215°-IL SOGNO DELLA REGINA TALINDA ED IL RACCONTO DI URTESIA

Nell'antivigilia dei festeggiamenti in onore del dio Matarum, essendo ancora presto, la città di Actina non si era ancora destata. L'alba, infatti, stava appena succedendo alla morente notte, la quale si andava ritraendo davanti alla prepotenza di una luce diffusa. La prima degli Actinesi, fu la regina Talinda ad aprire gli occhi a quell'ora del giorno. Uno strano sogno, da lei fatto nell’ultima ora della notte, l'aveva fatta svegliare di soprassalto. Allora, dopo essersi vestita in gran fretta, ella incaricò una sua ancella di andare a chiamare subito la sacerdotessa Retinia, la quale si era sempre dimostrata un'ottima interprete dei suoi sogni. La religiosa del dio Matarum, che in quei giorni si trovava ad essere sua ospite, non aveva indugiato a presentarsi al suo cospetto. Perciò, poco più tardi, la sua leale amica era già pronta ad ascoltarla. Così la sovrana, mostrandosi alquanto agitata, si diede a parlarle in questo modo:

«Mia cara Retinia, ti ho fatta chiamare, perché tu mi riveli il significato di un sogno, che mi ha costretta a svegliarmi alcuni minuti fa. Esso mi ha procurato un'agitazione, che avverto ancora in me, come se volesse reprimermi il respiro! Mentre poi vivevo la mia esperienza onirica, il suo contenuto mi è apparso quasi reale. Perciò sono convinta che essa deve avere una grande importanza per me e per la mia vita futura. Una volta che te lo avrò raccontato, sono certa che mi darai ragione!»

«Sono qui, mia nobile regina, perché tu mi metta a conoscenza del contenuto del tuo sogno, del quale hai deciso di rendermi partecipe. Quindi, affréttati a parlarmene, dal momento che esso, secondo quanto asserisci, ti è sembrato insolitamente strano, addirittura del tutto veritiero. Così, dopo che me lo avrai riferito, grazie alla ispirazione che mi proviene dal dio Matarum, troverai nella mia persona la fedele interprete del tuo arcano sogno! Insomma, avrai il responso di esso, esattamente come è successo le altre volte.»

Esortata dall'amica sacerdotessa, la quale appariva molto interessata ad apprendere il suo nuovo sogno, la sovrana di Actina non perse tempo a darle retta. Per questo, come se lo stesse ancora vivendo, incominciò ad esporle in tutti i suoi dettagli il fenomeno onirico del quale era stata protagonista, quando l’alba cominciava appena a spuntare.

«Mia cara Retinia, all’improvviso mi sono ritrovata in un casolare disadorno, dove c'eravamo solo io e mio cognato Verricio, il quale mi stava proprio di fronte. Da parte mia, gli mostravo due magnifici smeraldi, che erano di differente grandezza; ma entrambi sfolgoravano come il sole. Mentre era attratto da essi, il malvagio uomo ne veniva parzialmente abbacinato, per cui era costretto a proteggersi gli occhi con le mani. Ad un certo momento, però, poiché il loro intenso sfolgorio seguitava a procurargli parecchio fastidio alla vista, Verricio mi si è avventato contro e mi ha tolto lo smeraldo più grande, che è andato poi a gettare in un pozzo situato vicino a noi. Alcuni attimi dopo, ho visto fuoriuscire dalla sua bocca uno scheletro. A quella comparsa improvvisa, il mio perfido cognato si è messo a ridacchiare malignamente, mostrandosi molto appagato. Di lì a poco, vedendo che anche lo smeraldo più piccolo non smetteva di ferirgli la vista, Verricio non ha esitato a carpirmelo e a destinargli la medesima fine che aveva fatto fare al più grande. A quel punto, però, c'è stata una brutta sorpresa per lui. Dall’interno del pozzo egli non ha visto uscire di nuovo uno scheletro; invece ne è venuta fuori una feroce tigre affamata. Allora essa si è rapidamente avventata contro di lui e lo ha sbranato in un attimo, senza curarsi delle sue urla disperate. A tale cruento spettacolo, il quale ha dato origine ad un lago di sangue nel casolare, sono inorridita e mi sono destata all'istante.»

Raccontato il suo sogno alla sacerdotessa, la regina si mostrò desiderosa di apprenderne l'occulto significato. Perciò le si rivolse, dicendo:

«Adesso spetta a te, mia brava Retinia, che hai ricevuto la facoltà divinatoria dal divino Matarum, volgere in forma comprensibile il criptico susseguirsi dei due eventi, che sono accaduti durante il mio sogno. Io sono convinta che entrambi i suoi contenuti intendono rivelarmi due cose importanti, anche se ignoro quali possano essere sia l'una che l'altra! Perciò sii gentile e dimmi esse quali potrebbero essere!»

All’invito della sua sovrana, la sacerdotessa di Matarum, la quale fino allora aveva ascoltato il sogno dalla sua bocca con particolare attenzione, all'improvviso si irraggiò di grande gioia. Immediatamente dopo, mostrandosi felice al massimo, iniziò a farle presente:

«Mia nobilissima regina, dai fatti che mi hai raccontato circa il tuo sogno mattutino, posso affermarti con certezza che la sua interpretazione, da un lato, si presenta molto facile. Dall'altro, invece, pur essendo in un certo senso pure chiara, essa conduce a delle conclusioni davvero assurde, rispetto a quanto di cui siamo al corrente. Senza dubbio, i due smeraldi rappresentano tuo marito e tuo figlio, ai quali il principe Verricio cercò di sottrarre il trono, facendoli uccidere. Ma se a noi risultano entrambi morti, il sogno ci palesa invece che tuo cognato tanti anni fa riuscì ad eliminare soltanto suo fratello, cioè il re Godian. Il principino Francide, invece, non rimase vittima della sua follia omicida. Anzi, secondo ciò che emerge dal sogno da te fatto, tuo figlio assai presto farà la sua ricomparsa in Actina e punirà con la morte lo zio fratricida!»

«Allora cosa bisogna fare, amica mia oniromante, per sapere qual è la verità?» la regina Talinda le domandò con un'ansia incredibile. Ma poi le soggiunse speranzosa: «Magari il mio sogno di questa notte fosse veritiero! Esso mi riempirebbe di una gioia immensa!»

«Per saperlo senza errori, mia amata sovrana, ci basterà mandare a chiamare subito Urtesia, l'ancella alla quale tuo cognato consegnò il piccolo e la incaricò di sopprimerlo. Una volta che ella sarà davanti a noi, la costringeremo a spiattellare l'intera verità sulla uccisione di Francide. La donna dovrà prima riferirci nei minimi particolari come il principino fu accoppato da lei e poi esibirci delle prove incontrovertibili del suo avvenuto decesso. Ad ogni modo, se vuoi sapere ciò che penso io, ebbene, inizio a dubitare che tuo figlio sia stato ucciso a quel tempo! Ma lo accerteremo, dopo che Urtesia si sarà presentata davanti a noi e l'avremo sottoposta al nostro serrato interrogatorio di terzo grado.»

Dopo essere stata convocata dalla regina Talinda, l’ancella di corte, pur non conoscendone il motivo, si presentò maldisposta presso di lei. Così la sovrana incominciò ad esprimersi a lei con le seguenti parole:

«Urtesia, oltre ventisei anni addietro, desti a tutti per certa la morte del mio Francide, cioè sia a quelli che gli volevano bene sia a coloro che desideravano la sua morte. Oggi, invece, mi risulta che mio figlio è vivo e che allora non venne ucciso da te. Tu cosa hai da dirmi a tale proposito? Forse allora ci celasti la verità, continuando poi a tenercela nascosta fino ad oggi? Adesso, però, mi racconterai per filo e per segno ogni cosa che facesti durante il tuo viaggio, precisamente dal giorno in cui uscisti dalla reggia con il mio bimbo fino a quando raggiungesti il luogo dove procedesti alla sua eliminazione fisica. Mai si è saputo in che modo uccidesti il mio Francide. Il divino Matarum fulmini la tua lingua, se oserai mentirmi su un fatto, che oggi è diventato così importante per me!»

«Mia nobile regina,» le rispose l'ancella «a te non ho mai mentito, né oserei farlo per qualche ragione qualsiasi! Se tanti anni addietro ti affermai che il piccolo era stato ammazzato, così fu e te lo posso giurare sul divino Matarum! Dirti come e da chi il piccolo fu accoppato è lo stesso che straziarti l'animo ed amareggiarti l'esistenza per il resto della tua vita. Perciò, in qualità di sua madre, cerca di esimerti da un simile insano desiderio, il cui appagamento sarebbe in grado di infonderti esclusivamente una pena indicibile nell’animo! Dammi retta, per favore, mia nobile sovrana, se dopo non vorrai pentirtene e soffrire a morte!»

«Urtesia,» allora interloquì la sacerdotessa «alla regina non interessa che il tuo racconto possa straziarle l'animo e renderle amara l'esistenza per il resto della sua vita. Ella pretende unicamente che tu le narri in quale maniera a quel tempo il piccolo Francide fu da te privato della vita. Quindi, non farla attendere di più, se non vuoi essere punita come ti meriti! Avanti, comincia subito il tuo racconto e non attardarti oltre!»

«E va bene!» Urtesia si arrese, dopo essere stata messa alle strette dalla religiosa «Se è ciò che alla mia illustre sovrana aggrada più di ogni altra cosa, vuol dire che appagherò senza meno il suo desiderio e le racconterò ogni particolare di quel viaggio, il quale mi condusse in zone molto remote! Ma dopo ella non me ne voglia, dal momento che l'ho avvertita che quanto le sto per palesare la rattristerà moltissimo!»

Così, pur mostrandosi parecchio contrariata e riluttante, per essere stata costretta a parlare della morte del piccolo Francide, l’ancella di corte si diede di buona lena a narrare con dovizia di particolari l'intero viaggio intrapreso. Il quale aveva avuto come infame missione l'uccisione dell'infante, per ordine perentorio del perfido principe Verricio.


"Il giorno successivo all'uccisione del re Godian, venne a chiamarmi una guardia e mi accompagnò al tempio. In quel luogo, il principe Verricio, dopo avermi consegnato il bimbo, mi ordinò di andare ad ammazzarlo fuori città. In tale occasione, per assicurarsi che non lo avrei ingannato, mi obbligò a giurare davanti alla statua del dio Matarum che sarei stata leale con lui ed avrei ammazzato senza meno il piccolo Francide. Così, in quella stessa giornata, in obbedienza a tuo cognato, intrapresi il mio interminabile viaggio, stando sulla groppa di un bardotto e manifestando un animo in pena. In quell'occasione, ad evitare di morire di fame e di sete, oltre al canestro che conteneva la sfortunata creaturina, portavo con me un paniere stracolmo di cibarie varie, nonché due otri pieni di acqua, per non morire di sete. Abbandonata poi la città, mi diedi a percorrere miglia e miglia di strada, senza neppure accorgermene, poiché la mia mente era intenta a ben altro. Essa si presentava molto confusa, per il fatto che mi riusciva difficile ammazzare colui che un giorno, a causa di quanto avevo da compiere in seguito, non avrebbe più regnato sulla nostra città di Actina. Perciò preferivo tirare per le lunghe, lasciando che trascorressero molti giorni, prima di azzardarmi a commettere l'infanticidio, che mi era stato ordinato dal principe Verricio. Comunque, mi fermavo, solo quando incontravo qualche fattoria sul mio percorso per rifornirmi di altro cibo e di acqua. Per fortuna di tuo figlio, ogni volta che sostai presso una casa colonica, la qual cosa avveniva ogni giorno, in quel luogo ci fu sempre una puerpera che volontariamente si prestò ad allattarlo, saziando così la sua fame quotidiana.

Camminavo da circa quattro mesi con quel mio solito andazzo, allorché giunsi presso Dorinda. Volendo poi evitare di fare sosta nella Città Invitta, proseguii oltre. Ma poco dopo avvertii il bisogno di concedermi un po' di riposo al margine di un bosco, il quale si trovava a breve distanza dalla porta sud della città del re Cloronte. Ben presto, però, mi accorsi che in quel posto non ero sola, contrariamente a quanto avevo creduto prima. Infatti, sparse qua e là, intravidi alcune giovani donne che si rincorrevano, emettendo grida spensierate e gioiose. Invece un'altra signora con un bambino, la quale, come avrei appreso dopo, era la regina di Dorinda, si trovava proprio a pochi passi da me. Ella era di bell'aspetto e faceva trasparire dal suo volto una grande nobiltà. Adesso che ricordo bene, con lei c'era anche un uomo, il quale si intratteneva a vezzeggiare il rampollo reale, divertendosi moltissimo.

Mentre mi riposavo, ad un certo punto, il piccolo Francide si mise a piangere. Anche in quella circostanza era stata la fame a spingerlo a darsi ai suoi vagiti. Allora la giovane regina mi si avvicinò e mi chiese se le facessi vedere il bambino che avevo nel canestro. Dopo averle dato il consenso, giustificai gli strilli del piccolo con il fatto che aveva fame. La regina all'istante volle prenderselo in braccio, osservando che egli, oltre ad essere bello come il suo piccolo Iveonte, doveva avere qualche mese meno del figlio. Poi l'illustre donna si diede ad allattare e a sfamare a sufficienza il principino. Intanto che lo faceva poppare, ella ci tenne anche a conoscere il suo nome. Allora non persi tempo a riferirglielo. Ma dopo aver nutrito il principino affamato, la regina di Dorinda lo avvicinò al suo grazioso figlioletto. Fu a quel punto che accadde un fatto strano che ci stupì tutti e tre. I due infanti, appena furono messi vicini, immediatamente si presero con le manine e si mostravano intenzionati a non volersi più disgiungere. Infatti, ogni volta che si tentava di separarli, entrambi emettevano dei forti e stizzosi strilli. Pochi istanti più tardi di quell'episodio, vidi accorrere verso di noi le giovani donne che prima avevo scorto intente a divagarsi. Esse venivano ad annunciare alla loro regina che gli uomini stavano ritornando dalla caccia. A tale notizia, la sovrana si affrettò a riconsegnarmi il piccolo Francide, volendo farsi trovare dal consorte re già pronta per la partenza.

Una volta che la radura fu sgomberata da tutti i cortigiani dorindani, mi inoltrai nel bosco. Addentrandomi poi sempre di più in esso, venni a trovarmi nella folta foresta, dove decisi di farla finita per sempre con il principino, non avendo più voglia di andare in giro e stancarmi. Ma avevo appena tolto il canestro dal basto del bardotto, quando lo vidi scappare via terrorizzato. Una graziosa scimmietta, come mi resi conto, dopo essergli saltata sul dorso, gli aveva infuso un terrore matto, facendolo fuggire via. Allora, deposto subito sul tappeto erboso il canestro con la creatura che vi dormiva dentro, cominciai ad inseguire con affanno il mio quadrupede domestico. Difatti mi sarebbe rincresciuto tantissimo, se avessi dovuto rifarmi a piedi l'intera strada di ritorno, fino alla remotissima Actina! Ben presto, però, mi accorsi che l'inseguimento mi risultava, oltre che rischioso, impossibile a continuarlo.

Presa coscienza di ciò, mi proposi di ritornarmene presso il canestro, poiché volevo ammazzare il bambino e liberarmi di lui senza ulteriore indugio; però non avevo ancora stabilito in che modo avrei dovuto farlo morire! Probabilmente, lo avrei soffocato con una stretta al collo, siccome il sangue mi faceva orrore soltanto a guardarlo. Invece, dopo essere giunta ad una ventina di metri dal principino, mi avvidi che già qualcun'altra mi stava precedendo nella mia malvagia intenzione. In quel momento, una tigre enorme, tenendosi avidamente nelle fauci lo sventurato Francide, se lo stava portando via alquanto soddisfatta.

A tale vista terrificante, la quale mi aveva anche dato la certezza della morte del povero principino, presi la decisione di intraprendere la via di ritorno alla mia città; ma prima di raggiungerla, impiegai un sacco di tempo. Dopo essere giunta nella Città Santa, corsi a presentarmi al principe Verricio, il quale era da mesi che mi stava aspettando con impazienza. Così gli riferii ogni cosa sul mio viaggio."


Non appena l'ancella Urtesia ebbe terminato il suo breve racconto, il quale era risultato assai dettagliato, la sacerdotessa rimase senza parole. Quando ebbe fine la sua breve pausa di silenzio, la quale l’aveva fatta riflettere abbastanza, gioiosamente trasse le proprie conclusioni, che poi si affrettò a riferire alla sovrana di Actina:

«Siano lungi da te ogni abbattimento e ogni scoramento, mia regina Talinda! In una storia così crudele, scorgo l'uomo con un consapevole cuore bestiale e la belva con un inconsapevole cuore umano. La tigre fu scorta portar via il piccolo, ma non fu vista dilaniarlo e divorarselo. Incidenti mortali possono accadere a chiunque, come poterono capitare anche al famelico felino. Chi può ammettere con sicurezza che la tigre riuscì a consumare il suo prelibato pasto, senza essere uccisa da qualche guerriero che si trovava nei paraggi? Secondo me, egli ci fu senz'altro. Allora, mosso a pietà della creaturina, l’uomo intervenne in suo soccorso e uccise la bestia feroce, facendo in modo che non se ne cibasse più. Perché non ritenere ammissibile un miracolo del generoso dio Matarum, desideroso di strappare alla malvagità e all’ingiustizia dell'uomo l'infelice infante? Nel tuo sogno, l'uccisione del principe Verricio non è avvenuta forse per mezzo di una tigre, la quale ha permesso che lo smeraldo più piccolo non si cangiasse in scheletro, similmente a quello grande? Come vedi, mia regina, l'intera storia segue un filo logico, che non è possibile trascurare, in base al quale tuo figlio Francide attualmente è vivo e vegeto. Inoltre, egli oggi si presenterà così in forma, da essere in grado di arrecare molto presto la morte a chi un giorno la cagionò a suo padre!»

Esposte le proprie convinte considerazioni sull'intera vicenda che aveva riguardato la vita trascorsa del principe Francide, la sacerdotessa Retinia apparve di ottimo umore. Ma subito dopo, al fine di averne la certezza assoluta, la religiosa aggiunse:

«Tra pochi istanti, mia amatissima regina, pregherò il dio Matarum, affinché mi inondi di afflato profetico. Così sapremo se il principe tuo figlio è veramente vivo, senza che io sia in errore. Inoltre, avrò davanti ai miei occhi la sua figura e lo svolgimento succinto della sua vita passata e presente, nonché quella del suo immediato futuro.»

«Sbrìgati allora, amica mia affettuosa!» l'aveva sollecitata la trepidante sovrana «Il mio cuore è divenuto ormai preda di un'ansia tremenda, la quale me lo sta facendo quasi scoppiare! Se lo vuoi sapere, non riesco più a stare nei miei panni, a causa della forte commozione che in questo momento si va impadronendo totalmente di me!»

Allora la sacerdotessa, dopo aver proteso le braccia in avanti e rivolto il capo verso l'alto, incominciò a supplicare il dio con vivo fervore:

"Divino Matarum, che mi illumini il sentiero della verità e mi sveli i misteri più reconditi, nonché hai sempre esaudito le preghiere della tua umile serva, deh, permettimi di apprendere ogni cosa appartenente al nostro principe Francide, facendo in modo che essa mi sia ben manifesta! Nel caso poi che la vita sia in lui, consentimi di conoscere il suo volto, intanto che lo seguo nel suo passato e nel suo immediato futuro. Così verrò a sapere di lui quanto ci interessa conoscere!"

Avvenuta la supplica, la pitonessa fu vista impallidire, storcere paurosamente la bocca, scarmigliarsi la chioma e contorcersi nel corpo, proprio come se fosse un serpente. Un attimo dopo, invece, ella fu scorta racchetarsi di nuovo, ricomporsi ed aggiustare le vermiglie labbra, perché esse potessero proferire le parole, che le stavano uscendo di bocca:

"Vedo una tigre, che ha un bimbo tra le fauci; essa avanza tra il fogliame della foresta. Ecco che la belva si imbatte in un uomo coraggioso, il quale non tollera una scena così ributtante. Perciò, con dardi avvelenati, colpisce la belva e la uccide. Il bimbo è salvo! In questo momento, mi sta davanti un fanciullo. Con lui c'è un uomo, lo stesso che lo aveva salvato dalle fauci della tigre. Perciò deve trattarsi dello stesso bambino, che prima era stato salvato da lui e che ora è cresciuto. Egli continua a farsi grande, è già un adolescente, sta diventando giovane, adesso si è fatto finalmente un uomo! Se tu lo potessi vedere, mia regina, diresti che egli è l'immagine perfetta del padre, il re Godian. Gli fanno compagnia due amici, uno dei quali ha un aspetto maestoso, sembra quasi un dio vivente. Egli ha con sé una spada, che quasi mi acceca gli occhi, per cui non può essere opera umana. Anche l'anello, che porta infilato al dito medio della mano destra, deve essere un prodotto divino. Entrambi gli amici lo chiamano Francide, perciò il giovane da me seguito può essere soltanto il tuo unigenito figlio! Dopodomani egli e i suoi amici entreranno in Actina e si recheranno a visitare il tempio. Quando poi il cielo accennerà ad imbrunire, essi raggiungeranno la Taverna del Pipistrello. Vi entreranno per bere e per pernottarvi. Ora, essendosi fatta notte fonda intorno a me, non scorgo più niente davanti a me, la qual cosa mi obbliga a smettere di farmi ispirare dal dio!"

Riavutasi dalla sua trance momentanea, la quale l'aveva prostrata in modo considerevole, la sacerdotessa ritornò ad essere normale. Allora la regina si affrettò a gridarle:

«Bisogna far venire subito alla reggia il mio unigenito Francide, cara Retinia! Adesso, avendo appurato che è vivo, dobbiamo mandare qualcuno a chiamarlo, poiché spetta a lui il vacante trono di Actina. Il quale in precedenza già era stato degnamente occupato dal valoroso suo genitore e, prima di lui, dal saggio suo nonno Nortano!»

«Non certo in questo momento, mia impaziente regina, bisognerà mandare qualcuno a chiamarlo; ma soltanto dopo che egli sarà entrato nella nostra città insieme con i suoi due amici! Il loro ingresso nella Città Santa, comunque, è previsto nella mattinata di dopodomani. Perciò, soltanto all'alba di quel giorno, manderemo qualcuno di nostra fiducia ad invitarlo a corte. Mi raccomando, amica mia, ogni cosa dovrà avvenire nella massima segretezza. Se Verricio tuo cognato venisse a sapere che tuo figlio Francide è ancora vivo, questa volta userebbe ogni mezzo possibile ed immaginabile, pur di eliminarlo una buona volta per sempre!»

La regina Talinda e la sacerdotessa Retinia, furono talmente soggiogate dal meraviglioso incanto del momento, da non rendersi conto che il loro comportamento era stato completamente sconsiderato ed imprudente. A tutti i costi, esse avevano voluto conoscere la verità ed esprimere i loro propositi in presenza di una testimone scomoda, qual era appunto l’inaffidabile ancella presente. Urtesia, infatti, non appena si fu liberata di loro due, per averla esse congedata un attimo dopo, immediatamente corse dal principe Verricio per raccontargli l’intera vicenda, della quale era stata testimone. A suo parere, quelle preziose notizie di sicuro le avrebbero fruttato una bella ricompensa, da parte del loro destinatario. Invece, avendo l’autorevole personaggio lasciato la reggia di buon mattino, l'ancella non riuscì a contattarlo in quella stessa mattinata. Perciò, avida di denaro com'era, ella si ripresentò nel suo reparto verso il tramonto, dopo essere venuta a conoscenza del suo rientro.


Non era affatto abitudine del principe Verricio dare udienza alle inservienti di casa reale, essendo l’orgoglio una delle sue principali virtù. Ma avendo appreso il nome di colei che insisteva per avere un celere colloquio con lui, egli la ricevette, senza fare troppo il difficile. Quando poi l'ancella fu in sua presenza, più che mostrarsi del tutto scostante, assunse nei suoi confronti l’atteggiamento di chi si sente scocciato ad averla spesso tra i piedi. Per quale motivo? Dopo che si era prestata ad uccidere il principino per conto suo, Urtesia, di tanto in tanto, andava a spillargli un po’ di denaro. Ella giustificava ogni volta la sua richiesta, riferendogli che la sua famiglia non ce la faceva a tirare avanti con le poche regirne che riusciva a racimolare mensilmente. Inoltre, aveva sulle spalle un marito disoccupato e malaticcio, che non guadagnava niente. Per non tirarla troppo per le lunghe, l'ancella, a causa delle continue sue bussate a quattrini, gli era diventata assai antipatica, per cui la maltollerava. Eppure, anche se potrebbe sembrare strano, nonostante il suo atteggiamento da sanguisuga, il principe non aveva mai pensato di togliersela dattorno, commissionando il suo assassinio.

Ritornando al loro incontro serale, esso non si svolse affatto all'insegna della cortesia. Fu il principe Verricio a rivolgerle per primo la parola. Perciò, senza mezzi termini, volle parlarle molto francamente:

«Sappilo, Urtesia, che non ho il tempo per trattenermi con te un attimo più del necessario! Per questo ti ho già preparato il sacchetto con le monete, poiché di sicuro sei venuta a chiedermele. Esse sono le stesse che ti verso, ogni volta che vieni a farmi visita con l'intento di pitoccare la solita somma di denaro. Quindi, prendilo e togli il disturbo al più presto! Prima di andartene, però, vorrei sapere da te quando finirà questa storia e per quanto tempo dovrò ancora sopportarti. Non ti sei mai posto il problema che, tirando troppo la corda, essa potrebbe anche spezzarsi? E allora per te…; ma forse è meglio che mi sto zitto!»

«Per me cosa, mio illustre principe? Stavi forse per minacciarmi? Tra poco, invece, ti farò cambiare idea, a tale riguardo. Scommetto che mi ringrazierai pure, per essermi presentata a te, sebbene l’ora sia la più inopportuna! Te lo garantisco!»

«Perché mai, Urtesia? Sei venuta forse ad annunciarmi che non intendi più continuare a salassarmi, come sei abituata a fare da più di due decenni e un lustro? Se è questa la bella notizia che oggi intendi recarmi, allora hai senz'altro ragione! Perciò dimmelo presto e vattene!»

«Al contrario, principe Verricio, oggi non sono venuta da te ad elemosinare le solite cinquanta regirne che usualmente mi elargisci, quando ricorro a te per necessità. Invece sono qui da te per darti delle notizie molto importanti. Esse valgono ben più della ridicola somma che mi dispensi ogni tanto, come risarcimento del favore che ricevesti da me tanti anni fa. Ma se vuoi che te le riferisca, sono disposta anche ad accontentarmi della modica somma di centomila regirne, sebbene esse ne valgano il doppio. Sono convinta che, quando ne verrai a conoscenza, mi darai senz'altro ragione!»

«Ma stai scherzando, Urtesia!? Un tipo come te non può essere in possesso di informazioni che valgano la ragguardevole cifra che mi hai richiesta! Dunque, lasciamo perdere, per favore! Ora vuoi deciderti ad andartene, dal momento che il denaro è già a tua disposizione, oppure dovrò costringerti a sfrattare da qui con la forza? Ti basta solamente prendertelo! Così mi libererai della tua sgradita presenza!»

«Se è così che la pensi, principe Verricio, tieniti pure il tuo insignificante denaro e davvero non ne parliamo più, poiché tolgo l’incomodo. Per te, però, resta l'inconveniente che da oggi in poi hai smesso di dormirei sonni tranquilli, siccome il pericolo ti è già alle costole, senza che tu lo sappia! Al contrario di te, io ne sono a conoscenza!»

«Mi dici a quale accidente di pericolo ti sei voluta riferire, Urtesia? Cos’è che te lo fa pensare? Sono convinto che si tratta di una tua fantasia, per cui non puoi averne le prove!»

«Come già ti ho fatto presente, principe taccagno, parlerò, solo se mi garantisci che sei disposto a versarmi la somma che già ti ho indicata. Le mie rivelazioni, beninteso, dovranno risultarti così preziose, da valere tale prezzo! Allora sei d'accordo con me oppure ti rifiuti di ascoltarmi? Sbrìgati, per favore, poiché ho altri impegni da spicciare altrove!»

«A quanto pare, Urtesia, non mi lasci altra scelta. Perciò, siccome dovrò essere io a valutare le informazioni in tuo possesso, puoi considerare concluso il nostro affare. Quindi, senza perdere altro tempo, puoi cominciare a svuotare l’intero sacco, ammesso che esso sia davvero pieno di roba che scotta, come tu asserisci assai convintamente!»

«L’argomento riguarda Francide, il figlio del tuo defunto fratello Godian. Che te ne pare, nobile Verricio? Scommetto che dopo tantissimi anni non ti saresti mai sognato di ritrovartelo ancora tra i piedi! Per la verità, neppure io me lo sarei aspettato! Stamani l'avere appreso il suo improvviso ritorno ad Actina mi ha sbalordito che non ti dico!»

«Hai forse le traveggole, Urtesia? Che cosa c’entra qui il defunto mio nipote!? Dovresti sapere che i morti non costituiscono un pericolo e una minaccia reali! Oppure vorresti darmi ad intendere che egli sia rimasto vivo, anche dopo che se lo divorò la tigre? Se così fosse, dovrei allora punirti, per avermi ingannato e per avermi defraudato di tantissimo denaro in tanti anni! Non mi approvi?»

«Anch’io, illustre principe, ero certa che tuo nipote era rimasto vittima del feroce felino. D’altronde, al posto mio, chiunque sarebbe stato convinto della sua morte, dopo averlo visto portar via da una tigre! Oppure ti saresti fatta una idea differente dalla mia in merito? Ma non lo credo, poiché una belva affamata non sa commuoversi!»

«A questo punto, Urtesia, mi chiedo come sei venuta a sapere di una notizia del genere, a più di cinque lustri di distanza da quel giorno che ritornasti ad Actina! A quel tempo, mi assicurasti che la missione era andata in porto e che potevo dormire fra due guanciali. Vuoi spiegarmi oggi perché la verità è diventata tutt'altra?»

L’ancella di corte allora si mise a narrare al principe Verricio tutto quanto, a cui le era capitato di assistere nel primo mattino nelle stanze della regina Talinda. Gli riferì perfino fedelmente le parole uscite dalla bocca della sacerdotessa Retinia, mentre veniva ispirata dal divino Matarum. Allora il principe, pur sentendosi contrariato da quelle pessime notizie apprese dall'ancella, che non avrebbe voluto che si fossero presentate ad avvelenargli l'esistenza, cercò di mostrarsi alla donna con un volto rassicurante, mentre le affermava:

«Bene, Urtesia, avevi ragione a pensare che le tue notizie valessero un gran mucchio di quattrini. Per questo avrai da me la somma che mi hai richiesta. Ma adesso, se hai la compiacenza di andare ad attendere nel patio della reggia, ti farò raggiungere in quel luogo da un mio uomo fidato, che ti consegnerà la somma pattuita. Prima, però, làsciami ringraziarti di tutto quanto stai facendo a mio favore!»

Il mattino seguente, due ancelle di corte rinvennero il cadavere della povera Urtesia nel patio, nel posto in cui il principe Verricio la sera prima le aveva fissato l'appuntamento per la consegna del denaro. Comunque, nessuno seppe mai spiegarsi le ragioni del suo assassinio, il quale, essendo avvenuto nella reggia, apparve misterioso a tutti coloro che bazzicavano la corte. Ma dopo qualche giorno di rumore, non una persona diede più peso all'insolito fattaccio. Allora la notizia dell'uccisione dell'ancella Urtesia, essendo risultata di nessunissima importanza, si spense in brevissimo tempo nello stesso luogo dove era venuta alla luce.