195-LITE INGIUSTIFICATA TRA FRANCIDE E RINDELLA
Lo scorrere dei giorni fece avanzare il calendario verso la primavera inoltrata, permettendo alla natura di indossare il suo nuovo abito stagionale. Esso allora, non solo l'arricchì di un verde smagliante, presentandolo nelle sue varie tonalità; ma anche l'accolse con una ridondanza di fiori odorosi e multicolori. Questi, nella loro moltitudine e nella loro varietà, si mostravano adesso con colori sgargianti, oltre che effondere nell'aria circostante infiniti effluvi intensi e penetranti. Fu in uno di quei meravigliosi mattini che Francide, mentre si consumava la frugale colazione, fece sentire la sua voce agli altri che erano intenti a mangiare con lui. A un tratto, rompendo il silenzio, egli si espresse con queste parole:
«Devo mettervi al corrente, amici miei, che questa notte ho fatto un sogno assai strano. Non lo avrei mai creduto possibile, dal momento che esso mi ha infuso parecchio stupore! Dopo che lo avrete ascoltato, sono sicuro che ve ne stupirete a non dirsi pure voi, considerato il suo contenuto incredibile! Dunque, ho il permesso di raccontarvelo?»
«Certo che ce l'hai, Francide!» Lucebio lo invitò a renderli partecipi del sogno che lui considerava strano «Perciò incomincia subito a narrarcelo, siccome lo hai definito, in un certo senso, assurdo. Anzi, a tuo giudizio, è tale che ci farà strabiliare enormemente! Perciò, se esso è come tu dici, ti promettiamo che staremo ad ascoltarlo con la massima attenzione! Dopo avercelo narrato, ammesso che ti faccia piacere, saremo anche lieti di esprimerti le nostre impressioni sul tuo sogno!»
Il giovane, essendo stato rassicurato dai suoi due amici che anche in loro c'era il desiderio di venire a conoscenza della sua esperienza onirica, accolse l'invito del saggio uomo. Così, senza alcun preambolo, si diede a riferire a loro tre il suo contenuto, che si presentava molto strano.
«Ebbene, amici miei, ho sognato quanto adesso vi riporto. Essendo ritornato da Dorinda, mi sono condotto direttamente nell'alloggio del mio amico fraterno, poiché in quel momento avevo da chiedergli qualcosa che in questo momento nemmeno riesco a rammentare più. Probabilmente, sono andato a domandargli se l'indomani mattina avrebbe fatto piacere a lui e alla sua Lerinda uscire con me e Rindella per effettuare una gradevole escursione in mezzo a questa rinascita della natura. Comunque, con mio dispiacere, non ve l'ho trovato. Avendo poi notato che la sua spada era rimasta al solito posto, non ho potuto fare a meno di pensare che Iveonte fosse venuto da te. Perciò stavo per uscirmene, avendo intenzione di venire a cercarlo nel tuo alloggio, quando all'improvviso l'arma si è messa a lampeggiare in modo intermittente. Allora, essendomi incuriosito, ho cercato di approfondire l'insolito fenomeno, volendo capire perché essa si comportava in quel modo. Mentre poi la osservavo, la spada si è trasformata nello spettro di una fanciulla.»
«Dici davvero, Francide, che è avvenuto quanto hai detto nello stabile del nostro amico?» gli chiese Astoride, mostrandosi assai incredulo.
«Certo che parlo sul serio, amico mio! Hai forse dimenticato che era un sogno? Ma ora vado avanti con esso. Ebbene, una volta avvenuta la sua apparizione, ella ha iniziato anche a parlarmi, usando queste testuali parole: "Francide, non sai che tua madre ti attende ad Actina, poiché ha bisogno del tuo aiuto? Chi già provocò la morte a tuo padre e cercò di eliminare pure te, potrebbe fare la stessa cosa con lei. Perciò rècati subito nella Città Santa con i tuoi amici, vendica il tuo genitore e salva colei che ti ha generato!" Subito dopo l'evanescente spettro è svanito ed è ritornata ad essere la spada del mio amico fraterno. Adesso vorrei sapere da voi che cosa ne pensate del mio misterioso sogno, il quale mi ora si presenta proprio come un fatto realmente accaduto, dal momento che mi invita ad andare a salvare mia madre in quella lontana città.»
«A mio avviso, Francide,» Iveonte gli rispose per primo «quello che tu hai creduto un sogno, in realtà esso non lo è stato. Del resto, anche tu hai avuto questa impressione. Kronel, cioè la mia spada, anche se ti è apparsa in sogno, ha voluto comunicarti che la tua presenza ad Actina è indispensabile, poiché fra le sue mura tua madre sta correndo un serio pericolo e tu solo puoi salvarla. Per questo è necessario che noi, senza indugiare oltre, ci mettiamo in viaggio verso la Città Santa e la raggiungiamo al più presto, cioè quando non è già troppo tardi per mettere in salvo la tua genitrice. Sono convinto che le cose stanno esattamente così, non potendo esserci un'altra spiegazione! Te lo garantisco!»
Lucebio condivise sia il parere di Iveonte sia la sua proposta di partire con urgenza alla volta della città di Actina, essendosi anch'egli persuaso che il sogno conteneva una buona dose di realtà. Perciò, prendendo un attimo dopo la parola, non si astenne dall'esprimersi al fruitore del bel sogno con queste sue personali osservazioni:
«Anch'io, Francide, sono d'accordo con il tuo amico fraterno nel ritenere che la sua venerabile spada ti abbia voluto mettere al corrente di una reale situazione di emergenza, la quale riguarda la tua famiglia. Essa ha voluto farti conoscere i seguenti tre fatti importanti: primo, che hai una madre ancora viva e che si trova nella Città Santa; secondo, qualcuno le assassinò il marito e tentò anche di ucciderle il figlio, che saresti tu; terzo, ella, al momento attuale, sta rischiando di essere soppressa dallo stesso uccisore del consorte, il quale sarebbe tuo padre. Concludendo, quindi, pure la mia opinione è che non si debba più perdere tempo; ma occorre che vi conduciate immediatamente ad Actina. In tale città, adesso regna la regina Talinda, la quale, come tutti sanno, giovanotti, rimase vedova, prima ancora che voi tre nasceste. Comunque, ci sono ancora da apprendere altre cose importanti di quella città, da parte vostra, le quali potrebbero farvi molto piacere.»
«Vuoi dirci, Lucebio, quali sarebbero le nuove cose riguardanti Actina, che dovremmo conoscere?» gli domandò Iveonte «Se è proprio necessario che le veniamo a sapere, puoi pure cominciare a parlarcene, poiché desideriamo che ciò avvenga al più presto, prima di partire!»
«Il mese prossimo, ci sarà la ricorrenza della biennale celebrazione dei solenni festeggiamenti in onore del dio Matarum. Il quale, come sapete, è la somma divinità venerata nella nostra regione edelcadica. Essi si protrarranno per trenta giorni. Così, amici miei, dopo che sarete giunti nella Città Santa ed avrete portato a termine il vostro delicato compito, ci sarà per voi anche l'opportunità di divertirvi e di svagarvi ad libitum!»
«Ma una volta che saremo giunti nella Città Santa,» gli obiettò Astoride «come faremo a metterci in contatto con la madre di Francide, se non sappiamo neppure chi ella potrebbe essere? Almeno avessimo qualche indizio in proposito oppure conoscessimo qual è il suo nome per poterla rintracciare in città! Invece non abbiamo nessuna notizia, la quale possa riguardarla e farcela individuare in qualche modo.»
«Stanne certo, Astoride,» lo tranquillizzò Lucebio «che colei che ha messo Francide al corrente dell'esistenza della madre e lo ha anche invitato ad andare a soccorrerla, di sicuro saprà pure che egli non avrà difficoltà di questo genere, dopo che avrete raggiunto Actina! Invece ciò che non sappiamo di preciso è se sarà la spada o qualcun altro a facilitare al nostro comune amico i contatti con l'ignota madre!»
Il mattino seguente, poiché nel pomeriggio del giorno prima non erano potuti andare a trovarle, Iveonte e Francide si recarono dalle rispettive ragazze. Essi volevano metterle al corrente del loro nuovo viaggio, che presto avrebbero dovuto intraprendere. Esso, oltre che lungo, si preannunciava imminente, per il fatto che si sarebbero messi in cammino al massimo entro due giorni, a partire da quella data.
La prima ad esserne informata fu Rindella. La ragazza, non appena ebbe appreso la notizia dalla bocca del suo fidanzato, si conturbò parecchio. Ella, siccome era molto legata a lui, ebbe paura di non riuscire a sopravvivere durante la sua assenza, la quale avrebbe avuto una durata non indifferente. Ma dopo un breve silenzio, si rivolse al suo fidanzato e, con un atteggiamento dimesso e con una certa freddezza, gli chiese:
«Francide, mi dici come mai tu e i tuoi amici avete preso tale decisione repentina? Eppure, fino all'altro ieri, non sapevate niente di questo nuovo viaggio! Forse è accaduto qualche imprevisto, che non vi ha lasciato altra scelta? Su, raccontami tutto, amore mio, circa questa vostra partenza, la quale mi sta già infondendo tantissima agitazione!»
«Devi sapere, mia dolce Rindella, che mi è accaduto un fatto davvero straordinario, il quale ci ha allarmati e ci ha fatti decidere ad affrontare il viaggio che sai. Ieri sono venuto a sapere che ho una madre, la quale vive ad Actina e si trova in grave pericolo. A volerla uccidere, è suo cognato, che sarebbe poi mio zio. Egli fece già eliminare molti anni fa mio padre, cioè il fratello, e diede ordine di ammazzare pure me, ma senza riuscirci. Quindi, io dovrei andare a salvare la mia genitrice.»
«Hai messo in conto, Francide, che le informazioni da te ricevute potrebbero non rivelarsi veritiere? Come fai a credere ciecamente a chi ti ha passato delle notizie simili? Secondo me, prima di partire per Actina, tu e i tuoi amici dovreste accertarvi della loro fondatezza. Oppure non occorre tale controllo, considerata la loro indiscutibile fonte?»
«Rindella, stanne certa che le informazioni da me ricevute non possono essere più attendibili. Se non fosse così, credi che i miei amici ed io intraprenderemmo questo lunghissimo e sfacchinante viaggio? Adesso, visto che ci tieni a saperlo, ti dichiaro chi è stato a rivelarmi entrambe le cose durante il sogno che ho fatto l'altra notte. Ebbene, è stata la spada del mio amico Iveonte! Come si può non credere ad essa?»
«Allora le informazioni sono di sicuro conformi al vero, amore mio. Oh, quanto vorrei partire anch'io insieme con te, mio caro Francide! Nei campi è ritornata la primavera; ma, grazie a te, nel mio animo essa non è mai venuta meno anche nelle altre stagioni: neppure durante le gelide giornate invernali! Anzi, dopo che sarai partito, sono convinta che il brullo e rigido inverno ripiomberà in me e vi riverserà lo squallore più misero e la tristezza più angosciante. Perciò trascorrerò il tempo, mettendomi a contare prima i minuti e le ore, poi i giorni e i mesi. Li bagnerò tutti quanti con le lacrime che verserò per te e li rattristerò con la mia disperata malinconia. Il calore della tua accesa passione mi mancherà da morire e non voglio nemmeno immaginare lo stato di afflizione che mi soggiogherà per l'intero tempo che sarai lontano da me!»
«Su con il morale, Rindella, e non fare quella faccia! Vedrai che, al mio ritorno, i nostri cuori ritorneranno a rifiorire come prima, riprenderanno quei battiti gioiosi, che tutti i giorni non smettono di allietare la nostra esistenza e di irradiare di gioia ogni suo attimo! In verità, al pensiero che sto per allontanarmi da te per un tempo così lungo, pure io divento vittima di affliggenti patemi d'animo. In questo cupo frangente, diversamente da te, almeno io avrò la fortuna e la consolazione di ritrovare quella madre, che non ho mai conosciuta e a cui fui sottratto durante la mia tenera età. Così le gioie, le quali mi deriveranno dalla bella circostanza che mi permetterà di ritrovare mia madre, varranno ad alleviare almeno parzialmente le tristezze che mi saranno causate dalla mia lunghissima separazione da te!»
«Lerinda è stata già avvertita dal suo amato Iveonte della vostra prossima partenza per la città di Actina? Se la risposta è affermativa, Francide, mi riferisci come ella l'ha presa? Comunque, non dubito che anch'ella avrà da rattristarsene immensamente, allo stesso modo mio! Come noto, noi donne saremo ancora le sole anime in pena!»
«Proprio stamattina il mio amico fraterno è andato a rapportarle ogni cosa, mia cara Rindella. Siamo venuti insieme in città e ci siamo lasciati presso la reggia: io per venire da te e lui per andare a parlare con la sua Lerinda. Egli, in questo momento, è là che le sta comunicando il durevole viaggio che è da intraprendersi da parte nostra. Sono certo che la sta consolando, come ora sto facendo io con te, amore mio!»
Subito dopo Francide cinse con le sue granitiche braccia la ragazza e la strinse forte a sé, come per avvertire il suo calore. Rindella fece altrettanto con lui, dandosi ad elargirgli i suoi copiosi ed ardenti baci. Mentre se lo abbracciava e se lo baciava con tutto il suo immenso ardore, inconsciamente la ragazza incominciò a parlargli, come se non fosse lei a farlo, ma qualcun'altra persona al posto suo:
«Dolce Godian, mio grande amore, la tua partenza senza meno mi risulterà una vera condanna a morte. Non riesco ad immaginare come farò a tollerare la mia miserabile esistenza, dopo che te ne sarai andato via da Dorinda e mi avrai abbandonata alla mia enorme disperazione, la quale già inizia a dilagare nel mio animo! Io...»
Rindella stava quindi per continuare le sue lagnanze, le quali si presentavano condite di un amore sincero e patetico, quando Francide la interruppe all'improvviso. Poi la staccò da sé in modo brusco e senza alcun riguardo. Tenendola poi separata da sé circa mezzo metro ed esprimendole il suo totale disprezzo, le domandò adirato:
«Perché mai, Rindella, mi hai chiamato Godian?! Senza dubbio si tratterà di un tuo ex fidanzato! Dimmi chi è costui e cosa ha rappresentato egli per la tua esistenza nel passato! Da te voglio esclusivamente una sincera confessione, la quale rispecchi solo la verità! E non tardare a darmi tale risposta, se non vuoi farmi arrabbiare ancora di più!»
«Ma di chi stai parlando, Francide?! Io non ricordo affatto di averti chiamato con un nome diverso dal tuo! Se così fosse stato, sarei stata la prima ad accorgermene! Ti giuro che non solo non ho mai amato un uomo che avesse un nome simile; ma neanche ne ho conosciuto qualcun altro, al di fuori di te. Ti garantisco che nella mia vita, prima di incontrare te, non c'è stato alcun pretendente, né che si chiamasse Godian né che avesse un nome diverso! Mi comprendi adesso, amore mio? Devi essere certo di quanto ti affermo, se non vuoi farmi impazzire dal dolore!»
«Eppure, Rindella, ti ho sentita pronunciare chiaramente il nome di Godian con le mie orecchie! Mi credi forse un autentico folle, il quale non sa quello che dice e quello che pensa? Allora, se neghi l'evidenza, da ciò mi fai dedurre che sei una bugiarda spudorata e indegna di essere la compagna destinata a starmi accanto per l'intera mia esistenza!»
«No, Francide, non ti permetto di trattarmi nel modo come stai facendo, poiché nella maniera più assoluta penso di non meritarlo! Per me sei tutta la mia vita; sei stato il primo uomo a ricevere il mio amore, nella sua purezza più integra! Te lo confermo e te lo giuro!»
«Invece io, Rindella, merito di non essere creduto da te? Sul mio onore, ti asserisco che mi hai chiamato con il nome di Godian; invece tu non vuoi ammetterlo e continui a negarlo! Le mie orecchie non potevano sentire un nome, che neppure conosco e non ho mai sentito pronunciare da altri! Neppure potevo sognarlo ad occhi aperti!»
«Va bene, amore mio! Se insisti a dirmi che mi hai sentita chiamarti con l'altro nome, sono disposta a crederti, essendo convinta che non mentiresti mai né a me né a nessun altro. Ma se ti dico che sono del tutto ignara di aver pronunciato il nome da te menzionato, anche tu devi credermi sulla parola, poiché non hai motivo di dubitarne! Ti assicuro che, fino a poco fa, anch'io, come te, ignoravo perfino l'esistenza di un siffatto nome. Le divinità benefiche dell'universo possono testimoniare che quanto ti ho asserito corrisponde alla pura verità! E tu devi aver fiducia in me, per favore!»
A quel punto, il giovane, non volendo più sentire ragioni, troncò lì la discussione che stava avendo con la sua Rindella e la piantò in asso, senza nemmeno degnarla di un suo saluto. Anzi, si allontanò, portandosi dietro una rabbia così tremenda, che quasi gli sprizzava perfino dagli occhi. La ragazza, da parte sua, di fronte a tale atteggiamento sgarbato di Francide, entrò all'istante in una crisi isterica, la quale le scombussolò l'equilibrio interiore e la buttò molto giù, psichicamente parlando.
A questo punto, passiamo ad Iveonte, siccome pure a lui, come all'amico Francide, era toccato un compito molto ingrato, ossia quello di annunciare alla sua ragazza che per un gran numero di giorni sarebbero rimasti separati l'uno dall'altra. Perciò vediamo in quale atmosfera si stava svolgendo pure il loro abboccamento e in che misura l'annuncio del giovane stava scuotendo e facendo traballare l'animo della sua sconsolata ed abbattuta Lerinda. A dire il vero, l'incontro tra i due stava avendo inizio proprio mentre ci conduciamo da lui. Così anche il loro discorso sull'argomento della partenza si stava aprendo nel momento in cui abbiamo raggiunto il giovane. Prima egli non aveva potuto né contattare la sua ragazza né parlarle di nessuna cosa. Quando Iveonte era giunto alla reggia, non aveva potuto abboccarsi all'istante con l'amata, poiché ella si era messa nella vasca da bagno un istante prima. Ad ogni modo, in attesa che ella si rendesse libera, egli non si era annoiato, siccome la nutrice di Lerinda gli aveva trovato il modo di trascorrere il tempo senza tediarsi. La donna, dopo aver comunicato al giovane che la principessa non si sarebbe disimpegnata prima di qualche oretta, si era ricordata che aveva da fargli un'ambasciata da parte di qualcuno, che noi ben conosciamo. Perciò gli aveva aggiunto:
«Iveonte, il cieco Croscione, ogni volta che gli porto i pasti giornalieri, continua a supplicarmi di condurti da lui, quando vieni a corte a trovare la principessa Lerinda, poiché egli desidererebbe tanto incontrarsi con te e parlarti. Tu cosa ne dici: è il caso di accontentarlo adesso, che hai più tempo a tua disposizione? Il poveretto mi fa davvero una pena commiserabile, a vederlo nelle sue attuali condizioni! Devi sapere che l'ex consigliere del re Cotuldo non è più il burbero e cattivo uomo di un tempo. Al contrario, posso garantirti che egli, dal giorno in cui è stato privato dei suoi preziosi occhi, si è del tutto trasformato spiritualmente!»
«Non sai, Telda,» le aveva risposto Iveonte «che le buone azioni che vengono da noi fatte non sono mai troppe? Sono quelle cattive che dovrebbero essere considerate molte! Perciò, dal momento che la mia visita a Croscione equivale a fare una buona azione, conducimi pure da lui. Adesso, come tu mi hai fatto presente, ho anche del tempo a disposizione e posso approfittare per fargli la visita che mi ha richiesta. Così, mentre Lerinda farà con calma il suo rilassante bagno, il quale in verità occorrerebbe anche a me, io scambierò quattro chiacchiere con l'ex braccio destro di mio cognato, il quale è stato il terrore dei ribelli.»
Raggiunta la sua stanza che si trovava in un posto appartato della reggia, essi vi entrarono senza perdere tempo; ma Iveonte la trovò scarna e quasi semibuia. Poi l'attempata donna, essendo ansiosa di presentargli il fidanzato della sua principessa, si era rivolta all'uomo non vedente timidamente e gli aveva parlato in questo modo:
«Croscione, finalmente sono riuscita a condurre da te il valoroso e retto Iveonte, come mi avevi chiesto più di una volta, quando mi è toccato servirti i pranzi e le cene, nonché ti ho portato il cambio della biancheria. Egli, accogliendo la tua supplica, è venuto a farti la visita che desideravi ricevere da lui da molto tempo. Adesso, però, vi lascio soli, siccome devo andare a servire Lerinda, la quale mi sta aspettando!»
Dopo che Telda aveva lasciato la stanza, richiudendo la porta dietro di sé, era stato Croscione a parlare per primo. Egli, aprendo il discorso, cominciò ad esprimersi così al suo ospite:
«Volevo parlarti, nobile Iveonte, per varie ragioni. Innanzitutto ti ringrazio, per non aver permesso a Korup, quel giorno, di darmi il colpo di grazia; ma anche per averlo punito, come si meritava. In quel momento, avrei pagato chissà quale somma, pur di rimpossessarmi dei miei occhi e di vederlo strisciare ai tuoi piedi, mentre lo sistemavi bene per le feste! Anche se sono convinto che il tuo intervento è sempre a favore delle vittime della prepotenza, in verità in quell'istante ti ho immaginato come il mio personale vendicatore e niente altro. Perciò, pur in quelle mie precarie condizioni, ho continuato a tifare per te con tutte le mie forze e con tutta la mia voce. L'ho fatto, fino a quando non c'è stata la morte definitiva dell'odioso Korup ad opera tua!»
«Visto che non lo ignori, Croscione, non serve ribadirti i motivi che mi spingono a combattere contro taluni miei simili. Essi sono gli stessi che mi fanno essere indifferente di fronte alla tua cecità, per la quale non provo né pietà né godimento. Forse dovrei compiacermene, per le centinaia di persone che hai fatto soffrire e piangere senza alcuna compassione. Ma sono incapace di odiare chiunque e di augurargli del male, anche se dovesse trattarsi del mio peggior nemico. Perciò preferisco dimostrargli la mia indifferenza, in luogo della mia indignazione! Dopo queste mie poche parole, hai inteso abbastanza chiaramente ciò che volevo farti intendere?»
«Certamente, valoroso Iveonte! Voglio però che anche tu sappia che io ti comprendo e ti ammiro per la tua immensa nobiltà d'animo, una virtù che solo adesso riesco ad ammirare negli altri. La qual cosa è nata in me, da quando ho imparato a distinguere il bene dal male, la giustizia dall'iniquità, l'onestà dalla disonestà, la nobiltà dall'abiezione. In passato, ho commesso un sacco di orrendi misfatti, ai danni di persone oppresse e derelitte, senza mai provare alcuna commiserazione per nessuna di loro. Le implorazioni di pietà, che da esse mi provenivano, mi sono sempre risultate indifferenti. Potrei giustificarmi e salvare le apparenze, dicendo che era il mio re Cotuldo ad ordinarmi tali delitti. Invece, oggi che sono sincero con me stesso e con gli altri, lo confesso apertamente che allora provavo un perverso piacere nel commettere le mie scelleratezze, come se in me ci fosse un innato sadismo. Oggi che sono radicalmente mutato, grazie a te, che sei un esempio di generosità e di integrità morale, me ne vergogno e le aborrisco con il più schietto pentimento! Ti prego di credermi, prode Iveonte, mentre ti confesso queste cose, poiché esse riflettono la pura verità!»
«Mi fa molto piacere, Croscione, sentirti affermare che non ti riconosci più nel carnefice di un tempo e che la tua vita è stata irraggiata dalla luce della resipiscenza. In questo caso, facendo venir meno la mia indifferenza nei tuoi riguardi, inizio a nutrire per te un sentimento più benevolo e compassionevole. Perciò, se posso fare qualcosa per te, non hai che da chiedermelo, poiché mi dichiaro interamente a tua disposizione. Inoltre, quando ti rivolgi a me, ti invito a chiamami Iveonte, senza aggiungere al mio nome nessun attributo, fosse esso di elogio o di rispetto! È mia convinzione che gli esseri umani sono tutti uguali!»
«Grazie, Iveonte, per la grande bontà d'animo e per la generosità che mi stai dimostrando! In effetti, avrei un grandissimo favore da chiederti. Esso mi arrecherebbe un immenso sollievo, se ci tieni a saperlo, nel caso che tu fossi favorevole a concedermelo!»
«Cosa vorresti da me, Croscione? Se quanto hai da chiedermi è nelle mie possibilità, stanne certo che ti accontenterò senza meno! Ma prima di prometterti qualcosa, intendo sapere cosa vorresti chiedermi.»
«Tu e i tuoi amici, Iveonte, continuate sempre a vivere fuori città, presso quell'anziano uomo che, secondo me, deve essere un vero filosofo? La mia richiesta dipenderà dalla risposta che tra poco mi avrai data su questo particolare. Allora che cosa mi rispondi, in merito alla mia domanda, che spero non ti giunga indiscreta?»
«Certamente, Croscione! I miei amici ed io abitiamo ancora dove hai detto, trovandolo un luogo assai tranquillo e salutare. Ma vuoi spiegarmi perché mi hai fatto una domanda del genere e cosa c'entra essa con il favore che dovrei farti? Me lo vuoi spiegare?»
«C'entra, Iveonte: eccome! Vorrei vivere anch'io in quel posto, promettendovi di darvi il meno fastidio possibile. Qui, tra queste quattro pareti della mia stanza, mi sento quasi ammuffire. Invece, in mezzo all'aria pura della natura, che in quel luogo potrei respirare a sazietà, mi sentirei sicuramente cento volte meglio. Sai? Abitando nel vostro campo, per me sarebbe come rinascere a nuova vita!»
«Se questa è la tua richiesta, Croscione, non ci trovo nulla in contrario, trovandola giusta e senza pretese. Ma prima di accoglierla da parte mia, dovrò sentire pure il parere delle altre persone che vi convivono con me. Non lo trovi giusto che è mio dovere domandarlo anche a loro? Essi potrebbero anche non essere d'accordo!»
«Hai perfettamente ragione, Iveonte. Adesso, però, veniamo al motivo principale, per cui ti ho fatto chiamare. Voglio avvisarti di non fidarti mai del re Cotuldo, poiché egli è di una cattiveria inemendabile ed è sempre pronto a pugnalarti alla schiena, se non vai d'accordo con lui oppure ti rifiuti di stare dalla sua parte. Sai perché aveva fatto venire il mostruoso Korup a Dorinda? Con il solo scopo di farti uccidere da lui. Infatti, intendeva sbarazzarsi di te, solo perché ti trovava molto forte ed incorruttibile. Quindi, con la scusa della sfida, tuo cognato ha tentato di condurti alla distruzione all'insaputa anche di suo fratello. Il viceré di Casunna ti ignorava del tutto, poiché Cotuldo intenzionalmente non gli aveva mai parlato di te e dei tuoi rapporti con la sorella. Quando però il nobile Raco è venuto a sapere chi tu eri realmente, ha fatto fuoco e fiamme per revocare la sfida, provocando così la rabbia di Korup. Quanto alla principessa Lerinda e al fratello viceré, essi sono di tutt'altra pasta. Di loro due, puoi fidarti ciecamente. Giammai essi deturperebbero la loro dignità con qualche azione contraria alla morale! Proprio com'era il loro saggio genitore! Adesso conosci l'intera verità sulla famiglia della tua donna. Te lo posso garantire senza ombra di dubbio!»
«Grazie, Croscione, per le tue confidenze. Ma devi sapere che già ero a conoscenza di quanto mi hai riferito sulla personalità dei tre aristocratici fratelli; mentre ignoravo tutto il resto che riguardava la sfida. A questo punto, devo lasciarti, poiché ho da incontrare urgentemente Lerinda. Poi ti farò sapere se la tua richiesta è stata accolta anche dagli altri componenti della nostra piccola comunità. Anzi, adesso che ci ripenso, essa si presenta difficilmente esaudibile, a causa di motivi che non posso rivelarti. Ti garantisco che il nostro rifiuto non scaturisce dal fatto che ce l'abbiamo con te; bensì perché la tua presenza nel nostro campo diventerebbe molto imbarazzante per tutti noi residenti. Se vi fossi presente anche tu, infatti, non potremmo più svolgervi la nostra abituale attività, la quale, poiché lo ignori, è quella di...»
A quel punto, Iveonte, troncando la sua frase, si era interrotto di botto ed aveva fatto seguire una pausa di breve riflessione, volendo nascondere a Croscione cose che non doveva assolutamente sapere. Invece l'ex consigliere del re Cotuldo, senza peli sulla lingua, aveva voluto completargli la frase interrotta, affermandogli:
«Intendevi dire "di autentici ribelli", Iveonte? Ebbene, ne sono già a conoscenza da tempo, anche se non ho mai palesato i miei sospetti al re Cotuldo. Da quando sono rimasto cieco, ho avuto modo di riflettere su tante cose, fra cui anche sul campo del vostro Celubio, fino ad avere una idea chiara su di esso e sull'attività che vi viene svolta. Forse anche il re Cotuldo sospetta qualcosa, però finge di essere all'oscuro di tutto, poiché spera sempre che tu, sposando sua sorella, passi dopo dalla sua parte. Io sono anche convinto che Celubio e Lucebio sono la medesima persona, ma anche di questo non ho mai fatto accenno al fratello della principessa Lerinda. Ti prometto, Iveonte, che, se mi permetterete di trasferirmi nel vostro campo, come prima cosa, vi chiederò di essere dei vostri, anche se non ne sono degno. Ma considerato il mio stato di cecità, non saprei come esservi utile! Allora, hai ancora bisogno di pensarci, dopo quanto ti ho chiarito sulla vostra attività? Spero di no!»
«Se le cose stanno nel modo che mi hai prospettato, Croscione,» gli aveva risposto il giovane «può darsi che il tuo desiderio diventi al più presto realizzabile. Perciò abbi fede negli dèi giusti e tieni accesa in te la speranza, la quale non deve mai morire in ciascuno di noi, finché ci resta da vivere l'ultimo istante della nostra vita!»
Iveonte, con quel suo invito all'ex braccio destro del re Cotuldo a sperare, si era congedato da lui, essendo intenzionato a raggiungere la sua fidanzata. Costei, nel frattempo, essendosi liberata da poco tempo dai suoi impegni di pulizia corporale che prima la trattenevano, lo stava già aspettando con grande ansia e con impazienza.
Una volta che il suo ragazzo le fu finalmente davanti in carne ed ossa, Lerinda innanzitutto se lo abbracciò con immensa passione e poi si affrettò a domandargli:
«Quale nuova mi porti, Iveonte, se hai scelto un'ora del mattino per farmi visita? Sono certa che qualcosa bolle in pentola, se sei venuto alla reggia a quest'ora del giorno!»
«Hai ragione, Lerinda; ma la notizia, che sono venuto a recarti, non ti giungerà allegra e neppure gradita, siccome si prevedono per entrambi ancora parecchi giorni di separazione! Comunque, dal momento che il dovere ci chiama a compiere un'altra importante missione, non si può rispondere ad esso con un diniego! Non ti pare?»
«Vuoi spiegarti meglio, amore mio, e liberarmi di questa apprensione, la quale già si è messa a farla da padrona nel mio animo? Mi dici, dunque, perché dovremmo restare separati ancora per parecchio tempo? Quale circostanza avversa ci costringe ad una separazione del genere, la quale potrà risultarci solamente crudele? Su, chiariscimi subito ogni cosa in merito, per favore, senza lasciarmi a lungo in grandissima inquietudine! Anzi, te lo ordino, se non vuoi farmi uscire di senno!»
«Francide è venuto a sapere che ha una madre, la quale si trova ad Actina. Inoltre, gli è stato comunicato che ella, da un momento all'altro, potrebbe essere uccisa dallo stesso uomo che le assassinò il marito, ossia il cognato, se egli non si precipiterà a soccorrerla in tempo. Per questo il mio amico fraterno ha deciso di partire al più presto possibile per la Città Santa. Naturalmente, io ed Astoride non possiamo lasciarlo andare da solo e fargli affrontare la difficile avventura senza di noi!»
«Scommetto, mio carissimo Iveonte, che c'entra la tua spada in questo! E non affermarmi che ho torto a pensarla così! Altrimenti sarebbe stato impossibile che venissero fuori dal nulla notizie di questo genere, tutto all'improvviso! Non è forse vero che ho ragione?»
«Infatti, Lerinda, è proprio come hai sospettato! La tua sagacia séguita a stupirmi, al pari della mia formidabile arma! Se non avessi voi due, che badate a me senza mai chiudere occhio, sarei davvero rovinato! Perciò vi ringrazio entrambe!»
«Allora, Iveonte, considerata qual è la fonte di tali notizie, la quale le rende fondate, Francide può essere certo al cento per cento che ad Actina egli ha una madre bisognosa del suo aiuto! Riguardo alla vostra partenza per tale città, amore mio, mi dici quando prevedete di farla avvenire? Comunque, per come si presentano le cose, immagino proprio che essa ci sarà molto presto, al massimo entro qualche giorno!»
«Hai ragione, Lerinda, a pensarla in questo modo! Partiremo, non appena saranno ultimati i preparativi per il viaggio, i quali verranno avviati subito dopo che Francide avrà lasciato Rindella! Noi due ci siamo messi d'accordo che sarebbe passato lui da me e poi insieme avremmo raggiunto il nostro campo. A mio avviso, nel giro di un paio di giorni, tutto dovrebbe essere pronto per la nostra partenza per la Città Santa.»
«Esattamente, Iveonte, di cosa avrete bisogno per il vostro prossimo viaggio? Io prevedo che vi occorreranno un sacco di cose, dal momento che esso sarà interminabile, considerata la lontananza che ci separa dalla Città Santa! Né può essere altrimenti!»
«Ci occorreranno un cambio di abiti e degli alimenti secchi bastevoli per un mese. A detta di Lucebio, ci vorranno una trentina di giorni per arrivare alla Città Santa, sia che venga seguito il percorso Casunna-Polca-Stiaca-Actina sia che venga fatto il percorso alternativo, ossia Casunna-Cirza-Actina. Lerinda, come puoi vedere, la nostra assenza da Dorinda avrà la durata di tre mesi. Ammesso che tutto filerà liscio!»
«Davvero dovrà passare tanto tempo, Iveonte, senza stare insieme?! Soltanto a pensarci, mi vengono già i brividi dietro la schiena e non riesco più a vivere serenamente! Sono del parere invece che bisogna fare qualcosa, al fine di ridurre i tempi della nostra separazione. Tre mesi sono troppi e non saprei come trascorrerli, senza impazzire oppure senza morire di tristezza! Tu hai qualche idea per far durare meno la nostra lontananza, la quale ridurrebbe anche il nostro mal d'amore?»
«Quale idea dovrei avere, mia cara, visto che nessuno può averne nel nostro caso? La distanza è quella che è e noi non abbiamo le ali per superarla volando, la qual cosa sarebbe il solo modo di accorciare il tempo della nostra separazione. Oppure tu ne conosci un altro per accorciarlo? Ma non mi stupirei affatto, se tu dicessi di conoscerlo oppure te ne inventassi qualcuno con la fervida fantasia che ti ritrovi!»
«Certo che lo conosco, Iveonte; ma senza ricorrere alla fantasia! Hai forse dimenticato che non bisogna mai disperare, come mi dici sempre tu? Ti garantisco che esso, se proprio non renderà più corto il nostro viaggio, di certo ci permetterà di ridurre di un quarto la durata della nostra separazione. Perciò, se anche Francide sarà d'accordo, la stessa cosa varrà anche per lui e per la sua cara Rindella! Te lo assicuro!»
«Dici davvero, mia dolce Lerinda?! Vuoi dirmi cosa proponi per operare un simile miracolo? Se sul serio hai ragione, amore mio, ti riempirò di baci e di carezze a non finire! Perciò sbrìgati a riferirmi ciò che suggeriresti per conseguire tale prezioso obiettivo!»
«Non si tratta di nessun miracolo, Iveonte, se ci tieni a saperlo! Con il consenso di voi uomini, verremo con voi anch'io, Rindella e la mia nutrice fino a Casunna, dove mio fratello sarà ben lieto di ospitarci nel suo lussuoso palazzo reale. Il giorno dopo, mentre noi donne resteremo a Casunna ad aspettarvi al vostro ritorno dalla Città Santa, voi uomini proseguirete il vostro viaggio alla volta di Actina. Nella mia città natale, sarà mio fratello ad indicarvi il percorso più conveniente da seguire. Così non sarà necessario sovraccaricarvi di troppa roba già da Dorinda. Raco, quando riprenderete il vostro viaggio da Casunna, si farà in quattro per rifornirvi di tutto l'occorrente che dovrà farvi raggiungere la meta con meno disagi possibili. Allora cosa ne pensi della mia brillante proposta, tesoruccio mio, adesso che l'hai appresa con occhi luccicanti?»
«Essa, strabiliandomi, mi ha senz'altro convinto, Lerinda. Perciò, da questo momento tu e Telda potete già cominciare a prepararvi a partire insieme con noi. Se il mio amico Francide sarà dello stesso avviso, si unirà anche la sua Rindella alla nostra compagnia. Sei soddisfatta adesso, amore mio, per averti dato subito retta? Naturalmente, perché la tua è stata una magnifica idea!»
«Altroché, mio amato Iveonte! Sento già la felicità far festa di nuovo dentro il mio cuore; anzi, essa mi sta uscendo perfino dai pori, al pensiero che resteremo lontani meno di quanto avevo immaginato all'inizio! Ti ringrazio, amore mio, per avere accettato la mia proposta!»
Dopo la sua esclamazione assenziente, la ragazza si diede a prodigare al giovane calorosi abbracci e focosi baci. Comportandosi in tale maniera, ella intendeva esprimergli l'intera sua gratitudine, per il fatto che Iveonte le aveva permesso di seguirlo fino alla sua lontana città nativa, che era Casunna. Nel frattempo, nella reggia le ore trascorrevano molto rapide, senza che Francide si facesse vivo, attardandosi molto nel raggiungere l'amico nella reggia. Giunto poi mezzogiorno, Lerinda, mostrandosi dubbiosa, domandò al suo ragazzo:
«Ne sei certo, Iveonte, che doveva essere Francide a passare da te e non tu da lui? Secondo me, questa volta vi siete compresi male, se egli ci mette così tanto ad arrivare! Comincio proprio a convincermi che dovevi essere tu a passare da lui. Scommettiamo che è come ti ho appena fatto presente io e non come hai dichiarato tu?»
«Invece, Lerinda, sono più che certo che non c'è stato alcun malinteso fra me e il mio amico. Comunque, la tua scommessa è del tutto fuori luogo! Invece il suo ritardo inizia ad impensierirmi davvero, poiché lo attribuisco a qualcosa di serio che gli sarà capitato, mentre mi raggiungeva oppure addirittura nel palazzo di Sosimo!»
Fu proprio mentre essi parlavano di lui che Telda si presentò a loro due. Ella venne ad annunciare ad Iveonte che il suo amico Francide era arrivato. Egli non aveva voluto raggiungerlo a corte; ma aveva lasciato detto che lo avrebbe aspettato all'esterno della reggia. Nel riferire il messaggio del giovane ritardatario, la matura donna non si astenne dal fare il seguente commento su di lui:
«Mamma mia, Iveonte, che faccia aveva il tuo caro compagno! Ti posso garantire che, quando mi si è presentato, egli aveva un diavolo per capello, tanto era adirato e scuro in volto! Vorrei proprio venire a sapere che cosa mai gli sarà accaduto poco prima oppure addirittura presso la sua bella Rindella!»
Le parole della nutrice suscitarono molto stupore nei due innamorati, i quali poterono solo rammaricarsene. Essi erano abituati a vedersi davanti un Francide sempre abbastanza gioviale, ma soprattutto incline ad ogni forma di allegria e di spensieratezza. Quando poi Iveonte ebbe raggiunto l'amico davanti alla reggia, giustamente non si trattenne dall'assalirlo con alquanto sgarbo, mentre non la smetteva di parlargli così:
«Francide, è questo il modo di comportarti?! Da quando hai dimenticato le buone maniere?! Non sei venuto neppure a salutare Lerinda, la quale ti stava aspettando per proporti qualcosa, che riguardava te e Rindella. Mi vuoi dire dove sei stato in tutto questo tempo?! Non eravamo rimasti d'accordo che ci saremmo dovuti sbrigare con le nostre donne? Invece ti sei presentato alla reggia a mezzogiorno e senza neppure farti vedere di persona, mancando in questo modo di riguardo alla mia ragazza! In nessun modo, puoi reputare questo tuo assurdo comportamento adatto a dei veri gentiluomini! Insomma cosa ti è successo, intanto che ti attendevo presso la mia ragazza? Vuoi riferirmelo?»
«È vero, Iveonte, ho sbagliato di grosso nei confronti della principessa Lerinda e me ne scuso moltissimo. Ma in questo momento non rispondo delle mie azioni, infuriato come sono, per aver litigato con la mia Rindella! Amico mio fraterno, ti chiedo di comprendermi e di aiutarmi a superare questa mia crisi attuale, la quale mi auguro sia solamente passeggera! Se dovesse risultare duratura, forse potrei anche morire di crepacuore!»
«Vuol dire che farai le scuse personalmente alla mia ragazza al prossimo incontro con lei, considerato che esso ci sarà molto presto! Adesso, Francide, vuoi raccontarmi i motivi che hanno dato luogo al litigio tra te e Rindella? Che cosa mai di così grave può essere successo fra voi due, per avervi spinti a litigare così di brutto? Conoscendovi entrambi, non riesco ad immaginare neppure lontanamente qualcosa a tale riguardo!»
«In questo momento, Iveonte, preferisco non parlartene, siccome non me la sento di farlo. Quando saremo al campo e mi sarò calmato un poco, soltanto allora mi sfogherò con te del mio male interiore! Ti prometto, amico mio, che lo farò senz'altro, anche perché creperei, se non lo facessi! Allora vuoi essere così paziente ed attendere fino a quel momento? Te lo chiedo per la nostra fraterna amicizia.»
«Va bene, Francide, saprò aspettare! Comunque, conoscendo benissimo Rindella, sono molto sicuro che si è trattato di futili motivi, che poi la tua fantasia, senza accorgersene, avrà ingigantiti in maniera abnorme! Nel contempo, però, amico mio, cerca di ragionarci sopra con moltissima calma, per comprendere dove hai sbagliato!»
«Può darsi, Iveonte, che sia stato come tu hai detto; ma come ti ho fatto presente prima, non intendo parlare del nostro litigio in questo momento. Ora desidero soltanto dimenticare, poiché non mi va affatto di rimestare un fatto ancora fresco. Il quale, a ricordarlo, può solo causarmi angoscia e dissapore. Dunque, lasciamo perdere, facciamo come se non fosse accaduto niente, anche se ho la testa che mi rimbomba e il cuore che mi si è ridotto a brandelli. Ma non voglio che si pensi a me, almeno in questo istante, siccome desidero soltanto stare in pace con me stesso, ossia essere lasciato a cuocere nel mio brodo. Nel nostro campo, può darsi che la situazione si ribalterà e allora sarò un altro me stesso, pronto ad appagare le premure del mio migliore amico. Il quale giustamente vuole elargirmi il suo aiuto a qualsiasi costo!»
«Se questa è la tua volontà, Francide, non preoccuparti per me! Ti garantisco che non ti darò più alcun fastidio, intanto che faremo ritorno al nostro campo. Anzi, adesso smetto all'istante ogni mio tentativo di spingerti a ragionare e di farti ritornare ad essere il vero te stesso, quello che è sempre stato tutto brio ed allegria!»