204°-SI VIAGGIA ALLA VOLTA DEL TEMPIO DEL DIO ARANEO

Quando ebbe finito di raccontare i fatti, che erano stati la causa dell'indescrivibile dramma della sua famiglia, in cuor suo Efro sperò che i tre giovani fossero davvero in grado di tenere fede alle loro promesse, come gli avevano fatto credere. Perciò, rivòltosi ai suoi ospiti altruisti, i quali lo avevano ascoltato per tutto il tempo che era occorso per terminare il suo racconto, volle concludere con una manifestazione di augurio e di speranza. Perciò si diede a dire loro:

«Adesso che vi ho narrato le vicende che hanno trascinato la nostra famigliola in un doloroso baratro senza ritorno, di cui vi siete resi conto anche voi, che cosa io e i miei familiari potremo attenderci da voi, giovani generosi? Secondo me, oltre che offrirci delle parole di compatimento e di invito a rassegnarci al nostro destino, non potrete fare nient'altro per noi! Oppure siete rimasti ancora dell'avviso che per il mio Usillo c'è la possibilità di salvarlo dalla setta degli Araneidi? Ad esservi sincero, sono convinto che nel frattempo vi sarà venuto meno l'iniziale fervore, che vi spingeva con determinazione a farvi carico del nostro problema, fino ad accendere in me un barlume di meravigliosa speranza, a tutto beneficio del mio sventurato bambino.»

A quel punto, Efro fece seguire qualche minuto di silenzio, prima di riprendere a parlare. Ma dopo continuò ad esprimersi con queste parole:

«Ad ogni modo, ugualmente desidero aver fede in voi, cari miei ospiti, augurandomi di essermi sbagliato nel considerare il vostro interessamento per noi un puro atto formale! Anzi, circa le vostre buone intenzioni di aiutarci, voglia il divino Matarum che esse non vi siano state dettate dalla troppa faciloneria; ma che si siano invece fondate sulla convinzione di poterle concretizzare senza la minima difficoltà! Altrimenti, non saprei proprio in che modo risolvere il nostro insopportabile dramma interiore. Perciò, se le cose dovessero procedere come si presentano in questo momento, potrei perfino essere tentato di commettere qualche atto inconsulto contro l'intera mia famiglia, pur di porvi fine in maniera definitiva! Voi avete senz'altro compreso quanto a cui ho voluto riferirmi. Anzi, sapete anche che lo farei senza meno!»

Allora Iveonte, allo scopo di tranquillizzarlo il più possibile e di non fargli drammatizzare più del necessario la loro attuale situazione, immediatamente intervenne a rispondergli e a rassicurarlo. Così, con dati di fatto alla mano, gli confermò che egli e i suoi amici sarebbero stati sul serio in grado di risolvere i problemi della sua iellata famiglia. Ragion per cui lo avrebbero fatto con tutto il cuore. Perciò cominciò a dirgli:

«Non preoccuparti, Efro, perché la tua famiglia riceverà da noi il massimo aiuto, che non risulterà poco, come tu stesso potrai constatare tra breve. Siccome il prossimo novilunio è lontano, abbiamo molto tempo a disposizione per correre in soccorso del tuo bambino e salvarlo. Vedrai che riusciremo a strapparlo alle grinfie degli Araneidi, ai quali non daremo l'opportunità di sacrificarlo alla loro divinità. La quale può essere solo malvagia, se pretende tali sacrifici dai suoi fedeli. Su questo non ci piove! Ma noi la faremo smettere di pretendere ciò dagli esseri umani.»

«Mi dici, Iveonte, come farete voi tre, da soli, ad averla vinta contro gli Araneidi, il cui numero attualmente potrebbe aver raggiunto anche le due migliaia? Oppure pensate di riprendervi il mio Usillo, agendo di soppiatto, ossia nel momento in cui la sorveglianza su di lui risulta nulla? In questo caso, però, i nostri problemi rimarrebbero ancora insoluti, poiché lo stesso saremmo costretti ad abbandonare la nostra fattoria e a rifarci una nuova vita in altra località, che ci risultasse la più lontana possibile da essa! Inoltre, ammesso pure che tutto filerà liscio come l'olio, hai dimenticato che incomberebbe per sempre sulle nostre teste la minaccia del Vendicatore? A lui nessuno riesce a sfuggire e a resistere! Auguro a te e ai tuoi amici, per la vostra incolumità, di non incontrarlo sulla vostra strada, poiché l'esperienza che ve ne fareste sarebbe senz'altro letale! Se ve lo affermo, è perché le mie parole corrispondono alla verità, essendo a conoscenza di quanto egli sia capace!»

«Non c'è bisogno di augurarcelo, Efro, dal momento che nessuno più può imbattersi nel Vendicatore. Dal giorno in cui la mia strada e la sua si sono incrociate, il semidio ne è rimasto sconfitto ed è divenuto inesistente per tutti gli altri. Il tuo Vendicatore, da come ne hai parlato, non può essere che il Korup da me affrontato ed ucciso. Come vedi, la sua invulnerabilità non gli è servita a niente contro la mia prodigiosa spada!»

«È esattamente così, Iveonte! Il vero nome del Vendicatore era Korup. Non immagini di quanta gioia hai riempito il mio animo con la tua bellissima notizia! Vorrei proprio che anche la mia Ilva ne venisse consolata; ma temo che giammai nessuno potrà darle il necessario aiuto per farla ritornare a vivere la sua vita normale. Forse, solo quando il suo Usillo sarà di nuovo tra le sue braccia, ella sarà in grado di riprendersi dal suo perdurante stato di shock! Comunque, Iveonte, non mi hai ancora chiarito come intendete liberare il mio bambino dalla setta araneica. Hai tu forse già un piano per sottrarlo agli Araneidi?»

«Efro, pensiamo di mettere in atto una operazione in grande stile, la quale dovrebbe avere come obiettivo principale lo sbaraglio dell'intera setta e l'uccisione di quei settari araneici che si dimostreranno più indomiti e più fanatici degli altri. La nostra azione si collocherà proprio all'inizio della prima parte del rito, ossia quella dell'Immolazione dei Pargoli. Cominceremo col frantumare il simulacro del dio e concluderemo con l'appiccare il fuoco al tempio a lui dedicato. Ben presto ti convincerai che il prossimo novilunio, con lo sfaldamento dell’intera setta araneica, segnerà la fine degli assurdi e cruenti sacrifici dei piccoli innocenti. Per cui il vostro figliolo Usillo sarà uno dei primi bambini fortunati che ne beneficeranno! Te lo promettiamo, provato Efro!»

«Spero che tu sappia quello che dici, Iveonte, poiché il mio scetticismo va ancora punzecchiando ogni mia propensione a crederti. Tu e i tuoi amici rappresentate un numero troppo esiguo, perché io possa convincermi che riuscirete a mandare ad effetto i vostri ambiziosi propositi. Inoltre, nel tempio ci saranno i cento irriducibili Guerrieri della Morte, i quali faranno l'impossibile per ostacolare il vostro piano. Essi, che costituiscono la guardia di Araneo e rappresentano i legittimi tutori dell'ordine durante i riti della setta, sono gli unici ad avere il permesso di accedere al luogo sacro armati. Voi ignorate completamente di cosa essi sono in grado di fare!»

«Ma noi, Efro, lo stesso ci entreremo con le nostre armi, dopo aver ucciso tre Guerrieri della Morte ed averli sostituiti. Inoltre, invece di preoccuparti per la loro presenza nel tempio, cerca di riferirci qualcosa di più preciso sul conto di tali persone, che non smettono di suscitare dentro di te un sacco di terrore!»

«In verità, Iveonte, nessuno conosce l'identità di questi guerrieri, siccome hanno l'obbligo di presentarsi al tempio con il viso coperto da un passamontagna nero. Pensa che essi non si conoscono neppure fra di loro! Il loro secondo compito, dal quale deriva il loro nome, è quello di uccidere senza pietà chiunque venga a trovarsi in una situazione di offesa oppure di dispregio verso il dio Araneo, anche oltre le mura del tempio. Lo inseguono ovunque e non si arrendono, fino a quando non lo avranno scovato e non gli avranno inflitto la pena decretata dalla setta nei suoi confronti. Ciò non accadde nei nostri confronti, poiché decise di incaricarsene personalmente il Vendicatore. Devi sapere che fu proprio Korup a pretendere l'istituzione di una simile guardia. Dopo aver scelto i suoi componenti, egli, volendo tenere nascosta a ognuno l’identità degli altri, li obbligò a portare il passamontagna tutte le volte che si esercitavano nelle armi. Grazie alla sua congenita preparazione nell’uso delle armi e delle arti marziali, il Vendicatore li rese spietatamente formidabili in tali discipline, perché nessuno degli esseri umani potesse superarli.»

«Ricòrdati, Efro, che là dove il nostro valore accuserà dei limiti, in quanto uomini, lì subentrerà ad esso la mia spada prodigiosa. La quale, in qualità di opera divina, è capace di rendere possibile l'impossibile! Quindi, devi capacitarti che i temibili Guerrieri della Morte non potranno costituire alcun pericolo per me e per i miei amici, perché noi tre siamo dei combattenti di gran lunga superiori a loro!»

Detto ciò, Iveonte si alzò dalla tavola e si diresse verso la derelitta consorte del contadino. Quando la ebbe raggiunta, le prese garbatamente la mano destra. Poi, intanto che se la teneva stretta fra entrambe le sue palme e le trasmetteva il suo intenso calore, con un tono affabile e coinvolgente, egli le si espresse così:

«Ilva, hai sentito che Korup, la persona più odiata da te, non molto tempo fa è stato da me ucciso? Tra poco, insieme con i miei due amici, andrò anche a salvare il tuo Usillo. Ti prometto che faremo in modo che mai più si ritorni a parlare della perversa ed odiosa setta degli Araneidi! Sei contenta, donna afflitta e sconsolata, di averti data questa notizia?»

«Non serve parlarle, Iveonte.» intervenne a fargli presente il marito «Mia moglie oramai non ascolta più nessuno, dopo essere rimasta come inebetita, a causa del rapimento del suo bambino. Da allora ella vive al di fuori della realtà che la circonda, per cui nessuna cosa e nessun fatto al mondo potrebbero far breccia nel suo cuore e penetrare i suoi pensieri! Magari la mia Ilva potesse ascoltarti e apprendere da te le tue favolose nuove! Solamente in quel caso, mia moglie ritornerebbe ad essere integra e perfettamente normale come prima! Ma crederci equivale a sognare ad occhi aperti e a sperare in un autentico miracolo!»

Alle parole del suo disperato consorte, la donna si girò a guardarlo, mostrando sulle gote due lacrimoni, i quali sembravano due smeraldi. Subito dopo, il suo sguardo si fissò sul giovane, sorridendogli. Infine, trepidante di gioia, ella scandì forte e sentito: "Grazie, nostro benefattore! Che il dio Matarum ti benedica e ti protegga!"

Una volta pronunciata quella frase, ella abbandonò la tarlata cassapanca, sulla quale era stata seduta fino allora, e si lanciò verso la figlioletta. Quando la ebbe raggiunta, l'abbracciò con immensa tenerezza. Poi, tenendosela felicemente tra le braccia, le gridò:

«Ecco che sei di nuovo con la tua cara mammina, mia piccola Ondella. Sì, perdonami, gioiello mio, per averti trascurata e fatta soffrire in questi giorni, che hanno scombussolato l'esistenza a tutti noi. Penso che essi ti saranno apparsi una eternità, dolce bambina mia, mentre li trascorrevi in una grave sofferenza!»

Nel vedere la donna abbracciare e coprire di baci la piccola Ondella, Efro, Francide e Astoride si commossero in modo indescrivibile. A loro parere, era stato operato da Iveonte un vero miracolo, nel farla risorgere dalla propria nullità di esistenza. Egli, inoltre, senza alcuna fatica, era stato in grado di aprire nella sventurata donna le porte del sentimento materno. Le quali prima erano rimaste ermeticamente chiuse ad ogni forma di esistenza soggettiva ed oggettiva! Ma Iveonte, a differenza di loro tre, sapeva chi effettivamente era stato in grado di operare un simile miracolo nella sventurata donna. Secondo lui, poteva essere stato esclusivamente il suo anello, il quale non l'aveva neppure fatta scottare, mentre la sua mano ne era rimasta strettamente a contatto.


Trascorsa la fase delle emozioni, Iveonte fece presente ai suoi amici e al colono che era meglio non indugiare troppo nella commozione che li aveva investiti. La quale stava facendo provare a tutti loro degli attimi di gioia. Invece sarebbe stato meglio mettersi in cammino prima possibile. Secondo lui, farlo subito equivaleva a pareggiare possibili perdite di tempo, che sarebbero potute derivare da eventuali contrattempi. I quali non erano da escludersi durante il loro prossimo tragitto. Riguardo poi all'equipaggiamento ad esso relativo, dal momento che i loro muli risultavano dispersi, egli consigliò di prendere quel poco che l'umile famigliola poteva mettere a loro disposizione e filare alla svelta. Per il resto, essi si sarebbero arrangiati con la caccia, la quale di certo non sarebbe mancata lungo il percorso che li avrebbe condotti al villaggio di Aranuk. Al contadino, invece, il giovane parlò nel modo seguente:

«Tu, Efro, dovrai venire con noi per tre motivi, che passo brevemente ad elencarti. In primo luogo, tu solo, conoscendo bene la strada, potrai farci arrivare al tempio, prima del prossimo novilunio. In secondo luogo, senza la tua presenza, non potremo riconoscere il tuo Usillo. In terzo luogo, siccome dopo la sua liberazione saremo costretti a proseguire il nostro viaggio per una strada diversa, sarai tu stesso a riportarti a casa il tuo figlioletto. Per fortuna, la tua consorte si è riavuta dallo shock, del quale era rimasta vittima in precedenza. Per tale motivo, dopo la nostra partenza, ella potrà badare senza difficoltà alla tua piccola Ondella. La tua bambina adesso finalmente è tornata ad essere di nuovo felice e sorridente, per avere ritrovata la madre che aveva perduta!»

Il contadino, ritenendo giuste e sensate le ragioni addotte dal benefattore Iveonte, si convinse che era indispensabile che partisse pure lui con i tre giovani generosi. Perciò non osò né fare obiezioni né mostrarsi perplesso in merito. Anzi, non vedendo l’ora di riabbracciare il suo bambino, Efro accettò all’istante. Ma il suo intervento avvenne soltanto per sollecitare i preparativi della partenza, dandosi a questo parlare:

«Senz'altro, Iveonte, sono d'accordo con te che io parta insieme con voi e trovo quanto mai necessaria la mia partecipazione a questa missione, che vi preparate ad intraprendere. Con essa, tu e i tuoi amici vi adoperate per conseguire dei fini prettamente umanitari. Dunque, approntiamo il più speditamente possibile quanto ci occorre per la partenza e mettiamoci poi in viaggio con la massima premura. Prima ci mettiamo in cammino verso il tempio e meglio sarà per il mio Usillo. In questo modo, egli eviterà di correre dei grossi rischi, ai quali potrebbe andare incontro nel maledetto tempio consacrato al dio Araneo!»

«In verità, Efro, visto che ci troviamo nella bella stagione, l'acqua sarà la sola cosa, di cui avremo bisogno maggiormente durante il nostro tragitto; mentre le cibarie costituiranno per noi un problema di poco conto. Quindi, se hai degli otri vuoti e gli indichi dove possono andare a riempirli di acqua, Francide ed Astoride vi si recheranno senza indugio e vi effettueranno il rifornimento idrico. Nel frattempo, noi due baderemo al resto. Comunque, se il prezioso liquido dovesse trovarsi sul nostro percorso, faremmo risparmiare ai miei due amici la fatica di andare a prelevarlo altrove, poiché ce ne riforniremmo lungh’esso! Sta a te dirci come stanno effettivamente le cose in merito all'acqua!»

«Invece, Iveonte, essa si trova dalla parte opposta della nostra destinazione, esattamente ad un paio di miglia dalla mia fattoria. In quel luogo, è situata una cascata, la cui acqua cristallina, saltando da una rupe di modesta altezza, forma un laghetto nella parte sottostante. Poi essa sprofonda in un crepaccio, senza più riaffiorare in superficie. Ma nessuno sa dove esso va a finire, dopo avere attraversato i cunicoli sotterranei. Vedrai che i tuoi amici saranno di ritorno in meno di mezzora!»

Dopo avere avuto in consegna i quattro otri vuoti dal contadino, il quale aveva anche indicato ad entrambi l'ubicazione esatta della cascata, Francide e l'amico Astoride vi si diressero senza perdere altro tempo. Una volta che furono giunti sul posto, oltre a trovarvi l'acqua, essi furono colti da una bellissima sorpresa. Con grande stupore, constatarono che i loro quattro muli erano tutti presso il laghetto della cascata, dove adesso si stavano abbeverando tranquillamente. Scorgendoli con i carichi ancora sul dorso, i due giovani esultarono di gioia. Poi, dopo aver riempito di acqua i quattro recipienti di pelle, essi se ne ritornarono alla fattoria di Efro, portandosi appresso anche i loro quattro muli da poco ritrovati. Anche Iveonte, alla vista delle loro bestie che avevano ancora l’intera soma sulla groppa, fu preso da una grandissima contentezza. A suo avviso, adesso non c'era più bisogno di sacrificare, anche se minimamente, la famigliola del colono Efro. Essa, fino allora, era stata già messa abbastanza sotto torchio dalla malasorte, la quale non era mai paga di arrecare danni a tanta gente sfortunata!

L'indomani mattina era già pronta ogni cosa per la partenza. Prima, però, i tre giovani amici consentirono alla coppia di coniugi contadini di salutarsi e di separarsi nella maniera che i medesimi sentivano più appropriata. Così essi li videro profondersi in molti abbracci e baci affettuosi, intanto che facevano piovere dai loro occhi calde lacrime di commozione. Dopo, considerato che mancavano ancora una decina di giorni al novilunio successivo, Iveonte consigliò a tutti di mettersi in viaggio; ma senza darsi ad una corsa precipitosa. Conveniva invece proseguire con un'andatura regolare, poiché così le loro bestie si sarebbero stancate di meno lungo il tragitto, senza risentirne più di tanto. Anche avanzando in quella maniera, ci vollero sette giorni pieni, prima che essi riuscissero a coprire la distanza che li separava dal villaggio di Aranuk.

Nei tre giorni che restavano a loro disposizione, prima che sopraggiungesse la notte di luna nuova, Iveonte, Francide e Astoride cercarono di apprendere ogni cosa che riguardava il tempio. Perciò si andarono rendendo conto della sua disposizione, dei suoi vari ingressi, della sua capienza, dello svolgimento del rito al suo interno e di alcuni dettagli inerenti alla funzione religiosa. Logicamente, poté essere soltanto Efro ad accompagnarli ovunque e a metterli al corrente di ogni particolare relativo al luogo e al tempio. Il colono, ad evitare di essere riconosciuto e scoperto dai suoi genitori o da quanti gli erano stati amici nel villaggio, in tale occasione si era camuffato da vecchio gobbo affetto da zoppia. A dire il vero, essendoci anche tantissimi forestieri, nessuno fece caso alla loro presenza, ritenendo anche loro degli autentici Araneidi giunti da ogni parte per assistere ai riti religiosi. Infatti, durante i tre giorni che precedevano il rito di novilunio, cominciò ad aversi nei dintorni del tempio un afflusso continuo di seguaci dell’araneismo. Allora i tanti forestieri, che provenivano da altre località circostanti, sommandosi agli abitanti della zona, facevano sì che gli appartenenti alla setta diventassero più di quattro migliaia, i quali non potevano mica conoscersi tutti fra loro. Grazie a tale particolare, senza dare nell'occhio, i tre giovani erano riusciti ad immagazzinare un gran numero di informazioni che concernevano il piccolo villaggio, il tempio e lo svolgimento del rito religioso. Esse, perciò, all'occorrenza gli sarebbero risultate di massima utilità, qualora la missione non fosse proceduta nel modo da loro auspicato. Specialmente, poi, se essa si fosse messa male per loro tre, a causa di un qualsiasi motivo, il quale per il momento non era previsto.

Quando giunse il fatidico giorno, i tre valorosi giovani si affrettarono a prepararsi per la grande impresa notturna. Allora, dopo che le tenebre ebbero invaso ogni luogo della zona e lo ebbero reso quasi del tutto buio, esattamente due ore dopo la consumazione della loro cena, Iveonte ritenne indispensabile parlare al contadino in questo modo:

«Adesso, Efro, è giunto l’ora che io e i miei amici ci avviamo verso il tempio, anche perché prima abbiamo da portare a termine il compito che già conosci. Nel frattempo, tu rimarrai qui a tenere a bada le bestie e ad attendere che ti riportiamo tra le braccia il tuo bambino sano e salvo. Vedrai che questa notte di novilunio segnerà la fine della setta degli Araneidi e del barbaro sacrificio di creaturine innocenti, da parte dei carnefici della setta! Te lo garantiamo sul nostro onore!»

Invece Efro, prima che i tre giovani amici si allontanassero da lui e lo lasciassero tutto solo a badare alle loro quattro bestie, sempre per il solito motivo che non lo faceva stare tranquillo, non si astenne dal fare alla terna di giovani la seguente raccomandazione:

«Ricordatevi, amici, che il più grande pericolo che vi potrà derivare dalla vostra missione, è rappresentato dai Guerrieri della Morte, i quali sono dei tenaci combattenti! Perciò guardatevi da loro più di tutti gli altri Araneidi e cercate di non sottovalutarli. Siate certi che essi costituiscono quanto di più diabolico potesse ideare ed attuare il tremendo cervello di Korup. In bocca al lupo, dunque!»

Una volta che i suoi volontari protettori si furono congedati da lui, il povero contadino si diede a pregare per la loro ottima riuscita in quella difficile impresa che li attendeva. Sperò che la sicurezza scaturita dalle parole di Iveonte fosse conforme al vero e che il valore dei tre giovani si dimostrasse tale, da farli risultare all'altezza della grave situazione. A suo giudizio, l'uccisione di Korup da parte del giovane Iveonte già poteva considerarsi una impresa ardita e sovrumana. Essa, perciò, lasciava prevedere che pure la nuova e temeraria azione, nella quale i tre giovani si stavano avventurando, sarebbe stata coronata da pieno successo. Infine lo tranquillizzò il pensiero che delle divinità benigne, tra cui il dio Matarum, immancabilmente non se ne sarebbero rimaste in disparte e volentieri avrebbero dato loro una mano in caso di necessità. Così li avrebbero aiutati, mentre si accingevano a portare a compimento i loro propositi, poiché essi intendevano perseguire dei nobili e generosi obiettivi.

Ma come erano intenzionati a procedere Iveonte e i suoi amici in quella operazione, la quale si presentava parecchio rischiosa? Addirittura essa si prefiggeva la dispersione di una intera setta che già era modestamente in auge, se non proprio il massacro di tutti i suoi adepti! Comunque, le prime pedine erano state già mosse da loro tre sulla scacchiera della vicenda. La notte precedente, infatti, essi erano penetrati furtivamente nel tempio ed avevano privato della loro lama gli otto trincianti infilati nei rispettivi ceppi, i quali si trovavano collocati alla base degli otto arti del simulacro del dio Araneo. Dopo aver eseguito i troncamenti delle affilate lame, i tre giovani avevano riposto sulle feritoie dei cilindri legnosi il solo manico di osso dei coltellacci. In quel modo, gli otto arnesi avevano ripreso la loro parvenza di integrità, senza fare assolutamente sospettare né ai satirei né alle aranelde che essi avessero subito in precedenza l'asportazione della lama. Con il loro intervento sui trincianti, da loro ritenuto utile ed indispensabile, i tre giovani avevano inteso evitare alle tenere vittime sacrificali pure il più piccolo graffio. Infatti, esso sarebbe potuto derivare a tutti loro da un improvviso colpo di mano, da parte dei satirei oppure delle sacerdotesse. In tal caso, gli uni e le altre non avrebbero perso tempo ad impossessarsi degli affilati arnesi che si trovavano a portata di mano, reagendo così in una maniera qualsiasi. Allora essi avrebbero potuto compromettere la salute dei fanciulli che erano stati scelti come vittime.

Le altre loro caute mosse della serata, invece, avevano avuto come obiettivo l'uccisione nascosta di tre dei Guerrieri della Morte, allo scopo di venire in possesso dei loro passamontagna e servirsene in seguito per coprirsi il viso, come appunto sarebbe avvenuto. Con il volto coperto da tale indumento, i tre giovani erano sicuri che avrebbero avuto libero accesso al tempio, pur presentandosi in quel luogo armati di tutto punto. Per quanto riguardava i piani da attuarsi da parte loro all'interno del tempio, essi erano stati già meticolosamente programmati e testati per ottenere una loro riuscita senza problemi di sorta. Ma adesso Iveonte e i suoi amici attendevano la mezzanotte per potergli dare una esecuzione pratica, efficiente ed immediata. Così essi avrebbero estirpato alla radice il male costituito dalla setta araneica, alla quale facevano parte i fanatici adoratori di Araneo, il dio del sesso.