206°-IL DIO ARANEO SUBISCE UN NUOVO SMACCO

Nel tempio del divino Araneo, la mezzanotte era trascorsa da poco, per cui la fase preparatoria dei tre riti di novilunio era appena terminata. A quel punto, una seconda terna di colpi di gong diede inizio al primo di esso, cioè quello relativo all'Immolazione dei Pargoletti. Il quale doveva effettuarsi nello stesso tempo che la Somma Sacerdotessa si dava a rivolgere con voce altisonante la sua orazione al divino Ottopode Cornuto. Ma ella aveva appena cominciato ad implorare il nume protettore con le seguenti parole: "Accogli, divino Araneo, il tiepido sangue di questi otto fanciulletti…", allorché Iveonte intervenne con fulmineità ad interromperla nella parte iniziale della sua implorazione. Così facendo, il giovane non le permise di andare avanti nella sua preghiera rivolta al dio del sesso. In precedenza, egli e i suoi amici, dopo essere venuti fuori all'improvviso dalla folla dei fedeli, rapidamente erano balzati in prossimità del piccolo cerchio disegnato al centro del tempio. Dopo essi avevano scavalcato i corpi delle giovani vergini distese per terra e quelli dei satirei, che erano in posizione seduta e con le gambe incrociate. Nel fare ciò, tutti e tre si erano tolti anche gli aderenti e fastidiosi coprivolto e li avevano gettati per terra. Avvenuta la qual cosa, Iveonte aveva invitato i suoi compagni a controllare con le spade sguainate l'uno il lato destro dell'effigie e l'altro quello sinistro. Soltanto allora c’era stato il suo intervento, assalendo la religiosa, la quale in quel momento si era dedicata alla sua orazione. Perciò adesso le stava gridando ad alta voce:

«Per questa volta e per tutto il tempo avvenire, il dio Araneo dovrà fare a meno del sangue di bambini innocenti. Chiunque tenterà di torcere loro anche un solo capello si pentirà di averci provato! Io e i miei amici siamo qui per porre fine, in modo definitivo, alla strage mensile che da anni si va compiendo a spese di fanciulli senza colpa! La cosa peggiore è che la loro immolazione venga compiuta con l’unico scopo di soddisfare la perversione sessuale di un dio lussurioso! Da questa sera, però, ad opera nostra, essa cesserà per sempre di esistere, poiché in avvenire non ci saranno più sacrifici del genere. Ve lo garantisco!»

La repentina irruzione dei tre giovani e le parole di Iveonte fecero inorridire la Somma Sacerdotessa. In un primo momento, ella fu scorta sbiancarsi in viso, poiché venne presa da una stizza furibonda, che la costrinse a rodersi il fegato. Invece poco dopo, senza tradire il suo portamento ieratico, la religiosa badò a redarguire con durezza gli incauti intrusi, facendo scaturire dalla sua reazione le seguenti frasi biliose:

«La vostra condotta blasfema, subdoli profanatori della sacralità di questo tempio, presto farà scatenare l'ira del dio Araneo. Non c'è dubbio che essa si abbatterà su di voi possente e vindice dell'offesa da voi ricevuta. Inoltre, la vedrete armarsi di sdegno nei vostri confronti attraverso i suoi invincibili Guerrieri della Morte. I quali faranno uno scempio così grande dei vostri corpi, da renderli irriconoscibili perfino da colei che vi ha generati! Potevate restarne fuori, senza compromettere il vostro futuro. Invece, con sfacciata imprudenza, vi siete voluti cacciare nel più grosso dei guai, dal quale potrà provenirvi soltanto la morte!»

«Non sperare che le tue minacce ci spaventino, megera della malora!» le rispose Iveonte «Vengano pure a tenerci testa i tuoi ridicoli Guerrieri della Morte, siccome essi potranno unicamente procurarci del solletico! Vedrai che i miei amici ed io faremo seguire a tutti loro l’uguale destino già assegnato a tre dei loro camerati, quelli che abbiamo eliminato in serata. Li abbiamo uccisi per impadronirci dei loro passamontagna e potere così accedere indisturbati al tempio con le nostre armi punitrici! Adesso siamo pronti ad accoglierli per farne carne da macello!»

Nel frattempo Francide e Astoride avevano obbligato le sacerdotesse e le loro converse ad allontanarsi dal simulacro del dio, mettendosi a spingerle verso il gruppo delle vergini e dei satirei, con l'intenzione di farle unire a loro. Inoltre, alle prime avvisaglie di ribellione da parte della rappresentanza maschile, essi ne avevano fatto fuori alcuni, allo scopo di ridurre gli altri alla ragione. Raggiunto tale obiettivo, si erano anche affrettati a liberare i bambini dalla loro scomoda posizione a testa in giù, alla quale li costringevano i resistenti legacci. Così, dopo averli slegati e privati anche del bavaglio, li avevano posti a sedere sopra il dorso dell'effigie del dio Araneo. Dopo Iveonte e i suoi amici, restando sempre con le spade in pugno, seguitarono a tenere a debita distanza la componente maschile del rito religioso, che era composta dai settantadue satirei. Ma costoro, essendoci stata l'eliminazione dei loro compagni più facinorosi, non se la sentirono di tentare una sortita e rischiare la pelle, come era successo agli altri tre. Da parte sua, la Somma Sacerdotessa, constatata l'evidente pericolosità dei tre giovani minacciosi e non potendo fare altrimenti, si affrettò a gridare ai suoi guerrieri:

«Guerrieri della Morte, mi vedo obbligata ad autorizzarvi ad intervenire nella zona sacra del tempio, affinché facciate tacere per sempre questi tre giovani sacrileghi. Vi esorto a farli pentire di avere osato sfidare la potenza del nostro dio Araneo! Fate vedere all’Ottopode Cornuto come siete in grado di mettere a sua disposizione il vostro forte braccio e il vostro strenuo valore! Avanti, intervenite con la massima furia!»

Quando la Somma Sacerdotessa Arnina li incitò a scagliarsi contro i tre importunatori presuntuosi, poco prima i Guerrieri della Morte avevano già preso posizione tutt'intorno alla zona interdetta del tempio. Mostrandosi poi impazienti di oltrepassarla, non vedevano l'ora di punire con feroce severità gli intrusi miscredenti. Ma siccome era proibito anche a loro di accedere a tale zona sacra, essi erano stati costretti a restarsene fermi al suo bordo, anche se apparivano rabbiosi ed impotenti di prendere qualche decisione. Infine l'invito della suprema religiosa li tolse dalla padella in cui stavano friggendo di impazienza e li fece entrare in azione con la loro esuberante prepotenza. Essi, però, ignoravano che adesso si stavano buttando sopra la brace ardente, la quale ben presto li avrebbe fatti bruciare, anziché friggere. Quindi, l'esortazione della Somma Sacerdotessa venne ad infondere molta euforia negli Araneidi presenti nel tempio. I quali già avevano previsto una morte subitanea per i tre malaccorti giovani, che avevano voluto mettersi da soli nei guai. Invece molte mamme, specialmente quelle dei piccoli sacrificandi, nel loro intimo, si erano lasciate prendere dalla simpatia e dalla compassione verso i tre miserabili giovani. Esse ne avevano ammirato perfino il nobile gesto, il quale si accordava perfettamente con il sogno nutrito dalla maggior parte di loro, che da tempo lo vivevano senza speranze. Al contrario, per loro fortuna, le cose sarebbero andate diversamente per quei tre giovani, che oramai tutti i fanatici presenti consideravano ormai spacciati. Esse, infatti, si sarebbero svolte né come la Somma Sacerdotessa si era augurata né come la gran parte degli Araneidi presenti si era auspicata che accadessero.

Iveonte, Francide e Astoride, avendo preso coscienza che lo scontro con i Guerrieri della Morte si presentava imminente, passarono subito a spalleggiarsi reciprocamente, posizionandosi cioè in quei punti strategici che costituivano i vertici di un triangolo equilatero. In quel modo, essi si mostravano convinti di assicurarsi una valida difesa su ogni fronte, senza correre il pericolo di essere sorpresi alle spalle dal nemico. Si trattava della solita tattica, alla quale erano sempre ricorsi, quando si erano trovati in un caso analogo. In verità, all’inizio non fu totale l'assalto dei guerrieri del tempio, i quali avevano il volto coperto dal passamontagna; ma furono appena una decina di loro a condurlo contro i tre giovani profanatori. Essi erano sicuri che, pur intervenendo con quel numero esiguo, se ne sarebbero sbarazzati con la massima facilità e in poco tempo. All'inverso, a dispetto delle loro previsioni e con loro grande sorpresa, furono proprio quelli che essi avevano ritenuto avversari di scarso valore a liberarsi di loro in breve e senza la minima difficoltà.

In un primo momento, i tre ardimentosi amici neutralizzarono la loro aggressione con abili parate e poi la misero a tacere rapidamente, mediante colpi magistrali e tremendi. I quali finirono per sbalordire quanti erano presenti nel tempio. Naturalmente, le loro azioni rapide ed inflessibili, le quali avevano stroncato come fuscelli dieci dei duri difensori del dio Araneo, non parvero vere a tutti loro. Per cui ad ognuno riusciva arduo capacitarsene in qualche modo. Invece, da parte degli altri Guerrieri della Morte, da competenti uomini d'armi quali erano, all’istante avevano compreso l’ingente temibilità che si annidava nei loro audaci rivali. Essi si erano resi conto che dai tre animosi giovani era stato messo in mostra un genere di scherma eccezionale, a cui non avevano mai assistito. A loro giudizio, essa si era dimostrata così professionistica, da rendere ogni membro della terna avversaria valido quanto un Korup, il quale era stato il loro invincibile maestro. Per tale motivo, i temuti guerrieri si preparavano ad affrontarli in massa. Secondo loro, solo grazie al loro numero soverchiante, avrebbero potuto sperare di avere la meglio sui loro tre forti nemici; ma non erano persuasi al cento per cento di potercela fare, considerata la straordinaria bravura dei loro antagonisti.

La nuova tenzone esplose con gli indubbi presupposti che essa sarebbe stata più furiosa ed avrebbe assunto proporzioni più vaste della precedente. Anzi, l’avrebbe superata per l'impeto bellicoso, per la fierezza degli attacchi e per la spettacolarità schermistica. Quest'ultima sarebbe venuta a caratterizzarsi per le sue forme e per i suoi toni ardimentosi e travolgenti. Se i Guerrieri della Morte combattevano come iene fameliche, Iveonte e i suoi amici non erano da meno, poiché riuscivano a torreggiare nella mischia come indomiti leoni. Perciò, pur di non lasciarsi portar via la preda dalle voraci bestiacce, a volte le minacciavano con i loro furibondi ruggiti, altre volte le sventravano con le loro zanne poderose o con i loro scarnificanti artigli. I quali si rivelavano non meno mortali nella furiosa lotta, che si era data ad infuriare nel tempio.

Volendo essere obiettivi, la Guardia di Araneo non era da paragonarsi né ai predoni della banda di Kuercos né a quelli della ciurma di Bokiur, i cui membri erano uomini comuni e dotati neppure di una minima professionalità nel maneggio delle armi. Viceversa, i Guerrieri della Morte, avendo avuto come maestro il Korup da noi conosciuto, risultavano fatti di ben altra tempra. Inoltre, essi erano professionalmente addestrati nell'uso delle armi con una tecnica, che non era da considerarsi di poco conto. Ciò nonostante, i tre giovani non accusavano né incertezza né cedimento nel contrastare i loro brutali assalti, contrattaccandoli con una furia esplosiva e falcidiante. La quale andava disseminando ogni spazio che risultava libero intorno a loro di decine e decine di salme appartenenti ai nemici, che essi trafiggevano ed uccidevano.

Alla fine tutti i Guerrieri della Morte, l'uno dopo l'altro e dal primo all'ultimo, furono visti stramazzare al suolo senza vita, per aver ricevuto, per mano dei tre invincibili giovani, la stessa morte che essi erano abituati a recare agli altri. Perciò la protervia degli imbattibili guerrieri della setta era stata fiaccata per sempre senza difficoltà alcuna dai tre giovani arditi, tra lo stupore dell'intera comunità araneica e lo sgomento della stessa Somma Sacerdotessa Arnina. Costei non voleva assolutamente credere ai propri occhi, tanto le sembrava impossibile che fosse accaduto un fatto del genere! Volendo dirla tutta, secondo gli Araneidi che affollavano il tempio, la loro sconfitta era venuta a rappresentare un grande smacco per il loro divino Araneo. Inoltre, in quel tempio strapieno di fedeli strabiliati, stando alle previsioni di molti di loro, per l'Ottopode Cornuto i guai peggiori dovevano ancora presentarsi!


A quel punto, Iveonte invitò i suoi amici a mettere giù a terra gli otto spaventati bambini, i quali in quel momento si presentavano giustamente confusi e non sapevano cosa fare. Essi, grazie ai tre giovani, erano scampati allo strazio del sacrificio ed avrebbero continuato a vivere con la gioia delle mamme. Invece Iveonte, salito sul dorso del simulacro del dio, iniziò a parlare agli Araneidi che stavano nel tempio in questo modo:

«Brava gente, per anni avete avuto fede in un dio malvagio e disumano, il quale ha badato soltanto ad appagare i suoi istinti sessuali. Egli si è sempre infischiato del fatto che tale suo appagamento vi comportava un altissimo tributo di vite umane, rappresentate da teneri virgulti, come gli otto fanciulli che vedete ai miei piedi! Gli dei buoni e giusti sono soliti premiare i propri devoti, concedendo loro la vita e non reclamandola dagli stessi con assurdi e cruenti sacrifici umani. Inoltre, essi elargiscono a chi li adora unicamente grazie e gioia; ma giammai dispensano disperazione e morte, come ha sempre fatto il dio Araneo con voi. I miei amici ed io siamo qui per riscattarvi da questo gravoso ed opprimente fardello, del quale un tempo incoscientemente vi siete fatti carico, senza riflettere sulla gravità della vostra decisione. Che dire poi di quei vostri figli sfortunati, i quali lo hanno ricevuto forzatamente in retaggio dai loro genitori, dopo essere stati tratti in inganno?»

«Io ne so qualcosa, valoroso guerriero, che con i tuoi due amici sei venuto da fuori ad aiutarci!» gli rispose un giovane settario presente «Nonostante non volessi, mi sono ritrovato ad essere un Araneide; anzi, sono stato obbligato ad esserlo, senza che mi si desse la possibilità di operare una scelta! Perciò che voi siate benedetti dal dio Matarum!»

«Scommetto che fra di voi ce ne sono ancora molti altri come te,» Iveonte prese ancora la parola «i quali sono costretti dalla paura a tenersi interamente dentro il grosso peso che li sovrasta! Ma essi si devono rendere conto che, dalla parte nostra, militano tutte quelle divinità che sono solite riservare ai loro fedeli un trattamento paterno o materno, a seconda se sono dèi oppure dee. Tali divinità spesso intervengono nei loro confronti con poteri taumaturgici; ma mai ricorrono a dei meschini sortilegi, capaci soltanto di menomare la loro divina dignità! Adesso sapete dirmi cosa è riuscito a fare il vostro dio del sesso per salvare i suoi superbi e gradassi difensori?»

«Come abbiamo constatato poco fa, assolutamente niente, insuperabile guerriero!» gli rispose ancora il giovane Araneide di prima «Ma adesso, per favore, vai avanti a farci sentire il gradevole suono della tua voce, la quale per noi suona come divina musica!»

«Sappiate allora che, qualche tempo fa» continuò a dire Iveonte «il dio Araneo neppure fu in grado di salvare la vita al suo unigenito, per cui egli fu costretto a soccombere sotto i colpi inclementi della mia venerabile spada. Sì, brava gente, mi riferisco proprio a Korup, colui che ritenevate il vostro invincibile campione, grazie alla sua invulnerabilità! Egli, come sapete, si faceva chiamare anche con l'appellativo di Vendicatore! Chiedete alla Somma Sacerdotessa sua madre dove si trova in questo momento suo figlio, poiché sono sicuro che ella è già al corrente della sorte toccata al suo diletto unigenito. Invece ha preferito tenervela nascosta, siccome temeva di alimentare fra di voi un certo disfattismo, il quale di certo non avrebbe giovato alla setta religiosa, di cui tutti voi fate parte. L'araneismo oramai ha le ore contate, poiché tra poco frantumerò per sempre il simulacro di Araneo, quello che, facendo da tramite, consente all'iniquo dio l'animalizzazione. In passato vi è stato fatto credere che esso è indistruttibile, in quanto nessuna arma riesce a scalfirlo. Ebbene, tra brevissimo tempo, vi dimostrerò che allora vi furono spacciate soltanto delle autentiche frottole. Perciò sgranate bene gli occhi ed osservate come riesco a stritolarlo in un attimo!»

Così dicendo, Iveonte saltò giù dal simulacro del dio Araneo. Poi, dopo aver sollevato in alto la spada, la fece ricadere con quanta forza avesse sul globoso addome del ragno. Al colpo poderoso del giovane, il simulacro del dio si frantumò in migliaia di granuli, mentre dalla sua disgregazione vennero fuori forti e terribili urla simili a grugniti. Tali versi agghiaccianti prima si diedero a frastornare e a terrorizzare quanti stavano nel tempio e poi abbandonarono quel luogo per sempre. Per la verità, senza che Iveonte se ne accorgesse, era stato l’anello e non la spada ad annientare il simulacro del dio del sesso, facendo partire da sé un raggio invisibile di straordinaria potenza. Esso era stato capace di ottenere l’immediata disgregazione materiale e spirituale del simulacro, rendendolo da quel momento impotente per sempre ad animalizzarsi.

La distruzione dell’effigie del dio Araneo, dopo averle causato uno svenimento, fece cadere a terra la Somma Sacerdotessa Arnina, alla quale però nessuno si preoccupò di far riprendere i sensi. Il motivo? Oramai ella era divenuta agli occhi della totalità dei presenti una donna invisa e spregevole, capace esclusivamente di plagiare la gente con false promesse! Non c'era dubbio che era stata la moltitudine degli Araneidi, pigiati come sardine all'interno del tempio, a rimanerne più esterrefatta. Non si riusciva ancora a comprendere se quelle persone fossero in preda più allo stupore o più allo sgomento. La loro emotività si presentava incerta ed equivoca, per cui tardavano a provenire da essa segnali palesi e convincenti. Ossia, essi non si rivelavano ancora tali, da fare attribuire il loro momentaneo sbalordimento ad uno stato emozionale, che non desse adito a dubbi e a sospetti. Molto probabilmente, gli animi di quegli esseri così sconvolti e disorientati seguitavano a navigare acque diverse, che non si rivelavano ancora del tutto in sintonia fra loro. In quel momento di grande tensione e di confusione generale, l'ipotesi più accreditabile era una sola. La quale portava a credere che un ripensamento cauto stesse serpeggiando tra i settari più riottosi a cedere e a convincersi della nuova realtà scaturita dai recenti fatti con la massima certezza. Allora Iveonte decise di farli uscire da quel loro timoroso tentennamento, perché accettassero con convinzione assoluta l’attuale meravigliosa realtà. La quale adesso era venuta ad affacciarsi miracolosamente alla loro esistenza, senza che essi se lo aspettassero. Secondo lui, occorreva spronarli ulteriormente, in special modo quelli più dubbiosi, fino a farli rendere conto di essa. Per questo egli si rivolse a tutti loro, esprimendosi in tale maniera:

«Avete visto, brava gente, in quanti pezzi ho ridotto il simulacro del dio Araneo, costringendo il suo scellerato afflato divino ad abbandonarlo? Egli non potrà più instaurare alcun rapporto con gli esseri umani e non potrà più pretendere che alcuni di loro gli forniscano delle vittime sacrificali! Per l'avvenire, vi esorto a non fidarvi più di quelle perverse divinità che pretendono da voi dei sacrifici umani, nonché a bandirle dalle vostre fervide preghiere e dalla vostra sentita venerazione!»

«Faremo senza meno, come ci hai suggerito, nostro benefattore forestiero!» gli assicurò il suo solito interlocutore «Ma tu quale divinità ci consigli, perché noi possiamo adorarla senza attenderci da essa delle brutte sorprese? Sono convinto che saprai indicarcene qualcuna, che sia degna di essere adorata da noi con fervida fede!»

«Dimentichi che nell'Edelcadia abbiamo già la nostra benigna divinità di tutto rispetto? Mi riferisco esattamente all'eccelso dio Matarum, il quale è una divinità tanto potente, quanto buona e giusta. In lui potete avere la massima fiducia, potete adorarlo con il beneficio di venirne ripagati con grazie e letizia! Perciò nettate la vostra mente e sgombratela dagli immondi pensieri che la collegano ancora al lussurioso ed infame dio del sesso! Approfitto per invitare i genitori di questi bambini impauriti e tremanti a venire a riprenderseli, intanto che le altre persone cominceranno ad evacuare questo luogo maledetto. Ma anche li prego di adoperarsi perché negli animi dei loro figli scompaia per sempre ogni traccia dell'orribile esperienza che sono stati costretti a vivere. Vi prometto che domattina procederemo alla distruzione di questo tempio maledetto e permetteremo alle fiamme di divorarselo da cima a fondo!»

L'invito d’Iveonte fu accolto all'istante, poiché si vide la marea della gente trascinarsi verso la porta di uscita. La qual cosa faceva credere che esse fossero state finalmente convinte dalle schiette e suadenti parole del giovane. Quanto agli otto genitori dei bambini, a mano a mano che essi si presentavano a coppie, abbracciavano calorosamente i tre arditi giovani. Inoltre, li ringraziavano per averli liberati dalle loro ansie tremende e dai loro allucinanti incubi, i quali avevano continuato a soggiogarli per lunghi e bruttissimi anni. Essendo poi rimasto un bambino, i cui genitori non si erano presentati, Iveonte gli si rivolse, dicendo:

«Tu devi essere senza meno il piccolo Usillo, dal momento che somigli tutto alla tua sorellina Ondella! È vero che sei proprio tu? Non dirmi che mi sono sbagliato sul tuo conto!»

Il bambino, dopo aver abbozzato un sorriso, gli rispose annuendo con il capo. Ma prima che Iveonte gli potesse parlare e metterlo al corrente che egli conosceva i suoi genitori e che presto lo avrebbe accompagnato dal padre, si presentò a lui un'anziana coppia di coniugi. Le loro intenzioni erano quelle di portarsi via con loro il bambino. Il giovane, però, opponendosi all’uno e all’altra, cercò di chiarirsi con entrambi:

«Considerata la vostra età, signori, di certo voi non potete essere i genitori del bambino. Inoltre, dovete sapere che il piccolo Usillo resta nelle nostre mani, poiché abbiamo promesso a suo padre che glielo avremmo consegnato personalmente. Egli ci sta aspettando fuori del tempio. Adesso, se non vi dispiace e non sono indiscreto, volete dirmi chi siete voi due, anche se una mezza idea già ce l'avrei?»

«Siamo i suoi nonni, cioè i genitori di Efro!» gli rispose l'uomo «Per favore, dicci dove si trova nostro figlio, eroico giovane! Noi due abbiamo tante cose da farci perdonare sia da lui che dalla nostra amabile nuora. Nello stesso tempo, desideriamo anche riabbracciarli con il nostro immenso amore! Allora sei disposto a permettercelo?»

«Vostro figlio, in questo istante, sta nei pressi del villaggio, a guardia dei nostri cavalli; mentre la moglie è rimasta a casa, dovendo badare alla sua piccola Ondella. Tra poco i miei amici ed io vi condurremo da Efro e gli porteremo il bambino, il quale è il vostro grazioso nipotino. Sono convinto che anch’egli sarà felice di avervi tra le sue braccia, considerato che in lui, come nella sua carissima consorte, albergano dei nobili sentimenti!»

Subito dopo, Iveonte ritenne cosa giusta mettere il piccolo Usillo nel posto migliore, il quale poteva trovarsi soltanto tra le braccia amorevoli di sua nonna. Perciò, rivolgendosi all’anziana donna, le parlò così:

«Brava signora, dal momento che non può farlo la sua premurosa madre lontana, prendi tu il fanciullo tra le braccia ed inizia a prodigargli tutte quelle affettuose cure, delle quali egli in questo momento ha un particolare bisogno! Ti garantisco che il tuo bel nipotino sarà contentissimo di riceverle da te, che rappresenti per lui una parente stretta!»

Allora la donna, senza farselo ripetere due volte, si precipitò ad eseguire l'ordine del giovane, prendendosi amorevolmente il nipotino tra le braccia. Poco dopo, ella già aveva incominciato a coccolarlo con grande tenerezza, quando all'improvviso un oggetto, il quale per fortuna non risultò contundente, investì il piccolo Usillo alla schiena. Allora il bambino, non appena ebbe accusato il colpo, si diede a strillare forte. L'increscioso episodio si sarebbe senz'altro ripetuto più volte, se non fosse intervenuto in tempo suo nonno e non avesse provveduto con determinazione all'eliminazione fisica della responsabile. Si trattava della Somma Sacerdotessa, la quale si era data a vibrare dei colpi sdegnosi sul corpo dell'innocente creatura, gridando forte: "Che almeno tu, moccioso, faccia da vittima sacrificale al mio divino Araneo!"

Si può sapere cosa era successo in quel lasso di tempo che Iveonte parlava con i nonni di Usillo? Cerchiamo di rendercene conto. Ebbene, mentre i tre imbattibili giovani erano intenti a riscuotere i mille ringraziamenti e le copiose benedizioni da parte delle altre mamme, le quali si vedevano finalmente liberate per sempre dall'incubo e dalla paura delle notti di novilunio, Arnina era rinvenuta. Così, non appena si era ripresa del tutto dallo svenimento, in preda ad una furia assassina, subito aveva estratto da uno dei ceppi il coltellaccio che vi era infilato. Poi, senza neppure rendersi conto che ad esso era stata tolta la lama, si era scagliata contro il bambino, che la nonna sorreggeva tra le braccia ed aveva iniziato a vezzeggiare. Infine, urlando come una ossessa, aveva deciso di colpirlo un infinito numero di volte alla regione dorsale. Invece, dopo avergli inferto il primo colpo senza successo, ella era stata fermata dal nonno della creaturina. Egli, infatti, essendo stato assalito da una furia rabbiosa, non aveva esitato a raccogliere da terra la spada di uno dei tanti Guerrieri della Morte rimasti uccisi dai tre giovani e l'aveva infilzata senza alcuna pietà.

Usciti dall'enorme costruzione templare, Iveonte, Francide e Astoride, insieme con Usillo e i suoi nonni, raggiunsero Efro e gli narrarono quanto era avvenuto nel tempio del dio Araneo. Ovviamente, il padre del bambino ne fu molto felice. Per questo, dopo aver ringraziato quelli che adesso poteva considerare i suoi impagabili benefattori, non volle perdere più tempo e si diede a profondere baci ed abbracci per il figlioletto. Egli, data la particolare circostanza del momento, riservò lunghe e calde manifestazioni di affetto anche ai suoi genitori, i quali vollero ospitare tutti quanti nella loro casa di Aranuk.

Il mattino seguente, gli ex appartenenti alla setta araneica, sotto la direzione dei tre giovani dorindani, si diedero ad accatastare nel tempio quanta più legna possibile. Una volta che ve ne fu introdotta una quantità considerevole, fu appiccato il fuoco ad essa. Le fiamme allora iniziarono a divampare ovunque, divorandosi prima la parte sovrastante dell'imponente tempio e dopo quella laterale, essendo intenzionate a ridurlo in brevissimo tempo in scarni ruderi abbruciacchiati.

Mezzogiorno era passato da poco, quando la gente incominciò a sfollare i dintorni del tempio, il quale, prima che venisse incendiato, era interamente costruito all'interno di una enorme caverna. Da essa ora continuavano ad uscire molto fumo ed enormi lingue di fuoco, le quali nel suo interno azzannavano e distruggevano le ultime sue parti rimaste ancora in piedi. Allora Iveonte e i suoi amici, insieme con Efro, il suo bambino e i suoi genitori, i quali avevano stabilito di andare ad abitare per sempre con la famiglia del figlio, abbandonarono quel luogo per riprendere anch'essi il lungo viaggio di ritorno alla loro fattoria. Mentre si galoppava, ad un certo punto del percorso, Efro ordinò a tutti di arrestare la corsa e di fermarsi. Poi, rivòltosi ai salvatori del figlio, gli si espresse con queste parole:

«Amici, è giunto il momento di separarci, poiché quella che si scorge sulla nostra sinistra è la nuova strada, che dovrà essere percorsa da voi. Dirigendovi sempre verso oriente, dopo una ventina di miglia, vi ritroverete sulla via maestra che da Cirza conduce ad Actina. Si tratta di una scorciatoia che, costeggiando per alcune miglia la Selva del Maleficio, ve ne farà risparmiare almeno cinquanta. Ma vi consiglio di non addentrarvi nella selva, poiché non so cosa vi potrebbe capitare, se lo faceste. Di essa si sa soltanto che è un luogo malefico, il quale viene evitato perfino da tutte le specie animali. Per questo motivo, se qualcuno vi si avventurasse, egli non potrebbe neppure procurarsi da mangiare, essendo priva di selvaggina sia terrestre che aviaria.»

«Non ti preoccupare per noi, Efro!» gli rispose Iveonte «Senz'altro ci terremo lontano dalla Selva del Maleficio, ma soltanto perché abbiamo ben poco tempo a disposizione! In altra circostanza, però, di sicuro non avremmo fatto a meno di visitarla, con la sola intenzione di scoprire quale mistero maligno l'avvolge e la domina. Ma se veramente esso ci fosse, stanne certo che lo elimineremmo senza alcuna difficoltà!»

Una volta che si furono salutati a vicenda, Efro e i suoi familiari da una parte, Iveonte, Francide e Astoride dall’altra, essi si separarono, proseguendo ciascun gruppo per la propria strada. Allora i tre giovani, spronando i loro quadrupedi, imboccarono la scorciatoia che gli era stata indicata dal colono Efro, dandosi a galoppare lungh'essa con molta premura. Oramai essi si mostravano ansiosi di pervenire ad Actina, poiché in quella città avevano da sbrigare una delicata faccenda, la quale si presentava una questione di vita o di morte. Per questo la sollecitudine diventava una componente essenziale nel loro intento di salvare colei che risultava essere la madre di Francide e che stava per essere sopraffatta dalla prepotenza altrui! Ma i tre giovani amici sarebbero giunti in tempo nella città del dio Matarum e sarebbero riusciti anche a salvarla? Lo sapremo nel seguito della nostra storia, la quale continuerà a presentarsi a noi avvincente e coinvolgente.