209-IL DIO FUROR VISITA L'AMICO ARANEO
L'incontro fra il dio Furor e il dio Araneo, che erano le due divinità legate da antica amicizia, com'era da aspettarselo, era stato caloroso e cordiale. La prima dimora del dio del sesso si trovava nella pineta situata sul lato nord della città di Cirza. Essa offriva una gradevole frescura ai pellegrini, specialmente se vi capitavano nella stagione estiva. La seconda, invece, dove egli si era trasferito dopo che i mille guerrieri del sacerdote Tespo gli avevano distrutto il tempio, era stata costruita all'interno di un'ampia caverna, nella quale gli era stato edificato il secondo tempio. Comunque, essa era ubicata ad appena un miglio dal villaggio di Aranuk. Quando poi gli era stato distrutto da Iveonte e dai suoi amici sia il simulacro che il nuovo tempio, egli si era trasferito in una piccola valle verde, che era interamente ricoperta di aceri e di pini, dove si era dato ad erigere la sua terza abitazione. La quale si trovava nel territorio cirzese, ai piedi dei monti che facevano parte della grande catena montuosa di Elpasan. Il dio del sesso si era ancora servito di un antro ampio e profondo per realizzarla. Ma adesso ci conviene riprendere l'incontro tra le due divinità malefica, prima di farci prendere da altre distrazioni.
Ebbene, al termine delle loro effusioni gioiose, che erano seguite all'abbraccio affettuoso iniziale, il quartogenito del dio Buziur non sapeva come far sfogare la sua immensa felicità. Ma una volta che si era riavuto dagli attimi di gioia che aveva provato insieme con l'amico, spavaldamente aveva voluto far presente al dio del sesso, che l'ospitava:
«Devi sapere, Araneo, che durante il lunghissimo viaggio che mi ha condotto dalle tue parti, mi sono dato ad una caccia che era di mio gusto, poiché l'avevo sempre desiderata, prima ancora di partire, conseguendo così dei risultati assai proficui, come puoi constatare! Inoltre, essendo dee tre delle mie prede, permetterò anche a te di spassartela con loro e di possederle, ogni volta che ne avrai voglia. Da parte mia, già lo vado facendo da parecchio tempo, ricavandone un folle piacere. Sappi che conosco dei metodi infallibili per piegarle alla mia volontà e per costringerle a fare ogni cosa che ordino a tutte e tre. Quindi, non mi sarà difficile obbligarle ad accondiscendere pure alle tue voluttà sfrenate. Secondo quanto mi risulta, la tua lussuria riesce a tradursi in una vera tregenda di coiti assatanati e di orgasmi esplosivi. Non per niente, sei il dio del sesso! In Tenebrun corre voce che questa tua prerogativa ti fa ottenere dei veri prodigi, quando ti applichi sessualmente. Evita di nascondermelo per pura modestia, mio vecchio amico, poiché ne sono a conoscenza tutte le divinità di quel luogo, oltre a quelle di Kosmos!»
«Stammi bene a sentire, mio grandissimo amico d'infanzia.» lo aveva ripreso il dio Araneo «Non credo che sia stato saggio, da parte tua, metterti a fare prigioniere delle divinità minori di Luxan, strapazzandole poi a tuo piacimento. Secondo me, il tuo comportamento è da considerarsi una vera imprudenza; anzi, con esso potresti altresì suscitare un vespaio in questa parte dell'universo, dove io ed altre divinità negative risiediamo. Per il momento, qui si evita ogni scontro diretto tra noi e le divinità positive, proprio come se ci fosse un tacito accordo. Soprattutto, ricòrdati che qui potresti trovare pane per i tuoi denti, come già lo hanno sperimentato in passato altre divinità negative del tuo calibro. Esse, dopo essere state costrette a battere in una vergognosa ritirata, sono state anche punite con grande severità dai loro avversari di natura positiva! Adesso che mi ti sono spiegato nella maniera dovuta, caro Furor, cerca di darti una regolata! Te lo dico soltanto per il tuo bene!»
«Non preoccuparti per me, Araneo, siccome mio padre già mi ha reso consapevole di ciò che posso permettermi e di ciò che devo evitare di fare in Kosmos. Ti faccio presente che le divinità da me immobilizzate, che puoi vedere rinchiuse in un guscio di forze, sono tutte latenti, per cui nessun'altra divinità cosmica potrà intercettarle e cercare di soccorrerle. Ad ogni modo, è giusto che tu sappia che, per opera di mio padre, il mio accesso a Kosmos è avvenuto in modo per niente ortodosso, cioè diversamente da tutte le altre divinità che vi si trovano. La qual cosa mi consente di condurvi una esistenza anomala, essendo essa molto diversa da quella delle altre divinità. Così sarà anche per l'avvenire! Nel Regno della Materia e del Tempo, sono l'unica divinità in grado di esistere a volte come entità agente, cioè visibile ed intercettabile; altre volte, invece, come entità contemplativa, cioè invisibile e non captabile dalle altre divinità. In entrambi i casi, perché tu lo sappia, sono soltanto io a decidere se scegliere l'una o l'altra esistenza cosmica, a seconda del momento e della circostanza. La qual cosa mi avvantaggia sulle altre divinità di Kosmos, siano esse positive oppure negative.»
«Se le cose stanno come affermi, Furor, allora ritiro l'appunto che prima ti ho mosso contro e ti chiedo umilmente scusa. Ma non dimenticare mai che in questo universo la prudenza non è mai troppa! Perciò cercare di esporsi il meno possibile deve essere una delle regole fondamentali per noi divinità negative, se vogliamo fruire di una esistenza priva di problemi. Solamente se ci atteniamo ad essa, riusciamo a trascorrervela con pacatezza e non ci ritroviamo a sperimentarvi l'opposto a nostre spese. Intanto che viviamo nella realtà di Kosmos, è così che dobbiamo comportarci, amico mio, se vogliamo sottrarci a taluni guai seri, i quali non smettono di stare in agguato, pronti ad aggredirci!»
Non avendo gradito neppure un poco il rimprovero che gli era stato fatto dal vecchio compagno unicamente per il suo bene, il permaloso dio della perfidia subito aveva cercato di cambiare discorso. Per questo, mostrando un aspetto palesemente imbronciato, oltre che alquanto risentito, aveva voluto chiedere all'amico:
«Adesso, Araneo, vorrei che tu mi dicessi quali sono le divinità di Luxan più in mostra, mi riferisco a quelle che si trovano da queste parti, e se ce n'è qualcuna di grado maggiore, la quale potrebbe darmi delle grosse noie oppure farmi trovare nelle grane. Visto che ci vivi da parecchio tempo, dovresti sapermelo dire. Ti faccio presente che, informandomi di loro, mi faresti un grandissimo favore e ti ringrazierei.»
«Furor, nella vasta regione edelcadica, la quale è quella in cui siamo noi, si è insediata una sola divinità maggiore; mentre le poche altre sono tutte divinità minori e di scarso rilievo. Quanto a quella maggiore, che è Matarum, essa è senza dubbio un dio di grande prestigio, perché è adorata da tutti i popoli dell'Edelcadia. Quindi, ti consiglio di stare alla larga da lui, se non vuoi correre vari e consistenti pericoli. Anzi, potresti ritrovarti sospeso in un nulla sconfinato, dove ti vedresti privato dell'esistenza attiva. Inoltre, ti sentiresti impotente a scrollarti di dosso quel deprimente tedio, il quale seguiterebbe ad assillarti per una durata esorbitante! Mi sono spiegato nel modo migliore, amico mio, oppure ritieni che io non sia stato così, per cui dovrò ripetertelo ancora una volta?»
«Araneo, hai forse dimenticato che anch'io sono una divinità di grado maggiore e che, identicamente a lui, sono fornito di superpoteri. Perciò perché dovrei temerlo nel modo che tu affermi? Per giunta, sono il figlio del sommo dio Buziur, l'Imperatore delle Tenebre! Dunque, ti invito a non sottovalutarmi troppo, come se io fossi un pivello o, addirittura, una divinità di scarso valore! Quando mi capiterà l'occasione di dimostrartelo, vedrai che te ne convincerò senza meno!»
«Anche Strocton la pensava allo stesso modo tuo, Furor, fino a quando non si azzardò a misurarsi con Matarum. Così, suo malgrado, dal confronto ne uscì sonoramente battuto. L'illustre divinità dell'Edelcadia lo fece sparire dalla circolazione, senza più permettergli di dare notizie di sé. Oramai sono due millenni che il dio dell'ingordigia resta sepolto nell'oblio e chissà quando lo si rivedrà ancora in giro da queste parti!»
«Io, però, amico mio, non sono Strocton, per cui saprò cavarmela molto meglio di lui! Te ne darò la dimostrazione senza dubbio, non appena mi accadrà di rivaleggiare con il dio del cielo in una nostra contesa, ammesso che un giorno avremo modo di scontrarci! Te lo garantisco!»
«Te lo auguro, Furor! Comunque, desidero farti delle precisazioni, riguardo alle tue due precedenti affermazioni. Non tutte le divinità del Regno delle Tenebre sono a conoscenza che i poteri di una divinità di Luxan, se paragonati a quelli di una divinità di Tenebrun di pari grado, risultano superiori del venti per cento. Per la quale ragione, alcune di loro si ritrovano a fare l'amara scoperta troppo tardi e a loro spese! Ma posso sapere perché il tuo sommo genitore non ha fatto in modo che tu fruissi dei suoi iperpoteri secondari, quando conduci una esistenza cosmica, visto che potresti averne bisogno? Al posto suo, io lo avrei fatto, anche perché egli non può neanche oltrepassare la barriera cosmica per raggiungerti in caso di bisogno. Infatti, sono sempre desti a vietarglielo i due ringhiosi mastini, che sono stati posti a guardia dell'universo. Come si sa, Kron e Locus, rimangono sempre vigili, perché ciò non succeda mai. Ma tuo padre di sicuro ti avrà già riferito anche queste cose, per cui è meglio tagliare corto su quest'altro argomento!»
Essendosi ancora indispettito per il nuovo atteggiamento dell'amico Araneo, il quale aveva continuato a contrapporsi ad ogni cosa da lui asserita, alla fine il dio della perfidia aveva deciso di troncare la conversazione con lui. Perciò, dopo aver preso congedo dall'amico con patente freddezza, se ne era andato in cerca di un luogo da destinare a sua stabile residenza. Così, secondo il quartogenito dell'Imperatore delle Tenebre, vi avrebbe ricavato, nel più breve tempo possibile, una dimora degna del suo rango. La stizza, che gli aveva manifestata l'adirato Furor, naturalmente, non era sfuggita al dio Araneo. Il quale, però, aveva lasciato fare, senza più intervenire a scusarsi con lui e a placare la sua temporanea collera. A parer suo, l'amico aveva da fare ancora molta strada, prima di diventare un dio navigato del cosmo e riuscire a giostrarsi in esso in modo opportuno e conveniente. A tale riguardo, il dio del sesso era convinto che egli in seguito, soprassedendo al suo sciocco ed ingiustificato adontamento, sarebbe poi ricorso a lui ancora altre volte per chiedergli consigli e pareri. Secondo il dio Araneo, dopo quella sua prima visita, il figlio di Buziur sicuramente sarebbe ritornato da lui a breve scadenza per un motivo qualsiasi. Così gli avrebbe dimostrato di avere affossato ogni suo rancore ed ogni sua animosità, essendo desideroso di seguire le sue linee guida.
Un fatto, che in precedenza è stato tralasciato e che riguarda un altro breve colloquio che c'era stato tra il dio Furor e suo padre, adesso viene qui riportato fedelmente, avendo esso una certa importanza per noi. Il suo inserimento in questa circostanza, cioè prima ancora di approfondire la vicenda del dio della perfidia, ci chiarirà ulteriormente un suo lato oscuro. Ma una volta che lo avremo messo in luce meglio possibile, in seguito eviteremo ad alcuni lettori esigenti di avere qualche dubbio circa un particolare della stessa. In poche parole, essi potrebbero domandarsi come mai il dio Buziur non aveva fornito il figlio di un suo scettro dai poteri enormi, come quello di cui aveva dotato i kapius dell'Impero dell'Ottaedro, che erano stati rappresentati dai suoi tre figli e dai suoi tre nipoti. Tali lettori riusciranno a comprenderne meglio i motivi, dopo avere appreso la parte di colloquio che a suo tempo c'era stata e che invece è stata omessa per pura dimenticanza da chi vi sta narrando l'infinita epopea, pur cercando di non lasciarsi distrarre da alcunché.
Ebbene, prima di intraprendere il suo agognato viaggio, la cui meta era stata prima Kosmos e poi Geo, il dio Furor era apparso un po' corrucciato al proprio genitore, come se fosse insoddisfatto di qualcosa. Allora il dio Buziur, non comprendendo in nessun modo il suo evidente sdegno, aveva voluto domandargli:
«Mi dici, caro figlio mio, perché mai, tutto all'improvviso, sei diventato mogio e restio a parlarmi? Direi quasi che tu abbia assunto l'atteggiamento di chi ha appena ricevuto un torto da qualcuno. C'entro forse io nel tuo mutato umore del momento? Se davvero ho ragione, allora desidero che tu mi chiarisca ogni cosa in merito. Dopo che lo avrai fatto, sempre nel caso che mi sarà possibile, cercherò di rimediare all'istante a qualche mia inconsapevole pecca! Allora cominci a sbottonarti?»
«Se devo esserti sincero, padre, direi che la colpa sia davvero tutta tua di questo mio cambiamento di umore. Anche se hai già fatto molto per me, avrei voluto da te qualcosa di più, che non mi facesse apparire meno stimato degli altri miei tre fratelli e di alcuni miei cugini. Per l'esattezza, mi riferisco a coloro ai quali un tempo affidasti la carica di kapius, dal momento che essi allora furono trattati diversamente da me!»
«Che cosa ti fa pensare, Furor, che allora mi sia prodigato per tutti più di quanto io abbia fatto con te adesso? Dovresti saperlo che non ho più dei buoni rapporti con i tuoi fratelli, da quando portarono alla disfatta il nostro Impero dell'Ottaedro! La stessa cosa vale anche per i miei nipoti, ai quali ti sei riferito, considerato che anch'essi si mostrarono responsabili della fine del nostro impero in Kosmos. Tale vicenda, la quale continua a tormentarmi, non so se definirla squallida oppure disastrosa. Ma adesso veniamo a noi. Vuoi spiegarmi come li avrei trattati meglio di te e che cosa ti avrei fatto mancare, rispetto a loro? Se sul serio mi è sfuggito qualcosa a tale riguardo, figlio mio, sei pregato di farmelo presente subito! Allora ti decidi a riferirmelo, per favore?»
«Quando i miei fratelli e i miei cugini si trasferirono in Kosmos, padre mio, donasti loro un tuo prodigioso scettro, che metteva a loro disposizione dei poteri immensi. Con me, invece, hai evitato di essere tanto generoso quanto lo fosti a quel tempo con loro. Ciò sta a significare una sola cosa: agli occhi tuoi, io conto meno dei miei fratelli e dei miei cugini! Oppure, secondo te, sul serio dovrei pensarla in maniera diversa?»
«Come vedo, figlio mio, mi stai accusando ingiustamente di parzialità e di favoritismo, quando invece non è proprio il caso di sospettare una cosa del genere nei miei confronti! Il mio scettro doveva servire a tutti e sei loro per ottenere un sacco di cose, appunto per mettere su l'impero che conosci. Se invece lo regalassi a te, esso ti procurerebbe soltanto una infinità di guai. Kron, con il suo sguardo indagatore che non conosce confini, lo intercetterebbe in un batter di ciglio e allora verrebbe anche a conoscenza della tua presenza in Kosmos. In quel caso, stanne certo che egli non ti darebbe il tempo di usarlo neanche per pochi attimi. Ecco come stanno realmente le cose, mio caro Furor! Da parte mia, come vedi, ho voluto solo preservarti da un simile rischio! Ora ti sei convinto anche tu che sbagliavi a considerarmi assai ingiusto nei tuoi riguardi?»
«Allora ti chiedo scusa, padre, se questo è il motivo per cui non ti sei incaricato di dotarmi di un tuo scettro prodigioso, mentre sono in partenza per Kosmos; anzi, ti ringrazio per tutto il resto che stai facendo per me. Non avrei mai dovuto dubitare di te, che hai sempre straveduto per me ed hai preso ogni volta le mie difese, anche quando mi sono trovato a litigare con la mia genitrice! Questo non lo posso negare!»
Avvenuto tale chiarimento tra i due familiari, c'era stata la fine del loro breve colloquio. Dopo il loro incontro, il dio Furor non aveva voluto perdere altro tempo ad imbarcarsi nella sua prima avventura cosmica, la cui meta prescelta era risultata il pianeta Geo.
Una volta riportato l'episodio tralasciato per dimenticanza, possiamo riprendere la nostra storia dal punto esatto che l'avevamo temporaneamente sospesa. Per la precisione, in tale lasso di tempo, il dio Furor aveva appena lasciato la dimora del dio Araneo, poiché si era indispettito, dopo che era stato più volte contrariato dall'amico di vecchia data.
Lasciata la casa dell'amico Araneo, il dio della perfidia aveva operato una ricognizione sui territori viciniori, al termine della quale, aveva prescelto, come sua residenza, una selva che si trovava a sud-est di Cirza. Invece aveva ricavato la sua dimora da un antro situato al centro della cupa selva indicata, ritenendolo un posto piuttosto tranquillo. Quando infine si era definitivamente aggiustato per bene in quel luogo, egli, proprio come aveva previsto il dio Araneo, aveva compreso che era stato uno stupido ad adontarsi di fronte alle considerazioni dell'amico. Le quali, in realtà, erano state schiette e leali, ma soprattutto a fin di bene nei propri confronti! Perciò aveva anche deciso di andare a trovarlo per fargli le sue scuse e per metterlo al corrente del luogo in cui si era insediato, spiegandogli anche come vi si era sistemato. Nel medesimo tempo, trovandosi a casa del carissimo amico, gli avrebbe rivolto l'invito ad andare a trovarlo per fargli conoscere la sua bella dimora.
Dopo essersi rappacificato con il dio Araneo, in seguito ad una sua nuova visita all'amico d'infanzia, il dio Furor gli aveva illustrato la zona della sua residenza e gli aveva pure descritto per sommi capi la sua abitazione. Al termine della sua descrizione, lo aveva invitato nella sua casa, dove si erano trasferiti poco dopo. In quel luogo, riandando ai vecchi tempi che li avevano visti uniti come fratelli, le due divinità amiche avevano trascorso dei bei momenti; né si erano astenute dal possedere due delle tre dee positive, che il figlio di Buziur continuava a tenersi sue prigioniere, insieme con sette dèi.
L'antro, che il dio Furor aveva adibito a sua dimora, si espandeva sotto un colle, il quale aveva la cima a cuspide e le pendici impervie. Esso, inizialmente, era stato di modesta grandezza; ma poi il dio aveva voluto ampliarlo, ricavandone un ulteriore spazio, specialmente nel senso della profondità. In un secondo momento, lo aveva suddiviso in tre scomparti distinti e con funzioni differenti. Nel primo, teneva segregate le divinità benefiche minori, quelle che aveva fatto prigioniere nello spazio cosmico. Nel secondo, conduceva la sua esistenza attiva e riceveva cordialmente eventuali ospiti divini a lui graditi. Nel terzo, il quale era l'abaton, trascorreva la sua esistenza contemplativa; in pari tempo, vi compiva ogni suo atto nefando ed innominabile a discapito delle divinità benefiche sue prigioniere. L'abaton era il reparto meno spazioso, ma anche il più protetto, poiché egli lo aveva reso inviolabile da parte sia di divinità minori sia di Materiadi di qualsiasi specie. Si trattava del luogo nel quale il dio della perfidia si ricaricava di esistenza cosmica attiva mediante la contemplazione. Inoltre, vi conduceva con la forza le divinità che aveva catturate, al fine di seviziarle nella forma più perfida e maligna a lui congeniale. Se poi si trattava di dee, egli le costringeva anche ad avere con lui delle compenetrazioni di tipo sessuale.
Anche all'esterno dell'antro, il dio Furor aveva voluto imprimere l'impronta inconfondibile della sua presenza malefica. Ossia, lo aveva circoscritto con una zona avente il raggio di tre chilometri ed aveva fatto infestare tale fascia circolare di selva da una strana specie di insetti, ai quali aveva dato il nome di Capsi. Ma è opportuno, da parte nostra, cercare di capirci un po' di più su quelle creature maligne, le quali risultavano enormemente nocive per tutti gli esseri animali che vivevano in quell'area selvosa. La medesima cosa accadeva a quegli uomini, i quali vi fossero capitati per caso oppure di propria volontà.
Ebbene, i Capsi avevano la stessa grandezza dei nostri calabroni, ma rappresentavano un qualcosa di artificiale, per cui non appartenevano al regno animale. Tali mostriciattoli volatili, pur muovendosi nell'aria con un regolare volo, non potevano essere considerati delle bestioline, siccome in essi non si riscontravano tracce di essenza vitale. Il loro moto era dovuto esclusivamente ad una energia, che vi aveva prodotto il loro creatore. Inoltre, quelle creature artificiali non abbisognavano di alimentarsi e presentavano un aculeo al posto dell'apparato buccale, la cui lunghezza era poco più di tre centimetri. Tali mostriciattoli dotati di volo manifestavano una spiccata tendenza a seguire le orme di ogni essere fornito di vita animale. Dopo averlo intercettato e raggiunto, lo aggredivano ognuno per proprio conto oppure a sciami, a seconda della sua grandezza, e gli conficcavano nel corpo il loro pungiglione mortale. Basti pensare che erano sufficienti una cinquantina di loro a far fuori, in meno di un quarto d'ora, un animale della stazza di un elefante! Invece ne bastava uno solo per uccidere un uomo anche di grossa statura, in un tempo pressoché uguale. Dopo essersi attaccati al corpo delle loro vittime ed avervi confitto il loro aculeo, essi inoculavano nell'apparato circolatorio delle stesse una strana sostanza. Questa, rivelandosi molto micidiale, le faceva morire in brevissimo tempo; ma prima che la morte li uccidesse per sempre, procurava loro degli strazi indicibili. Insistendo a parlare ancora dei Capsi, i quali al massimo potevano raggiungere il migliaio, va aggiunto che essi erano in azione giorno e notte, senza conoscere soste, e si mostravano infaticabili nella loro caccia. Inoltre, essendo sprovvisti anche di qualsiasi tipo di organo visivo, non potevano avvistare le loro prede. Invece era il sangue di un essere animale, caldo o freddo che fosse, a fargli da richiamo. Quella strana specie di insetti non vivente, dopo averne avvertito la presenza anche ad un chilometro di distanza, subito si mettevano sulle sue tracce. Siccome riuscivano ad evitare qualunque ostacolo che incontravano nel loro volo, lo raggiungevano nel giro di pochi minuti. Subito dopo agivano perniciosamente su di esso, inoculandovi la venefica sostanza di cui si è parlato prima. Essa aveva il potere di solidificare il sangue degli esseri animali, trasformandolo in un calcare. Ma anche la restante parte del corpo ne subiva gli effetti deleteri, siccome in poco tempo si scorgeva la loro vittima trasformarsi in un'autentica statua di pietra, proprio come se l'avesse scolpita uno scultore.
Avvenuto l'insediamento di Furor al centro della selva, i Capsi si erano dati immediatamente a fare piazza pulita di tutti gli esseri animali che abitavano la zona delimitata e marcata dal dio con la sua impronta malefica, senza mai oltrepassarla di un solo centimetro. Essi si erano messi a sciamare ovunque, anche negli angoli più riposti della fitta boscaglia, e vi avevano recato l'orrore di una morte impietosa. Questa si era messa a distruggere l'essenza vitale degli esseri animali, la cui distruzione avveniva non senza causare delle sofferenze lancinanti ed insopportabili alle vittime da loro bersagliate. Quei minuscoli mostri artificiali non avevano dato tregua neanche ai piccoli animali, come gli uccelli e i rettili che erano di dimensioni ridotte. Così li avevano raggiunti e sterminati in massa, portando all'estinzione totale del patrimonio faunistico di quella parte della selva, che veniva soggiogata dall'influsso maligno dell'inclemente divinità. La quale, volendo difendere la propria privacy, aveva voluto tenere qualsiasi occhio indiscreto lontano dalla sua abitazione. Ma anche tutte quelle persone, le quali avevano avuto la disavventura di inoltrarsi in tale selva e di ritrovarsi nella sua zona interdetta, non erano state risparmiate. Per cui avevano subito la stessa sorte degli animali, che un tempo l'avevano popolata. Al riguardo, nella città di Cirza, si narrava che un secolo prima un centinaio di armigeri a cavallo, che davano la caccia ad un manipolo di predoni razziatori, dopo essersi addentrati nella zona selvosa protetta dal dio, non erano stati più visti farne ritorno. Solo uno di loro era riuscito a farla franca, siccome precedeva gli altri nella fuga. Così egli aveva potuto mettere al corrente i suoi concittadini dello spettacolo truculento, al quale aveva assistito allibito. Il suo racconto era stato quello che viene compendiato qui appresso al lettore, essendo egli desideroso di apprenderlo.
Il drappello dei soldati scandagliava da poco la prima parte di selva per rintracciarvi i predoni che li avevano preceduti in essa, quando all'improvviso se li erano ritrovati davanti con i loro cavalli; ma essi erano privi di vita e apparivano come se fossero imbalsamati. In verità, più che i loro corpi esanimi, che non presentavano ferite di alcuna sorta, li avevano spaventati e fatti impallidire di più l'espressione atterrita dei loro volti e l'atteggiamento plastico del loro corpo. Dall'una e dall'altro pareva che affiorassero gli effetti tremendi e conturbanti di una sofferenza, la quale di sicuro si era dovuta protrarre fino al parossismo. A quella scena raccapricciante, che appariva pure stomachevole, gli armigeri, credendola opera di un mago, senza perdere tempo avevano deciso di allontanarsi da quel luogo funesto. Essi si erano convinti che quel posto era soggiogato da una malia terribilmente esiziale. Purtroppo il loro proposito di scappare via da quel sito mortale ben presto era stato frustrato da un nemico invisibile, il quale li aveva prima fatti penare in modo orribile e poi li aveva trasformati in statue prive dell'alito della vita. Perfino i loro cavalli erano andati incontro alle stesse sofferenze e al medesimo processo di mummificazione gessosa, restando immobili nel loro atteggiamento statuario. Si era salvato il solo armigero che, al momento dell'arrivo dei Capsi, si trovava appena oltre la linea di demarcazione, quella che vi era stata segnata dal dio Furor.
Dopo quel giorno nefasto, alla misteriosa selva era stato dato il nome di Selva del Maleficio. Inoltre, nessuno più si era azzardato a frequentarla, alla stessa maniera che già facevano anche le tantissime specie animali. Queste ultime, preavvertendone il pericolo di morte, giustamente adesso si tenevano bene alla larga da quel luogo. Per un sesto senso, esse si rendevano conto che, agendo in quel modo, non rischiavano di venir meno alla loro vita.