205°-I GUERRIERI DELLA MORTE

Chi erano i Guerrieri della Morte? Quale compito specifico essi assolvevano nell'ambito della setta araneica? A tale riguardo, Efro non era stato abbastanza esaustivo, quando ne aveva parlato con i tre giovani, essendosi limitato a presentarli in forma succinta e generica. Adesso invece apprenderemo ogni cosa sul loro conto in modo completo ed approfondito, anche se tale loro conoscenza ci obbligherà a sobbarcarci ad una nuova digressione. Come rovescio della medaglia, essa ci risulterà utile, oltre che interessante, nell'apprendere alcuni episodi che li avevano riguardati. Essi ci terranno col fiato sospeso per la loro incredibile ferocia, la quale supererà ogni limite della cattiveria umana.

La guardia di Araneo, che era rappresentata dai terribili Guerrieri della Morte, in verità non era sempre esistita, al pari della setta degli Araneidi; invece la sua istituzione era recentissima e risaliva a non più di una quindicina d'anni addietro. Essa era stata ideata e condotta in porto dall'invincibile campione degli Araneidi, che era il semidio Korup. Egli l’aveva voluta nell’ambito della setta, anche in previsione del suo lungo Viaggio della Grande Vendetta, che ci sarebbe stato assai presto. Durante la sua assenza, la succitata guardia avrebbe dovuto surrogarlo degnamente nell'opera sia di mantenimento dell'ordine pubblico nel sacro tempio dedicato al divino genitore, sia di intervento punitivo contro quei miscredenti che avessero osato inveire contro lui. In special modo, tale guardia sarebbe dovuta intervenire contro tutti coloro che si fossero resi responsabili di gravi attentati alla sicurezza del culto araneico. In un certo senso, avrebbe dovuto sopprimere ogni loro tentativo di destabilizzarne alla base l'intero apparato e di minarne la stessa sopravvivenza. Ad essa era demandato soprattutto il compito di punire esemplarmente le sporadiche defezioni e i sacrilegi, quando gli Araneidi si macchiavano di colpe gravissime, cessando in quel modo di risultare meritevoli della protezione della loro divinità, che era il dio del sesso.

Il numero dei componenti della Guardia di Araneo non superava le cento unità. Il Vendicatore, infatti, aveva voluto che tali guardie fossero un centinaio esatto e che nessuna di loro conoscesse gli altri suoi novantanove componenti. A maggior ragione, la loro identità doveva restare segreta a tutti gli appartenenti alla loro setta, compresi i propri familiari più stretti. Egli li aveva scelti tra gli Araneidi più fanatici ed integralisti, di età non superiore ai venticinque anni; mentre la loro carriera nella Guardia di Araneo non doveva durare più di quindici anni. Infatti, una volta superati i quarant’anni, essi non potevano più far parte dei Guerrieri della Morte. Per cui si doveva procedere immediatamente alla loro surroga, non oltre il decimo giorno. Korup si era presentato di persona ad ognuno di loro, quando nessuno non poteva né vederlo né ascoltarlo. Durante il suo rapido contatto con lui, egli gli aveva consegnato anche il passamontagna nero, che riportava sulla fronte l'effigie gialla del dio Araneo. Ciascun guerriero era tenuto a ridarlo indietro al proprio maestro, al compimento del suo quarantunesimo anno di età, recandosi nella sua abitazione privata. Quanto agli indumenti usati per coprire il volto, essi erano stati confezionati dalle sacerdotesse e dalle converse del tempio, le quali avevano dovuto anche numerarli da uno a cento. Al termine della consegna dei passamontagna ai loro destinatari, che egli aveva preventivamente selezionati con cura, il Vendicatore era passato ad istituire la Guardia di Araneo.

La sua istituzione era avvenuta nel tempio, mediante una solenne cerimonia religiosa, la quale era stata officiata dalla somma sacerdotessa Arnina, che era sua madre. Alla cerimonia avevano preso parte molti fedeli, oltre ai guerrieri designati, che vi erano intervenuti con i volti coperti dai passamontagna. Egli allora, dopo averla fatta consacrare dall'autorità materna, aveva ufficializzato davanti alla comunità araneica presente l’esistenza della Guardia di Araneo. Dopo la sua consacrazione, aveva conferito ai suoi componenti il titolo di "Guerrieri della Morte". Inoltre, mentre erano prostrati davanti al simulacro del divino suo genitore, a tali guerrieri aveva fatto giurare che essi giammai avrebbero rivelato a qualcuno la loro appartenenza alla prestigiosa Guardia di Araneo. Anzi, l'avrebbero tenuta segreta perfino ai loro compagni d’armi e ai loro familiari più stretti, per cui costoro ne sarebbero stati all'oscuro. Non bastando il primo giuramento, Korup li aveva costretti a farne un secondo, il quale, questa volta, aveva riguardato la loro vita privata. In merito ad esso, se nella quotidianità della loro esistenza fosse loro capitato di sentire qualcuno arrecare una grave offesa alla divinità di Araneo, essi avrebbero dovuto fargliela pagare con la morte. Il loro provvedimento punitivo, però, sarebbe dovuto esserci nello stesso giorno e non più tardi della mezzanotte, dopo avere indossato l'abito del Guerriero della Morte. La loro punizione non sarebbe dovuta mancare, anche nel caso che si fosse trattato di un proprio congiunto.

In quello stesso rito religioso, l’invulnerabile Korup aveva precisato che la Guardia di Araneo doveva considerarsi alle proprie dirette dipendenze; mentre, nel caso che egli si fosse dovuto assentare per un qualsiasi motivo, sarebbe stata la somma sacerdotessa ad assumerne il comando. Costei era stata investita dal figlio semidivino anche del potere di procedere al suo reintegro, quando qualcuno dei guerrieri fosse perito nel compimento del proprio dovere o fosse venuto meno alla comunità religiosa per altre cause. Le quali potevano essere dovute ad incidenti oppure a malattie inguaribili. Comunque, il semidivino figlio del dio Araneo era ben conscio che, con quella solenne funzione religiosa, aveva fatto diventare soltanto formalmente Guerrieri della Morte un manipolo di giovani da lui scelti di persona e con particolare cura. Successivamente, invece, egli aveva preteso che gli stessi lo diventassero anche di fatto, affinché potessero far fronte al difficile compito loro affidato. Così, tra esercitazioni ed allenamenti massacranti, Korup ne aveva ricavato dei prototipi di guerrieri, che erano da considerarsi delle vere macchine da guerra. Perciò il Vendicatore era riuscito a far conseguire a ciascuno di loro una enorme potenza fisica, una impressionante destrezza nelle armi, un impavido coraggio e un cinismo smisurato verso ogni cosa e ogni persona. Inoltre, aveva inculcato in loro una straordinaria scaltrezza, che avrebbe dovuto consentirgli di anticipare ogni volta le mosse degli avversari, senza mai farsi prendere in castagna da loro.

Infine, perché tutti gli Araneidi se ne rendessero conto e rifuggissero anche dal più piccolo ghiribizzo di mettersi contro di loro, Korup aveva introdotto una particolare usanza. Nei tre giorni che precedevano le notti di novilunio, essi si sarebbero dovuti esibire in pubblici spettacoli e mettere in mostra le loro capacità offensive e difensive nel combattimento corpo a corpo. Anzi, egli aveva preteso soprattutto che i Guerrieri della Morte, in tale esibizione pubblica, riuscissero ad incutere negli spettatori un terrore scioccante e strapazzatore di coscienze, allo scopo di farsi temere al massimo da loro. L'inesorabile spietatezza dei Guerrieri della Morte superava ogni limite ed era tale che, all'occasione, finiva per cancellare in loro ogni tipo di affetto anche verso i propri familiari più cari.

A tale riguardo, si riportano tre terribili episodi, dei quali si erano resi responsabili altrettanti guerrieri. Essi ci fanno comprendere quanto fossero crudeli i Guerrieri della Morte anche nei confronti delle loro consorti, pur di non tradire il giuramento che avevano fatto al loro dio Araneo!


Il primo episodio aveva riguardato il Guerriero della Morte, il cui nome era Gurbo. Egli, che adorava la moglie quasi da impazzirne, un giorno, nel rientrare a casa verso il tramonto, l'aveva trovata in uno stato d'animo molto agitato, il quale faceva davvero pena. Il poveretto, essendosene preoccupato parecchio, all'istante aveva chiesto alla consorte perché mai si mostrasse così demoralizzata. Allora ella gli aveva raccontato che durante la mattinata si era presentato a casa loro uno dei satirei del tempio. Il quale le aveva comunicato che il loro fortunato primogenito era stato prescelto per essere immolato al divino Araneo nella successiva notte di novilunio. Dopo aver riferito al marito l'evento, che per lei era talmente spiacevole da avvilirla molto, la donna si era lasciata sfuggire la seguente esclamazione: "Stramaledetto sia l'araneismo, poiché esige da noi mamme un così disumano tributo di sacrificio e di sofferenza! Sarei quasi propensa a scapparmene per sempre da questo schifoso villaggio!"

Allo sfogo dell'afflitta consorte, l'uomo non aveva osato neppure fiatare; anzi, aveva pensato soltanto a stringersela calorosamente al petto. A notte inoltrata, però, prima aveva atteso che la moglie si abbandonasse ad un sonno profondo. Subito dopo, egli si era infilato il passamontagna e non aveva esitato a strangolarla con un laccio di vimine, stringendoglielo forte intorno al collo. Mentre tirava i suoi due capi, non si era risparmiato di farle la seguente gelida dichiarazione: "Perdonami, Scelda mia cara, per il male che adesso ti sto procurando! Ma devo proprio farlo, avendo giurato di anteporre il dio Araneo a tutto e a tutti!". Nei riguardi dell’amata moglie, il disumano Guerriero della Morte aveva avuto la sola attenzione di non deturparle il bellissimo corpo con qualche ferita da taglio, poiché esso glielo avrebbe insanguinato e lo avrebbe fatto apparire assai sfigurato.


In relazione al secondo episodio, il quale si presenta non meno raccapricciante del primo, ne era stato protagonista il guerriero Vinko. Il quale, sotto ogni aspetto, nella sua vita privata veniva stimato da amici e conoscenti una persona tanto squisita quanto affabile. In base a tale giudizio positivo della gente, nessuno di loro avrebbe mai sospettato che egli fosse un feroce Guerriero della Morte. Così pure giammai lo avrebbe ritenuto capace di un gesto efferato, come quello che stiamo per apprendere. Esso, oltre che una nota di infima vigliaccheria, ci rivelerà la sconsideratezza del terribile atto, del quale un giorno egli si era ritrovato ad essere l'autore irresponsabile!

Essendo una bellissima giornata di primavera, Vinko aveva voluto condurre la moglie Tasia ad una scampagnata, essendo desideroso di farla divertire in mezzo all'amenità dei campi. Secondo lui, la sua donna, che era anche incinta di cinque mesi, non poteva restarsene sempre rinchiusa in casa e stare incessantemente dietro ai vari mestieri domestici. Almeno ogni tanto, come gli dettava il suo altruismo, ella aveva bisogno di cambiare aria. Perciò toccava a lui condurla in aperta campagna per metterla a contatto con la stupenda e fragrante natura. Ebbene, attraversando i campi, i quali si presentavano dappertutto in rinascita e in pieno rigoglio, i due consorti godevano dei loro multicolori ammanti floreali. Inoltre, si beavano in modo preminente delle gradevoli sensazioni, che provenivano copiose ad entrambi dall’aspetto verdeggiante della campagna.

Dopo una lunga trottata, alla fine essi erano pervenuti in riva ad un torrente, dove avevano deciso di fare una sosta ed approfittarne per consumare la loro colazione al sacco. A dire il vero, oltre a riposarsi e a mangiare, i due giovani si erano dati pure ad appagare taluni improvvisi bisogni amorosi, i quali erano venuti a sorprenderli sul posto tutto all'improvviso. Ma una volta rimasti sommamente paghi del loro inebriante amplesso, essi si erano dati alla conversazione. La quale, in quella circostanza, aveva abbracciato svariati argomenti. Intanto che si conversava tra di loro in modo piacevole, Tasia aveva esclamato al marito:

«Vinko, non sai con quanta gioia sto aspettando il nostro bambino! Non provi pure tu una felicità immensa, come quella che avverto io molto estasiata nel mio animo? Io lo credo senz’altro, amore mio!»

«Certo che la provo anch'io, mogliettina mia!» le aveva risposto il consorte «Dovresti sapere che non vedo l’ora di assistere alla sua nascita. Sappi che sarò molto orgoglioso di lui, dopo che sarà nato e comincerò a coccolarlo, tenendolo tra le mie forti braccia!»

Ascoltata la risposta del coniuge, la donna, facendo trapelare dal suo volto una intensa commozione, gli si era espressa con queste parole:

«Sono convinta, marito mio, che noi due avremo un bel maschietto, il quale scoppierà di virilità, proprio come lo è suo padre! Già adesso, mi viene la voglia di fare su di lui un sacco di progetti, uno più bello dell'altro. Anche tu, mio caro Vinko, quando pensi al nostro bambino, fai la stessa cosa: è vero? Comunque, non ne dubito!»

«Certamente, Tasia! Allo stesso modo tuo, anch'io guardo al futuro di mio figlio con le più rosee prospettive. Vorrei scorgerlo davanti ai miei occhi già grande, appunto per averlo accanto a me, per insegnargli tante bellissime cose che ho appreso io. Del resto, si tratta di progetti che ogni genitore fa, quando pensa al futuro dei propri figli, augurandosi anche che essi si realizzino come da lui immaginati!»

Un attimo dopo, la moglie si era adombrata in volto ed aveva smesso di manifestare le proprie gioie e i propri propositi, che coinvolgevano la sua futura creatura. Il suo silenzio era dovuto al fatto che era venuta ad assalirla una preoccupazione abbastanza seria. Per cui non erano sfuggiti al marito il suo improvviso silenzio e il suo volto trasfigurato da una profonda angoscia. Allora egli aveva preteso di conoscere il motivo della sua tensione psicologica, la quale si era impadronita della moglie in modo subitaneo. Essa, quindi, era venuta ad aversi in lei tutta in una volta, simile ad un banco di nubi scure che invade all’improvviso il cielo azzurro e lo abbuia in ciascun suo lembo. Perciò, mentre si dava ad accarezzarla con tanta dolcezza, il Guerriero della Morte le aveva domandato:

«Mi dici, Tasia, soave amore mio, qual è stato il motivo per cui ti sei messa in ansia repentinamente? Se lo vuoi proprio sapere, tu mi piacevi di più, quando esternavi il tuo umore gaio e festoso, quello che da brava moglie stavi trasmettendo anche a me! Ti prego di non esitare a parlarmene con sincerità, se davvero mi vuoi il bene che dici!»

Vedendo poi che la consorte continuava a tacere, mostrandosi come se egli non avesse affatto parlato, anzi gli era parso che le sue parole fossero state portate via dal vento, Vinko non aveva gradito neppure un poco tale suo persistente atteggiamento di silenzio. Allora, al fine di ricevere una risposta da lei, le aveva dichiarato:

«Non comprendo questo tuo strano comportamento, mia cara compagna. Sappi che esso non viene gradito da me! Dunque, ti decidi a rispondermi oppure vuoi tenermi apposta sulle spine? Per questo ti faccio presente: o parli, come ti chiedo, o ce ne ritorniamo subito a casa!»

Al nuovo invito del marito, la donna non aveva più potuto seguitare a restare zitta. Così, trovando sfogo in un pianto dirotto, il quale sembrava non intendesse terminare più, gli aveva confessato:

«Vinko, sono preoccupata per il nostro bambino, che è prossimo a nascere. Non voglio che egli venga sacrificato al dio Araneo. Maledetti siano gli Araneidi e le loro immolazioni mensili, le quali sono causa di morte di tanti maschietti innocenti ed arrecano un immenso cordoglio a molte madri afflitte! Adesso comprendi il mio immenso dolore?»

Il marito aveva evitato di replicare alla consorte, che in quel momento versava solo lacrime; invece era rimasto assorto in un conturbante mutismo, il quale era durato una decina di minuti. Alla fine si era deciso ad interrompere il suo silenzio e a rivolgerle la parola, dicendo:

«Adesso, cara Tasia, se sei d’accordo, noi due faremo insieme un bellissimo gioco. Vedrai che esso ti piacerà in modo incredibile. Da parte tua, devi unicamente acconsentire a qualunque cosa vorrò farti, senza opporre la minima resistenza! Allora ci stai a giocare con me, amore mio, allo scopo di divertirci davvero un mondo?»

«Va bene, Vinko, accetto di fare con te il gioco che vuoi suggerirmi. Sono proprio desiderosa di sapere come sarà quello che stai per propormi! Così almeno riuscirò a distrarmi dai brutti pensieri, i quali non smettono di devastare l'attuale mia mente agitata!»

Qualche minuto più tardi, l'uomo aveva fatto distendere per terra la giovane donna e le aveva legato mani e piedi. Eseguito tali legamenti sul corpo della moglie, la quale non ne comprendeva la ragione, aveva raggiunto poi il suo cavallo ed aveva tratto fuori dalla bisaccia il suo passamontagna di Guerriero della Morte. Dopo essersi coperto il capo con esso, egli se n'era ritornato presso la consorte per niente tranquillo. Vedendolo agire in quella maniera alquanto palese, la poveretta subito aveva sospettato qualcosa di tremendo. Perciò si era data a supplicarlo:

«Vinko, perdonami e non farmi del male! Non sapevo che tu fossi un Guerriero della Morte. Perciò dimentica il mio sfogo ed ignora le mie parole pronunciate contro gli Araneidi e contro le loro immolazioni! Amore mio, per pietà, dammi almeno un'altra possibilità, per il bene che ci vogliamo da anni e che è rimasto intatto fra di noi per tanto tempo! Rispàrmiati dall'attuare il tuo crudele disegno contro di me! Inoltre, non puoi non aver pietà di nostro figlio, il quale è prossimo a nascere!»

Com'era da prevedersi, le parole della sventurata donna erano rimaste inascoltate e non erano riuscite a fare breccia nel cuore del consorte. Era stato come se ella avesse parlato ad un gelido macigno. Il marito, da parte sua, mostrandosi insensibile alle sue compassionevoli implorazioni, l'aveva invece sollevata da terra. Dopo, sorreggendola sopra le sue granitiche braccia, si era avvicinato alla sponda del corso d’acqua. In quel luogo infine, stando in piedi sulla sua riva, le aveva gridato: "Perdonami, mia adorabile Tasia! Devi sapere che è il divino Araneo ad impormelo con la forza!". Pronunciate quelle parole, con fredda determinazione egli l'aveva gettata nelle acque impetuose del torrente in piena. Allora esse l'avevano inghiottita e trascinata via in un attimo, soffocando nel loro immenso fragore le sue urla di terrore e di disperazione.

Vinko, quando aveva fatto ritorno alla propria casa, non aveva avuto difficoltà a giustificare la scomparsa della moglie ai parenti e agli amici di lei. Agli uni e agli altri aveva raccontato che un banale incidente l'aveva fatta cadere ed annegare nei gorghi del corso d'acqua. I quali, dopo averla inghiottita, non gliel’avevano più restituita, poiché se l’erano trascinata via senza pietà.


Veniamo adesso al terzo ed ultimo episodio, nel quale il guerriero Zerdo, rispetto ai due precedenti suoi commilitoni, aveva assunto un comportamento ancora più deplorevole nei confronti della moglie Lueza. Ma tra poco ce ne renderemo conto con sommo rammarico. Egli era il decano dei Guerrieri della Morte e faceva le veci del Vendicatore, in sua assenza. Gli altri lo riconoscevano, poiché era l’unico ad avere un cerchietto sul passamontagna sotto l’effigie del loro dio. A questo punto, però, conviene passare a narrare i fatti che avevano costituito l’odioso episodio. Viene anticipato che essi metteranno a nudo una vicenda talmente disgustosa e stomachevole, da far venire la voglia di vomitare a quei lettori che disgraziatamente risulteranno essere vili di stomaco.

Un mattino di fine estate, la moglie, dopo avere avuto due rapporti intimi con il marito, si era sentita di essere al settimo cielo. Trovandosi poi ancora nella sua gradevole estasi del momento, per effetto dei due amplessi portati avanti con sommo godimento, Lueza, avendo avuto il desiderio di commentarli, gli aveva fatto presente:

«Zerdo, mio caro marito, stamattina mi hai resa particolarmente felice. Perciò nel mio animo vibra un tale indicibile gaudio, che esso riesce a stento a contenerlo. Se vuoi essere veramente gentile con me, amore mio, devi dichiararmi che anche tu sei pervaso dalla medesima sensazione, che sto avvertendo io questo momento!»

«Come potrei negarlo, mia affettuosa Lueza? Comunque, il mio appagamento di sicuro non uguaglia il tuo, se devo esserti sincero. Lo sai perché? Per me fare all’amore non costituisce un fatto di primaria importanza. Perciò il possederti carnalmente non può produrre in me il massimo giubilo, ogni volta che noi due facciamo l’amore! Ecco tutto!»

«Allora, Zerdo, considerato che non mi hai mai espresso un fatto del genere da quando ti conosco, vuoi farmi comprendere da che cosa la tua esistenza riesce a ricavare il piacere più sublime?»

«Unicamente dal divino Araneo mi proviene l’esaltazione dell'intero mio spirito, mio tesoro. Esso se ne bea a dismisura, assaporando una gioia indefinibile ed un giubilo ineffabile. Se non penso al nostro dio, la mia vita diviene futile e senza speranze, nonché appare vuota ed oscurata: praticamente, diventa insignificante! Ecco perché non posso fare a meno di pensare a lui e di adorarlo con tutto me stesso, se desidero vivere serenamente ed appagato in ogni mia esigenza, tanto materiale quanto spirituale. Ora ne hai preso atto, mia amata consorte!»

«Zerdo, non ti pare che tu stia esagerando, con il tuo fervore religioso? Avere un credo è nobile ed è un bene per ogni credente. Ma immedesimarsi con esso e subordinare tutta la propria esistenza alla confessione religiosa da noi abbracciata significa diventare schiavi di un’astrazione. La qual cosa, fattelo dire in faccia con molta schiettezza, non si addice a noi esseri materiali, poiché nasciamo, cresciamo e viviamo, grazie alla concretezza del nostro mondo, la quale è assolutamente reale e concreta. Per questo motivo, non possiamo asservirci a modelli irreali ed astratti, se vogliamo stare al passo coi tempi!»

«Se la pensi così, Lueza, sei gravemente in errore. La nostra vita non termina con la nostra morte, ma va oltre il mondo sensibile, siccome non si spegne in modo definitivo nella realtà del nostro mondo sensibile. Grazie al divino Araneo, essa riprende ad esistere in forma spirituale nell'aldilà, privata di tutti i mali che possono derivarci dalla materia. Perciò dobbiamo guardare all’Ottopode Cornuto come alla nostra salvezza, essendo egli l’essere divino capace di guidarci verso il mondo della luce eterna e di evitarci ogni tipo di accidente! Anche tu dovresti credere alla mia stessa maniera, poiché soltanto in questo modo comprenderesti la vera essenza dell'esistenza umana!»

«Zerdo, voglio proprio affermartelo apertamente: il dio Araneo non mi risulta per niente simpatico. La mia antipatia per lui mi proviene dal fatto che egli si fa immolare ogni notte di novilunio otto bambini innocenti, gettando altrettante madri disperate in un abbattimento psichico non di poco conto. Secondo me, solo una divinità perversa può obbligare i suoi devoti ad un tributo di sangue così esorbitante, senza mostrarsi misericordioso nei loro confronti. Mi sai dire perché mai il dio Matarum, il quale è una divinità di tutto rispetto, non pretende dai suoi fedeli alcun sacrificio umano; mentre il nostro dio Araneo ne fa una ragione di sopravvivenza? Ecco ciò che desidero avere spiegato da te, mio caro marito, prima di convincermi ad essere una fanatica religiosa allo stesso tuo livello! Allora me lo vuoi spiegare, senza lasciare in me alcun dubbio ed alcuna confusione? Se ne sei capace, mettiti pure a spiegarmelo!»

Essendo stato incalzato dalla moglie in un modo che non aveva approvato dentro di sé, il decano dei Guerrieri della Morte aveva preferito non ribattere più le asserzioni della moglie, avendola ritenuta insolente ed irrispettosa nei suoi riguardi. Poco dopo, saltato giù dal letto all’improvviso e senza degnarla del suo saluto, egli ve l’aveva lasciata a rattristarsi, a causa dell’atteggiamento per niente ortodosso da lui assunto. Addirittura Zerdo, dopo essere uscito dalla propria abitazione, non si era più rifatto vivo a casa per l’intera giornata, facendo così agitare ed allarmare Lueza in modo preoccupante. Era stato soltanto verso il tramonto che egli vi aveva rifatto la sua apparizione, mostrandosi comunque ancora alquanto imbronciato nei confronti della moglie. Inoltre, non faceva altro che evitare di fare incontrare il proprio sguardo con quello della compagna. A tale suo atteggiamento, Lueza, per breve tempo, si era soltanto innervosita; ma poi, essendosi stancata di sopportarlo in quel suo antipatico modo di comportarsi, alla fine aveva deciso di prenderlo di petto. Così si era data a rinfacciargli con grande stizza:

«Non mi sei affatto piaciuto, Zerdo, per come ti sei comportato stamattina, dopo la nostra discussione sul dio Araneo; anzi, continui a non piacermi neppure adesso, per come stai reagendo con questo tuo atteggiamento infantile! Hai abbandonato il tetto coniugale immotivatamente e senza degnarmi di un tuo saluto. Per questo mi hai lasciata a penare per l'intera giornata, non riuscendo ad immaginarmi dove tu fossi andato e che fine avessi fatto. Sono sicura di non averti offeso in alcun modo con il mio parlare, ma ti ho solo espresso una mia opinione personale. Invece, soltanto perché la pensavo diversamente da te, non l’hai affatto gradita; al contrario, te la sei presa molto a male. Direi che sei rimasto offeso a tal punto, da perdere perfino il lume della ragione, passando poi a trattarmi come tuttora seguiti a fare. Sappi che il tuo si è dimostrato un infantilismo assurdo, di cui non avrei mai creduto che tu fossi stato capace! Ora lo sforzo che ti tocca fare, al fine di appianare ogni divergenza sorta tra di noi, sarà quello di chiedermi scusa. Allora te la senti di farlo, Zerdo, al fine di farmi andare d'accordo con te?»

«Hai ragione, Lueza. Il mio atteggiamento nei tuoi confronti è stato biasimevole ed inqualificabile, direi quasi quello di un bambino bizzoso. Ammesso ciò, sono costretto pure a presentarti le mie scuse per riparare al danno provocato nel nostro rapporto di coppia. Sei contenta adesso, mogliettina mia cara? Voglio anche farti la promessa che non mi capiterà mai più di reagire con una sparata simile, la quale è stata del tutto assurda ed intempestiva. Essa, altresì, come anche tu hai detto, ha denotato un infantilismo ed un atto immaturo indegni di una persona adulta, che ha la testa sulle spalle. Per questa ragione, ti rinnovo le mie scuse e ti chiedo di accoglierle senza volermene. In questo modo, il nostro matrimonio riprenderà il suo corso pacifico e colmo di serenità, senza che dei forti dissidi interiori rimasti irrisolti vengano ancora a far traballare la nostra unione coniugale. Invece essa tra di noi dovrà seguitare a restare ben salda e duratura, come era stata fino a stamattina!»

«Stai tranquillo, Zerdo, perché nulla è cambiato fra di noi! Un matrimonio solido come il nostro non poteva sfasciarsi, in seguito ad un grillo avuto da uno solo dei suoi componenti. Esso si è sempre retto sulla stabilità e sulla durevolezza, per cui continuerà a dimostrarsi uguale per l'eternità! Dovresti saperlo anche tu come funziona il matrimonio!»

«La tua rassicurazione mi rallegra, mia dolce Lueza. Ciò significa che stanotte non avrò difficoltà alcuna ad addormentarmi serenamente. Vedrai che il sonno mi prenderà come prima, quasi fossi un bambino terribilmente stanco! La stessa cosa auguro pure a te, amore mio. In tal modo potrai riposarti alla stessa mia maniera!»

Trascorsa la notte in una totale serenità, si era presentato il nuovo giorno all’insegna del bel tempo. Almeno così era parso in apparenza! Ma dopo che i due coniugi avevano finito di fare colazione, che era consistita in una ciotola di latte e dei biscotti fatti dalla padrona di casa, ad un tratto Zerdo aveva chiesto alla compagna:

«Mia cara Lueza, mi permetti di vedere se riesci a conservare l’orientamento, pur tenendo gli occhi bendati? Sappi che non tutte le persone sono in grado di farlo con una certa facilità!»

«Certo che te lo consento, Zerdo, se mi dici cosa devo fare! Mi prometti però che si tratterà di un gioco divertente ed innocuo? Magari potessimo farlo come due adolescenti!»

«Ti garantisco, Lueza, che non avrai nulla da temere da esso! Ora te lo illustro molto semplicemente, se mi dai il tempo di farlo. Prima ti copro gli occhi con una fascia, in modo che tu non possa vedere; dopo ti chiederò in continuazione dove mi trovo. A quel punto, dovrai rispondermi: "Ti trovi sulla mia destra", ammesso che la mia voce ti giunga da quel lato. Allo stesso modo, dovrai gridarmi: "Ti trovi sulla mia sinistra, ti trovi davanti a me, ti trovi dietro di me", a seconda da quale punto continuerà a pervenirti la mia richiesta di pronunciarti, dopo averti rivolto la mia domanda. Se riuscirai a darmi dieci risposte esatte, vorrà dire che il tuo senso di captare i rumori con gli occhi bendati si presenta ottimo. Altrimenti avrebbe qualche deficienza. Allora sei disposta a farti esaminare il senso uditivo sotto questo aspetto, amabile amore mio?»

«Visto che il gioco mi piace, Zerdo, poiché lo trovo divertente, mi sottopongo volentieri a questa specie di esame. Ma mi devi promettere che dopo permetterai pure a me di eseguirlo su di te, per sottoporti all’interessante esame dell’udito. Sei d’accordo, amore mio?»

«Perché non dovrei consentire anche a te di esaminarmi l'udito, mia cara Lueza, se adesso tu lo permetti a me senza opporti? Quindi, tra poco ci sposteremo all’aperto, dove ti benderò gli occhi ed inizieremo su di te la prova di capacità uditiva, mentre resti con gli occhi bendati.»

Una volta all’esterno della casa, la quale si trovava un po' fuori mano rispetto al villaggio, il decano dei Guerrieri della Morte si era affrettato a fasciare gli occhi alla moglie. Dopo averglieli bendati accuratamente, egli non aveva iniziato subito a farle l'esame, che in realtà non intendeva affatto eseguire; invece le aveva solo voluto dire:

«Ti raccomando, Lueza, di non muoverti nemmeno di un passo da questo posto, intanto che vado a sistemarmi nella mia prima posizione, dalla quale poi dovrò farti pervenire la mia voce. Non aver fretta a ricevere la mia richiesta di dirmi dove mi trovo, poiché ho bisogno di un po' di tempo, prima di trovare la posizione giusta da cui fartela giungere, siccome essa dovrà risultarti la più ingannevole possibile!»

Un attimo dopo, avuto l’assenso della consorte, Zerdo si era allontanato da lei, ma non per cercare il posto da cui farle arrivare la domanda, come le aveva fatto credere. Invece egli era corso subito in casa, dove aveva indossato il passamontagna e si era impadronito della sua spada. Poi ne era uscito in gran fretta ed era andato a porsi con il massimo silenzio alle spalle della poveretta, la quale era inconsapevole di ciò che le stava accadendo dietro. Infine il Guerriero della Morte aveva sollevato l’arma ed aveva vibrato contro la nuca della sua compagna un poderoso fendente. Così, con un taglio netto, le aveva staccato la testa dal busto. Mentre le sferrava il colpo mortale, aveva gridato: "Araneo è vita per ogni suo seguace; invece per gli infedeli può essere soltanto morte! Lueza, non avresti dovuto autocondannarti con le tue parole sacrileghe!"

La sua spietata esecuzione nei confronti della moglie, allo scopo di punirla, non si era fermata lì; ma era andata ben oltre, avendo egli voluto fare del suo corpo il massimo scempio. Dopo averlo tagliuzzato in tanti pezzi, Zerdo lo aveva dato in pasto ai suoi dieci mastini, i quali lo avevano divorato in brevissimo tempo. Quanto alle sue ossa, le aveva prima sminuzzate e poi sotterrate in un boschetto vicino nelle ore serali, ad evitare che qualcuno potesse scorgerlo. Ma già dal giorno successivo a quello del suo misfatto, egli, rendendo pubblica la sparizione della moglie Lueza, aveva espresso il timore che ella fosse stata rapita da malintenzionati con l’intento di stuprarla. Nello stesso tempo, aveva manifestato il dubbio che la sventurata moglie potesse essere rilasciata e rimandata a casa.

Raccontato anche il terzo episodio sugli antipatici Guerrieri della Morte, il quale era stato senza dubbio anch'esso eccessivamente truculento, abbiamo appreso tutto quanto dovevamo conoscere su di loro. Perciò adesso possiamo affrettarci a riprendere con vivo interesse la nostra avvincente storia. La quale, per forza di cose, è stata momentaneamente interrotta, poiché dovevamo venire a conoscenza di fatti molto importanti, sebbene, in un certo senso, essi si sarebbero rivelati anche tremendi e vomitevoli.