200°-LA SPADA D’IVEONTE PUNISCE CHI CERCA DI RUBARLA

Giunta alla reggia del viceré Raco, la comitiva dei sei Dorindani fu ricevuta con tutti i riguardi possibili, anche se il fratello di Lerinda, al momento del loro arrivo, si trovava fuori del palazzo reale. La servitù, senza perdere un attimo di tempo, si mise a disposizione degli ospiti, sistemando la roba di ognuno nella rispettiva stanza. Prima dell'ora di cena, agli stessi si permise perfino di fruire di un tiepido bagno per farli rilassare. Esso, oltre ad esplicare la sua azione detergente, ebbe anche un effetto tonificante e salutare sul loro organismo, rimasto stressato dopo il lungo viaggio affrontato. Invece Telda, mentre Iveonte, Francide, Astoride e Rindella erano intenti a pulirsi e ad agghindarsi alla meglio, di sua iniziativa si propose di dare una mano in cucina, mettendosi a dare alle cuoche casunnane i suoi preziosi consigli. Una mezzora più tardi, invece, Lerinda ne approfittò per avere un primo breve colloquio con il fratello viceré, il quale era rientrato da poco e l’aveva cercata con grande premura. Così, dopo averla salutata con il solito abbraccio affettuoso, Raco si affrettò a dichiararle:

«Sorella, il tuo Iveonte, come è abituato a fare, ha continuato a non smentirsi, liberandomi dal fastidio di dover dare la caccia ad una pericolosa banda di criminali! Nerso mi ha riferito ogni cosa sull'aggressione dei predoni e sulla loro orribile fine. Del resto, la banda di Bokiur non poteva finire diversamente, avendo avuto di fronte il tuo validissimo fidanzato, il quale è il campione dei campioni!»

«Vedo, mio caro fratello, che dimentichi che c'erano anche i suoi amici al suo fianco e che Francide ha una perizia d'armi quasi identica a quella del mio ragazzo, avendo egli avuto lo stesso maestro. Con questo, non voglio affermare che, se il mio adorabile Iveonte si fosse trovato da solo, non l'avrebbe spuntata contro la banda del predone Bokiur. Ma intendo unicamente farti osservare che pure il fidanzato di Rindella, al pari di quello mio, è un ottimo campione sia nel destreggiarsi con le armi sia nella pratica delle arti marziali! Astoride, invece, sta apprendendo da loro quanto l'impareggiabile maestro Tio aveva insegnato ad entrambi in tanti anni di convivenza con loro due, avendoli cresciuti fin dalla fanciullezza.»

«Quanto mi hai affermato, mia cara Lerinda, è senz'altro vero; ma devi convenire con me che il tuo Iveonte può contare pure sui poteri prodigiosi della spada in suo possesso. Un fatto del genere non mi sembra che sia roba da niente per lui, se ne teniamo conto! Quindi, solo il tuo fidanzato è davvero invincibile e nessuno può stargli alla pari! La qual cosa avviene, pure quando le difficoltà si presentano insormontabili per qualunque essere umano!»

«Anche a tale riguardo, Raco, voglio precisarti che la sua spada si dà a manifestare i suoi poteri prodigiosi, esclusivamente quando l'ostacolo che Iveonte deve superare si rivela di natura sovrumana! Negli altri casi, essa resta una comune arma identica alle altre, priva di ogni potere soprannaturale. Perciò egli, quando si trova ad affrontare un qualsiasi pericolo che rientra nella normalità, fa affidamento sempre e soltanto sulla sua eccezionale preparazione tanto nelle armi quanto nelle arti marziali. Ad essa, quindi, il mio ragazzo deve la sua indiscussa bravura, grazie alla quale si mostra un guerriero eccezionale, identicamente a come lo è il suo amico fraterno Francide!»

«Non ne dubito, Lerinda. Ho avuto già modo di ammirare la straordinaria ed imbattibile scherma del tuo Iveonte. Essa gli può permettere di fronteggiare, nel medesimo tempo e senza alcuna difficoltà, centinaia e centinaia di avversari. Ma adesso lasciamo da parte le doti prodigiose del tuo fidanzato ed occupiamoci invece di nostro fratello Cotuldo. Possibile che non mi rechi nessuna ambasciata da parte sua, carissima sorella, dopo che ha saputo che venivi a Casunna? Secondo me, ti avrà pur detto qualcosa da riferirmi e che avrai sicuramente dimenticato!»

«A parte i suoi saluti, fratello, Cotuldo non ti invia niente altro. Anzi, adesso che mi sovviene, prima di lasciare la reggia di Dorinda, egli mi ha affidato un plico sigillato; esso, però, non è diretto a te. Egli mi ha incaricata di consegnarlo personalmente a Merion, il quale, se non erro, è l'altro tuo consigliere militare, il quale ha le stesse mansioni di Nerso. Perciò, Raco, ti dispiace recapitarglielo tu, al posto mio, siccome non trovo giusto che debba essere io a porgerglielo di persona nelle mani?»

«Certo che non mi dispiace, Lerinda! Dallo a me, poiché dopo ci penserò io a farlo giungere al suo destinatario. Non ti do torto, quando affermi che non sei la persona adatta per espletare tale tipo di incarico! Comunque, non comprendo perché mai nostro fratello Cotuldo abbia voluto manifestare tanta segretezza nell'inviare il suo messaggio ad uno dei miei due consiglieri! La cosa più logica, da parte sua, sarebbe stata quella di far sapere a me quanto aveva da comunicare al mio consigliere Merion, incaricandomi di trasmettergli il suo messaggio. Non sei anche tu dello stesso mio avviso, sorella?»

«Certo che la penso come te, Raco! Ma tu non te la devi prendere più di tanto per una sciocchezza simile. Anzi, fai come se tale suo messaggio a Merion non ci fosse stato! Entrambi conosciamo benissimo nostro fratello Cotuldo, per cui non è possibile farsi una idea di ciò che rimugina nella sua testa balorda oppure venire a sapere come la pensa su un determinato problema. Lo sai anche tu che egli è stato sempre un tipo strambo fin dalla sua nascita, come ci dicevano i nostri genitori!»

«Sì, forse hai ragione tu, Lerinda. In questo caso, la cosa migliore è non dare peso all'iniziativa poco ortodossa, a cui è ricorso mio fratello. In questo modo, non perderò le staffe e continuerò a restarmene sereno! Ma adesso, sorella, ti invito ad andare a prendere il piego di nostro fratello. Così provvederò a rimetterlo di persona a Merion, dopo che avrò mandato Nerso a cercarlo e ad invitarlo a raggiungermi al più presto!»

«Vado a prenderlo di corsa, Raco! Vedrai che, in un attimo, sarò già di ritorno da te! Anche perché dopo dovrò correre subito a curare la pulizia e l'agghindamento del mio corpo, che in questo momento mi ritrovo ridotto a pezzi. A quanto pare, sono davvero molto in ritardo, per essermi trattenuta a parlare felicemente con te!»

Una volta in possesso del plico sigillato inviato dal germano Cotuldo a Merion, il viceré Raco mandò subito a chiamare il suo destinatario, il quale non perse tempo a presentarsi a lui. Dopo avergli porto il piego brevi manu, egli, usando una certa diplomazia, lo esortò ad aprirlo davanti a lui e a leggervi ciò che c'era scritto all’interno di esso.

«Cosa aspetti, Merion, a scoprirne il contenuto?» gli disse «Mi farebbe piacere apprendere quali nuove ci sono per te, da parte di mio fratello! Ma speriamo che esse siano ottime! Te lo auguro!»

All'esortazione del suo viceré, il consigliere militare si diede a liberare il plico dal suo sigillo; poi lo spiegò e cominciò a leggervi quanto vi era scritto all'interno. Il suo iniziale entusiasmo, però, andò via via scemando sempre di più; mentre il suo volto iniziò a tingersi di una cupezza sempre maggiore. Alla fine, quando ebbe finito di leggere l’intero messaggio inviatogli dal suo sovrano, Merion, manifestando un certo nervosismo, si conservò in gran fretta il plico. Dopo la lettura, però, egli non appariva più il gioviale giovane che era avvezzo ad essere. Allora il viceré Raco, vedendo che il suo consigliere si mostrava alquanto turbato, non poté fare a meno di domandargli:

«Mi parli, Merion, della novità di mio fratello, la quale mi sembra che ti abbia più rattristato che rallegrato? Lo sai che con me puoi sfogarti e, se posso fare qualcosa per te, non hai che da chiedermelo! Non scordarti mai che, per te e per il tuo collega Nerso, rappresento anche un amico! Quindi, mi riferisci ciò che il tuo sovrano ti ha mandato a dire con il suo plico sigillato? Sto aspettando la tua risposta!»

«L'eccellentissimo re Cotuldo mi propone di prendere il posto lasciato libero dal suo ex braccio destro Croscione ed attende la mia conferma di accettazione. Comunque, illustre Raco, ti ringrazio per le parole spese a mio favore poco fa! Ma sappi che pure tu godi di molta considerazione presso di me e presso il mio amico Nerso!»

«Ebbene, Merion, non sei contento di questa bella notizia? Un altro, al posto tuo, di sicuro avrebbe fatto dei grandissimi salti di gioia! Vedrai che questa tua promozione ti sarà invidiata perfino dal tuo collega ed amico Nerso. Anche se allo stesso tempo egli sarà felicissimo per la tua meritata promozione! Te lo posso garantire!»

«Può darsi che sia come tu dici, nobile Raco; ma non ci giurerei! A volte le cose non sono come appaiono, poiché esse nascondono ben altra verità! Adesso, se ho il tuo permesso, vorrei prendere congedo dalla tua pregevole persona. Una forte emicrania è venuta ad assalirmi proprio in questo momento e ha intenzione di non darmi tregua!»

«Sei libero di congedarti da me, Merion! Ma ti raccomando di prendere in seria considerazione l’ottima proposta di mio fratello. Come pure ti suggerisco di non sciupare la magnifica occasione che oggi ti si presenta, se non vuoi pentirtene in avvenire! Inoltre, tieni in conto che qualche tua decisione avventata potrebbe offendere la suscettibilità del re mio fratello, fino a farti trovare sul lastrico!»

L'atteggiamento di Merion non aveva convinto per niente il viceré Raco. Gli era parso che il messaggio del fratello avesse recato al suo consigliere più disturbo che piacere. Per quale motivo? Secondo lui, di sicuro Cotuldo, oltre che proporgli la suddetta nomina, in cambio era venuto a pretendere da lui qualcosa di poco pulito. Altrimenti, giammai gli avrebbe provocato nell'animo una reazione così vistosamente repulsiva. Ma di cosa poteva trattarsi e di che natura? Alla fine il viceré Raco decise di soprassedere ad ogni sua ipotesi e ad ogni illazione in merito alla misteriosa vicenda. Per cui si precipitò ad incontrarsi con i suoi preziosi ospiti, in onore dei quali egli aveva fatto allestire una sontuosa cena, con un menù di ben sette portate. Dopo averli ricevuti con molta cordialità, salutandoli individualmente, il fratello di Lerinda condusse i suoi ospiti nel meraviglioso patio del palazzo, il quale si presentava come una vera meraviglia a vedersi. In esso, egli desiderò intrattenersi con loro fino all'ora di cena.

Il viceré Raco, quando si trovò a tu per tu con l’eccezionale fidanzato della sorella, lo pregò di soffermarsi sul loro scontro avuto con i predoni di Bokiur. Ma dopo essersi fatto raccontare dal futuro cognato i vari particolari di esso, che si era gustato con grande gioia e con soddisfazione nell'ascoltarli, egli fece presente al giovane:

«Iveonte, mentre tu e i tuoi amici eravate intenti a prestare cura al vostro corpo, mi sono visto con la mia amabile sorella Lerinda. Il nostro incontro è stato molto breve ma affettuoso, poiché anch'ella si affrettava ad imitarvi. A causa di ciò, non ho avuto neppure modo di chiederle le ragioni che vi hanno spinti a venire a Casunna. Vuoi essere tu così gentile, da riferirmele? A dire il vero, ho avuto l'impressione che il vostro non sia stato un viaggio di piacere, ma che ci siano state delle serie motivazioni a farvelo intraprendere, spingendovi fino alla mia città! Non ho forse ragione a pensare una cosa simile?»

«Non hai affatto torto, Raco! Un serio motivo ci ha obbligati ad allontanarci da Dorinda e a darci a questo viaggio, la cui meta però non è Casunna, bensì la città di Actina. Invece le donne, allo scopo di non farle stancare abbastanza, non verranno con noi alla Città Santa; resteranno tue ospiti fino al nostro ritorno da tale località.»

«Se mi è consentito di conoscerlo, caro cognato, mi dici quale sarebbe questo motivo che, come hai affermato, riveste una certa serietà, oltre che presentare un carattere di urgenza? Mi farebbe piacere, se tu mi mettessi a conoscenza anche di questo particolare!»

«Abbiamo appreso da fonti sicure che Francide ha una madre, la quale si trova nella città di Actina. Ella in questo momento sta correndo un grave pericolo, poiché lo stesso uomo, che le fece ammazzare anni addietro il marito, potrebbe decidersi a fare la medesima cosa con lei. Incredibilmente, lo scellerato era il cognato. Egli, a quel tempo, aveva assegnato pure al nipote, ossia al mio amico fraterno, la stessa sorte del padre, ma senza riuscirci!»

«Ma chi vi ha passato queste notizie, Iveonte? Personalmente, trovo strano il fatto che all'improvviso qualcuno venga a dire a Francide che sua madre abita ad Actina e che potrebbe essere uccisa da colui che tanti anni prima aveva ordinato anche l'assassinio del marito. Eppure, come sappiamo, egli non ha mai conosciuto i genitori in vita sua!»

«Lo riterrai ancora strano, Raco, dopo che ti avrò rivelato che è stata la mia spada a riferire in sogno ogni cosa al mio amico? Devi sapere che egli l’ha vista prima tramutarsi in una fanciulla e poi mettersi a rapportargli quanto ti ho detto. Come noi sappiamo, la mia spada preferisce rivelare ogni volta in sogno le notizie che poi risultano essere reali da svegli. Perciò esse sono più che attendibili!»

«In questo caso, Iveonte, ritiro ogni mia perplessità manifestata a tale riguardo e sono anche convinto che riuscirete a portare a termine in maniera egregia la vostra missione punitiva. Ma puoi anticiparmi anche quando presumibilmente avete intenzione di lasciare la città di Casunna e di ripartire alla volta della remota Città Santa?»

«Naturalmente, domani stesso, Raco! Ci rimetteremo in viaggio nel primo pomeriggio, visto che ci resta poco tempo e non possiamo perderne altro nella tua città. In mattinata, ci occuperemo dei vari preparativi per la partenza e lo faremo con la massima celerità! Anche se so che ciò ti dispiacerà molto, ma noi dobbiamo partire a ogni costo!»

«Domattina, Iveonte, vi consiglio di visitare un po' la mia città, lasciando alla mia servitù il compito di approntare tutto ciò che vi occorrerà per il lungo viaggio. Vedrete che farò sì che non vi venga a mancare nulla durante il faticoso tragitto, consentendovi di affrontarlo con minori difficoltà. Per quanto riguarda il percorso da seguire, anche se ce ne sono due di uguale lunghezza, vi suggerisco quello che vi porterà prima a Cirza e poi ad Actina. Esso, poiché si presenta il più ombreggiato e il più riposante, potrà risultarvi anche il più conveniente in questa calda stagione estiva! Perciò me ne darai atto.»

«Va bene, Raco, accetteremo senza meno il tuo consiglio di visitare Casunna e il tuo suggerimento che riguarda l'itinerario da seguire per raggiungere Actina. Quanto alla visita della città, accettandola di buon grado da parte nostra, sono certo che con essa Francide ed io riempiremo di immensa felicità sia Lerinda che Rindella!»


Giunta l'ora di cena, i vari commensali, che in totale potevano essere una ventina, si sedettero intorno al grande desco. Esso era stato preparato con accurata ricercatezza e con grande raffinatezza. Sulla splendida tovaglia di lino, ricamata con bellissime composizioni floreali, vi si potevano ammirare pregevoli posate dorate, nonché caraffe maiolicate colme di vini pregiati. Anche le stoviglie erano di maiolica, ma riportavano decorazioni che esprimevano uno squisito senso artistico. Al centro, vi si scorgevano degli ovali vassoi d'argento sbalzato e cesellati con inimitabile bravura. Essi, come si poteva constatare, si presentavano strapieni di succulente ed aromatizzate pietanze, delle quali ogni commensale poteva servirsi a volontà, allo stesso modo della bevuta dei vini.

Il viceré Raco sedeva a capotavola, mentre nei primi posti laterali egli aveva voluto che sedessero Lerinda alla sua destra e Rindella alla sua sinistra, ciascuna avente accanto il proprio fenomenale ragazzo. Astoride invece sedeva tra l'amico Francide e il consigliere militare Nerso. All'altro consigliere, che era Merion, era stato assegnato il posto accanto ad Iveonte. Ma egli non si era ancora presentato a tavola, per il quale motivo il suo posto continuava a restare senza essere occupato da nessuno. In precedenza, il viceré, non avendolo visto presentarsi a tavola, gli aveva inviato il consigliere Nerso per sollecitarlo a raggiungere gli altri commensali e a sedere intorno all'imbandito desco. Egli, però, non essendo riuscito a trovarlo in nessuna parte, pur avendolo cercato a lungo, se n'era ritornato dagli altri commensali da solo. La sua misteriosa assenza aveva convinto maggiormente il viceré Raco che nel messaggio inviatogli dal fratello re Cotuldo doveva esserci qualche cosa che Merion gli aveva tenuto nascosto. La quale lo determinava a comportarsi in quella maniera da ritenersi alquanto strana. Per questo aveva deciso che l'indomani mattina, ammesso che fossero riusciti a rintracciarlo, lo avrebbe fatto chiamare e lo avrebbe indotto a sputare il rospo. Agendo in quel modo, gli avrebbe cavato di bocca ciò che in effetti era venuto ad avvelenargli l'esistenza, senza concedergli un attimo di pace.

La cena si svolse nella massima allegria ed ogni convitato poté misurare il suo appetito, dal momento che a ciascuno era stata data la possibilità di rimpinzarsi a crepapelle. Anche la conversazione fra la moltitudine dei commensali, durante la cena assunse una parte molto significativa. Essa fu vivacizzata dai motti faceti e dai lepidi frizzi di alcuni di loro. La maggioranza, però, preferì alternarla, morsicando dei teneri cosciotti di agnello cotti allo spiedo e bevendo dell'ottimo vino abboccato. Fu soltanto verso mezzanotte che i banchettanti si decisero ad alzarsi da tavola e ad andarsene a dormire nei rispettivi alloggi. Logicamente, com'era da aspettarselo, la servitù rimase ancora in piedi, avendo il compito di sparecchiare la tavola e di rimettere in ordine nella spaziosa e meravigliosa sala da pranzo. Eseguiti poi tali lavori domestici, che richiesero non meno di due ore, anche i servi poterono ritirarsi nei loro alloggi e prendervi il meritato riposo.

La mezzanotte era trascorsa da circa tre ore, allorché il profondo silenzio fu squarciato da strazianti grida di dolore. Esse, lacerando la quiete notturna, potevano essere udite da ognuno degli angoli del palazzo del viceré Raco. Come era da aspettarselo, esse svegliarono quanti erano già dediti ad una riposante dormita. Una volta desti nei loro alloggi, tutti si coprirono alla meglio e li abbandonarono con celerità per cercare di raggiungere il luogo, dal quale provenivano quelle grida di disperazione e di tormento. Alla fine, dopo esservi giunti di corsa l'uno dopo l'altro, si trovarono di fronte ad un episodio raccapricciante. Il consigliere militare Merion, che si presentava avvolto dalle fiamme, stava bruciando vivo, mentre si dibatteva come un pesce fuor d'acqua. Da più parti, allora, si tentò di spegnere le fiamme con qualche coperta, visto che al momento non si poteva disporre di acqua. Le lingue di fuoco, però, non si lasciavano soffocare da nessun tessuto, poiché all’istante si appiccicavano anche ad esso, bruciandolo con una velocità sbalorditiva. Alla fine, dopo alcuni minuti di atroce agonia, ogni straziante grido di dolore del consigliere militare finì per essere smorzato dalle mordenti fiamme arancioni. Anzi, esse badarono pure a trasformare il suo corpo in un unico moncone abbruciacchiato, interamente irriconoscibile.

La totalità degli astanti avevano già cominciato a provare una sincera pietà per il povero Merion, quando la scoperta della spada di Iveonte accanto ai suoi resti mortali all'istante fece loro cambiare opinione. Per questo tutti non esitarono a smettere di mostrarsi compassionevoli nei suoi confronti. Infatti, essi si erano resi conto che egli, dopo essersi introdotto di soppiatto nell'alloggio del giovane eroe, gli aveva sottratto la prodigiosa spada. Mentre poi cercava di lasciare il palazzo, l’arma aveva voluto punirlo senza pietà, facendolo bruciare vivo. Così lo sporco e indegno agire del consigliere militare del viceré Raco immantinente predispose gli animi degli astanti al totale biasimo verso di lui. Essi, inoltre, giustamente condannarono il suo vile atto con molta severità e con il massimo disprezzo.

Di lì a poco, intanto che alcuni servi sgomberavano il corridoio della salma semicarbonizzata di Merion e ripulivano il pavimento, la gran parte dei presenti rientrò nei rispettivi alloggi, poiché bramavano ridarsi al loro sonno, dal quale erano stati bruscamente distolti nel cuore della notte. Gli unici a rimanere in piedi per qualche tempo furono il viceré Raco e l'altro suo consigliere militare, che era Nerso. Quest'ultimo, mostrandosi con un volto funereo e quasi frastornato, ad ogni costo era intenzionato a giudicare il collega nel peggiore dei modi. Perciò si diede ad affermare al suo viceré:

«Nobile Raco, dal mio amico Merion non me lo sarei mai aspettato! Lo stimavo una persona degna della mia massima fiducia. Perché mai egli avrà tentato di rubare la spada di Iveonte? Quale ne sarà stato il motivo? Non riesco proprio a comprenderlo! Invece l'arma si è ribellata e gliel’ha fatta pagare assai caramente!»

«Nerso,» gli rispose il viceré «le persone non vanno mai giudicate per come appaiono in una determinata circostanza. Noi non conosciamo le ragioni, le quali hanno spinto o indotto il tuo amico Merion ad agire nel modo disonesto che sappiamo. Invece dobbiamo anche ammettere l’eventualità che egli ci possa essere stato costretto ad una simile meschinità! Dunque, concedendogli il beneficio del dubbio, cerchiamo di ricordarlo sempre come lo abbiamo stimato fino ad oggi, perché sono convintissimo che egli lo merita. Adesso, senza dubitare di lui neppure un poco, puoi ritirarti nel tuo alloggio e, nel caso che tu ci riuscissi, cerca di riprendere il sonno che hai dovuto interrompere alcuni minuti fa!»

«Va bene, illustre Raco, adesso me ne ritorno subito a dormire, augurando anche a te un buon proseguimento di nottata. Per quanto riguarda il mio fedele amico Merion, darò credito alle tue supposizioni. Esse, in un certo senso, potrebbero essere giuste. Per tale motivo, continuerò a considerarlo la persona che ho sempre stimata!»

Il fratello di Lerinda, però, non desiderava ancora ritornarsene a letto, dal momento che nella sua mente si era messo a balenare ben altro, che scorgeva condito di grave sospetto. Perciò pensò di condursi nell'alloggio del suo valente consigliere d'armi, che era stato punito dalla spada di Iveonte. Egli intendeva cercarvi il plico che gli aveva inviato Cotuldo, sperando di non essere stato distrutto. Così, facendosi accompagnare da quattro suoi servi, muniti ciascuno di una fiaccola, il viceré si condusse all'alloggio del defunto Merion. Quando vi si fu introdotto, dopo un breve rovistio, riuscì a mettere le mani su di esso. Allora, senza perdere tempo, prima lo srotolò e poi si preoccupò di leggerne il contenuto, il quale risultò il seguente: "Mio valoroso Merion, sono lieto di comunicarti che ho deciso di assegnare a te la carica che fino a poco fa veniva ricoperta egregiamente dal mio valido Croscione. Prima, però, desidero da te un grande favore. Dovrai sottrarre ad Iveonte la sua spada, quando egli non la controlla, e poi ti premurerai di farmela avere qui a Dorinda. Se non vuoi farti sfuggire l'occasione, ti consiglio di agire durante l'unica notte che mio cognato si fermerà nel palazzo di mio fratello. Ti raccomando di fare un ottimo lavoro e di tenere segreto ad ogni persona, compreso il tuo viceré, ciò che ti sto proponendo. Ricòrdati, inoltre, che riterrei il tuo rifiuto un gravissimo affronto alla mia persona, che non potrei mai perdonarti! Saluti ed arrivederci a presto! Il tuo illustrissimo sovrano Cotuldo."

Letto il contenuto del plico, il viceré Raco si rese conto che i suoi sospetti erano stati più che fondati. Inoltre, constatò ancora una volta quanto fosse abietto il proprio fratello re. Infine si infuriò come una bestia, pensando al fatto che Cotuldo aveva messo alle strette uno dei suoi due consiglieri militari, fino a rovinarlo per sempre fisicamente e moralmente. Comunque, decise di non rivelare a Lerinda nulla di quanto aveva scoperto circa la correità del loro fratello in quell'incidente notturno. Egli era convinto che la sorella sarebbe andata subito a riferirlo al suo Iveonte, non riuscendo a tenergli nascosta alcuna cosa. Tale sua decisione scaturiva dal fatto che voleva evitare di insozzare ulteriormente, agli occhi dello stimabile fidanzato della sorella, quel poco di onorabilità che era rimasto alla sua famiglia, grazie a sé stesso e alla sorella.

Il giorno seguente, dopo una breve visita alla città di Casunna e dopo aver pranzato, Iveonte, Francide e Astoride si rimisero in viaggio alla volta di Actina. Conducevano con loro anche quattro muli carichi di cibarie varie, di acqua e di coperte, con le quali si sarebbero dovuti coprire durante la notte. Prima, però, non era mancata, tanto tra Iveonte e Lerinda quanto tra Francide e Rindella, una lunga serie di baci e di abbracci. Come pure era spuntata dagli occhi delle due ragazze qualche calda lacrima di commozione ed era trasparita dai loro volti una visibile venatura di opaca ipocondria! Si era trattato di manifestazioni esteriori più che naturali, le quali coinvolgono l’uomo in taluni momenti della sua vita particolarmente pregnanti di sentimentalismo. Essi, rivelandosi intensi di forti emozioni, fino a coinvolgere la sua natura psichica, non gli lasciano altra scelta che quella di esprimersi nei contenuti e nei modi che conosciamo. Per la quale ragione, il comportamento assunto dai quattro giovani in tale evenienza non ci deve stupire più di tanto. Al contrario, ci deve spingere a constatare che non se ne può fare a meno e non lo si può affatto ignorare.