212°-LA DIVA KRONEL RAGGIRA IL DIO FUROR E LO FA PUNIRE DAL PADRE

La determinata reazione di Iveonte finì per scatenare uno sdegno furibondo nel dio Furor, il quale si incaricò di punire, senza por tempo in mezzo, l'altezzosità dimostrata dal giovane nei suoi confronti. Era sua intenzione, infatti, intervenire contro di lui e stritolarlo con la massima severità. Allora si adoperò per rinchiuderlo in un campo di forza compressiva, la quale si sarebbe dovuta restringere intorno al giovane sempre di più, fino a quando il suo corpo non ne fosse rimasto miseramente schiacciato. Ma sarebbe egli riuscito nel suo malvagio disegno, dopo averla avuta vinta con lui? Per fortuna di Iveonte, al campo di forza esterno che il dio Furor gli stava operando intorno si contrappose un diverso tipo di forza, la quale si era sprigionata dall'anello un attimo prima di quella del dio negativo. Essa, in preda ad una smania espansiva, cercava di respingere la sua antagonista, con l'intento di assicurare al giovane quello spazio che gli era necessario per la sua sopravvivenza. Per questo adesso si trovavano a contrapporsi e a combattersi fra di loro due forze contrastanti, le quali erano intenzionate a non cedere l’una all'altra e a contendersi la supremazia in tale lotta. In quel modo, quella del dio malefico tendeva a smorzare nel giovane l'energia vitale; invece quella dell’anello cercava di salvaguardargli l'esistenza dalla compressione che aveva messo in atto il suo rivale.

Il dio della perfidia, da parte sua, non demordeva; al contrario, premeva perché il giovane venisse a trovarsi nella fase ultima del suo supplizio. Di preciso, bramava che egli soccombesse sotto l'irresistibile forza comprimente della sua energia, essendo desideroso di vederlo schiacciato sotto il proprio calcagno. Nello stesso tempo, però, non riusciva a fare a meno di chiedersi come facesse l'anello del giovane a disporre di una energia potente quanto la propria, se non addirittura superiore. Essa, intromettendosi nei suoi affari, gli mandava a monte ogni piano ostile all'integrità fisica del giovane. Un fatto del genere, oltre che strabiliarlo, lo faceva indignare a dismisura e lo invogliava a muovere nuovi attacchi ancora più scatenati e più furiosi contro l'umano Iveonte. Oramai la morte del terrestre era diventata per lui una vera ossessione, per la qual cosa il quartogenito del dio Buziur si adoperava caparbiamente per riuscire ad ottenerla a qualsiasi costo e con ogni mezzo. Naturalmente, in quel serrato e continuo lottarsi delle due forze contrapposte, l’una che gli era favorevole e l’altra che gli si mostrava avversa, il nostro eroe era l'unico a risentirne in modo continuativo, a volte dispoticamente a volte con minore oppressione. Per ovvi motivi, ciò avveniva con una drammaticità inesprimibilmente impressionante. Anzi, talvolta egli avvertiva su di sé lo schiacciamento che gli procurava l'energia del dio Furor, facendosi percepire come un qualcosa di umanamente insopportabile. Quasi gravasse su di lui il peso di una montagna! Per tale ragione, il giovane si sentiva la testa brulicare di ronzii e di altre sensazioni percettive, le quali parevano essere di preludio ad un imminente scoppio della sua scatola cranica. Ma esso avrebbe pure comportato una schizzata intorno a sé di tutte le meningi che vi erano contenute sinuose!

Iveonte, quindi, pur venendo caricato e messo sotto la massima pressione in quel modo orribile, resisteva con tutte le sue forze; anzi, dentro di sé, non ci pensava nemmeno lontanamente di cedere al suo oppressore, rinunciando così allo scopo suo primario. Per tale motivo, senza interruzioni egli cercava di ricaricarsi psicologicamente e spiritualmente, ricorrendo ad una speranza e ad un ottimismo sempre nuovi, entrambi che lo facevano essere più fiducioso in sé stesso. Eppure gli bastava rivolgersi all'anello ed implorare il suo intervento, per vedersi tirare fuori all’istante dalle infinite peripezie che in quel momento stava attraversando! Il giovane, però, era all'oscuro che potesse osare tanto; inoltre, ignorava che, se lo avesse fatto, gli sarebbe provenuto da una implorazione simile un utile tornaconto. Era questa la vera ragione per cui egli non si sentiva spronato a farlo, allo scopo di tirarsi fuori dai suoi guai presenti, i quali non erano né pochi né piccoli!

A quel punto, vedendo il suo protetto con la corda al collo, Kronel pensò di intervenire in suo soccorso. A dire il vero, ella non intendeva confrontarsi direttamente con il dio Furor, poiché era consapevole di non poter reggere al confronto con lui. Invece tese soltanto a giocare di astuzia nei suoi riguardi, ricorrendo ad un ottimo espediente, il quale, a parer suo, avrebbe funzionato senza meno ed avrebbe dato i suoi ottimi risultati. Ad un certo momento, perciò, rivolgendosi al perverso figlio del dio Buziur, la diva si diede a dirgli:

«Furor, se credi di riuscire con le cattive a costringermi prima a compenetrarmi con la tua essenza e poi a lasciarmi possedere da te sessualmente, sappi che ti sbagli di grosso, siccome non sono uguale alle altre dee tue prigioniere. Esse, pur di non essere sottoposte alle tue ignobili torture di natura psichica, hanno sempre ceduto ai tuoi turpi ricatti, come seguitano a farlo tuttora. Perciò devi convincerti che sono di tutt'altra tempra, essendo vaccinata anche contro simili torture. Sappi che mai riusciresti a plagiarmi e a rendermi una preda completamente alla tua mercé. Allora ti consiglio di cercare un altro modo di ottenere da me quanto agogni e cerchi di procurarti con tutte le tue energie. Anzi, se stabiliamo di venire ad un compromesso, sono disposta ad indicartelo personalmente. Dunque, nel caso che il mio discorso dovesse garbarti, ti invito a porre la massima attenzione a quanto ti proporrei subito dopo. Ma devi sbrigarti a deciderti a darmi una risposta, dio malefico, se non vuoi perdere l'occasione che ti sto generosamente offrendo!»

«Le tue parole, diva senza nome, visto che in me trovano un certo interesse, mi spingono a conoscere la tua proposta. Adesso che hai appreso come la penso, puoi andare avanti ad espormela con la massima chiarezza! Spero soltanto che essa mi aggradi e mi spinga ad accettarla! Ricorrendo a questa tua nuova trovata, però, non illuderti che sarai in grado di gabbarmi, qualora fosse questo il tuo nascosto intento!»

«Invece non ho affatto pensato di giocarti in qualche modo, ultimogenito di Buziur, essendo ben consapevole che sarebbe vano ogni mio proposito in questo senso. Come già sai, il campione terrestre, che ti ostini a far fuori con scarsissimi risultati, è il mio protetto. L'anello, che gli ho donato, riesce magnificamente a tenerti testa con tuo immenso disappunto. A tale riguardo, ti prometto che, se noi due ce la intenderemo a modo mio e troveremo perfino un accordo, subito dopo ti spiegherò perché esso è dotato di una simile portentosa energia. Una volta che ti ho esposto questi particolari, come preliminari della nostra futura intesa, adesso passo alla transazione che è mia intenzione prospettarti.»

«Bene, sagace diva, dal momento che le tue parole mi fanno comprendere che essa potrebbe garbarmi, puoi continuare ad illustrarmi la tua proposta, poiché sono tutt'orecchi ad ascoltarti. Ma ti avverto che non ti conviene propormi dei pessimi affari ed illuderti, allo stesso tempo, che me li farai accettare, poiché non sono abituato a farmene carico! Adesso che ti ho fatto presente chiaramente entrambe le cose, puoi anche andare avanti a spiegarmi ogni cosa!»

«Se ci tieni ad accoppare il mio pupillo, Furor, puoi anche prenderti la libertà di farlo. Ma siccome lo ammiro immensamente, vorrei che egli, da eroe umano qual è, avesse l'illusione di stare ad affrontare la morte alla maniera dei grandi guerrieri, cioè combattendo con la spada in pugno. Per questo dovresti combattere contro di lui, dopo avere assunto le sembianze di un essere mostruoso. Dal canto mio, gli farei da spada, come ho fatto fino ad ieri, per farlo appunto combattere contro di te. Tu non dovresti ingaggiare alcun combattimento con il mio protetto; invece, prima della sua morte, dovresti dargli l'illusoria soddisfazione di averti infilzato. Ebbene, solo in quel preciso istante, ti sarebbe consentito di infierire contro di lui con un assalto mortale!»

«Non ho capito dove vorresti arrivare con questa tua messinscena, ostinata diva. Ma se ti sei messa in testa di farmi qualche scherzo, sei sulla strada sbagliata! Comunque, continua ugualmente a spiegarmi la parte restante che riguarda la tua proposta, considerato che, in qualità di divinità minore, giammai potresti farmi capitare male!»

«Come ne sei consapevole, Furor, non potresti mai avere problemi con il tuo rivale umano, poiché egli, nel momento stesso che opererebbe il suo affondo, si ritroverebbe destituito di qualsiasi appoggio proveniente dall'anello. Così il suo colpo non potrebbe che risultare a vuoto in te, considerata la tua natura divina. Da parte mia, se acconsenti a farmi questo favore, sono pronta a farti solennemente la seguente mia promessa: Nel preciso istante che il mio eroe mi affonderà nella tua larva e tu ti sarai sbarazzato di lui, io entrerò in compenetrazione con la tua essenza e mi farò possedere da te. Allora sei disposto ad addivenire a questo accordo, il quale ti si presenta sommamente favorevole?»

«Certo che lo sono, anonima diva, considerato che esso risulta di mio gradimento! Ma continuo a ripeterti che, se ti fossi messa in testa di giocarmi un tiro mancino, credendo di sfuggirmi in questo modo, il tuo artificio sarebbe senz'altro destinato a fallire miseramente! Anche se ti concederò di muoverti e di agire in piena libertà nel mio antro, invece per te non sarebbe la stessa cosa, nel caso che tu provassi ad allontanartene per sfuggirmi. Sappi che troveresti una cortina energetica ad impedirtelo e a frustrare ogni tuo fasullo progetto. Essa, che si trova posta tutt'intorno all'antro, non si lascia affatto attraversare da una divinità minore, quale tu sei! Allora ti ho reso bene l'idea, per il tuo bene?»

«Non potevi essere più chiaro di così, prepotente Furor. Perciò non serve esserti grata, per avermi ricordato un fatto che già conoscevo. Del resto, saggiamente avrei evitato di mettermi in guai peggiori nei tuoi confronti. Come vedi, non mi è sfuggito niente di niente sulla tua divinità di grado maggiore, figlio dell'Imperatore delle Tenebre!»

Dopo che il dio Furor ebbe accettato incautamente l'accordo che la giovane figlia del dio del tempo gli aveva proposto, per cui molto presto egli sarebbe caduto nella sua trappola, si poteva affermare con sicurezza che la sua ora fatale stava per arrivare. L'orologio del tempo, quindi, gliel'avrebbe scoccata senz’altro e con immenso gradimento della diva! Il motivo era molto semplice e viene spiegato con nostro grande piacere. Tale ora, infatti, avrebbe apportato la definitiva inesistenza alla più perfida delle divinità negative che si erano trasferite in Kosmos. Inoltre, essa avrebbe significato la liberazione a tempo indeterminato delle dieci divinità positive, sette di sesso maschile e tre di sesso femminile, dal duro servaggio a cui egli le teneva sottoposte da vari secoli, agendo da crudele e perverso tiranno nei loro confronti.

La risposta data dal dio Furor alla figlia Kronel fece rallegrare infinitamente anche l'eccelso dio Kron, il quale aveva compreso che la situazione, per opera della sua scaltrita figliola, finalmente iniziava a sbloccarsi e a dare i suoi primi frutti. Per ovvie ragioni, egli non aveva potuto ascoltare la proposta che la diletta figlia aveva fatta al dio Furor. Ma l'accettazione di essa, da parte di quest'ultimo, gli aveva fatto ben sperare che le cose presto sarebbero cambiate a suo favore. Il dio del tempo era convinto che Kronel era prossima a ricongiungersi al suo anello e a sferrare il suo attacco decisivo contro il dio negativo rivale, che continuava a farla sua prigioniera. Perciò si teneva pronto ad intervenire, non appena ella avesse impartito al giovane l'ordine di colpire con la sua spada il quartogenito del dio Buziur. Di sicuro egli non avrebbe udito l'ordine da lei dato al giovane, siccome ella risultava una dea latente. Invece avrebbe scorto benissimo il suo protetto, mentre inferiva il suo possente colpo alla divinità malefica, la quale lo stava fronteggiando superbamente e in modo provocatorio. Per questo, al momento giusto, il suo intervento sarebbe risultato lo stesso massimamente tempestivo ed efficace, nonché risolutore di quella estenuante vicenda.


Ritornando ad Iveonte, all’improvviso egli si sentì di nuovo libero e non più oppresso da alcuna forza misteriosa, intenta a strapazzarlo sotto il suo peso impossibile. Poco dopo, inoltre, quando erano trascorsi appena alcuni secondi, il giovane scorse ai suoi piedi anche la propria spada prodigiosa. Alla sua vista, lo spossato giovane non volle lasciarsi sfuggire la bella occasione e, quasi in un baleno, la raccattò e la impugnò con fierezza. In pari tempo, si convinse anche che la sua protettrice stava per gabbare il suo divino catturatore. Inoltre, memore di quanto appreso dal dio Osur, il giovane era consapevole che la spada nel suo pugno disponeva di poteri illimitati, per cui adesso si trovava a gestire una grande opportunità. Così, forte di tale consapevolezza, Iveonte si preparò ad affrontare la malefica divinità, quella che poco prima aveva messo a dura prova sia la diva Kronel che lui. Ora, però, si apprestava a farlo in una visione più ottimistica e in qualità di protagonista chiave di quella travagliata vicenda, la quale stava mettendo a dura prova tanto lui quanto la sua diva!

Per il momento, però, il dio Furor temporeggiava ancora nel prendere una qualche iniziativa contro il giovane, poiché all'ultimo istante era venuto ad affiorare nella sua coscienza un lieve sospetto, il quale lo aveva portato a ripensare sull'intero accordo concluso con la diva. Infatti, già stava per scagliarsi contro il Materiade, quando un repentino assillo era sopravvenuto a tormentarlo e a fargli nutrire una forte diffidenza verso la giovane dea. In quell'istante, perciò, stillandosi il cervello, andava riconsiderando l'intero discorso che ella gli aveva fatto, a proposito delle condizioni che gli erano state dettate da lei. Esse, secondo quanto era stato stabilito con chiarezza ed accolto da entrambe le parti, subordinavano al rispetto dell'accordo ogni successiva acquiescenza della diva alle proprie voluttà. Ma ciò che lo rendeva più dubbioso era il fatto che la divinità sua rivale gli aveva promesso di concederglisi, esclusivamente in cambio di un favore che egli giudicava davvero dappoco. La qual cosa lo spingeva ad avanzare l'ipotesi che in realtà ella, con quel suo accordo, non fosse stata presa dalla premura di soddisfare il vanaglorioso eroismo del suo protetto. Con esso, magari aveva inteso perseguire un recondito scopo ben preciso e più importante; egli, però, non riusciva ancora a prefigurarsi quale esso potesse essere. Secondo lui, se i suoi sospetti non lo tradivano, di certo doveva trattarsi di un qualcosa che aveva attinenza con il suo desiderio di essere impugnata come spada dal giovane. Come se, da tale sua unione con l’anello, le sarebbe derivata in seguito una potenza idonea a riscattarla dal suo stato attuale! Per questo ora il dio negativo andava ammettendo con un certo rincrescimento che, se realmente la sua congettura corrispondeva al vero, oramai egli aveva già commesso il suo grossolano errore. Quindi, se il suo sospetto fosse risultato reale, non gli sarebbe più servito a nulla piangere sul latte versato o restarsene a recriminare invano su di esso.

Kronel, essendosi accorta che Furor in un certo senso aveva subodorato l'insidia che ella gli aveva tesa, tentò di stanarlo e di costringerlo alla lotta per poi fare intervenire il suo pupillo contro di lui. Per ottenere la qual cosa, ella pensò di spingere proprio lui a provocarlo e a farsi assalire dal dio negativo. Perciò si diede a suggerirgli in segreto:

"Su, Iveonte, cerca di offenderlo con gli epiteti spregiativi più mordaci e non risparmiarti nell'aggredirlo con stilettate trafiggenti! Così facendo, ferirai il suo orgoglio, irriterai la sua suscettibilità e farai scatenare la sua impulsiva reazione. Alla fine lo spingerai a dare l'assalto finale e a farlo cadere nella mia trappola, dandolo in pasto alla furia di mio padre, il quale già lo sta aspettando al varco per distruggerlo!"

Il giovane, accogliendo il suggerimento della diva, subito cercò di ostentare il suo disprezzo verso l'invisibile dio, il quale non osava ancora mostrarsi. Per cui, con una certa presunzione, iniziò a svillaneggiarlo il più possibile, indirizzandogli le seguenti pungenti frasi:

«Dove sei, infame divinità della malora, che sei un imbelle dio senza onore?! Ti sei forse lasciato prendere dal panico, al solo pensiero di cimentarti con un valoroso essere umano come me? Dal tuo evidente tentativo di sottrarti allo scontro finale con me, devo desumere che sei il degno figlio della codardia e che non ti importa apparire nelle vesti di un dio meschino e pusillanime. Per te la cosa importante è evitare di essere travolto dalla sconfitta e di venire relegato in una riposta esistenza scomoda e tormentata! Perciò, additandoti alla riprovazione dell'intera schiatta divina, ossia di quella della tua stessa natura, ti taccio come il dio più vigliacco, più pavido e più insignificante che esiste in Tenebrun e in Kosmos! Se ritieni che io ti stia accusando ed offendendo senza meritarlo, non devi fare altro che dimostrarmi il contrario, affrontandomi con il coraggio, che è proprio delle divinità indomabili!»

Le frasi oltraggiose ed infamanti che Iveonte gli aveva scagliate contro, quasi fossero state dei dardi trafittivi, mossero a sdegno il dio Furor. Egli, reputando le ingiurie del giovane umano molto gravi, fu dell'idea che andavano subito lavate con il sangue. Costasse quel che costasse! Perciò, in quel momento di grande indecisione, mandò a farsi friggere ogni sospetto e ogni dubbio, che andava ancora rimuginando dentro di sé. Nel medesimo tempo, si preparò ad attaccare il suo caustico offensore con tutta la tremenda rabbia che era venuta ad accumularsi nel proprio animo, durante il tempo che il Materiade lo aveva punzecchiato veramente di brutto. Oramai il figlio del dio Buziur aveva decretato di infliggergli una punizione esemplare, la quale avrebbe dovuto continuare a perseguitarlo perfino nell'oltretomba. Anche perché egli non poteva sfigurare in presenza del suo amico Araneo, il quale si trovava anch'egli presente nell'antro, facendogli così pensare che avesse paura di un insignificante Materiade di Geo.

Stando così le cose, lo scontro con il pupillo della diva divenne ineludibile, da parte del divino Furor. Il quale, assunte in un attimo sembianze di un essere orribilmente mostruoso, si diede ad avanzare contro il protetto della diva, illudendosi di tenerlo ancora in sua balìa. Era evidente che il mostro, di cui il dio malefico aveva assunto le spaventose forme, non rappresentava un essere di natura materiale, invulnerabile ed imbattibile. Si trattava di un puro spettro immane che non poteva essere colpito da nessuna arma, essendo esso costituito di pura energia. La sua complessione, nell’incessante volubilità di distensione e di contrazione delle sue appendici, si presentava costituzionalmente spettrale ed orrifica. In quella circostanza, le sue parti appendicolari facevano da cornice instabile al roteare di una coppia di occhi infuocati. Per la qual cosa, il suo mostruoso aspetto riusciva ad apparire terrificante e facilmente avrebbe finito per incutere in ogni essere umano uno spavento da infarto, se gli si fosse trovato davanti. Non incuteva meno terrore la ridda dei rumori, i quali accompagnavano i suoi passi sordi e cavernosi, i quali, mentre si andavano assestando sul suolo, producevano un cupo rimbombo, che si espandeva in ogni parte dell'antro. Si assisteva, inoltre, ad un tramestio di sibili, di fruscii, di stridori, di soffi e di crepitii; ma soprattutto si udiva uno scatenato guazzabuglio di sconquassi, di clamori e di rombi strepitosi. Essi, quindi, mentre si scatenavano, consonavano in un diabolico fracasso senza aver più termine.

Com’era da aspettarselo, il terribile e spaventoso prospetto del mostro, il quale campeggiava orrendo ed animalesco sullo sfondo livido e sinistro della tetra caverna, non indusse Iveonte a tremarne di paura. Il giovane battagliero, come al solito, anziché lasciarsi impressionare da esso, si armò del suo innegabile coraggio e si preparò ad affrontarlo con il suo valore straordinario. L'impatto ormai si faceva prevedere imminente, per cui il mostro si accingeva ad inglobare l'umano suo sfidante per disintegrarlo nel vortice tumultuoso delle sue potenti spire energetiche. Allora, in quel preciso istante, la diva Kronel si affrettò ad incitare l'eroico giovane, gridandogli con forza: "Infilzalo, mio eroico Iveonte, prima che esso avvolga te nella sua spirale energetica!" Allora, appena ricevette l'ordine dalla diva, il giovane si diede ad eseguirlo immediatamente. Perciò prima gli andò incontro correndo e poi fece affondare la lama della sua spada nello spettro del mostro. L'affondo avvenne, mentre anche il mostruoso dio si protendeva verso di lui con slancio e si sbrigava ad avvilupparlo nel suo abbraccio micidiale, essendo oramai intenzionato ad annientarlo.

Il deciso colpo vibrato dall'intrepido giovane fece scattare anche il simultaneo intervento del dio Kron. Così la sua poderosa energia speronò quella del dio Furor con tale veemenza, da risultare al dio negativo come un tremendo pugno allo stomaco. Si poteva asserire che essa gli aveva provocato lo sbandamento psichico e la quasi frantumazione della coscienza. I suoi guai, però, non erano ancora finiti, poiché altri peggiori si preparavano ad investirlo a livello esistenziale in maniera irreversibile. Per cui alla fine egli avrebbe smesso per sempre di fare il gradasso in Kosmos. Il figlio del dio Buziur, infatti, all'inizio aveva accusato il terribile colpo del dio del tempo, il quale lo aveva sballottato come un fuscello e rintontito come un citrullo. Ma subito dopo, intanto che si riaveva da esso mezzo stordito, osservò che quell'attacco fulmineo ed irresistibile da lui subito poteva essere provenuto soltanto da una divinità di grado molto superiore al suo. Perciò tentò di sfuggirle, optando per la sua esistenza inattiva e contemplativa. Quel suo tentativo di ripiego, però, siccome giungeva troppo tardi, non gli servì a nulla. Il poveraccio, dunque, si ritrovò prigioniero di una spirale energetica, alla quale il dio Kron aveva assegnato l'eterno periplo di Kosmos, costringendo il perfido dio negativo a stare rintanato all'interno di esso per l'eternità. Così vi avrebbe sofferto l'angustia, la solitudine e la desolazione, essendo esse le uniche cose certe che tale ricettacolo spiraliforme avrebbe potuto offrirgli nel suo interminabile viaggio. Mentre poi veniva saettato in quella infinita circumnavigazione cosmica, al dio Furor pareva di stare a precipitare con un capitombolo rovinoso in una voragine senza fondo. Nel cadere giù a strapiombo, egli si traeva dietro l'eco impazzita del suo prolungato urlo di rabbia e di disperazione; ma esso avrebbe seguitato a farsi sentire come proveniente da una profondità senza fine.


Dopo che il potentissimo dio Kron ebbe tolto dalla circolazione il degno figlio dell'Imperatore delle Tenebre, immantinente cessò pure la sua influenza sulle divinità da lui fatte prigioniere. Le quali, una volta appreso che era stata la diva Kronel a liberarle, grazie all'aiuto paterno, vollero ringraziarla di vero cuore per quanto era riuscita a fare a loro favore. Perciò l’indomani, senza perdere altro tempo, le divinità, le quali erano state affrancate dalla schiavitù del dio Furor, vollero ripartire immediatamente; ma non senza aver prima salutato con somma riconoscenza la diva. Esse si diressero alla volta delle località che in passato si erano scelte come proprie dimore definitive. Dopo averle raggiunte, avrebbero cercato di conseguirvi gli obiettivi che si erano prefissi in precedenza. Quando poi fu il turno del dio dell'arte, la diva, visibilmente commossa, gli si espresse così:

«Vola subito sull'Empireo, Alcus, senza fare penare oltre la tua afflitta Lux. Soltanto Splendor sa con quanta ansia ella ti sta aspettando! Quando poi ti troverai presso di lei, ti raccomando di salutarla e di abbracciarla caldamente anche da parte mia. Vedrai che ella sarà molto felice di ricevere il mio saluto e il mio abbraccio!»

Alle parole della giovane figlia dell'eccelso dio Kron, il dio Alcus si commosse intensamente. Ma dopo un breve silenzio, tutto emozionato ed ansimando, le disse:

«Se hai avuto modo di conoscere la mia consorte, Kronel, allora non puoi non aver conosciuto pure il mio Luciel, il quale adesso dovrebbe avere la tua stessa età! Perciò, se vuoi farmi un grande favore, dimmi qualcosa pure di mio figlio. Te ne prego, amabile diva, accontentami!»

Al nome di Luciel, Kronel si immalinconì nel volto, intanto che due grosse lacrime cominciarono a rigarle le gote. Dopo, però, sforzandosi interiormente per evitare di darsi alla disperazione e di tradirsi davanti agli occhi di lui, ella appoggiò la sua mano sulla spalla del dio. Il quale era ansioso di ricevere da lei la risposta che si aspettava di avere da un momento all'altro. Invece la giovane dea si limitò soltanto ad esortarlo:

«Adesso ti conviene andare, provato Alcus. Senza indugiare oltre, corri dalla tua Lux, la quale sta soffrendo da tantissimo tempo a causa della tua assenza da casa. Sarà lei stessa a raccontarti ogni cosa sul tuo Luciel. Invece io non ho altro da aggiungerti. Addio!»

Una volta che le divinità da lei liberate furono partite dalla Selva del Maleficio, la diva Kronel, tramite la persona di Iveonte, riferì al padre Kron con quale espediente il malvagio dio Furor era riuscito a catturare sia lei sia le altre dieci divinità che erano state sue prigioniere. Inoltre, gli comunicò che aveva trovato anche il dio Alcus fra quelli che erano rimasti invischiati nell'invisibile rete dell'infido figlio del dio della superbia. In pari tempo, lo pregò di avvisare la dea Lux, che era la propria madre naturale, che il consorte presto l’avrebbe raggiunta, non essendo più prigioniero del dio negativo. Allora il dio Kron promise a Kronel che avrebbe inviato la propria consorte ad avvertirla. Inoltre, la rassicurò che quanto prima si sarebbe incontrato con il fratello Locus, il dio dello spazio. Così, insieme, avrebbero studiato il modo di vanificare l'ingegnoso espediente che era stato messo in atto da Buziur, affinché un fenomeno del genere non avesse più a verificarsi in Kosmos. Infine, salutando affettuosamente la figlia anche da parte della moglie Ebla, la invitò a ritornare prima possibile in Luxan. Le raccomandò altresì di non ricadere più in altre insidie, come quella in cui era cascata da poco, tenendosi sempre stretta alla vigorosa mano del suo pupillo, che gli aveva fatto molto piacere conoscere.

Dopo la surreale esperienza vissuta nella Selva del Maleficio, Iveonte se ne ritornò presso i suoi amici. Egli era contentissimo di essere rientrato in possesso della sua spada. Giunto così al loro campo, Francide e Astoride, scorgendolo ancora possessore della sua arma fatata, ne furono immensamente felici. Nello stesso tempo, non si astennero dal domandargli come si erano svolti i fatti che gli avevano permesso di rintracciare il dio rapitore e di ritornare in possesso della sua venerabile spada. Iveonte allora promise ai due amici che soltanto lungo il cammino gli avrebbe narrato ogni cosa, che aveva riguardato la sua avventura appena vissuta. Ma fece presente ad entrambi che bisognava riprendere con urgenza l'interrotto viaggio verso la città di Actina, la quale risultava ancora troppo lontana. La sua premura di giungere al più presto nella Città Santa gli proveniva dal fatto che c’era il pericolo che essi potessero pervenirvi troppo tardi. In quel caso, avrebbero sacrificato senza scampo la madre di Francide, poiché la sua vita continuava a restare pericolosamente sospesa ad un filo.