198°-BOKIUR, IL CAPO DEI PREDONI

La ventina di predoni uccisi dai nostri tre giovani valorosi appartenevano alla banda di Bokiur, la quale aveva cominciato ad infestare quella regione da appena pochi mesi, terrorizzando le popolazioni che vi abitavano. In realtà, chi era il loro capo, che portava tale nome, e da dove era sbucato fuori? Iniziamo col dire che egli era nativo di Actop, un piccolo villaggio sperduto tra le alture di una estesa catena montuosa, il cui nome era Elpasan. Essa pareva non volesse aver termine, mentre si estendeva lungo il confine settentrionale dell'Edelcadia, fatta eccezione del territorio dorindano, che confinava soltanto con la stepposa regione della Tangalia. Va chiarito che tale catena montuosa, che aveva una larghezza di circa cinque miglia e una lunghezza che superava le mille miglia, prima costeggiava i territori di Casunna, di Polca e di Statta e poi si congiungeva con un'altra catena di montagne ad essa perpendicolare, la quale prendeva il nome di Belares. Questa, invece, prendendo origine da sud, ossia dal territorio actinese, e formando una specie di S, procedeva verso nord lungo il confine orientale di Statta e di Stiaca, per una lunghezza di settecento miglia. Nella sua parte terminale, però, si trasformava in un accentuato promontorio dai fianchi ripidi, il quale andava a protendersi nel Mare delle Tempeste. Anzi, vi culminava con un contrafforte che si contrapponeva alla malfamata isola di Tasmina, il cui nome non ci risulta nuovo. Infatti, lo abbiamo già sentito pronunciare dalla bocca del mago Ghirdo, nell’ultimo colloquio che aveva avuto con il suo divino protettore Sartipan.

Quanto al villaggio montano di Actop, esso si trovava in mezzo ad un'ampia conca, la quale era situata ad una ventina di miglia dal confinante territorio polchese. I suoi abitanti, che prendevano il nome di Actopuri, vivevano principalmente di pastorizia e di caccia; ma si dedicavano con successo anche alla lavorazione dei vasi e delle anfore di terracotta. Essi erano in grado di modellare gli uni e le altre con una particolare tecnica, la quale si rivelava alquanto singolare e rendeva alcuni loro manufatti sia artistici che pregiati. Da tempo immemorabile, gli Actopuri attuavano scambi commerciali con la città di Polca, dove si conducevano esclusivamente per vendervi i loro oggetti di argilla, le pellicce e i vari prodotti pastorizi. Viceversa, essi acquistavano nella medesima città tutto quanto gli occorreva per l'alimentazione, per l'arredamento della casa e per gli altri fabbisogni giornalieri. Gli abitanti del piccolo villaggio di Actop riuscivano a raggiungere Polca attraverso l'unico sentiero che conduceva alla vicina città edelcadica. Esso, prima di confluire nel territorio polchese attraverso un valico naturale, risultava un'alternanza di piccole valli oblunghe e di bui orridi. Questi, quando si incontravano, presentavano tratti a volte più stretti, altre volte più ampi. Il passo era ubicato all'estremità di uno dei tanti contrafforti della catena montuosa, che è stata citata in precedenza.

Ritornando ora al capo dei predoni, fin da bambino, egli aveva sempre seguito il padre Ekno, quando l’uomo andava a vendere a Polca i suoi pregevoli vasi e le sue artistiche anfore. Il provetto artigiano non aveva mai smesso di insegnare al figlio quelle virtù che, a suo dire, facevano dell'uomo un essere degno di tale nome. Perciò, lungo i suoi tragitti che li conducevano alla città edelcadica, non avendo altro da fare, ogni volta se ne usciva con un sermone del genere, che era diretto al suo unigenito: "Bokiur, l'onestà è la prima regola da seguire nella vita; comunque, non devono considerarsi da meno le altre due, le quali sono il retto comportamento e l'essere leale con gli altri. Se riesci ad osservare queste tre fondamentali regole che fanno da guida all'intera condotta umana, puoi attenderti dalla vita la felicità del cuore e la serenità dell'animo. Inoltre, esse ti procurano molte amicizie e qualche piccola soddisfazione! Ti raccomando, figlio mio, di tenerlo sempre a mente, se un giorno vuoi raccogliere stima, fiducia e benessere!"

Bokiur era un ragazzo quindicenne, quando l'onesto genitore lo aveva condotto con sé a Polca per l'ennesima volta. Fatto poi ingresso nella città edelcadica, il vecchio mulo del padre, il quale era addetto al traino del loro carro e al trasporto della loro merce, mentre percorreva una delle sue strade principali, all'improvviso era stramazzato al suolo e non aveva più dato segni di vita. Ma prima ancora che il vasaio Ekno avesse potuto liberare la bestia esanime dai suoi finimenti, era sopraggiunta di gran carriera la milizia reale, la quale scortava il proprio sovrano. Perciò egli non era riuscito a sgomberare in tempo il passaggio dal suo carro e dalla carogna del suo quadrupede. Allora, una volta davanti all'ingorgo che veniva causato sia dal carro che dall'ibrida bestia dell'artigiano, il bilioso comandante dei miliziani, senza perdere un attimo di tempo, si era dato a gridare al vasaio:

«Vecchio della malora, fai subito spazio al nostro nobile re Ozuco! Se non vuoi grane, che ti giungerebbero piuttosto serie, ti consiglio di non attardarti un minuto di più a farlo! Intesi?»

Ekno, meravigliandosi di quella prepotenza fuori luogo da parte del gendarme, era rimasto di stucco, oltre che risentito. Perciò, ribellandosi al suo modo di fare, gli aveva replicato:

«Come puoi renderti conto, caro graduato, da solo difficilmente riuscirò ad eseguire ciò che mi hai ordinato, considerati la mole e il peso del mulo! Se invece gentilmente mi farai dare una mano dai tuoi gagliardi soldati, vedrai che lo sgombero sarà effettuato in brevissimo tempo e secondo il tuo ordine! Non puoi non essere d'accordo con me!»

La risposta ricevuta da Ekno, anche se obiettivamente era stata sensata, non era affatto garbata all'autorevole gendarme. Egli allora, per reazione, aveva deciso di impartirgli una severa lezione. Per questo, con una certa altezzosità, si era rivolto ad otto degli uomini che costituivano la truppa reale e gli aveva dato il seguente ordine:

«Togliete di mezzo quel carro e quella bestia morta. Mi raccomando, non dimenticate di sconquassare nella maniera peggiore quel veicolo che vale meno di un catorcio! Inoltre, non abbiate alcun riguardo verso la mercanzia che vi è sistemata sopra, non avendo essa alcun particolare valore! Mi sono spiegato abbastanza, miei fidi subalterni?»

Al comando del loro superiore, i gendarmi da lui scelti per quella operazione all'istante erano scesi dai loro cavalli e si erano dati a liberare la strada dal mulo senza vita. Alla fine, dopo avere rovesciato il carro sul lato destro della via, lo avevano sfasciato e ridotto in vari pezzi. Né era toccato un trattamento migliore al prezioso carico di vasi e di anfore, che vi stava sistemato sopra con molta cura. Perciò anch'esso, in poco tempo, si era ritrovato ridotto in migliaia di cocci. Così alla fine il disperato Actopuro, tutto in una volta, oltre al mulo, si era visto venir meno anche il carro e l'intera merce, la quale risultava aggiustata sul suo pianale. A quell'atto di prepotenza, che era da considerarsi senz'altro inqualificabile per un ufficiale che scortava l'illustre sovrano con i suoi uomini, Ekno era stato preso dalla stizza. Dopo aveva reagito, mettendosi a gridargli contro:

«Eh, no, prepotente di uomo, che non sei altro! Nessuno può comportarsi in questa maniera, specialmente coloro che sono i tutori dell'ordine! Dai gendarmi mi sarei aspettato ben altro atteggiamento, anziché quello che mi hai dimostrato poco fa con la tua arroganza! Per questo adesso pretendo da voi la rifusione di tutti i danni che mi avete causato senza una ragione. Sappiate che, fino a quando non mi avrete risarcito di ogni mia cosa da voi distrutta, non mi toglierò dal centro della strada e intralcerò il passaggio al vostro sovrano! Se poi egli vi permette di darvi impunemente a simili soprusi, vuol dire che anche lui sarà un poco di buono, per cui non merita rispetto da parte del suo popolo! Ecco come la penso io, che ragiono nel modo giusto e rispetto le leggi!»

Alle stizzose rimostranze del povero Ekno, uno dei soldati, che avevano partecipato alla distruzione del carro del vasaio e della merce da esso trasportata, si era affrettato a punirlo. Egli, avendo colto al volo un cenno del suo superiore, il quale era stato molto eloquente in quella circostanza, gli aveva risposto senza indugio:

«Bene, bifolco da strapazzo, visto che lo pretendi ad ogni costo, provvedo io a ripagarti delle tue cianfrusaglie! Sono certo che dopo sarai più che soddisfatto!»

Pronunciate tali parole, il gendarme aveva sguainato la sua spada ed aveva infilzato il disgraziato contestatore con fredda determinazione, senza mostrare alcuna compassione per il poveretto. Con quel suo atto, il quale era da giudicarsi un’autentica prepotenza, egli aveva voluto affossare anche la sua coraggiosa protesta. Quando poi i gendarmi avevano lasciato quel posto con il loro sovrano, il povero Bokiur, che si era ritrovato ad essere all'improvviso un orfano infelice, si era chinato sulla salma del padre. Poi, baciandogli con affetto la fronte, gli si era espresso con queste parole: "Hai visto, padre mio, a cosa ti hanno condotto le tue regole di buona condotta? Altro che soddisfazione ti è derivata da esse! Allora sappi che, da ora in avanti, calpesterò tutte le tue regole morali! Ne farò un tale scempio, che molti Edelcadi, ad iniziare dai Polchesi, se ne accorgeranno e ne tremeranno! Inoltre, padre mio, ti faccio solenne promessa che sarai vendicato da me di tutte le ingiustizie da te subite quest’oggi. Comincerò dal maledetto sbirro che ha voluto intenzionalmente vilipendere la tua dignità di uomo onesto ed accoppare anche la tua innocua esistenza così rispettosa delle sagge leggi!"

Era stato così che l'adolescente Bokiur, lungi dal farsi venire l'idea di ritornarsene al villaggio natio, aveva deciso di stabilirsi permanentemente in Polca. Dove ben presto si sarebbe aggregato ad una banda locale, che era formata interamente da trovatelli. Costoro, nonostante fossero minorenni, si dimostravano degli smaliziati furfanti. Anzi, siccome molto spesso si macchiavano di episodi di orrenda crudeltà, erano da considerarsi della massima pericolosità.


Era avvenuto nello stesso giorno dell'assassinio del padre che Bokiur era entrato a far parte della banda di Giuccolo, la quale si dimostrava una vera fucina di microcriminalità. Infatti, in seno ad essa si apprendeva il mestiere del delinquente, quello che arrecava dei danni molto lesivi alle persone abbienti. Il loro capo, che aveva un anno più di lui, sebbene fosse ancora adolescente, dimostrava di avere un temperamento forte, un grande coraggio e molta esperienza nel campo organizzativo. Perciò, da astuto qual era, come suo primo obiettivo, aveva fatto in modo che in Polca non si venisse mai a sapere della loro banda e neppure si sospettasse della sua esistenza in città. Inoltre, ad evitare che una cosa del genere si venisse a sapere, faceva agire gli appartenenti alla banda in gruppi formati al massimo da tre unità. Ognuno dei quali doveva occupare una diversa zona cittadina per darsi ad operare nei vari quartieri nel lucroso settore del latrocinio.

Ebbene, nella tarda serata, mentre si aggirava tutto mogio per le strade della città polchese, mezzo stanco e quasi affamato, senza sapere neppure che direzione prendere per andare dove non era neppure lui in grado di dirlo, Bokiur era stato avvicinato da un ragazzo tredicenne, il cui nome era Cebin. Costui, dopo essere venuto a conoscenza di ogni notizia sul conto del figlio del vasaio ammazzato, lo aveva invitato nel loro sicuro rifugio. In quel posto, l'afflitto orfano aveva trovato da mangiare e da bere, oltre che un comodo giaciglio per dormire. Riguardo al luogo che li ospitava, si trattava di un casolare situato alla periferia della città. Esso, fino all'anno precedente, era appartenuto ad una coppia di anziani coniugi che non avevano figli. I delinquenti minorenni, prima avevano ucciso i legittimi proprietari con varie pugnalate e poi se ne erano impadroniti, essendo convinti che nessuno lo avrebbe reclamato.

Già il giorno successivo, senza mostrare alcuna esitazione, il figlio del defunto vasaio aveva aderito a far parte della banda dei trovatelli, i quali erano una trentina in tutto. Per farne parte, però, egli aveva dovuto giurare davanti a tutti i suoi componenti di essere fedele ai suoi compagni, di non rivelare mai a nessuno l'esistenza della loro banda e di anteporre, in ogni momento e in ogni luogo, gli interessi della stessa a quelli propri. Mensilmente, era previsto per ciascun gruppo il cambio di zona, appunto per permettere a tutti i ladruncoli della sua banda di conoscere bene le vie, i vicoli e i vicoletti di Polca. Giuccolo era persuaso che una simile conoscenza si sarebbe potuta rivelare molto utile agli stessi, nel caso che si fossero ritrovati a dover scappare inseguiti dai gendarmi. Nelle ore diurne, l'intera banda si trasferiva in città e si dedicava alle sue azioni ladresche. Al calare delle tenebre, invece, i piccoli furfanti rientravano nel loro rifugio, dove portavano la refurtiva che avevano sgraffignata alla gente distratta o malaccorta e la consegnavano al loro capo, com’era previsto dal loro regolamento. Va fatto presente che, durante le loro continue ruberie, di solito i vari membri della banda evitavano di assassinare le loro vittime, per lo più persone di età avanzata ed impotenti a difendersi. Ma se qualcuna di loro opponeva una tenace resistenza, allora essi, pur di non rinunciare a ciò che intendevano rubarle, non si facevano scrupolo di niente e la eliminavano a tradimento. Infatti, intanto che due di loro la prendevano di petto, allo scopo di tenerla distratta, il terzo la pugnalava vigliaccamente alle spalle con sadica ferocia. Dopo la lasciavano morta per strada, mostrando una indifferenza glaciale.

Fin dal primo ingresso di Bokiur nella propria banda, Giuccolo lo aveva accolto con grande simpatia. Perciò, neanche un mese dopo, poiché riusciva anche lui simpatico all'oriundo di Actop, essi erano diventati degli ottimi amici. Per la quale ragione, non molto tempo dopo, ne era conseguita perfino la nomina del valido Actopuro a suo vice, senza che ci fossero brontolii da parte di nessuno della banda. Così, nel giro di un triennio, Bokiur aveva appreso dall'amico Giuccolo tutto quello che si poteva apprendere nel mestiere del ladro. Per quanto riguardava l'uso delle armi, per apprenderlo in maniera soddisfacente, entrambi avevano dovuto frequentare una scuola d'armi di Polca, dove si erano condotti nelle ore serali. In seguito a tali lezioni, che si erano dimostrate utili ad entrambi, si era avuto che, mentre Bokiur superava Giuccolo nel maneggio della spada, il suo capo era superiore a lui nel tiro con l'arco e nell'uso del pugnale, dimostrandolo nelle varie gare avvenute all'interno della loro banda.

Nel frattempo, nella testa di Bokiur era rimasta l'idea fissa di volersi vendicare del genitore, uccidendo il comandante dei miliziani che aveva dato l'ordine di ammazzare suo padre. Egli intendeva far fuori pure il gendarme che aveva eseguito la sua eliminazione fisica. Allo stesso tempo, non voleva farla passare liscia neppure agli altri sette commilitoni che, con indigesta tracotanza e con tanta voglia di farlo, gli avevano sfasciato il carro, mandando in rovina la prestigiosa merce. La quale rappresentava alcuni mesi di duro lavoro svolto dal padre. Alla fine, perciò, avendo stabilito che era giunto il momento di attuarla, Bokiur aveva deciso di dar corso alla sua vendetta. In tale impresa per niente facile, si erano offerti di aiutarlo i suoi grandi amici Giuccolo e Cebin, nonché altri due componenti della banda. Di questi ultimi, il più piccolo non aveva neppure compiuto gli undici anni di età. Così, dopo aver fatto la posta ai nove miliziani nei pressi delle loro abitazioni, a cominciare dal loro comandante, li avevano colti tutti di sorpresa ed uccisi con quaranta pugnalate. Precisamente, i colpi di pugnale corrispondevano agli anni che aveva il padre di Bokiur, quando era stato ammazzato. In riferimento alla tecnica con cui ogni volta i cinque ragazzi avevano portato a termine un loro attentato, essa era stata sempre la stessa, cioè quella che viene appresso indicata. Il ragazzo undicenne era stato usato solo per distrarre la futura vittima. Sbucando da un vicolo laterale e fingendo di star male, egli aveva simulato un accasciamento proprio davanti al gendarme designato, il quale stava sopraggiungendo a cavallo. Allora, del tutto ignara che si trattava di un tranello, la guardia reale subito era balzata dalla sua bestia e si era curvata su di lui, essendo desiderosa di soccorrerlo. Mentre poi l'uomo stava chino sul ragazzo, costui all'improvviso gli aveva lanciato negli occhi una manata di sale finemente tritato. Così aveva costretto il milite a fregarseli ripetutamente a causa del forte bruciore, che gli aveva anche causato una momentanea cecità. A quel punto, erano intervenuti anche gli altri quattro compagni della masnada, che nel frattempo si erano tenuti nascosti poco lontano. Quindi, insieme lo avevano assalito ed assassinato brutalmente, inferendogli ciascuno di loro dieci profonde pugnalate in tutto il corpo, continuando a trafiggerlo anche dopo la sua morte.

Una volta avvenute le barbare uccisioni dei nove gendarmi, in città l'aria era cominciata a diventare veramente irrespirabile per tutti gli adolescenti e i giovani della città di Polca. Soprattutto per coloro che non esercitavano né un mestiere né una professione! Parecchi drappelli di soldati, infatti, erano andati alla loro ricerca per trarli in arresto e costringerli a confessare i loro cruenti delitti. A tale scopo, quando ne arrestavano qualcuno, essi erano ricorsi perfino a sevizie crudelissime.

Un giorno anche Giuccolo e Bokiur si erano imbattuti in uno di quei drappelli malintenzionati che erano alla loro ricerca. Allora essi si erano dati subito alla fuga ed avevano tentato di sfuggire ai gendarmi. Ma costoro si erano messi ad inseguirli attraverso le vie della città. Alla fine, mentre Giuccolo era rimasto trafitto alla nuca da una freccia, che all’istante lo aveva fatto stramazzare al suolo morto, per fortuna Bokiur era riuscito a seminare i suoi inseguitori. Nella tarda serata, dopo che tutti i minorenni ladri avevano fatto rientro al loro rifugio, Bokiur li aveva messi al corrente della disgrazia accaduta al loro capo Giuccolo. Allora essi, che adesso erano una cinquantina e in gran parte maggiorenni, per acclamazione avevano eletto l’Actopuro loro nuovo capo.

Assunto il comando della banda, Bokiur aveva pensato di apportare ad essa una radicale innovazione. Perciò aveva stabilito che i suoi uomini, da quel momento in poi, avrebbero smesso di fare i piccoli ladri di città; ma avrebbero iniziato l'attività di predoni su vasta scala. Per la precisione, avrebbero assalito le carovane dei doviziosi mercanti ed avrebbero razziato le fattorie dei ricchi possidenti terrieri. Nel mirino delle loro numerose razzie, sarebbero dovuti esserci pure i grandi allevatori di bestiame, grosso e minuto. L'idea di Bokiur era stata accolta a unanimità dai componenti della banda e si era pensato di attuarla, non appena avessero arruolati altri cinquanta coetanei. Così, dopo essere stato portato a termine l'arruolamento delle nuove reclute, immediatamente la banda si era messa all'opera in grande stile. Per prima cosa, essa non aveva potuto fare a meno di razziare una mandria di cavalli, poiché si presentava deficitaria di tali preziosi quadrupedi. Senza le bestie equine, a suo avviso, la banda non si sarebbe potuta spostare da un luogo all'altro in poco tempo e neppure sarebbe potuta sfuggire a qualche inseguimento dei soldati. Infatti, avevano un cavallo solo quei pochi che in passato erano riusciti a toglierlo al legittimo proprietario, dopo averlo ucciso e derubato del suo prezioso animale. Successivamente, erano seguite scorrerie di portata rilevante, da parte della banda di Bokiur, terrorizzando e saccheggiando per un quinquennio la quasi totalità dei territori di Polca, fino a raggiungere la nomea che si era guadagnata. Infine essa non si era astenuta neppure dal commettere delitti di abominevole efferatezza contro le loro riottose vittime, che si rifiutavano di sottostare alle loro vessazioni.

La qual cosa aveva indotto il re di Polca a sguinzagliare sulle sue tracce un esercito di mille soldati, perché esso riuscisse a scovarla e a sgominarla dovunque si trovasse. Il provvedimento del sovrano polchese, non aveva impressionato per niente il famigerato Actopuro e la sua banda. Ma poi, dopo un altro mese di attività brigantesca, Bokiur, vedendosi tallonato in modo pericoloso dai soldati di Ozuco, si era deciso a sconfinare nei territori casunnani. In quelle terre, così, i suoi uomini avevano potuto ricominciare a portare avanti le loro vantaggiose scorrerie, senza che esse presentassero nel nuovo regno dei problemi di sorta alla loro temuta banda. Quel giorno, in cui le orme dei loro numerosi cavalli avevano allertato Iveonte e i suoi amici, erano appena alcuni mesi che i predoni di Bokiur si erano dati al brigantaggio sui nuovi territori casunnani. Nel primo pomeriggio, essi avevano assaltato un'altra carovana ed erano poi andati ad accamparsi con il pingue bottino in un luogo appartato. Esattamente, i malviventi avevano piantato il loro accampamento a due miglia dalla via maestra che metteva in comunicazione Casunna con Dorinda. Essi avevano preceduto di un'ora la comitiva dorindana, nel punto esatto dove c’era stata la loro deviazione. Ma i ladroni, nel loro spostamento, si erano lasciati dietro, per motivi imprecisati, il vicecapo Cebin ed un altro predone, i quali li avevano seguiti ad un'ora di distanza. Erano stati appunto loro due ad avvistare, verso il tramonto, il gruppo delle tre donne e dei giovani loro accompagnatori.

Una volta raggiunto il loro campo, Cebin aveva espresso al suo capo Bokiur il desiderio di andare a fare prigioniere le donne, dopo avere ucciso gli uomini che erano con loro. Gli aveva anche manifestato il suo parere sulle due donne più giovani, presentandogliele come dei prelibati bocconcini da non lasciarsi sfuggire, se intendevano divertirsi durante l'intera nottata. Era stato così che intorno alla mezzanotte, con il beneplacito del suo capobanda, Cebin aveva preso con sé altri diciannove predoni e si era condotto con loro nel campo dello sparuto gruppetto di viaggiatori. Egli aveva fatto presente a Bokiur che la loro incursione sarebbe stata del tutto esente da rischi. Come già aveva convenuto con gli altri predoni al suo seguito, essi avrebbero dovuto sorprendere nel sonno i componenti il gruppo, proponendosi però di uccidere i soli uomini. Invece avrebbero risparmiato la vita al solo gentil sesso, allo scopo di usarlo dopo come loro trastullo. Riguardo alle ragazze, infatti, i predoni si erano proposti di prelevarle dove si trovavano e di condurle nel loro campo, nel quale avrebbero trascorso con loro una notte di orgia.