199-IVEONTE E I SUOI AMICI SBARAGLIANO LA BANDA DI BOKIUR
Come Iveonte aveva previsto, Bokiur, dopo avere atteso invano per più di un'ora il ritorno del commando, infine iniziò a disperare della loro salvezza. Si andò persuadendo che un pericolo reale, ben più grande di quello diagnosticato dal suo vice Cebin, si celava dietro il piccolo gruppo di viaggiatori. Perciò l'amico e i suoi uomini accompagnatori facilmente ne erano rimasti sopraffatti ed uccisi. Allora, non conoscendo la reale consistenza numerica dei loro nemici, ritenne cosa saggia rifuggire da altre iniziative da prendersi nel cuore della notte. Inoltre, per pura precauzione, aveva fatto applicare dai suoi uomini una rigorosa vigilanza nel loro campo. Ma il mattino seguente, stando alla testa dei suoi ottanta uomini, i quali adesso si presentavano sonnolenti e mezzo acciaccati, Bokiur marciò contro l'ignoto nemico. Esso, stando alle apparenze, era rappresentato dai soli tre giovani che erano stati avvistati il giorno precedente. Invece il capo dei predoni era fermamente convinto che dietro l'insignificante numero dei viaggiatori che si facevano vedere, mettendosi bene in vista, si nascondeva una forza più considerevole. A suo giudizio, essendo riuscita ad eliminare una ventina dei suoi predoni, di sicuro essa doveva essere composta da un numero consistente di uomini. Per questo egli faceva avanzare la sua banda all'insegna della massima prudenza, oltre che con l'intenzione di vendicare i loro compagni uccisi, se fosse stato loro consentito. Lo scaltro Actopuro voleva evitare delle repentine sorprese provenienti da un nemico sconosciuto, che preferiva starsene nascosto. Esso, com'egli pensava, per un ignoto motivo, non si decideva ancora a scoprirsi e a rivelarsi alla loro avanzata. Per questo non gli permetteva di valutarlo nella sua esatta consistenza.
Anche Iveonte, Francide ed Astoride, già nel primo mattino, erano svegli e pronti a ricevere la banda dei predoni come si conveniva. Perciò, dopo aver invitato le loro donne a restarsene ancora riparate nell'antro, adesso stavano in sella ai loro cavalli armati di tutto punto, aspettando l'arrivo dei predoni assalitori. Essi non avevano dubbi che, al sorgere del sole, i masnadieri avrebbero fatto la loro comparsa. A loro avviso, lo scopo principale dell'arrivo dei nemici al campo da loro improvvisato nella notte, sarebbe stato quello di vendicare i compagni che avevano preso parte al commando notturno. Siccome non li avevano visti ritornare alla base con le tre donne fatte prigioniere, li avevano ritenuti caduti in una trappola dei loro nemici e quindi ammazzati dagli stessi che gliel'avevano preparata con grande astuzia.
Quando Bokiur scorse i tre giovani che, standosene impavidi sui loro cavalli, attendevano la sua banda, ipotizzò immediatamente un nuovo tranello teso ai suoi uomini dal nemico. Secondo lui, il grosso degli avversari se ne restava celato in qualche parte; ma si teneva pronto ad intervenire, ad accerchiarli e ad attaccarli, quando la buona circostanza glielo avrebbe permesso. Perciò, ad evitare di cadere di nuovo in una loro imboscata, il capo dei predoni inviò soltanto due decine dei suoi uomini contro i tre giovani avversari. Nel frattempo, egli, tenendosi alla ragionevole distanza di un miglio con il resto dei suoi predoni, sarebbe stato molto attento a controllare l'apparizione improvvisa dei nemici nascosti. Così dopo sarebbe mosso all'assalto contro di loro con fulmineità e con risolutezza. Comunque, restava sempre convinto che, se non ci fossero state delle sorprese, i suoi venti uomini inviati contro i tre cavalieri li avrebbero maciullati e ridotti in poltiglia in un tempo così piccolo, da non poter essere neppure quantificato. Per il quale motivo, il suo sguardo era intento principalmente a sorvegliare che non ci fosse alcuna subitanea comparsa dai luoghi circostanti di quei nemici, che non si facevano ancora scorgere in nessuna parte. Intanto, anche se di sfuggita, seguiva quello che egli considerava uno scontato impatto rovinoso, però a danno soltanto dei tre giovani, i quali stavano facendo da esca.
Come Bokiur aveva supposto, l'impatto si dimostrò dirompente e travolgente; ma, contrariamente alle sue previsioni, esso avvenne soltanto a discapito dei suoi uomini. I quali avevano escluso nella maniera più assoluta una reazione sconvolgente e decimante, da parte dei loro tre giovani avversari. Infatti, costoro non avevano perso tempo ad affondare il loro assalto destabilizzante nel mucchio dei loro avversari, che erano appena sopraggiunti. Con tale loro reazione, Iveonte e i suoi due amici vi avevano causato un plurimo disarcionamento di uomini, dei quali alcuni erano risultati stecchiti, altri decapitati, altri ancora monchi in varie parti del corpo. Il loro tremendo urto, insomma, si era palesato, fin dal principio, una vera valanga impressionante e scombussolante. Essa, senza perdere tempo, si era data ad abbattere e a frantumare ogni reazione umana che tentava di resisterle. Specialmente adesso i loro colpi di spada, poiché venivano vibrati ovunque con violenza eccezionale, creavano in mezzo ai nemici varchi profondi ed abbondantemente cosparsi di sangue. Essi, inoltre, abbattevano con grandissima ostinazione i restanti predoni rimasti incolumi. I quali non volevano convincersi in nessun modo della superiorità qualitativa di quanti si trovavano a battagliare contro di loro. Per cui alla fine non si riusciva nemmeno a contare i morti che essi falciavano: così copiose e rapide le uccisioni si susseguivano le une alle altre, facendo una strage incredibile dei prepotenti predoni!
Malgrado lo sterminio che i tre giovani andavano operando a danno dei suoi uomini combattenti, Bokiur seguitava a non fare intervenire gli altri che stavano con lui, i quali adesso potevano essere al massimo una sessantina. Al contrario, continuava a restare dell'idea che una parte consistente di nemici era appostata in qualche posto vicino con l'intenzione di accerchiarli e di attaccarli alla prima opportunità favorevole. Insomma, continuava ad essere convinto che ciò sarebbe avvenuto, non appena egli si fosse mosso con il resto della banda contro i tre giovani. Ma solo quando vide abbattersi al suolo pure l'ultimo dei suoi venti uomini mandati contro l'esiguo gruppo avversario, l'Actopuro finalmente si rese conto della verità. Egli comprese che il suo fortissimo nemico era costituito dalla sola terna di quei giovani imbattibili. Perciò si persuase che gli stessi gli avevano ucciso anche gli altri venti che avevano partecipato all'incursione notturna, portandogli via in totale quaranta uomini. Nello stesso tempo si capacitò che essi si dimostravano così ferreamente addestrati nelle armi, che riuscivano con facilità a falcidiare i loro avversari, come se fossero dei sottili steli erbacei sotto una falce che li sopprimeva. Ad ogni modo, nonostante si fosse convinto dell'irresistibilità dei tre avversari, alla fine Bokiur decise di aggredirli ugualmente, intenzionato a vendicare i suoi quaranta uomini ammazzati da loro. Oramai egli avvertiva la vendetta come un qualcosa più forte di lui, poiché essa era diventata una ossessione quasi maniacale, non essendo più in grado di dominarla oppure di disperderla nella sua mente. Da quando era germinata dentro di sé, cioè dopo l'uccisione del padre da parte dei gendarmi del re Ozuco, l'Actopuro l'aveva sempre coltivata nel proprio intimo con ardore e in modo inestinguibile. Si può dire che avesse seguitato a vivere l'ostinata vendetta come fedele sorella del suo animo!
Anche il secondo scontro risultò, per opera dei tre giovani audaci, non meno impetuoso del primo, dal momento che essi ancora una volta impersonarono una furia incredibilmente scatenata. Difatti Iveonte, Francide e Astoride urtarono contro i loro nuovi aggressori con tale cozzo, da arrecare un forte sbandamento fra le tre file più avanzate dello schieramento nemico. Nello stesso tempo, oltre a seminarvi la morte, vi produssero un grande fracasso di armi, di nitriti e di dolorosi lamenti. Per questo la mischia, che ne originò un attimo dopo, fin dalle sue prime celeri azioni, si rivelò molto scioccante, oltre che funesta. Durante il suo svolgimento, i tre incontrollabili giovani, senza farsi alcun riguardo, badarono soltanto ad assestare in ogni direzione dei vigorosi colpi di spada. I quali prima infilzavano i loro avversari e poi li disarcionavano, facendoli barcollare e cadere al suolo, il quale adesso si presentava orrendamente insanguinato. Perfino gli scudi, da loro imbracciati, risultavano vere armi ora di offesa ora di difesa, poiché i loro colpi sfracellavano volti, sfasciavano teste e spezzavano ossa appartenenti alle varie parti del corpo dei loro nemici. Procedendo poi le cose in quella maniera, dopo appena un quarto d'ora, si poteva asserire che i tre giovani imbattibili avevano già dimezzato il numero degli avversari. Comunque, restava ancora vivo il loro adirato capo, il quale era di sprono al resto della banda a combattere con più foga e con maggiore valentia. Difatti Bokiur, per il momento, preferiva farsi scudo dei propri uomini, visto che lo straordinario ardimento e il furore bellicoso dei tre guerrieri rivali lo trattenevano dal cimentarsi con loro. Ma molto presto non gli sarebbe stato più consentito quel suo atteggiamento pusillanime. Oramai la barriera umana, che era formata dai suoi predoni e lo separava dal pericoloso nemico, si andava assottigliando sempre di più e non ci sarebbe stata più a proteggerlo. La qual cosa, stando alle previsioni, sarebbe avvenuta senza meno, non potendo essere altrimenti. Anche perché gli uomini che la costituivano, a mano a mano che venivano raggiunti dalla sdegnosa furia dei giovani avversari, l'uno dopo l'altro andavano crollando al suolo, similmente a delle foglie in balia del rapinoso vento autunnale.
Alla fine gli appartenenti alla banda scemarono paurosamente di numero, fino a diventare solo due. Allora arrivò anche il turno di Bokiur di misurarsi con le armi, insieme con la coppia di superstiti, con la strapotenza dei tre giovani avversari. Ma tutti e tre non ebbero un trattamento diverso da quello che era stato riservato agli altri compagni, i quali già erano periti tragicamente. Perciò li si videro soccombere in breve tempo, in seguito soltanto ad un vivace scambio di pochissimi e poderosi colpi. Il primo di loro ad essere colpito a morte fu proprio il loro capo Bokiur, a cui un fendente di Iveonte aveva squarciato la gola. Invece gli altri due subirono la stessa sorte per mano di Francide e di Astoride, un istante dopo che era stato ammazzato il loro capo. A quel punto, si poteva asserire che i predoni della banda di Bokiur erano stati distrutti per sempre e non avrebbero più rappresentato un pericolo per nessuno.
Iveonte e i suoi amici avevano appena sterminato la banda dei predoni e si accingevano a riprendere fiato, allorché si videro accerchiare da duecento soldati casunnani, i quali si presentavano assai agguerriti. Allora il loro comandante, senza rendersi conto della situazione, con tono palesemente minaccioso, si diede a gridare a loro tre:
«Deponete all'istante le armi, cavalieri di ignota indole, se ci tenete alla vostra pelle! Badate che non lo facciamo per finta, quando minacciamo qualcuno! Perciò è bene che lo sappiate anche voi, prima di darvi a qualche atto inconsulto o cervellotico! Mi sono spiegato?»
«Anche noi facciamo sul serio,» gli rispose Iveonte «se vi diciamo che mai a nessuno abbiamo fatto arrogare un tale diritto nei nostri confronti! Quelli che ci hanno provato hanno smesso di vivere! Il centinaio di predoni, che scorgete disseminati morti qui intorno a noi, dovrebbe convincervene senza difficoltà. Oppure credete di saper fare di meglio, solo perché siete il doppio di loro? Naturalmente, sareste degli illusi, se lo pensaste e ne foste anche convinti! Per questo invitiamo tutti voi ad essere meno ostili nei nostri confronti, se ci tenete alla vostra pelle e non volete correre il rischio di perderla all'improvviso!»
«Non fate forse anche voi parte della banda di Bokiur, come abbiamo creduto? Se ci siamo sbagliati, vi chiediamo scusa, baldi giovani!»
«Certo che no, disinformato gendarme! Al contrario di ciò che avevi immaginato, noi siamo coloro che l'hanno sgominata, facendo il lavoro al posto vostro, come vedi! Soltanto in questo istante abbiamo appreso da voi che il suo defunto capo si chiamava Bokiur! Non sapevamo neppure chi di loro fosse il capobanda, dal momento che fra noi e i predoni non c'è stato il tempo neppure di intavolare un breve dialogo e fare così la conoscenza del loro feroce e disonesto capo! Adesso conosci i fatti, che si sono svolti in questo luogo a danno dei predoni!»
«Invece c'era parso il contrario, se ci tieni a saperlo, forestiero! Secondo te, giovanotto, perché ora dovremmo credervi, senza che ci esibiate almeno una prova che dimostri la vostra non appartenenza alla malfamata banda? Tu stesso potresti essere Bokiur, visto che neppure noi lo conosciamo di persona! Se fossi al posto mio, anche tu non ti asterresti dall'invitarmi ad esibire delle prove convincenti per farmi credere! Non pare pure a te abbastanza logico un fatto del genere oppure vedi la cosa diversamente da me?»
«Forse hai ragione, soldato. Comunque, stai tranquillo, poiché vi possiamo presentare tutte le credenziali che volete. Ad esempio, vi dovrebbe bastare il solo fatto che siamo a conoscenza del motivo che vi ha condotti qui. Non siete forse venuti per scortarci fino a Casunna? Sono certo che è stato il viceré Raco a mandarvi incontro alla sorella, temendo che ella potesse correre dei rischi, considerato che la banda di Bokiur si aggirava da queste parti. Ma egli, con la sua preoccupazione fuori luogo, ha offeso me e i miei amici, poiché non ci ha ritenuti all'altezza di far fronte ad una masnada di furfanti, quali erano i predoni di Bokiur! Perciò, quando lo incontrerò, glielo rinfaccerò!»
«Se parli con questo linguaggio, tu puoi essere soltanto Iveonte, l'uccisore del semidio Korup! In questo caso, mi scuso con te ed inneggio alla tua indiscussa imbattibilità, che hai dimostrato anche qui!»
«Precisamente, soldato! Come constato, questa volta mi avvedo che sei davvero informato dei fatti. Ma ora ti presento i miei due amici, che vedi ai miei fianchi, i cui nomi sono Francide, quello che scorgi alla mia sinistra, ed Astoride, quello che è alla mia destra.»
«Invece io sono Nerso, uno dei due consiglieri militari del viceré Raco. Attualmente mi trovo al comando di questi soldati, per espresso volere del nobilissimo Raco. Comunque, non ti sei sbagliato, valoroso Iveonte, quando hai affermato che siamo venuti per scortarvi fino a Casunna. Ma devo chiarire che l'iniziativa non è partita dal nostro illustrissimo viceré, il quale ripone in voi la massima fiducia. Sono stato io a convincerlo a mandarci a farvi da scorta, volendo dissuadere il famigerato predone dall'aggredirvi. Ero sicuro che la presenza delle donne avrebbe potuto rappresentare per voi qualche problema nel difenderle. Gli ho ventilato perfino il timore che esse avrebbero potuto correre un grande rischio, da parte di alcuni predoni, mentre stavate affrontando il grosso della banda. Invece, come posso constatare, egli è riuscito a precederci; ma per fortuna ve ne siete sbarazzati con estrema facilità. A proposito, invincibile Iveonte, posso sapere dove sono finite la principessa Lerinda, la sua amica e Telda, che vi accompagnavano?»
«Sono nascoste in un posto sicuro e al riparo da qualunque pericolo. Adesso il mio amico Francide andrà a chiamarle e gli comunicherà pure il buon esito dello scontro. Così le poverette smetteranno di penare nella loro atroce apprensione. Come si sa, le donne si spaventano, anche quando non ce n'è alcuna ragione!»
Trascorsero cinque minuti, prima che Francide ritornasse insieme con le tre donne, le quali adesso si mostravano alquanto serene. Quando la principessa Lerinda riapparve con Rindella e la sua nutrice, il cortese consigliere Nerso, rivolgendosi ossequiosamente alla ragazza, che già aveva avuto modo di conoscere altre volte, si affrettò a dichiararle:
«Nobile principessa, l'illustre tuo fratello ti invia i suoi saluti e ti prega di estenderli pure agli altri della comitiva. Inoltre, ti manda a dire che nel suo palazzo è già stato predisposto ogni cosa per ricevervi ed ospitarvi degnamente, come vi si conviene. Ora, ammesso che fosse di vostro gradimento, vorremmo scortarvi fino a Casunna. In caso contrario, vi lasceremo in pace e proseguiremo il cammino per conto nostro.»
«Accetto con gioia i saluti di mio fratello,» le rispose Lerinda «ma non l'ingente scorta che egli ci ha cortesemente inviata. Il mio Iveonte e i suoi amici bastano da soli a difenderci, poiché essi valgono più di mille uomini. Sono convinta che anche tu, Nerso, te ne sarai già reso conto! Perciò potete precederci a Casunna, senza sentirvi in colpa neppure un poco, visto che essa è oramai vicina. Me ne assumo personalmente ogni responsabilità, se ciò serve a tranquillizzarvi!»
Le parole della principessa Lerinda convinsero facilmente l'intelligente gendarme, il quale non se la prese a male. Egli comprese che quei giovani volevano restare da soli, senza avere fra i piedi delle presenze scomode ed indesiderate. Perciò se ne ripartì immediatamente con tutti i suoi soldati alla volta della loro città, che adesso oramai era a due passi. C'è da precisare, comunque, che egli aveva aderito alla richiesta della principessa Lerinda, soltanto perché era convinto di lasciarla in ottime mani. Le quali, in fatto di affidabilità, potevano stimarsi le migliori esistenti, dal momento che erano le stesse che avevano ucciso l'Ammazzacampioni Korup. Così, mentre i soldati al comando di Nerso raggiunsero Casunna nel pomeriggio del giorno successivo, i sei viaggiatori provenienti da Dorinda vi pervennero poche ore dopo, ossia verso il tramonto del medesimo giorno. Ma una volta entrati in città, essi si diressero al palazzo del viceré Raco, il quale li stava aspettando con un'ansia vivissima e con sommo piacere, stimandoli degli ospiti assai preziosi. Comunque, quando l'ufficiale del viceré aveva dichiarato ad Iveonte che la scorta era stata inviata su propria iniziativa, aveva detto il vero. Presso la reggia di Casunna, volendo renderci conto della verità, i fatti si erano svolti come vengono riportati qui appresso.
Subito dopo che la sorella lo aveva avvisato tramite un colombo viaggiatore del loro imminente arrivo nella città casunnana, Raco si era affrettato a mandare a chiamare Nerso e Merion. Allora costoro, i quali erano i suoi due consiglieri militari, gli si erano presentati senza perdere tempo. Avendoli poi entrambi al suo cospetto, desiderosi di ricevere i suoi ordini, il viceré aveva parlato a loro due in questo modo:
«Tra pochi giorni, miei consiglieri, da Dorinda mi arriveranno degli ospiti. Si tratta di mia sorella Lerinda, del suo fidanzato, di una coppia di loro amici e di Telda, la nutrice della principessa, che voi già conoscete benissimo. Perciò voglio che i vari presidi militari dislocati in città siano avvisati del loro prossimo arrivo. In tal modo, dopo che essa avrà messo piede in Casunna, non mancherà alla piccola comitiva il rispetto dovuto, da parte di tutti i miei gendarmi in servizio nella nostra città. Se i miei ospiti dovessero rivolgersi a loro per una qualsiasi richiesta, esigo che essi accolgano i suoi componenti con la massima cortesia possibile e si mettano a loro completa disposizione. Allora mi sono spiegato oppure mi tocca ripetervelo? Ma perché oggi vi mostrate imbambolati, come non vi ho mai scorti in tutti gli altri giorni?»
Alla domanda del loro viceré, la quale era stata rivolta ad entrambi, era stato il consigliere Nerso a rispondergli assai stupito:
«Illustre viceré, è stato il tuo annuncio ad infonderci stupore ed apprensione. Possibile che essi si siano messi in viaggio da soli, senza una scorta del re tuo fratello? Non possiamo crederci! Speriamo soltanto che il divino Matarum gliela mandi buona!»
«Perché mi parli in questo modo, Nerso, che non riesco proprio a comprendere? Inoltre, stupendoti molto, hai chiesto perfino alla nostra somma divinità di proteggere gli ospiti che stanno per arrivare nel mio palazzo! Dubiti forse che le terre di Casunna siano le più sicure dell'Edelcadia? Spero di no, se non vuoi farmi un gran torto!»
«Un tempo non ne dubitavo, mio nobile viceré. Ma da quando la banda di Bokiur si è messa a razziare sulle nostre terre, dopo avere abbandonato quelle polchesi, non posso fare a meno di metterlo in dubbio! Penso che anche tu avrai sentito parlare del famigerato predone, il quale fino a due mesi fa ha infestato il territorio polchese!»
«Da quando in qua avviene una cosa simile sui miei territori, senza che io ne sia stato tempestivamente informato?! Questo fatto è davvero imperdonabile! Uno di voi, quindi, vuole chiarirmi che storia è questa? Sto aspettando la vostra risposta, se non vi dispiace!»
Il consigliere Nerso, allora, trovando grande difficoltà a farlo, siccome c'era stata una grave negligenza da parte di loro due in quell'episodio, era intervenuto a fare ammenda del loro errore, dicendo:
«Ci scusiamo, nostro illustre viceré, per non averti messo al corrente della cosa. Ciò è accaduto solamente perché ciascuno di noi aveva creduto che l'altro già te ne avesse parlato. A ogni modo, devi sapere che, il giorno prima del tuo ultimo rientro da Dorinda, quando ero solo nel palazzo, un paio di messi del re di Polca vennero ad informarci dei predoni. Essi mi riferirono che la sanguinaria banda di Bokiur, dopo avere infestato per lungo tempo le loro terre, era stata poi costretta da un loro piccolo esercito a sconfinare nei nostri territori. In quella occasione, gli stessi ci invitavano a fare altrettanto, dando ad essa una caccia spietata. Una volta poi che i Polchesi se ne furono andati, ne informai pure il mio collega Merion, ovviamente dopo che egli rientrò in sede. In seguito, inavvertitamente, la cosa ci sfuggì, per cui sia io che lui ci dimenticammo di riferirtelo, affinché tu prendessi il provvedimento suggerito dal re di Polca. Adesso che ne sei venuto a conoscenza, vuoi renderci edotti delle decisioni che vorrai prendere in merito all'arrivo della tua nobile sorella, la principessa Lerinda, e dei suoi amici dorindani?»
«Nerso, prima vorrei conoscere la consistenza numerica di questa malfamata banda.» gli aveva risposto il viceré «Soltanto dopo vi darò le mie disposizioni a tale riguardo.»
«Essi dovrebbero essere un centinaio, stando a quanto mi riferirono i messi del sovrano Ozuco. A mio avviso, però, sarebbe meglio non sottovalutare la banda di Bokiur, se non vogliamo attenderci da essa delle brutte sorprese, nel caso che decidessimo di darle la caccia sul nostro territorio! Allora cosa ne pensi, nostro illustre viceré?»
«Invece non c'è di che preoccuparsi, Nerso. Presto invieremo anche noi contro i predoni di Bokiur un migliaio di soldati, con l'intento di intrappolarla e di distruggerla. Sperando che i nostri soldati non falliscano nell'impresa, come è già avvenuto con quelli di Polca, che se la sono fatta sfuggire! In caso contrario, essa si rifugerà altrove.»
«Ma a tua sorella, che è la principessa Lerinda, e agli altri tuoi ospiti non pensi, illustrissimo Raco, i quali sono in arrivo?» era intervenuto per la seconda volta il consigliere Nerso «Hai dimenticato che essi sono in serio pericolo, siccome potrebbero essere intercettati ed assaliti dalla numerosa banda di Bokiur? Allora ci dici come dobbiamo comportarci?»
«Se ciò dovesse avvenire sul serio, Nerso, stanne certo che dopo non dovremmo più preoccuparci di dare la caccia agli scellerati predoni, poiché da morti essi non potrebbero più nuocere a nessuno! Ecco la mia risposta alle tue inutili preoccupazioni! Mi sono spiegato, mio consigliere, oppure non hai afferrato il mio ragionamento?»
«In verità, mio eccellente viceré, non ci ho capito un bel niente. Non temi forse per la vita della principessa Lerinda e dei suoi amici? Perché poi non dovremmo più dare loro la caccia, se i predoni dovessero attaccarli? Vuoi spiegarmi meglio quest'altro particolare, il quale mi risulta di difficile comprensione? Forse anche Merion vorrebbe comprenderlo, per come l'ho visto reagire!»
«Per il semplice fatto che quei banditi malfattori non sopravvivrebbero al loro scontro con Iveonte, che è il fidanzato di mia sorella, e con i suoi due audaci amici! Adesso le mie parole ti sono state del tutto chiare, consigliere Nerso? Oppure sei così duro di comprendonio, da continuare a non capire quanto ti ho appena riferito?»
«Mi sai dire allora, nobilissimo Raco, come farebbero essi, che sono soltanto tre, a fronteggiare i cento feroci predoni di Bokiur? Se non lo sai ancora, si tratta di una banda molto pericolosa e difficile da sconfiggersi! Per il qual motivo, sèguito a non rendermi conto delle tue affermazioni, considerato che le trovo strane ed assurde!»
«Mio meravigliato Nerso, devi sapere che, anche se mio cognato Iveonte fosse da solo a combatterli, egli li stritolerebbe tutti quanti, senza la minima difficoltà. Hai forse già dimenticato il semidio Korup, altrimenti detto l'Ammazzacampioni, il quale, dopo essersi presentato nel mio palazzo, ha anche fatto strage della mia scorta personale? Io non lo credo nel modo più assoluto!»
«Ma cosa c'entra adesso quel diabolico mostro dalle sembianze umane, mio nobilissimo viceré? Non sarebbe mica lui ad affrontare la crudele banda di Bokiur! Solo se fosse così, faresti benissimo a non preoccupartene; come pure, da parte mia, non avrei difficoltà ad assecondarti! Le cose, però, non stanno in questo modo, se non mi sfugge qualcosa!»
«Questo è vero, Nerso; però le circostanze sono peggiorate per i predoni, poiché essi si troverebbero a scontrarsi con la persona che ha ucciso il detestabile Korup, la quale sarebbe l'imbattibile mio cognato Iveonte. Adesso ti è finalmente stato chiarito, Nerso, perché non mi preoccupo affatto per i nostri futuri ospiti e per mia sorella Lerinda?»
«Certo, insigne viceré! A questo punto, mi è chiarissima ogni cosa. Se è stato in grado di uccidere l'invulnerabile Korup, il fidanzato della principessa tua sorella certamente non avrà neppure difficoltà a sbarazzarsi dei cento uomini del predone Bokiur! Allora speriamo proprio che i terribili banditi si imbattano nel tuo prodigioso cognato! In questo modo, dopo noi non avremmo più da dare la caccia al predone Bokiur!»
«Ma resterebbero sempre le donne in serio pericolo, illustre Raco!» Nerso aveva obiettato, intervenendo di nuovo nella conversazione «Mi sai dire chi le proteggerebbe da quei predoni che tentassero di far loro del male, Intanto che i loro tre campioni fossero impegnati a combattere contro gli altri malandrini? Perciò, a mio modesto avviso, sarebbe più prudente mandare incontro alla comitiva un numero ragionevole di soldati, con l'incarico di scortarli fino a Casunna! Dopo quanto ti ho fatto presente, reputi ancora ingiustificata la mia proposta?»
«Ebbene, Nerso,» aveva concluso il viceré Raco, rivolgendosi al consigliere obiettore «visto che è stata tua l'idea, sarai anche tu ad occupartene! Perciò prendi con te duecento soldati e vai incontro alla loro comitiva. Mia sorella mi ha mandato a dire che essi percorreranno la solita strada maestra, cioè quella che collega la nostra città a Dorinda e che tu conosci ad occhi chiusi, per averla fatta un sacco di volte, come mio consigliere. Ti raccomando di affrettarti, se non vuoi perderti lo spettacolo, quello che immancabilmente il grandioso Iveonte darà nell'affrontare i cento scatenati predoni!»