolo in grosse pozze di sangue. Egli, in quella circostanza particolare, misconoscendo del tutto ogni pietà ed ogni propensione al perdono, si mostrava in preda ad un furore scatenato. Il quale lo spingeva impassibilmente ad atti di strage senza fine e senza misericordia. Per ottenere ciò, egli mulinava in ogni direzione la sua vindice spada, per cui l'arma risultava una incessante seminatrice di gravi amputazioni e di morte subitanea per i numerosi soldati.
Quanto a Tionteo, che anche combatteva anima e corpo in quella tenzone furibonda, facendo mostra di una ammirevole prova di valore, si stupiva enormemente nel vedere il figlio della regina combattere con un vigore ed una tenacia eccezionali. Quasi da non credersi! Ma egli ammirava di più la sua impressionante tecnica schermistica, non avendola mai riscontrata in nessun altro. Essa gli faceva fare una grande mattanza dei soldati del principe Verricio, che arrivavano nella stanza sempre più numerosi ed avidi di uccidere lui e il figlio della regina. Mentre combatteva, Tionteo ci tenne a far presente a Francide:
«Soltanto adesso, principe, comprendo il significato allegorico dell'episodio del mendicante, inventato dal tuo amico al momento e tutto di sana pianta! Egli aveva ragione, quando ha cercato di farmi comprendere allusivamente che, in caso di qualche pericolo, avrei avuto io bisogno di te e non tu di me, come sta esattamente avvenendo in questa circostanza! Come mi rendo conto, alla Taverna del Pipistrello, sono stato uno sciocco ed un ingenuo, proprio come quel mendicante che aveva preteso di fare un prestito al proprio re! Non c'è dubbio che l'allusione del tuo amico era giustificata e mi calzava a pennello, siccome i fatti gli stanno dando ragione! In vita mia, non ho mai visto guerrieri del tuo valore e del tuo talento schermistico, il quale si presenta altamente professionistico ed inimitabile. Spero che un giorno, se riusciremo a sopravvivere a questa brutta disavventura, vorrai impartirmi qualche lezione della tua impareggiabile ed insuperabile scherma! Così te ne sarò infinitamente grato!»
«Te la darò senza meno, Tionteo, visto che noi due usciremo sani e salvi da questa evenienza incresciosa!» gli rispose Francide, cercando di tenergli alquanto su il morale «Quanto a meravigliarti del mio valore e della mia scherma, stanne certo che non sono io a primeggiare nell'uno e nell'altra. Se vedi combattere il mio amico Iveonte, ti strabilierai ancora di più. Egli è invincibile e, quando si imbizzarrisce, ti pare di trovarti presso un rimbombante vulcano o in mezzo alla strapazzante veemenza di un ciclone attivo. Iveonte riesce ad impersonare al massimo il valore militare e l'eroismo, nonché ad imbrigliare il furore guerresco. Così dopo lo fa scatenare a suo piacimento ovunque egli decida, ma sempre tremendo e distruttivo. In questo momento, ci sarebbero voluti dalla nostra parte pure i miei amici per sbarazzarci in breve tempo di questa imbastardita ciurma di rinnegati! Ma ti esorto a stare tranquillo, poiché ce la caveremo, anche se non ci sono i miei due amici a darci il loro valido aiuto! Mio zio non può evitare la morte che lo attende!»
«Principe, è stato un madornale errore, da parte della sovrana tua madre, il non aver voluto che venissero insieme con te alla reggia anche i tuoi due amici! Ma vedo che, anche se non ci sono loro due a darci una mano, lo stesso riesci ad avere una supremazia netta sui moltissimi soldati di tuo zio, facendone una ecatombe impressionante!»
La regina Talinda, la quale si era rifugiata trepidante in un canto dell'ampia stanza, vedendo che giungevano di continuo nuovi armati sempre più pervicaci, da parte sua non smetteva di incitare a gran voce il figlio appena ritrovato e il comandante della sua milizia. Ella, senza stancarsi mai, si dava ad urlare ad entrambi:
«Tenete duro, ragazzi! Tra poco i miei militi si desteranno dal loro sonno ed allora i vostri assalitori cesseranno di fare gli snaturati contro di voi! Vedrete che essi, non appena verranno avvisati da qualcuno, accorreranno immantinente nei miei reparti e vi daranno tutto il soccorso necessario, poiché il dio Matarum è dalla vostra parte!»
«Puoi scordartelo, Talinda!» le gridò il cognato Verricio «Le porte dell'alloggio della tua milizia sono state preventivamente sigillate con solidi chiavistelli. Perciò giammai li vedrai giungere in aiuto di tuo figlio e dare manforte a quelli che tra poco qui giaceranno cadaveri sul pavimento! Ricòrdati, cognata, che colui che tanti anni fa scampò alla morte tra poco la troverà qui senza meno!»
In quell'istante, dei persistenti colpi di gong cominciarono a risuonare sulla sommità del tempio. Essi, espandendosi sull'addormentata città, allarmavano e preoccupavano tutti i suoi abitanti, che erano ancora dediti al sonno. Ma cosa stava succedendo presso la sacra dimora del divino Matarum? Quei colpi improvvisi, che seguitavano a farsi sentire preoccupanti sull'intera città, mettevano il principe Verricio in un assillo tormentoso e pungente. Inoltre, infondendogli un sacco di spavento e molto malessere, gli velavano il volto di un gelido pallore. Non bastando ciò, lo facevano smaniare interiormente e gli torturavano l'animo. Soprattutto lo scaraventavano in una preoccupazione mordente e deprimente. Nel suo programma di disegni, messo a punto con i sacerdoti del tempio, quei colpi di gong non erano affatto previsti. Quindi, chi cercava di ostacolargli l'opera, alla quale aveva dato inizio con il beneplacito della casta sacerdotale? I correi sacerdoti non di certo! Allora chi era e perché lo faceva? I suoi interrogativi, però, restavano senza risposta e si mostravano soltanto in grado di tormentargli il cupo animo, rimbombandogli nel cervello come terribili ossessioni.
Anche Francide e Tionteo erano rimasti sbalorditi di quei colpi sonori ed echeggianti, i quali all'improvviso si erano dati a farsi sentire reiterativi e in modo allarmante. Perciò, insieme con la regina Talinda, i due giovani non avevano potuto fare a meno di domandarsi a che cosa in realtà tali colpi fossero dovuti. Ma la loro conclusione fu che essi di certo non si erano messi ad infuriare, al fine di esaltare i lerci piani dell'odioso Verricio. Semmai quei colpi rumorosi ed insistenti intendevano smascherarli e denunciarli all'opinione pubblica, aizzandola contro il principe Verricio, che cercava ancora una volta di fare uccidere il proprio nipote. Inoltre, qualora fosse stato possibile, gli stessi intendevano renderli inefficaci contro quelle persone a cui desideravano arrecare una morte immediata e senza pietà, dal momento che se l'erano attirata addosso.
Nel frattempo, Francide e Tionteo, che restavano inchiodati in un canto dell'ampia stanza, stavano resistendo già da un'ora; mentre un centinaio di morti erano disseminati un po' dappertutto, i quali erano stati fatti fuori dai due giovani. Ma la stanchezza, infiltrandosi sempre di più in loro, poteva farli cedere a momenti, se qualcuno non fosse intervenuto a dargli una mano. Per fortuna, non venne meno ai due giovani l'aiuto, di cui essi abbisognavano con urgenza. Difatti, mentre combattevano animosamente, provennero dall'esterno della stanza uno schianto d'armi ed uno sfacelo di uomini. Anzi, era parso che un turbolento ciclone si fosse abbattuto nelle vicinanze e si fosse dato poi a mettere tutto sottosopra. Esso non era sfuggito ai due giovani combattenti, i quali stavano impegnando in quel conflitto le loro ultime energie. Francide comprese immediatamente che erano giunti i suoi amici e se ne rallegrò tantissimo, siccome essi avrebbero almeno arrestato il flusso in stanza degli armati, i quali non smettevano di arrivarvi dall'esterno.
«Sono arrivati i miei uomini, valoroso principe! Adesso che ci sono anche loro, possiamo ritenerci salvi!» si mise a gridare forte Tionteo.
La qual cosa dimostrava che egli non aveva capito un bel niente di quel fenomeno strano, che si stava verificando fuori la stanza. Allora Francide intervenne a contraddirlo:
«Invece sei in errore, Tionteo! Non sono arrivati i tuoi uomini, ma i miei due amici! Li riconosco dal tempestio di colpi che fanno grandinare sui nostri avversari che si trovano fuori di questa stanza, nonché dallo schianto che vanno producendo in mezzo a loro. Così essi fanno giungere fino a noi il frastuono e il fracasso che ne derivano spaventosi! Te lo posso assicurare senza ombra di dubbio!»
Francide ebbe appena finito di parlare, allorché Tionteo, essendo stato ferito ad una spalla, si rovesciò per terra tramortito. Per fortuna, se egli si ritrovò ad essere solo, nemmeno si vedevano arrivare altri avversari ad assalirlo, essendo essi impegnati all'esterno in un'altra mischia più tempestosa. Ma la presenza dei suoi amici fece ringagliardire le ormai svigorite forze del giovane. Egli, in breve tempo, si liberò dagli ultimi dieci soldati che lo tenevano ancora attanagliato nel solito angolo, facendo di loro un altrettanto macello.
In un primo momento, quasi a farsi prendere dalla raucedine, il principe Verricio seguitò fino all'ultimo ad aizzare i suoi scarsi gendarmi a schiacciare per sempre il giovane nipote. Quando poi vide che Francide si stava liberando totalmente dei suoi avversari, prese atto che presto sarebbe toccato pure a lui affrontarlo. Ma prevedendone la peggio, essendosi reso conto della somma bravura del nipote, cercò di evitare di venire ai ferri corti con lui. Per questo, quando Francide si fu liberato dei rimanenti suoi avversari, tentò una scappatoia nella fuga; ma il nipote fece in tempo a sbarrargli l'uscita, costringendolo a snudare la spada. Così, dopo averlo messo finalmente alle corde, lo assalì, dicendogli: “Adesso per te è finita, miserabile fratricida! Come buon credente, ti concedo il solo tempo di chiedere perdono al divino Matarum dei tuoi numerosi misfatti a danno del popolo e di implorare la sua misericordia. Ammesso che egli sia disposto a concedertela da parte sua! In questo modo non ti travolgerà la dannazione eterna, come in verità ti meriteresti! Sbrìgati, dunque, a pregarlo, maledetta canaglia!”
Il principe Verricio, mentre il nipote gli parlava, tentò di coglierlo di sorpresa. Così gli sferrò un tremendo colpo di spada all'addome; però la lama dell'arma di Francide lo trapassò, prima ancora che egli fosse riuscito nel suo intento. Per cui lo fece barcollare per terra con la bocca traboccante di sangue. Poco dopo, mentre la vita lo abbandonava, si udì il fratricida balbettare: "Ah, folle incontinenza, alla fine mi hai costretto a pentirmi di essermi legato a te!" Una volta che il principe Verricio ebbe pronunciato quelle parole di sdegno, il suo corpo prima spirò e poi si irrigidì, facendo cessare di esistere per sempre colui che lo rappresentava. Fu in quella maniera che Francide portò a termine la sua vendetta contro colui che prima aveva fatto assassinare il padre e dopo aveva tentato di fare uccidere pure lui dall'ancella Urtesia.
Avvenuta l'uccisione dello zio Verricio per mano sua, mentre la madre cercò di arrestare in qualche modo l'emorragia alla spalla di Tionteo, ad evitare che il giovane morisse dissanguato, Francide corse a dare manforte ai suoi amici. Ma quando li ebbe raggiunti, egli constatò che l'intero lavoro era stato oramai completato, dal momento che anch'essi avevano già fatto tabula rasa dei loro innumerevoli avversari.
Cessata la lotta, i tre amici inseparabili, abbracciandosi calorosamente, si espressero a vicenda le più vive felicitazioni per la bella vittoria riportata sui soldati del principe Verricio. Inoltre, sia Iveonte che Astoride, vollero anche congratularsi con l'amico fortunato, per il nuovo ruolo che presto avrebbe iniziato a svolgere nella splendida Città Santa. Invece la regina corse a tranquillizzare il suo popolo, il quale non si era ancora reso conto di quanto stava succedendo nella reggia. Dopo essersi affacciata dal balcone principale del palazzo reale, gli comunicò:
“Popolo mio diletto, l'abusiva reggenza del perfido Verricio quest'oggi finalmente ha avuto termine, grazie a mio figlio Francide. Sì, miei fedeli sudditi, mio cognato non riuscì ad uccidere il mio povero figliolo tanto tempo fa. Per cui egli oggi, a distanza di ventisette anni, è ritornato giustiziere, uccidendo suo zio e vendicando suo padre. Ora che ad Actina è arrivato mio figlio Francide, il quale è il successore legittimo del defunto genitore, vi manifesto la mia intenzione di abdicare in suo favore e di rinunciare al trono. Vi prometto che, nel giro di pochi mesi, egli, che ha gli stessi nobili sentimenti del padre assassinato, sarà incoronato re di Actina. Così apporterà ai suoi fedeli sudditi prosperità e benessere!»
A quella meravigliosa notizia, il popolo actinese, dopo essersi assicurato che la sua regina non correva più alcun pericolo, si diede a sfollare ordinatamente dai pressi della reggia. Intanto che rincasava rassicurata e serena, la gente non faceva altro che rallegrarsi per la bellissima notizia appresa dalla bocca della propria amata sovrana Talinda, ossia che presto sarebbe stata governata da suo figlio Francide.