21°-IL DIO IVEON AFFRONTA E SBARAGLIA IL DIO TRAUZ

Cerchiamo adesso di apprendere dov’era finito il dio Iveon, dopo aver preso congedo dai familiari di Grael. A tale proposito, a ciascuno di noi viene spontaneo domandarsi: Quando era già sera inoltrata, in quale posto egli poteva essersi recato, se non a riposare? Difatti lo attendeva una lotta molto ardua contro il suo malvagio avversario, che era il dio negativo Trauz. Invece, contro ogni nostra aspettativa, il dio dell'eroismo, dopo aver lasciato la capanna del capo del villaggio, non se n'era andato a dormire subito. Ma soltanto a notte fonda egli decise di ritirarsi in una grotta, al fine di trovarvi riposo e meditare nel contempo con mente serena sulle varie azioni che l’indomani aveva da condurre contro l’avversario. Al suo interno, secondo lui, si sarebbe potuto dedicare all’una e all’altra cosa, senza essere disturbato da niente e da nessuno. In quel posto tranquillo, inoltre, sarebbe perfino riuscito a deporre nel dimenticatoio gli ultimi avvenimenti della giornata e si sarebbe concentrato così nel modo migliore sul da farsi. Ciò era avvenuto poco dopo.

Le ore notturne, quindi, trascorrevano con una lentezza inverosimile, intanto che il divino Iveon si dava a pensare, a riflettere e a pianificare le sue future mosse tattiche da eseguire a svantaggio del dio Trauz. Esse avrebbero dovuto farlo intervenire contro il maligno rivale con la massima garanzia di successo, facendogli subire lo smacco più duro possibile, cioè tale da farglielo ricordare per l'intera esistenza.

Nel frattempo neppure il dio Trauz se ne restava a girarsi i pollici. Soprattutto non riusciva ad avere pace, poiché la stizza se lo stava divorando per colpa di una divinità benefica, la quale gli aveva fatto fuori tutte le Creature del Male. Essa gli aveva perfino mandato a monte l'ultimo piccante sacrificio, senza consentirgli di goderselo come esigeva la sua eccessiva libido. Comunque, egli sapeva per certo che si trattava di una divinità positiva maggiore, dal momento che quelle eccelse, rappresentate dai divini Kron e Locus, e quella massima, rappresentata dalla dea Lux, potevano solamente trovarsi in Luxan. Ma, pur avendo una simile certezza, il dio negativo lo stesso non riusciva a capacitarsi come fosse riuscito il suo antagonista a distruggere i suoi Torchidi, considerato che un fatto del genere gli sarebbe dovuto risultare impossibile. A completare il fosco quadro della situazione, egli ignorava anche sotto quale aspetto il distruttore delle sue creature si fosse umanato. Si trattava di un particolare, del quale egli doveva venire a conoscenza al più presto. Per questo il divino pedofilo si era riproposto di indagare a fondo sul dio positivo e di apprendere su di lui il maggior numero possibile di informazioni, ammesso che il suo avversario glielo avrebbe consentito. A ogni modo, già il giorno dopo avrebbe iniziato la sua meticolosa indagine sul dio benefico. Anzi, si sarebbe dedicato ad essa, non appena la nuova aurora si fosse affacciata all’orizzonte sul lato orientale del pianeta.

Come ci rendiamo conto, prima che si avesse il loro confronto diretto, le due divinità di opposta natura, ognuna all’insaputa dell’altra, avevano già incominciato un serrato studio reciproco. Agendo in quel modo, nel giro di una settimana, ciascuno di loro era venuto a conoscere sulla controparte le notizie che più gli interessavano. Così il dio Trauz aveva appreso che il nome del suo rivale positivo era Iveon ed era venuto anche a sapere quale ingegnoso espediente aveva escogitato per eliminare i suoi Torchidi. Inoltre, si era reso conto delle sue ottime relazioni con la famiglia del capo del villaggio e delle simpatie che la figlia di costui gli dimostrava. Infine gli era stato facile individuare il suo aspetto umano, per cui si era ripromesso di clonarlo a tempo debito. A tale proposito, egli aveva intenzione di perseguire certi suoi fini reconditi a dispetto del suo rivale, che conosceremo più avanti, ossia quando ciò avverrà. Da parte sua, il dio Iveon, una volta apprese sull'avversario le notizie che maggiormente gli tornavano utili, in seguito si era dato allo studio delle sue abitudini e dei suoi luoghi di frequentazione. Infine, dopo essersi impossessato anche di tali minuzie, il dio dell'eroismo si era dato a tenere sott’occhio il dio Trauz, senza mai perderlo di vista. Egli era sicuro che, così facendo, avrebbe saputo dove trovarlo, non appena si fosse deciso a sferrare il suo repentino attacco contro di lui.

Una volta trascorsi tre giorni, da quando era stata ultimata la fase di mutuo studio condotto dalle due divinità antagoniste, il dio Trauz aveva iniziato a saggiare le capacità reattive dell’avversario. Perciò, dandosi a condurre varie aggressioni contro di lui, ora dirette ora indirette, egli aveva cominciato a punzecchiarlo con vari interventi, tutti che tendevano a nuocergli in qualche modo. Con essi, il dio negativo tentava, da un lato, di scatenare la sua furia e, dall'altro, di soppesare la potenza dei suoi effetti reattivi.

Una notte, quando il dio Iveon riposava nella caverna che aveva scelta come sua abitazione abituale, il dio Trauz aveva preso la sua prima iniziativa offensiva contro di lui. Dopo aver sollevato dal suolo la più alta montagna della regione, l’aveva trasportata sopra la collina dov'era situato l'antro che ospitava l'avversario. Infine, l'aveva lasciata precipitare sopra di essa da un’altezza di circa un miglio. Ovviamente, il modesto rilievo sottostante ne era rimasto frantumato, dopo aver subito il peso impossibile dell’enorme massa di roccia. La quale, non potendo essere altrimenti, aveva anche occupato il suo posto in maniera preponderante. La caduta al suolo del monte era stata avvertita fino ad una distanza di cento miglia, come se si fosse trattato di un vero terremoto. Infatti, tutte le capanne del villaggio avevano sobbalzato sul suolo, quasi fossero state degli esili fuscelli, terrorizzando i loro abitatori.

Il divino Iveon, dal canto suo, come se l’era cavata, dopo che la sua caverna era stata schiacciata e pressata da un simile peso insostenibile? Di certo, egli non aveva fatto la stessa fine del colle che la conteneva, essendo una essenza spirituale. Esclusivamente la sua parte psichica ne era invece rimasta un po’ scombussolata, poiché essa era stata colta da marcati sintomi di profonda angustia e di soffocamento. Ma il dio positivo, che non era a corto di opportuni mezzi neutralizzanti, ricorrendo ad essi, vi aveva fatto sparire l'una e l'altro, impartendo il seguente comando: "Che si faccia spazio intorno a me!" Liberata così la sua psiche da ogni ristrettezza ed oppressione, il divino Iveon si era adoperato per ripristinare nella zona la precedente struttura orografica del suolo. Per questo, usando la sua poderosa energia, innanzitutto aveva sollevato il monte fino a cento metri di altezza. Dopo era andato a risistemarlo nel posto giusto, dal quale esso era stato avulso dal rivale.

Allora il dio negativo, avendo assodato che tentare di colpire direttamente il dio Iveon significava solo perdere tempo, essendo egli un dio che sapeva il fatto suo, aveva stabilito di cambiare tattica con lui. Ossia egli aveva pensato di ricorrere unicamente ad attacchi che avrebbero dovuto coinvolgerlo in modo indiretto. Per maggiore chiarezza, il dio malefico avrebbe cercato di provocare i danni peggiori al villaggio di Cerpus e a quelle persone che gli stavano a cuore. Perciò, senza perdere tempo, egli si era attivato in questo senso.

All’inizio, il dio Trauz era ricorso alle forze della natura, poiché aveva intenzione di spingerle a maltrattare gli abitanti del villaggio in maniera esagerata. Così, dopo aver radunato gli elementi naturali ed averli compattati in un ammasso rovinoso, li aveva fatti scatenare sulla regione in cui sorgeva il villaggio cerpusino. Il crudele dio, prima ancora di scagliarli contro di esso, li aveva fatti incattivire tremendamente, strapazzandoli dentro una forma di energia che li aveva indotti ad inasprirsi e ad acuire la loro distruttività. Soltanto a quel punto, li aveva fatti abbattere sull’intera regione a briglie sciolte, come destrieri ombrosi che non ne volevano più sapere di essere raffrenati e tenuti da parte in totale inattività. Allora per gli abitanti locali non c’era stata più pace, neppure cercandosi il rifugio appartato più sicuro. La violenza degli elementi si era mostrata inusitata, sconvolgente e intenta a fare tabula rasa perfino di ogni zolla di terra e di ogni angolo dei vari villaggi zonali.

A un certo punto, era sembrato che si fossero aperte le cateratte del cielo, dalle quali non cessavano di fuoriuscire piogge torrenziali, che cadevano al suolo copiose ed allaganti. Alla fine, esse avevano ingrossato i fiumi e i laghi, facendogli raggiungere il loro punto critico. Perciò essi si erano dati a minacciare di esondare e dar luogo ad alluvioni distruttrici, se un prodigio non fosse intervenuto a vietarglielo drasticamente. Un pericolo del genere si andava profilando in mezzo alla gazzarra dei venti, dei lampi e dei tuoni, che impazzavano ovunque e frastornavano ogni cosa. Manifestandosi con tali pessime previsioni, essi terrorizzavano persone ed animali, come non lo avevano mai fatto in passato in quella regione. Anche la grandine era intervenuta a fare la sua parte di demolizione. Così, tempestando e diluviando dappertutto ininterrotta, devastava ogni contrada sottostante, provocando ingenti danni.

I Cerpusini erano già all’apice della sopportazione e a malapena riuscivano a scampare alla furibonda esagitazione delle forze naturali, allorquando il dio Iveon aveva deliberato di muoversi in loro soccorso. Prima di ogni cosa, aveva immesso nell’atmosfera un'energia espansibile ed avviluppante, la quale aveva iniziato a dare una caccia spietata agli scatenati elementi della natura. Essi, a loro volta, assolutamente non ne volevano sapere di frenare la loro rabbia e la loro irruenza catastrofica. Invece l'energia del dio positivo, dopo averli avvolti e segregati in una composizione energetica dall’effetto sedante, in poco tempo li aveva obbligati a cambiare idea e a desistere, facendoli ritornare a crogiolarsi beati nella bonaccia più assoluta. Per la precisione, l’energia emanata dal dio dell'eroismo dapprima aveva imbrigliato i vari elementi naturali e poi aveva fatto sbollire la loro riottosità, ammansendoli come miti agnelli inoffensivi. Quindi, unicamente grazie alla sua azione energica, li si erano visti alla fine scemare di potenza distruttiva e dissolversi come nebbia allo spirare di un vento che operava nel segno dell’ordine.

Non molto tempo dopo, anche la pioggia era cessata; mentre la grandine aveva smesso di tamburellare e di imperversare al suolo. Infine avevano fatto lo stesso anche i fulmini e i tuoni, i quali avevano deciso di ritirarsi nel nulla, lasciando in pace tutti gli esseri viventi della zona. In seguito a tale fenomeno, il cielo era ritornato ad essere limpido, di un azzurro carico e interamente irradiato dal sole. Esso adesso si presentava soprattutto sloggiato da ogni perturbazione cupa e violenta. Allora la natura, essendo venute meno le graffianti sferzate delle azzannanti intemperie, si era riappropriata della serenità perduta, riprendendo in tal modo a vivere il suo ritmo febbrile.

Durante lo sconvolgimento della natura, gli atterriti abitanti di Cerpus non avevano avuto dubbi su ciò che stava succedendo. Essi avevano compreso all'istante che a causare il verificarsi di quei fenomeni strani, all'inizio negativi e un paio di ore più tardi positivi, senz'altro era il conflitto che era iniziato ad aversi tra le due divinità. Per questo, ogni volta che la disturbante fenomenologia negativa aveva preso una piega positiva, essi si erano resi conto che c’era stata una nuova vittoria da parte del loro divino campione. La qual cosa aveva fatto tirare un sospiro di sollievo ai tremanti Cerpusini e li aveva liberati da tutte le loro apprensioni interiori molestatrici. Esse si erano andate accumulando nei loro animi durante l'intera fase conflittuale, tenendoli in una morsa spietata.

A quei fenomeni prodigiosi, tutti gli abitanti di Cerpus avevano incominciato a considerare Iveon un dio a tutti gli effetti, non potendo essere diversamente. Una simile considerazione gli aveva evitato di andare incontro a un crollo psicologico, il quale avrebbe lasciato nel loro animo degli strascichi difficilmente sanabili in brevissimo tempo. Inoltre avrebbe danneggiato la loro serenità, fino a renderli i succubi di una esistenza deprivata di ogni valore psichico e spirituale.


Fallito anche il suo ricorso alle forze naturali, allo scopo di arrecare danno alla popolazione cerpusina, il dio Trauz aveva ancora ripiegato sulla generazione di creature artificiali. Egli intendeva dare origine a quelle che fossero particolarmente portate a distruggere la specie vivente, in particolar modo quella umana. Questa volta, però, egli sarebbe stato attento a non dare al rivale l'opportunità di farle fuori con un espediente mirato a tale scopo. Per poter dare una esistenza a simili creature, il dio malefico doveva però allontanarsi dal dio positivo almeno di un centinaio di miglia. Altrimenti i suoi sforzi in quel senso sarebbero stati frustrati dall'influenza contrastante dell'avversario oppositore. Quando poi aveva superato la distanza richiesta, egli aveva prodotto in quel luogo un ingente numero di cavallette artificiali, le quali presentavano delle esigenze tassativamente carnivore.

Le sue nuove creature senza indugio erano dilagate nei campi alla ricerca di tutti gli animali, di taglia sia piccola che grossa. I loro salti di due metri le facevano dirigere rapidamente verso il villaggio di Cerpus, il quale per questo era minacciato dal loro arrivo imminente. La principale caratteristica delle malefiche locuste era quella di ridurre in polvere i brandelli di carne che esse staccavano con ostinazione dai corpi delle loro vittime. Così trasformavano in ossami tutti i piccoli e i grandi vertebrati che incontravano sul loro percorso. Risparmiavano i soli uccelli perché, non essendo dotati di volo, non potevano raggiungerli nell’aria.

Non appena si era avveduto della nuova insidia ordita dal rivale, la quale presto sarebbe andata a seminare la morte tra i suoi protetti, il dio Iveon aveva iniziato a studiare un altro espediente per porvi riparo. Esso avrebbe dovuto neutralizzare le letali cavallette artificiali, considerato che non si potevano distruggere in nessuna maniera. Né tantomeno c’era la possibilità di spingerle ad autodistruggersi senza volerlo, come era riuscito a fare con i Torchidi. Ma bisognava pur trovare al più presto un rimedio efficiente per salvaguardare l’integrità fisica dei Cerpusini, la quale adesso si presentava gravemente in pericolo. Per loro fortuna, la sua mente geniale era stata in grado di indicare opportunamente al dio positivo come cavarsela in quella circostanza davvero problematica. Essa gli aveva suggerito lo stratagemma più appropriato per rendere inefficace la pericolosità insita nelle nuove creature del malefico dio, quello che conosceremo tra poco.

Si trattava di produrre un numero di rospi artificiali uguale a quello delle cavallette e di predisporre la loro natura in modo da indurli a dare la caccia alle esiziali locuste. Logicamente, tali anfibi sarebbero stati impotenti ad eliminare fisicamente gli insetti saltatori prodotti dal dio negativo; però ognuno di loro sarebbe stato in grado di ingoiarne uno intero. Per cui, trattenendolo nel proprio corpo, senza eliminarlo in modo definitivo, alla fine lo avrebbe fatto sparire dalla circolazione per il tempo necessario. Tale espediente temporaneo avrebbe fatto comodo al divino Iveon. A suo avviso, non c'era dubbio che le cavallette avrebbero cessato di esistere, non appena egli avesse sconfitto l'avversario e lo avesse costretto ad abbandonare il pianeta per sempre. Alla fine, dopo aver dislocato strategicamente il suo esercito di bufonidi a difesa del villaggio, in modo da contrapporlo alla marea delle locuste in arrivo, il dio Iveon aveva atteso l’evolversi degli eventi. In pari tempo, egli si era augurato che le sue creature, come si attendeva, fossero state in grado di imprigionare dentro il loro corpo quelle del rivale Trauz. All’arrivo degli agili ortotteri, i rospi si erano buttati a capofitto tra le loro serrate falangi, iniziando ad inglobarli in massa con una voracità impressionante. Al termine della loro caccia, ogni rospo aveva confinato una locusta nel proprio stomaco artificiale. Così essa, suo malgrado, si era ritrovata a subire la ristrettezza di spazio che l'avversario le imponeva. Stando poi rinchiusa nel corpo del suo catturatore, ogni micidiale creatura, non essendo capace di uscirne, non aveva potuto ridarsi al ruolo per cui essa era stata prodotta. Grazie a quella nuova trovata del dio Iveon, il popolo cerpusino era stato risparmiato ancora una volta. Ma quest'ultimo era rimasto all'oscuro dello scampato pericolo corso di recente, dal quale era stato salvato dal loro divino protettore.

Messo di fronte al nuovo smacco, il dio Trauz si era reso conto che il suo antagonista era un dio dalle mille risorse e che, se voleva continuare a competere con lui, doveva andarci con i piedi di piombo. In caso contrario, egli ci avrebbe rimesso parecchio, anche se non era in grado di quantificare la futura perdita. Allora, vedendo che il dio positivo si stava dimostrando più in gamba di lui, la divinità malefica aveva deliberato di dargliela per vinta, abbandonando la lotta e il villaggio di Cerpus.

Prima però di lasciare il pianeta Treun, il quale era stato soggiogato da lui fino a quel momento, il dio negativo aveva pensato di fare al dio Iveon uno scherzo di pessimo gusto. Esso, nel suo nuovo piano, avrebbe anche procurato a sé un gradevolissimo piacere. Perciò, in quella stessa notte, dopo aver assunto le sembianze del suo rivale, il dio Trauz si era presentato in sogno alla giovane Grael, chiedendole di avere un rapporto intimo con lei. Da parte sua, la ragazza, che attendeva con ansia una simile richiesta dall’amato dio, non aveva esitato ad accettarla e si era concessa con immensa gioia all’atto amoroso, che il suo partner le aveva richiesto. Durante il piacevole orgasmo, il dio Trauz aveva cercato di fare avere al suo rapporto con lei l'identico epilogo destinato ai sacrifici che gli venivano offerti, ossia l’immediato strangolamento della sua vittima sacrificale. Invece, proprio in quel momento, egli aveva avvertito la presenza del dio Iveon nelle immediate vicinanze. Al suo arrivo, pur di sfuggirgli in tempo, il dio negativo aveva allentato la presa intorno al collo della ragazza ed era scappato via furioso.

Come mai il dio positivo non si trovava nella sua caverna a trascorrervi il riposo notturno, ma ne era uscito, contrariamente alle sue abitudini? In verità, egli era andato a riposare nello stesso posto, com’era solito fare; però la notte non si era mostrata compiacente e generosa nei suoi riguardi, come le altre volte. Un'agitazione inspiegabile si era impossessata di lui e lo aveva privato del sonno. Nelle più intime fibre dell’animo, il dio si era sentito preoccupato per qualcosa, a cui non riusciva a dare un nome e una giustificazione. Alla fine, il pensiero che il rivale Trauz stesse mettendo in atto ancora qualche sua diavoleria contro i Cerpusini lo aveva allarmato in maniera tremenda. Anzi, lo aveva spinto a sincerarsi con i propri occhi che nel loro villaggio tutto procedesse liscio come l’olio e che nessun pericolo lo minacciasse. Era stato così che il dio positivo aveva sorpreso il dio negativo, mentre si stava allontanando in gran fretta dalla capanna dell'amico capo del villaggio.

Alla vista del suo avversario, il divino Iveon si era sentito rimescolare il sangue ed aveva deciso di metterlo alle strette, chiudendo per sempre la partita con lui. Agendo in quel modo, egli avrebbe definitivamente liberato dalla sua malvagità il villaggio di Cerpus e l’intero pianeta Treun. La lotta sarebbe stata dura; al termine di essa, però, la vittoria gli avrebbe arriso, premiandolo e regalandogli una soddisfazione gratificante.

A quel punto, lo scontro finale tra le due divinità di natura opposta si era delineato ineludibile, tremendo e combattuto fino all’ultima risorsa. Ben presto se ne sarebbe reso conto pure il dio Trauz, non appena avesse preso coscienza che il suo accigliato rivale non era più disposto a lasciargli fare tutto quello che voleva, tollerando ogni sua magagna. Al contrario, avrebbe compreso che egli intendeva fargliela pagare caramente, chiudendo per sempre i conti con lui. In quel caso, egli non sarebbe stato più capace di sfuggirgli.


Si era nel cuore della notte, quando il dio Iveon si era gettato all’inseguimento del malfattore dio malefico. Costui, dal canto suo, non aveva tardato ad avvertire la sua presenza inseguitrice. Essa lo aveva reso cosciente che oramai il confronto diretto con il suo avversario era immancabile. Anche perché esso lo attendeva dietro l’angolo, nella sua veste d'improcrastinabilità. In un primo momento, il dio Trauz, assumendo un imbelle contegno, aveva tentato di sottrarsi al divino Iveon con la fuga, ma senza riuscirci. Il dio positivo, infatti, essendo anch’egli molto veloce, gli era stato alle costole durante l'intera sua corsa nello spazio, con la quale il dio negativo si era dato a trasvolare più volte la superficie del pianeta. Infine, messo alle corde dal dio benefico, egli era stato costretto ad affrontarlo, benché fosse di parere contrario. Lo scontro si era rivelato travolgente, fin dalle sue prime battute. Vi erano state chiamate in causa l’astuzia, la combattività, l'inarrendevolezza, l’intransigenza, la perseveranza e l’asprezza. Tali doti, che si evidenziavano in entrambi, operavano nel combattimento in modo appropriato, siccome riuscivano benissimo ad infondere nei due contendenti un ardore pugnace. Inoltre, esse infiammavano in loro il desiderio di stritolare il duro e pervicace nemico, disintegrandolo ed annientandolo; ma per il momento, senza che nessuno dei due combattente avesse successo.

Il primo colpo, che era costituito da un concentrato energetico di altissimo potenziale, era partito dal dio Trauz. Esso, però, non era riuscito a raggiungere il suo avversario, allo scopo di provocargli qualche tipo di danno. Il dio Iveon, dopo averlo intercettato ed arrestato sul suo percorso, lo aveva neutralizzato con un lancio di energia elaborata. La quale, a sua volta, avendolo raggiunto in tempo utile, innanzitutto lo aveva avvolto e risucchiato. Poco dopo, invece, ne aveva disattivato ogni potere lesivo, poiché i suoi effetti ci sarebbero stati soltanto ad avvenuta esplosione. Nel medesimo tempo, il dio positivo aveva sferrato contro il suo rivale un pugno energetico di straordinaria potenza. Esso, poiché lo aveva raggiunto in pieno petto, esplodendovi rovinoso, gli aveva provocato un momentaneo stordimento; in più, gli aveva prodotto una modesta dolenzia nella regione epigastrica.

Accusato il possente colpo, il dio Trauz, volendo avere più tempo per riprendersi dalla poderosa botta, unilateralmente aveva deciso d'imporre una pausa allo scontro in atto. Così aveva frapposto una cortina nebbiogena tra sé e il dio dell'eroismo. Egli intendeva approfittare del banco di nebbia da lui generato per volatilizzarsi e sparire alla vista dell’irriducibile avversario. Comunque, la massa nebbiosa non aveva avuto vita lunga, siccome era stata dissipata in un tempo brevissimo dal dio Iveon. Costui subito dopo si era rimesso sulle tracce dell’avversario, al fine di reperirle e farsi poi condurre da esse fino a lui. A gran fatica, lo aveva infine ripescato nello spazio esterno all'orbita del pianeta, mentre cercava scampo nelle profonde viscere di un grande asteroide. Ma il dio Iveon aveva bloccato il dio Trauz giusto in tempo, prima che egli trovasse rifugio all'interno di esso e vi si rendesse irreperibile.

A quel punto, la ripresa della tenzone aveva dato origine a uno scontro ravvicinato, il quale poteva essere paragonato a un nostro corpo a corpo. Ingaggiandolo, entrambi non si assestavano a vicenda pugni e calci, come si potrebbe immaginare, non trattandosi di esseri umani. Invece si affrontavano, dando luogo a una baruffa di grovigli energetici di natura opposta. Nel ricorrere ad essi, ciascuno di loro cercava di impressionare l'avversario e di buttarlo giù psichicamente. Nel glaciale clima cosmico, tali intrichi di energia, intanto che si contrapponevano e cercavano di spiazzarsi gli uni gli altri, si mostravano tra bagliori di livida luce. Per la qual cosa, conferivano allo spazio circostante una parvenza di spettrale squallore. Si assisteva, cioè, a uno zigzagare di lanci senza quartiere, i quali erano costituiti da concentrati energetici di inimmaginabile potenza. Essi, all’atto dei loro fulminei abbordaggi, provocavano nella divinità presa a bersaglio offuscamenti oftalmici, squassi psichici ed intronamenti mentali. Tali effetti, però, non si avevano nelle due divinità con la medesima intensità, poiché essa dipendeva specialmente dal grado di capacità offensiva e difensiva di ciascuna di loro.

Mentre gli dèi che li sferravano facevano il possibile per dominare l’avversario, la serie dei loro attacchi e contrattacchi pareva non aver più termine in quel confronto all'ultima energia. Ambedue tendevano a produrre nell'avversario il massimo danno psichico possibile e tentavano di renderlo totalmente disavvezzo alla realtà di Kosmos, obbligandolo in quella maniera ad abbandonarlo in fretta e furia. Oramai gli scioccanti sprazzi di energia volavano dall'una e dall'altra parte, cercando di ostacolarsi reciprocamente. Sovente, scontrandosi, essi si impennavano e deflagravano in una effusione di lampeggiamenti accecanti e di rombi assordanti. In quell’epica lotta, non poteva che primeggiare il dio Iveon, il quale presentava una difesa formidabile, nonché una offesa che si palesava di una aggressività inaudita. Perfino la sua strategia di assalto si rivelava qualcosa di portentoso e di straordinaria potenza a chi era costretto a subirla. Nello stesso tempo, essa si dimostrava allo sventurato oltremodo fiaccante e fortemente demoralizzante.

In ultimo, il dio dell'eroismo aveva pensato di risolvere lo scontro a suo favore, ricorrendo ad una brillante trovata. Innanzitutto egli aveva bloccato un getto energetico dell’avversario nella parte iniziale della sua emissione e poi lo aveva avviluppato con una potente energia, la quale non era affatto disposta a farsi squarciare. Inoltre, aveva fatto trovare nel resistente involucro energetico anche colui che lo aveva emesso, ossia il suo avversario. Infine non si era dimenticato di aggiungervi una sua carica esplosiva ad alto potenziale dirompente, capace di massacrare perfino una psiche divina, non potendosi avere il suo annientamento. In quel modo, il divino Trauz si era ritrovato in una campana energetica che si mostrava refrattaria all’urto delle esplosioni, oltre che in compagnia di due forze sul punto di esplodere. L’una era quella emessa da lui stesso; mentre l’altra era quella eiettata dal suo rivale, la quale la teneva talmente serrata tutt’intorno, da non lasciarsela scappare. Quando poi lo sventurato si era reso conto dell’indesiderato incapsulamento, era già troppo tardi per un’adeguata soluzione di ripiego. Infatti, l’irreparabile stava oramai evolvendo precipitosamente verso la sua disastrosa conclusione.

Poco dopo l’azione combinata delle due deflagrazioni aveva coinvolto tremendamente il dio negativo, riducendogli la psiche piuttosto male. Essa, essendo stata lacerata in più parti, era risultata impotente a continuare a gestire la realtà cosmica, senza andare incontro a problemi seri. Anche la sua mente si era ritrovata in cattive acque, invasa com’era da rintontimenti e da frastornamenti permanenti e non più risolvibili. Anzi, essi l’avevano divezzata dal condurre una normale esistenza nella realtà di Kosmos. Allora, pur gestendo a malapena la sua difficile situazione del momento, la malconcia divinità negativa era stata in grado di riparare ugualmente in Tenebrun, facendo ritorno presso la casa dei propri genitori. Essi, scorgendolo in quello stato pietoso, ne erano rimasti impietriti e si erano anche impietositi. Poi, convinti che solo Buziur avrebbe potuto guarirlo da tale suo dissesto esistenziale, senza perdere tempo glielo avevano accompagnato. Ma quando i due divini coniugi gli avevano chiesto di adoperarsi per il loro massacrato figlio, l’Imperatore delle Tenebre, facendosi prendere dall'ira, gli aveva risposto:

«Il vostro Trauz ha avuto quello che si meritava. Non sapevate che, dopo il grave torto che aveva arrecato alla diva Aklia, gli davo la caccia per ridurlo ancora più male di come si presenta ora? Ebbene, visto che già ci ha pensato qualche altro dio al posto mio, sapete cosa vi dico? Che egli si goda per sempre la sua precaria situazione attuale! Anzi, prima che ci ripensi e passi a ridurlo ancora più grave di come è conciato adesso, conducete subito via dalla mia casa il vostro scellerato figlio!»


Messo fuori combattimento il dio Trauz, il divino Iveon si era recato celermente al villaggio di Cerpus, dove aveva rassicurato i suoi abitanti che mai più essi sarebbero stati tiranneggiati dal dio malefico. Ciò, perché egli, avendolo ridotto piuttosto male nel loro scontro, aveva messo in fuga l’autore delle loro tribolazioni e gli aveva precluso ogni possibilità di un suo ritorno su Treun. Dopo, siccome non aveva trovato Grael in casa sua, il dio era andato a cercarla nello stesso posto dove l’aveva incontrata la prima volta. La ragazza si trovava proprio in quel luogo, con la mente rivolta al suo amato dio, cioè a lui. Non appena aveva scorto il divino Iveon, si era illuminata di una gioia radiosa e non sapeva come contenere dentro di sé la felicità che le sprizzava da tutti i pori. Quando infine egli le era stato abbastanza vicino, ella si era lanciata ad abbracciarlo, esprimendosi a lui con una voce assai emozionata.

«Finalmente ti fai rivedere, mio diletto Iveon!» la ragazza aveva cominciato a dirgli «Se sei qui con quel volto raggiante di soddisfazione, vuol dire che hai condotto vittoriosamente a termine la tua battaglia contro il perverso dio Trauz. Non è forse vero che non mi sbaglio? Mi fa piacere che tu lo abbia sconfitto, facendolo sparire per sempre da queste parti e liberando il mio popolo da lui. Te ne sono molto grata!»

«Hai proprio ragione, mia piccola Grael! Da oggi in poi, la tua gente non dovrà più temere alcun male dal maligno dio, poiché egli ha ricevuto da me il fatto suo. Ti garantisco che non lo rivedrete mai più nel vostro villaggio. Ti do la mia parola! Sei contenta?»

«Certamente, mio eroico Iveon! Ti ringrazio moltissimo per ciò che hai fatto per noi; ma consentimi di muoverti una obiezione. Non gradisco che tu mi chiami piccola; per questo in avvenire astieniti dall’usare questo termine, quando ti rivolgi a me! Devi sapere che sono diventata donna già da diversi anni, ossia da quando mi sono arrivate le prime mestruazioni. Tale, quindi, voglio essere considerata da te, quando sono nei tuoi pensieri. Sarei assai contenta, se nella tua mente, tutte le volte che pensi a me, nascessero anche dei desideri inconfessabili. Tu sai benissimo a quali mi riferisco!»

«Non credevo di offenderti con tale vezzeggiativo, dolce Grael! Desideravo solamente essere gentile con te! Se poi quando te lo attribuisco ti reco davvero fastidio, allora in avvenire starò attento che esso non mi esca più dalla bocca neppure per sbaglio. Ti senti soddisfatta adesso? Adesso, se desideri che io faccia qualcos'altro per te, non hai che da chiedermelo, poiché sono disposto a fare tutto ciò che vorrai!»

«Certo che mi sento appagata, mio caro Iveon! Ma per ottenere da te ciò che sto per chiederti, innanzitutto è necessario che mi consideri una vera donna. Altrimenti potresti trovare una certa riluttanza da parte tua nell’appagare la mia richiesta. La quale, in un certo senso, poco fa ti è già stata anticipatamente palesata da me!»

«Mi dici, Grael, cosa intendi chiedermi di così imbarazzante, se non sono indiscreto? Ti assicuro che non c'è nulla che potrebbe mettermi a disagio! Perciò, quando vuoi, puoi liberamente manifestarmi il tuo inverecondo desiderio. D'accordo?»

«Lo saprai presto, mio amabile Iveon. Ma prima vorrei sapere da te se sei al corrente che noi umani, quando dormiamo, siamo soggetti a dei sogni che non sempre siamo in grado di ricordare al mattino. Mentre li facciamo, a volte essi ci fanno avere delle esperienze bellissime. Peccato che esse appartengano esclusivamente ad una falsa realtà, con nostro grandissimo disinganno. Lo conoscevi tale nostro particolare?»

«È ovvio che uno come me ne sia a conoscenza, graziosa Grael! Comunque, non vedo ancora alcun nesso logico tra i sogni e la tua ubbia, secondo la quale, adoperando con te qualche vezzeggiativo, io non possa considerarti una vera donna! Per favore, vuoi spiegarti meglio a tale riguardo e farmi comprendere in questo modo la relazione esistente fra le due differenti cose, quella che io continuo a non vederci per niente, per quanto mi sforzi?»

«Dopo che ti avrò raccontato anche il resto di quanto stavo per dirti sul mio sogno, Iveon, sono certa che non la penserai più alla stessa maniera di adesso. Per questo motivo, stammi ad ascoltare senza interrompermi più, se vuoi comprendere ogni cosa!»

«Allora affréttati a riferirmi tutto, Grael, perché dopo, stando alle tue precisazioni, potrò seguire meglio il tuo ragionamento. Il quale, come vedo, inizia a farsi davvero misterioso!»

«La notte scorsa, Iveon, ho sognato che sei venuto a trovarmi e mi hai proposto di fare l’amore con te. Io, che attendevo da tempo che tu mi facessi una simile proposta, l'ho accettata all'istante. Allora ci siamo amati con intensa passione e abbiamo goduto in maniera meravigliosa. In seguito a tale sogno, mi è venuta la voglia di vivere realmente il mio sogno di stanotte, per cui voglio vedermi sospirare tra le tue braccia nel modo più stupendo possibile. Ossia, desidero estasiarmi con il corpo e con lo spirito, mentre mi possiedi e mi penetri con tutta la tua intemperante lussuria. Sì, mi piacerebbe essere tua ed appartenerti almeno una volta nella mia vita; vorrei bearmi di te, mentre mi ubriachi di piacere e mi rendi vittima consenziente della tua sfrenata passione. Dunque, dio Iveon, sei disposto a soddisfare questo mio innocente peccato di sesso? Ti avverto che, se ti opponessi al mio desiderio, potrei pure suicidarmi, senza pensarci due volte! In tal caso, tu saresti l’unico responsabile della mia morte prematura! Ti conviene stare attento a ciò che deciderai!»

La richiesta di Grael, messa in quei termini che la presentavano perentoria e ricattatoria in senso buono, aveva obbligato il dio dell’eroismo ad accettarla. Egli voleva evitare che la ragazza si desse la morte da sé, poiché un fatto del genere gli sarebbe dispiaciuto. Per questo, mostrandosi consenziente, non aveva potuto fare a meno di risponderle:

«Grael, se è solo ciò che pretendi da me, non oso negartelo. Anche perché me lo stai chiedendo con tutta te stessa, come se il nostro intimo rapporto rappresentasse per te l’obiettivo numero uno della tua esistenza! Quindi, se le cose stanno così, non oso tirarmi indietro e passo ad appagare il tuo vivo desiderio come meglio posso.»

Così poco dopo il dio e la ragazza avevano iniziato ad amarsi sulla riva del lago, per la precisione dove continuava a farsi udire lo sciabordio delle onde, le quali andavano a frangersi crespe e schiumose sulla sponda lacustre. Intanto che essi amoreggiavano, i loro nudi corpi non potevano essere scorti da nessun visitatore indiscreto che fosse capitato per caso da quelle parti, poiché il dio li aveva resi entrambi invisibili. Superata poi la fase dei preliminari, nella quale avevano primeggiato i tocchi suadenti destinati alle loro zone erogene, si era entrato infine nel vivo del loro rapporto amoroso. Da ambo le parti, dunque, si era invocata la penetrazione, ossia l’incantevole fusione dei loro corpi, poiché essa senza meno li avrebbe colmati di sublime ebbrezza e di letizia.

A un certo momento, l’estuoso amplesso, intanto che faceva esultare la giovane Grael di piacere indefinibile, aveva sconvolto per un attimo il dio Iveon. Per quale ragione? All'improvviso gli era parso di avvertire la presenza del dio Trauz. Allora si era chiesto se egli non avesse preso le sembianze della ragazza per giocargli un tiro mancino. Ma subito dopo si era convinto che il rivale non poteva averlo fatto, avendolo egli reso malconcio in modo grave. Il dio Iveon, però, aveva voluto dissipare qualsiasi dubbio dentro di sé, provvedendo a vanificare l’effetto della deicela, casomai il rivale vi fosse ricorso. Pur servendosi dell'espediente atto a neutralizzarla, la ragazza non si era trasformata nel malvagio dio negativo. Soltanto così il divino eroe si era tranquillizzato, poiché finalmente si era assicurato che stava facendo l’amore proprio con la vera Grael e non con l’entità divina che aveva sospettato.

Allora da dove gli era provenuta quella sensazione alquanto strana? Dopo una breve valutazione dei fatti, il dio Iveon aveva sospettato che essa potesse essergli derivata da una sola cosa. A suo avviso, la ragazza non aveva fatto nessun sogno durante la precedente notte; invece era stata posseduta realmente dal dio negativo Trauz. Il quale, dopo avere assunto le sue sembianze, le aveva presentato il rapporto intimo avuto con lei realmente come una falsa visione onirica. A quella scoperta alquanto probabile, il divino eroe, volendo evitare di mortificare Grael e di guastarle la bella festa che stava trascorrendo insieme con lui, aveva tenuto per sé le sue congetture. Inoltre, aveva preferito farle assaporare quei dolci e magici momenti, senza che nessun fosco pensiero venisse ad avvelenarglieli. Per questo, intanto che aveva spaziato con la mente nelle sue supposizioni, il dio non si era neppure fatto accorgere della sua momentanea distrazione. Anzi, aveva seguitato ad amoreggiare con lei con una normalità insospettabile, senza darle ad intendere quanto le era successo nella precedente nottata.

Al termine del loro rapporto sessuale, il divino Iveon e Grael si erano salutati assai commossi, essendo giunta anche la fine del soggiorno del dio sul suggestivo pianeta Treun. La ragazza aveva voluto abbracciarsi ancora una volta il suo amato dio, prima di vederlo sparire per sempre nell’azzurro infinito del cielo. In verità, mentre egli si accingeva a partire, se i suoi occhi erano diventati lucidi, nel suo animo si era andata accumulando un mare di mestizia! Quando poi c'era stata la sua partenza, essa l’aveva rattristata nelle sue parti migliori, avendo coinvolto il suo animo, la sua mente e il suo cuore. All’improvviso, le era sembrato che tutti e tre si fossero calati in un’ambascia profonda. La qual cosa l'aveva fatta sentire, come se l’esistenza le stesse venendo interamente meno. Infatti, non l’avvertiva più come qualcosa che le trasmetteva una gaia vitalità, quella che era riuscita ad assaporare soltanto in presenza del divino personaggio. Al contrario, Grael si era sentita e vista rovinare in una voragine buia e profonda, nella quale poteva scorgere esclusivamente la sua penosa esistenza, mentre andava a frangersi contro la propria imperante agonia.