197°-PREDONI IN AGGUATO SULLA STRADA PER CASUNNA

Proprio come si era stabilito nel precedente pomeriggio, all'alba del giorno seguente, Iveonte, Francide e Astoride, con gli auguri di un sereno viaggio e di buona fortuna da parte del loro amico Lucebio, lasciarono il loro campo e si diressero in direzione di Dorinda, dove li attendevano le loro donne. Si era convenuto che esse avrebbero dovuto farsi trovare già pronte al posto di guardia, che era situato presso le porte della città, dove Rindella si sarebbe fatta accompagnare da Solcio e da Zipro. Invece sarebbe stato un drappello di cavalleggeri a scortare Lerinda e Telda fino a quel posto. I gendarmi, che facevano servizio di notte presso la caserma reale, infatti, sarebbero dovuti smontare di guardia nel primo mattino. Essi avrebbero dovuto anche trasmettere al comandante della guarnigione l'ordine del loro sovrano di fare uscire dalla città le tre donne, non appena i loro amici fossero giunti da fuori per prelevarle e per partire alla volta di Casunna. Comunque, già il giorno prima, Lerinda aveva inviato un colombo viaggiatore al fratello Raco per avvertirlo della loro partenza. Ella, tra l’altro, gli aveva comunicato la data presumibile del loro arrivo presso la reggia casunnana. Così il fratello viceré si sarebbe preparato a riceverli con tutti i riguardi, senza tralasciare nulla di quanto sarebbe poi giovato al gruppo dorindano.

Una volta al completo, la piccola comitiva intraprese subito il viaggio, conducendosi sulla strada maestra diretta alla città del viceré Raco, la quale distava da Dorinda centosessanta miglia, che corrispondevano a circa duecentoquaranta dei nostri chilometri. Tale distanza, secondo la principessa Lerinda, sarebbe stata coperta in circa una settimana, naturalmente se non si fossero verificati inconvenienti di alcun genere. Ella ne conosceva il tragitto a menadito, avendolo fatto più di una volta con il fratello Cotuldo e la sua scorta. In merito al viaggio che stavano per affrontare, si era stabilito che si sarebbe galoppato solo durante le ore di luce, ricorrendo ad andature diverse nell'arco della giornata. Avanzando in quel modo, si sarebbe evitato di fare stancare eccessivamente sia le bestie che le tre donne che viaggiavano insieme con loro.

Riguardo al trasferimento di Croscione presso il campo di Lucebio, il quale doveva esserci nello stesso giorno che c'era stata la loro partenza, non potendolo organizzare Iveonte e Francide, nella mattinata ci pensarono i loro allievi Solcio e Zipro a condurlo a termine. Ma una volta che gli fu condotto davanti l'ex braccio destro del re Cotuldo, all'inizio Lucebio lo accolse con molta freddezza. Quando poi i due giovani accompagnatori li lasciarono soli, il saggio uomo non esitò a prenderlo per un braccio e ad accompagnarlo sotto l'albero, dove era solito conversare con i tre giovani amici. In quel luogo, sempre sotto la sua guida, lo fece sedere sopra un ceppo che faceva da sgabello. Solo a quel punto, volendo essere chiaro con lui, si diede a fargli il seguente leale discorso:

«Croscione, non puoi pretendere che io cambi atteggiamento nei tuoi confronti da un giorno all'altro, considerata la pessima opinione che ho sempre avuto di te e continuo ad averla tuttora, per i motivi che conosci benissimo. Per questo, per un certo periodo di tempo, dovrai fare a meno della mia cordialità e della mia sincera amicizia. In seguito può darsi che riuscirò a cambiare nei nostri rapporti. Per il momento, quindi, dovrai sopportarmi per come sono adesso, ossia senza la mia dedizione assoluta verso di te. Perciò ti invito a dare tempo al tempo, fino a quando non deciderò di considerarti un amico. Riesci a comprendermi?»

«Non ti do torto, Lucebio, siccome hai tutte le tue buone ragioni per comportarti nel modo che mi hai fatto presente. Comunque, ti ringrazio moltissimo, per non esserti opposto al mio trasferimento nel tuo riposante luogo di ritrovo, dove sono certo di trovarmi del tutto a mio agio. Per la qual cosa, ti ripeto che te ne sono infinitamente grato!»

«Adesso che mi sovviene, Croscione, un modo ci sarebbe per farmi superare ogni difficoltà ad avere un'ottima relazione con te. Esso, se lo vuoi sapere, potrebbe spingermi perfino a diventare un tuo caro amico! Allora ti senti disponibile ad accontentarmi? Spero proprio di sì!»

«Mi stai rendendo assai felice, Lucebio, nel comunicarmi che c'è per me questa meravigliosa possibilità, poiché sono certo che, se essa davvero dipenderà dalla mia persona, tra noi due si instaurerà ben presto una grande e sincera amicizia. La qual cosa, oggi come oggi, è bramata da me più di ogni altra cosa al mondo: credimi! Dunque, chiariscimi in che maniera mi sarà possibile esserti utile, poiché, con mia grandissima gioia, non esiterò ad accontentarti, accogliendo qualche tua richiesta!»

«Ciò che devi fare per me, Croscione, è riferirmi soltanto qualcosa che mi interessa conoscere in modo particolare. Una notte di alcuni mesi fa il re Cotuldo ti mandò a prelevare nel carcere gli ex regnanti di Dorinda, ossia il mio grande amico re Cloronte e la regina Elinnia. Ebbene, voglio sapere da te per quale motivo ci fu il loro trasferimento in altro luogo e dove essi si trovano attualmente. Il dare la giusta risposta a queste mie due domande, ti prometto, per te sarà più che sufficiente per suggellare la nostra amicizia all'insegna della lealtà!»

«Se è solo questo che desideri da me, Lucebio, non ho alcuna difficoltà a risponderti. A tale riguardo, allo scopo di tranquillizzarti subito, ti dico innanzitutto che entrambi gli ex regnanti sono ancora vivi. A quel tempo, il re Cotuldo, senza neppure spiegarmene le ragioni, mi ordinò di condurli nel carcere di Casunna, dove tuttora essi si trovano. Se stabilì di trasferirli lì, aveva temuto una loro liberazione da parte di voi ribelli.»

Lucebio, nell'apprendere con il massimo gaudio che il re Cloronte e la regina Elinnia erano ancora vivi e che si trovavano presso il carcere casunnano, istintivamente avvertì il desiderio di abbracciare Croscione. Poi, mostrandosi assai commosso, gli esclamò:

«Ti ringrazio, amico Croscione, per avermi dato questa bellissima notizia! Da ora in avanti, ti considererò degno della mia amicizia e farò in modo che in questo campo tu non abbia mai a sentirti a disagio. Anzi, ti faccio solenne promessa che appagherò qualunque desiderio che tu dovessi manifestarmi, in tutto il tempo che trascorrerai i tuoi giorni qui da me, occupando l'alloggio che fino a stamattina è stato di Francide!»

Dopo quanto riportato a proposito del trasferimento di Croscione presso il campo di Lucebio, ce ne possiamo ritornare di nuovo al gruppo dei sei viaggiatori, che era costituito da Iveonte, Francide, Astoride, Lerinda, Rindella e Telda. Essi avevano intrapreso il viaggio da molte ore, senza fare ancora nessuna sosta. In merito a loro sei, si fa presente che a volte cavalcavano speditamente, altre volte tenevano i cavalli al trotto o al passo. Soltanto quando facevano andare i cavalli con queste ultime due andature, si riusciva a scambiarsi qualche parola fra di loro. Così facendo, si rendeva meno noioso il viaggio, che stavano affrontando con grande fatica. Ciò veniva reso possibile dal fatto che, durante il percorso diurno, si procedeva sempre a coppie: Iveonte e Lerinda avanti, Francide e Rindella subito dopo, Astoride e Telda in coda agli altri quattro. In merito alle loro soste, durante il giorno ne venivano effettuate due. La prima coincideva con il pasto di mezzogiorno ed aveva la durata di un'ora; la seconda, invece, era quella serale. Essa consentiva la cena e il pernottamento in un posto sicuro e ben riparato da temibili visitatori. Va anche chiarito che, nelle soste notturne, si dormiva all'addiaccio; però ciascuno si avvolgeva nella propria pesante coltre di lana. Essa, non avendo nulla da invidiare al moderno sacco a pelo, riparava ottimamente la persona che ne faceva uso dai rigidi freddi della notte. Inoltre, tanto la sosta diurna quanto quella notturna, rappresentavano per i sei viaggiatori dei momenti di rilassamento e di distensione, poiché la conversazione allo stesso tempo si vivacizzava e si coloriva di brio. Per cui essa apportava agli umori dei dialoganti ilarità e pieno compiacimento.

Sebbene i sei viaggiatori si fossero portate dietro discrete scorte di carni insaccate ed affumicate, le loro preferenze si erano espresse sempre a favore di quelle fresche. Anche perché, nella lussureggiante regione che stavano attraversando, la selvaggina stanziale si rivelava ricca e varia. Per questo non risultava difficile ad Iveonte e al suo amico Francide, infallibili arcieri quali erano, procacciarsene a volontà. Ma dopo era la cuoca Telda ad incaricarsi di cucinare le loro carni con spezie diverse, ricavandone delle pietanze squisite ed appetitose. In merito poi alle scorte idriche, esse potevano considerarsi sempre in sovrabbondanza. Infatti, l'alta catena montuosa, la quale si estendeva lungo l'intero confine dorindano-casunnano, con le sue vette innevate, durante l'intero anno disseminava la regione in questione di una infinità di ruscelli e di rivoli. Per questo essi, attraversandola da nord a sud, trasportavano in ogni sua parte la loro acqua fresca, pura e cristallina. In quel modo facevano dissetare le bestie e le persone che abitavano in tali zone oppure vi si trovavano a transitare occasionalmente.

Dall’inizio del viaggio, oramai erano trascorsi già cinque giorni e il sesto stava volgendo al termine, senza che la piccola comitiva avesse incontrato sul suo percorso né difficoltà né contrattempi di qualche tipo. Ognuno di essi era trascorso sempre identico agli altri: più faticoso e monotono nelle ore diurne, più dilettevole e gradito nelle ore serali. Invece erano state quelle notturne, anche se più riposanti in un certo senso, le meno tollerate da tutti i componenti del gruppo viaggiante, specialmente dalle tre donne. Le rappresentanti del sesso debole avevano sempre faticato parecchio a prendere sonno. Esse si erano mostrate preoccupate, temendo dei pericoli imprevisti, che potevano provenire da parte di uomini sconosciuti. Ecco perché ogni notte erano state assalite da inquietanti apprensioni, le quali avevano procurato a ciascuna di loro alcune ore di invincibile insonnia.

Quel giorno, ad un'ora dalla consueta sosta serale, la celere cavalcata fu all'improvviso interrotta da Iveonte. Egli era stato impensierito da numerose orme di zoccoli di cavalli, che affioravano ancora fresche dal terreno. Allora si volle effettuare una rilevazione più accurata, da parte della componente maschile. Così i tre giovani non persero tempo a scendere dalle loro bestie accaldate e sudate, con l'intenzione di studiarle con la massima attenzione. Iveonte, dopo esserci stato un loro accurato esame, fu il primo ad esprimere il proprio parere agli altri:

«A occhio e croce, amici miei, i cavalli che di recente hanno percorso queste parti saranno stati un centinaio e non di più. Ma ci restano nel buio alcune informazioni sul loro conto, non potendo noi sapere chi erano a cavalcarli e qual era lo scopo della loro presenza in questi paraggi. Adesso, però, ci interessa apprendere con precisione dove si trovano coloro che li cavalcavano, mentre stiamo qui a parlare di loro!»

«Può darsi che si tratti di soldati di mio fratello Raco in perlustrazione,» congetturò per prima la principessa Lerinda, la quale era intervenuta nella discussione per esprimere il proprio parere «dal momento che in queste zone non si è mai sentito parlare della presenza di tanti predoni dediti a razzie di ogni genere! Senza meno sarà come ho detto! Perciò non occorre farci impensierire troppo da tali impronte!»

«Invece, mia cara,» le obiettò il suo ragazzo «quanto affermi è contrario alla logica! Noi stiamo percorrendo la via maestra che collega Dorinda a Casunna, la quale rappresenta il tragitto preferenziale seguito dai tuoi fratelli, quando si scambiano le visite. Ecco perché sono convinto che pure i loro soldati la conoscono bene e non sarebbero spariti nel nulla, evitando di venirci incontro. Stando così le cose, dobbiamo stare attenti a non trovarceli addosso tutto all’improvviso!»

«È proprio come dici tu, Iveonte! Siccome questa strada viene prescelta dai miei germani, quando si scambiano le visite, almeno una parte dei soldati di Raco, se non tutti, dovrebbero conoscerla a menadito. Mi riferisco a quelli che lo hanno sempre scortato, ogni volta che si è recato a Dorinda. Del resto, anch’io conosco bene questa strada, avendola fatta spesse volte insieme con i miei germani, ossia quando hanno intrapreso i loro viaggi summenzionati.»

«Dunque, Lerinda, poiché gli uomini a cavallo che sono passati di qui non ci sono venuti incontro ma si sono sottratti alla nostra vista, escludo che essi possano essere dei soldati di tuo fratello Raco. Egli, se fosse stato vero, ce li avrebbe inviati con l'unico scopo di scortarci. Di conseguenza, considerato che per logica non può trattarsi di loro, obbligatoriamente la verità viene ad essere ben altra!»

«Allora saranno certamente dei predoni, i quali solamente da poco si sono messi ad operare indisturbati nella località che percorriamo! Non è vero, Iveonte, che volevi asserire proprio questo?» Francide anticipò l'amico, nel trarre le debite conclusioni con tutta sicurezza.

«Quindi,» aggiunse Astoride «bisogna indagare se i predoni si annidano ancora nelle nostre vicinanze per qualche scopo iniquo. Soprattutto occorre scoprire al più presto quali obiettivi si preparano a perseguire all'insaputa di alcune persone, che magari potremmo essere noi. La qual cosa ci deve spingere ad essere assai cauti e previdenti!»

«Appunto!» tese a tirare le somme Iveonte «Perciò diamoci da fare, amici, ed evitiamo che ci colgano di sorpresa nel cuore della notte, se dovessimo risultare esattamente noi il loro obiettivo! Innanzitutto badiamo ad assicurare un ottimo rifugio alle nostre tre donne, ad evitare che durante le ore notturne l'offensiva nemica possa coinvolgerle e nuocere alla loro integrità fisica!»

Una breve perlustrazione del vicino circondario condusse Francide alla scoperta di una grotta, che egli ritenne abbastanza capiente per farci trascorrere la nottata alle donne e ai loro cavalli. Essa poteva contenere anche le bestie adibite al trasporto delle vettovaglie, delle masserizie e dei vari arnesi. Anche Iveonte e Astoride furono dello stesso parere del loro amico. Infatti, in tale cavità le loro donne non avrebbero corso nessun pericolo, specialmente dopo che la sua imboccatura fosse stata coperta e nascosta con dei rami frondosi.

Quella sera si cenò più presto del solito, ossia all'imbrunire, oltre che impiegarci un tempo minore delle altre volte. Il pasto serale consistette in una formella di cacio pecorino frammezzo a due fette di pane stantio. Consumata la cena, i tre giovani, prima che la notte divenisse fonda, vollero essere pronti a ricevere quegli sconosciuti malfattori. I quali, dalle intenzioni senza dubbio ostili, probabilmente, dopo essere calata la notte, non li avrebbero privati della loro indesiderata visita. Allora Iveonte e i suoi amici dapprima sistemarono le loro donne e le loro bestie da soma all'interno della grotta, coprendone poi l’ingresso con il materiale anzidetto, ossia con diversi elementi vegetali, mascherandolo alla perfezione. In seguito, in una piccola spianata situata a pochi passi da quel posto, improvvisarono quello che doveva apparire un normale campo all’addiaccio. Essi badarono perfino a predisporvi quanto occorreva per trarre in inganno i loro ipotetici nemici. Inoltre, per camuffare meglio la cosa, i tre amici vi appiccarono al centro un bel falò ed aggiustarono intorno ad esso sei coperte, tenendole sollevate da materiale diverso, allo scopo di farle apparire come se delle persone vi dormissero sotto. Invece loro tre andarono ad appostarsi sopra una terna di alberi che, più degli altri, offrivano una eccellente visuale sull'intera spianata. La quale, poiché veniva raggiunta dalla luce della bruciante catasta, si presentava sufficientemente illuminata.

Ci rendiamo conto che Iveonte, Francide e Astoride avevano stabilito di attuare lo stesso piano strategico, che avevano già adottato con ottima riuscita contro gli uomini di Kuercos. Ma stavolta non avrebbero dovuto fare alcun prigioniero; anzi, si sarebbero dovuti dare ad uccidere senza pietà tutti gli eventuali visitatori notturni, se si fossero fatti vivi. Nel frattempo, però, dentro la grotta che veniva illuminata dalla tremula fiamma di una torcia, l'unica a disperarsi era la matura Telda, la quale si mostrava terrorizzata al massimo. La poveretta, mentre trascorreva la nottata, non riuscendo a prendere sonno neppure un poco, trepidante e preoccupata com'era, non la smetteva di parlare in questo modo:

«Poveri quei tre figlioli! Vorrei sapere come faranno a fronteggiare i predoni, i quali pare che siano almeno un centinaio! Di sicuro essi saranno sopraffatti in poco tempo! Vi immaginate la fine che faremo anche noi subito dopo, ragazze?! Spero proprio che il buon Raco abbia pensato di mandarci incontro un buon numero dei suoi soldati! Altrimenti, per noi qui le cose si metteranno davvero male! Che Matarum ci protegga!»

«Per favore, càlmati, Telda,» le rispose Lerinda «poiché non abbiamo nulla di che temere dai predoni! I nostri uomini non si faranno affatto intimidire da loro. Devi sapere che, anche se essi fossero mille, lo stesso il mio Iveonte, Francide e il loro amico Astoride riuscirebbero ad avere la meglio su di loro! Lo hai capito, sì o no, che sarà proprio come ti ho detto? Perciò cerca di dormire ed evita di disturbarci il sonno!»

«Davvero, Telda, ti stai preoccupando per nulla.» anche Rindella cercò di rassicurare la donna «Se tu avessi avuto modo di conoscere il valore e la grande perizia d'armi dei nostri ragazzi, che si dimostrano qualcosa di fenomenale, adesso te ne staresti tranquilla e serena, senza darti ai tanti tuoi inutili piagnistei! Perciò ti vogliamo vedere più allegra e più fiduciosa nei nostri eroici giovani. Essi abbastanza presto sgomineranno l'intera banda dei predoni e ce ne libereranno per sempre, arrecando del bene pure ad una parte dell’umanità! Dunque, anch'io ti esorto a dormire, senza arrecarci alcun fastidio!»

La mezzanotte era passata da poco tempo, allorquando dei movimenti sospetti, tutti provenienti dall'interno della boscaglia, richiamarono l'attenzione dei tre giovani. Costoro, da parte loro, non dormivano e stavano all'erta da qualche ora. Infine, alcuni attimi dopo, avanzando con cautela, incominciarono a mostrarsi un numero imprecisato di sagome umane. Per la verità, esse non apparivano ancora ben delineate in quel gioco di raggi lunari, che il vento faceva litigare con i ramoscelli della macchia arbustiva. Invece, un attimo dopo, la loro accorta avanzata, sebbene apparisse assai guardinga, ben presto portò i componenti del commando allo scoperto. A quel punto, con l'aiuto della sufficiente luce delle fiamme, i tre vigili giovani poterono facilmente quantificare le forze messe in campo dal nemico in quella incursione notturna e controllare anche i movimenti delle medesime. Allora essi ebbero la certezza che, almeno in quella operazione di scorreria, erano impegnati soltanto una ventina di uomini. I quali, in quel momento, ventre a terra e pugnale stretto fra i denti, strisciavano con moto flessuoso sul tappeto erboso di tale angolo della radura. Inoltre, muovendosi con la massima silenziosità possibile, cercavano di raggiungere i loro sei obiettivi umani, senza farsi notare in nessun modo dalle persone che credevano vi stessero dormendo serene, senza temere alcun pericolo.

Fu in quel preciso istante che Iveonte e i suoi due amici iniziarono a bersagliarli, a partire da quelli che procedevano per ultimi. Colpendoli in quella maniera, essi facevano in modo che quanti li precedevano non si accorgessero della loro morte fulminea e venirne allarmati. Le frecce, l'una dopo l'altra, incominciarono a giungere a destinazione, recando morte subitanea ai loro destinatari. Esse andavano a conficcarsi nel collo dei predoni, trapassandoglielo da parte a parte con calcolata precisione. Infine, per l'esattezza nel giro di pochi minuti, l'intero commando nemico fu messo fuori combattimento dai tre formidabili arcieri. I tre arditi giovani non avevano neanche consentito agli avversari che occupavano le posizioni più avanzate di raggiungere i loro obiettivi. Perciò neppure si erano potuti rendere conto che si trattava di una mera messinscena improvvisata dai viaggiatori, al fine di invertire i ruoli dei protagonisti. Così, grazie a tale loro provvidenziale accorgimento, in quell’operazione notturna le prede erano diventate degli astuti cacciatori; mentre i cacciatori si erano ritrovati a fare da prede.

Eliminati con la massima rapidità i venti malavitosi malintenzionati, Francide corse subito a tranquillizzare le tre donne. Perciò le mise al corrente che già c'era stata una prima visita da parte di venti malandrini, i quali erano stati ricevuti da loro con le dovute cortesie. Riferì anche alle medesime che, secondo il suo amico Iveonte, per quella notte non si sarebbe dovuta temere alcun'altra visita, da parte di un nuovo commando di predoni. Di sicuro il mancato ritorno dei loro compagni avrebbe portato gli altri a riflettere con più ponderazione il successivo provvedimento da prendere. Comunque, li avrebbe dissuasi dall'intraprendere nella notte una ulteriore azione punitiva contro un nemico, il quale, oltre al fatto che non era stato ancora identificato e quantificato, aveva dimostrato di saperci fare con le armi. A scopo puramente cautelativo, però, i tre amici stabilirono di mettersi tutti a dormire nell'interno dell'antro, compresi i loro cavalli. Così facendo, il giorno dopo, se fosse stato necessario affrontare il numeroso grappolo costituito dal resto dei predoni, essi si sarebbero ritrovati con le membra ben riposate. Per questo, una mezzora dopo, tutti e tre, insieme con le loro bestie equine, si trasferirono dentro la spaziosa e protetta cavità, nel cui interno trovarono riposo e sonno durante l’intera nottata.

Ma si può sapere chi erano i numerosi predoni che operavano in quella zona? Come mai, nonostante essi fossero di una forza così consistente, avevano atteso la notte per attaccare un esiguo numero di viaggiatori? Secondo Iveonte e i suoi due amici, non era da scartarsi neppure l'ipotesi che le cose non fossero andate come apparivano, per cui la gran parte dell'evolversi degli avvenimenti si presentava poco chiara, per non dire misteriosa. Ovviamente, la loro intelligente intuizione era stata giusta. Per la quale ragione, anche se per appurarlo siamo costretti a fare un'altra breve digressione, cerchiamo di venirne subito a capo. Ricorrendo ad essa, avremo una descrizione dettagliata ed esaustiva dei diversi episodi attinenti alla nuova circostanza del momento, la quale alla fine ci permetterà senza meno di toglierci qualche ghiribizzo.