192-LIASEN, LA FANCIULLA BRACCATA DAI KATUROS
Un giorno, nel tardo pomeriggio, Francide, il quale si era congedato da poco dalla sua Rindella, stava ritornando al campo dei ribelli per raggiungere Lucebio e i suoi due amici. Dopo essere uscito di città in groppa al suo destriero, adesso se ne era già allontanato di una decina di miglia; invece quelle che lo separavano ancora dal campo erano circa cinque. Mentre avanzava di gran carriera, egli scorse sulla sua mano destra una fanciulla, la quale, stando seminuda sul proprio cavallo, correva a spron battuto nella sua direzione. Ma ancor prima che la ragazza lo raggiungesse e gli tagliasse la strada, precisamente ad un centinaio di metri da lui, il giovane vide la bestia di lei stramazzare al suolo. Essendo crollata di colpo, essa costrinse pure la propria cavalcatrice a rovinare al suolo, facendole subire un brutto ruzzolone. La caduta, ad una prima occhiata, era parsa non averle arrecato alcun danno fisico di una certa gravità. Invece, una volta a terra, ella si era ritrovata con un corpo ridotto assai male; anzi, non riusciva a rialzarsi da terra, azione che al contrario aveva eseguito facilmente la sua bestia. La quale, per sua fortuna, non aveva riportato alcuna frattura né agli arti né in altra parte del corpo.
A quell'episodio commiserevole, all'istante Francide arrestò il proprio cavallo; ma dopo lo fece deviare sul suo lato destro, essendo intenzionato a soccorrere la poveretta. Raggiuntala, egli subito si rese conto che anche la fanciulla, come il suo cavallo, non presentava nessuna grave ferita che potesse impensierirla sul serio; anche se si notavano sul suo corpo alcuni lividi, diverse escoriazioni e qualche tumefazione qua e là. Per questo, anche se talune sue parti accusavano degli indolenzimenti dovuti al grosso capitombolo a cui era andata incontro un attimo prima, ella non emetteva dei lamenti di dolore, che potessero far preoccupare il suo soccorritore. Allora Francide dovette aiutarla a mettersi in piedi e a reggersi bene al proprio braccio. Quando infine ebbe portato a termine il suo soccorso umanitario a favore della sventurata, guardandola poi bene negli occhi, egli si convinse di avere di fronte una ragazza oltremodo spaventata. La quale sua convinzione lo spinse a domandarsi se qualcuno o qualcosa l'avesse atterrita così enormemente, per cui adesso continuava a suscitare in lei uno sgomento terribile. Di certo non poteva essere stato lui a trasmetterglielo, dal momento che le era stato soltanto di aiuto, con il suo subitaneo e filantropico intervento.
Poco dopo, il giovane si avvide che la gracile fanciulla seguitava a lanciare occhiate di paura verso quella parte, dalla quale era arrivata a tutta velocità. Anzi, come si rendeva conto, ella dava l'impressione che temesse di scorgervi qualcuno in arrivo, che forse prima la stava inseguendo. A quel suo atteggiamento timoroso, Francide le domandò:
«Mi dici, bella fanciulla, perché correvi a rotta di collo con il tuo cavallo, il quale, essendo stremato per la troppa fatica, non ce la faceva più a galoppare? Considerato poi che ti mostri ancora in preda allo spavento, che non ti passa, sono propenso a credere che tu stia scappando da qualche molestatore, che si era dato ad inseguirti! Ma ti assicuro che, essendo tu adesso insieme con me, non c'è più motivo di seguitare ad essere terrorizzata, come continui a fare tuttora. Sotto la mia protezione, puoi stare tranquilla, per cui ti invito a non pensare più ad alcuna esperienza negativa del recente passato! Già, stavo per dimenticarmi di dirti che il mio nome è Francide e vorrei conoscere anche quello tuo, per poterlo poi usare, quando parlo con te. Allora ti decidi a dirmelo?»
In un primo momento, la giovane sconosciuta, sempre restando nella sua cappa di piombo, che le faceva strabuzzare gli occhi e la presentava succube del terrore, non si azzardava ad esprimersi a chi l'aveva soccorsa. In verità, non perché non si fidava del giovane, ma per il semplice fatto che aveva paura di trascinare pure lui nella stessa disgrazia in cui si trovava lei. Quando infine Francide le fece comprendere che egli non l'avrebbe mollata, fino a quando ella non si fosse aperta a lui, allora la sconosciuta si decise a rispondergli con molta franchezza. Perciò, superando ogni giustificata ritrosia, si diede a riferirgli:
«Io mi chiamo Liasen e provengo dalla Durkoia. In questo momento, sto scappando dalla mia terra natia e, probabilmente, vengo inseguita da un gruppo di Katuros. I quali, poiché sono fuggita da loro, vorranno riportarmi indietro e farmela pagare caramente! Perciò faresti meglio a stare alla larga da me, finché ci sono ancora dei margini di salvezza.»
«Perché mai, Liasen, sei stata costretta ad abbandonare la tua terra in fretta e furia? E chi sarebbero poi questi tuoi inseguitori, che credo non siano dei tuoi conterranei? Se ti decidi a dare una risposta ad ogni mia domanda, te ne sarò assai grato, bella fanciulla! Almeno in questo modo verrò a sapere quale pericolo viene da te temuto e se posso aiutarti. Né ti devi preoccupare per la mia vita, poiché io so difenderla da me in una maniera che poco sanno fare, essendo essa esemplare!»
«Hai ragione, Francide, a non ritenere i Katuros abitanti della mia stessa terra, poiché questi ultimi si chiamano Durkoiesi, come lo sono anch'io. Comunque, non è semplice soddisfare le tue richieste con poche parole. Per venire a conoscenza di entrambe le cose, dovresti sottoporti all'ascolto di un mio racconto abbastanza lungo, il quale richiederebbe molto tempo. Esso potrebbe perfino annoiarti e stancarti parecchio!»
«Non preoccuparti per me, Liasen, poiché ascolterò volentieri tutto quanto vorrai raccontarmi. Dopo, se sarà necessario che io intervenga in tuo aiuto, lo farò con immenso piacere, abituato come sono a difendere i deboli dai prepotenti. Quindi, ti conviene iniziare a narrarmi ogni cosa relativa alla tua storia, essendo certo che la tua narrazione verrà a riguardare anche il tuo popolo. Non è forse vero che ho ragione?»
«Invece ci ho ripensato, Francide: non ti racconterò un bel niente sia di me che della mia gente. Se lo facessi, metterei pure te nelle grane. Perciò permettimi di allontanarmi da questo luogo, poiché non voglio che i Katuros mi trovino qui in tua compagnia, facendoti trovare in cattive acque. Se continuo a darmi alla fuga, è possibile che io riesca a seminarli. Anzi, mi faresti un grande favore, se scambiassimo i nostri cavalli. Così, con un cavallo non del tutto stanco come il mio, riuscirei a guadagnare un certo vantaggio su di loro! Non lo pensi anche tu?»
«Certo che lo penso, Liasen; però sognatelo, perché quanto mi suggerisci non accadrà mai! Adesso che vieni protetta da me, nessuno mai sarà in grado di farti del male. Perciò ora verrai via con me in un posto sicuro, dove ti farò anche conoscere i miei amici Iveonte e Astoride, oltre che il saggio Lucebio. Ti sono stato chiaro, dolce fanciulla?»
«Bella idea è la tua, Francide! Se mi obblighi a venire con te, metterai in guai seri anche altre persone estranee, facendo rischiare la vita anche a loro. È questo che vuoi ottenere, dando retta alla tua incoscienza? Per favore, consentimi di andare via da sola, poiché voglio evitare che con me muoiano pure altre persone, che non c'entrano in questa vicenda!»
«Non preoccuparti per me e per i miei amici, Liasen, siccome non esiste pericolo che possa intimorirci! Inoltre, una volta che saremo nel nostro campo, con il mio amico Iveonte presente, nemmeno degli esseri soprannaturali potrebbero darci pensiero in qualche modo oppure arrecarci anche il più piccolo male, poiché egli sarebbe in grado di sconfiggerli senza la minima difficoltà! Mi sono spiegato adesso?»
«Parli in questo modo, Francide, perché non conosci i Katuros! Inoltre, non credo a quanto hai affermato sul tuo amico Iveonte, visto che nessun essere umano può affrontare delle divinità. Invece le diaboliche creature, che infestano il mio villaggio e terrorizzano i suoi abitanti, sono degli esseri reali. Essi di sicuro vi farebbero pentire amaramente, per avermi dato ricetto e per averli sfidati! Allora ti decidi a comprendermi?»
«Anche tu, Liasen, parli così, solo perché ignori completamente i prodigi che Iveonte ed io riusciamo a fare nell'uso delle armi e nelle arti marziali. Così pure non puoi immaginare le grandi imprese compiute dal mio amico tanto contro le persone protette dalle Forze del Male, quanto contro alcuni mostri, che erano creature infernali create da divinità!»
Francide ebbe appena finito di ribattere le argomentazioni della ragazza, allorquando si erano scorti a ponente dieci cavalli, che si affrettavano ad avvicinarsi a loro due. Essi erano cavalcati da esseri, dei quali per il momento si riusciva ad intravedersi soltanto le sagome, non potendosi ancora distinguere nitidamente i loro volti. Quando infine la loro vicinanza divenne tale da mostrarli nella loro reale fisionomia, il giovane si rese conto che i cavalcatori delle bestie equine non somigliavano affatto a delle persone, ma si presentavano con un aspetto assai diverso. Volendo farne una descrizione fedele, dobbiamo essere preparati a prefigurarceli in una ottica differente. La quale può solo discostarsi moltissimo dall'umano concepire, anche se in essa il bestiale non viene ad avere una perfetta collocazione. Insomma, entrambe le specie, ossia quella umana e quella animale, vi venivano ad avere la loro parte. Ma tra loro due, non era possibile segnare i confini, appunto per comprendere senza errori dove finisse la prima e dove avesse inizio la seconda. Senza dubbio, tanto il loro volto, quanto l'intero loro corpo avevano una parvenza scimmiesca; però essa in loro evidenziava uno sguardo feroce ed orribile. Pareva che una repentina minaccia volesse venir fuori dai loro occhi in ogni momento, al fine di concretizzarsi su chiunque non godesse la loro simpatia! Logicamente, risultava impossibile calcolarne il grado di pericolosità, giudicandoli dal solo loro aspetto fisico, tanto più che essi non facevano uso delle armi. Al posto delle mani, invece, avevano cinque possenti artigli uguali a quelli degli uccelli; ma erano enormemente più grandi, dei quali non si poteva fare una valutazione circa la potenza fisica. In riferimento alla loro altezza, fu possibile misurarla ad occhio nudo, soltanto dopo che quella specie di ominidi a deambulazione verticale abbandonarono la groppa dei loro cavalli ed iniziarono ad avanzare a piedi verso i due giovani. Ebbene, una volta che essi si furono presentati a busto eretto, intanto che si dirigevano verso il giovane e la ragazza, essa poté finalmente essere stimata intorno ai centottanta centimetri, se non di più.
Dopo essersi avvicinati fino ad una ventina di passi da loro due, essi si arrestarono. Allora, mentre quelli se ne restavano immoti, da parte sua, Liasen si diede a gridare al suo soccorritore:
«Francide, sono i Katuros, quelli che mi inseguivano! Essi sono venuti a prendermi per portarmi via con loro. Se ti riesce di farlo, salta immediatamente sul tuo cavallo e scappa via di corsa! Può darsi che così i miei inseguitori neppure ti prendano in considerazione, per cui potrai cavartela senza nemmeno un graffio! Oramai il mio destino è segnato e dovrò rassegnarmi all'avversa fatalità, avendo essa deciso in tal modo! Ma non ci posso fare niente!»
«Ti avevo già promesso prima, Liasen, che non avrei permesso a nessuno di arrecarti del male. E così sarà! Credi forse che quegli scimmioni mi spaventino? Hai senz'altro torto a pensare una cosa simile di me, poiché tra poco passerò a dargli una lezione che non immagini neanche! Adesso te lo dimostrerò con i fatti!»
Poco dopo, vedendo che quelli avevano ripreso ad avanzare verso loro due, Francide in un attimo impugnò la sua spada. Oramai egli sul serio aveva intenzione di riceverli nel modo che si meritavano, ossia come degli invisi prepotenti. Da parte loro, i Katuros, con passi studiati, cercavano di accerchiarlo; intanto che il giovane faceva balenare la sua arma nell'aria, pronto a trafiggerli durante il loro assalto brutale. Ben presto, però, egli comprese che la sua tecnica schermistica, da sola, non gli sarebbe bastata contro quegli esseri spaventosi. Per sconfiggerli, occorreva mettere in campo anche la sua straordinaria perizia nelle arti marziali, siccome unicamente con essa sarebbe sfuggito alla pericolosità dei loro artigli, i quali rappresentavano delle temibili armi.
All'inizio, soltanto due Katuros cercarono di aggredirlo, essendo convinti che da soli sarebbero stati più che sufficienti per agguantarlo ed immobilizzarlo, per poi renderlo vittima delle loro crudeli sevizie. Perciò, quando furono a cinque metri di distanza dal giovane, essi si lanciarono quasi volando contro di lui, facendolo con una rapidità impressionante. Ma Francide, grazie alla sua prontezza di riflessi, trovò il modo e il tempo di decapitarne uno; mentre evitò l'altro con un salto verso l'alto. Nel riportarsi poi alla sua posizione iniziale, con un magistrale colpo, spaccò in due il cranio del secondo avversario, ossia di quello che prima era rimasto illeso. Con quella sua reazione istantanea ed efficace, il giovane riuscì per il momento a neutralizzare e a rendere inefficace quella che sarebbe dovuta essere, da parte dei suoi avversari, un'azione tesa principalmente a bloccarlo e ad immobilizzarlo. Allora, dopo la controffensiva messa in campo da Francide con una indiscussa professionalità, i restanti otto Katuros presero atto che avevano di fronte un vero osso duro. Per cui, se volevano sconfiggerlo con il loro secondo assalto, bisognava condurlo contro di lui tutti insieme e non più ricorrendo a gruppi disgiunti. Secondo loro, la simultaneità dei loro attacchi avrebbe facilmente avuto ragione del loro avversario, pur mostrandosi egli un professionista delle armi e delle arti marziali.
La prima valutazione del giovane da parte dei Katuros era da considerarsi scevra di errori o rivelava una patente sottostima nei confronti dell'avversario? Un fatto del genere bisognava ancora appurarlo meglio. Ma a palesarci la verità, sarebbe stato lo scontro che stava per aversi furioso, siccome esso si faceva prevedere imminente e ciclonico. Quanto alla ragazza, sebbene avesse gradito sommamente il saggio dell'abilità schermistica posta in essere da Francide, non si sentiva ancora sicura che egli l'avrebbe spuntata anche contro i restanti suoi avversari. A suo parere, essi, dopo aver assistito all'eccidio dei loro due compagni, avrebbero cambiato tattica, intervenendo in massa contro il giovane. Ella era persuasa che, se solo uno di loro fosse riuscito a ghermirlo con i suoi artigli, il proprio difensore non sarebbe sopravvissuto alla loro azione demolitrice. Infatti, essi sarebbero stati in grado di affondare nel suo corpo come pugnali acuminati, riducendolo in brandelli sanguinolenti.
Poco dopo, una volta iniziata l'azione combinata degli otto Katuros, i quali si erano dati ad effettuarla con balzi scattanti, toccò al giovane districarsi da quella situazione assai ardua, barcamenandosi nel modo più appropriato possibile. Da una parte, egli si difendeva con il ricorso alle armi marziali, sfuggendo in tal modo ai vari tentativi di presa condotti dai nemici contro il suo corpo. Dall'altra, invece, si dimostrava pericolosamente offensivo con la sua inimitabile scherma. Perciò, in quello scontro inusuale, nel quale si ritrovava ad ingaggiare un diverso tipo di combattimento con esseri animaleschi ed efferati, Francide fu costretto a mettere in campo il meglio della sua preparazione nelle arti marziali. Nell'applicarle a pieno ritmo, il suo corpo si presentava in continuo movimento, per cui a volte appariva attaccante o guizzante; altre volte, invece, si mostrava in volo o rasente il suolo. Soprattutto diveniva sfuggente ed imprendibile, oltre che implacabile, nel portare a segno certi suoi colpi mutilanti e mortali. I quali, per colpirli nei loro organi vitali, approfittavano di continuo di una leggerezza oppure di una distrazione dei suoi assalitori. Alla fine ogni terribile Katuros ebbe il fatto suo e crepò a causa delle numerose ferite riportate sul corpo, poiché esse risultarono multiple, profonde e sanguinanti, prima di diventare mortali.
Una volta eliminati i dieci Katuros, i quali adesso giacevano al suolo ridotti molto male, Francide parlò alla ragazza in questo modo:
«Credi ancora, Liasen, che io non sia in grado di difenderti da qualunque pericolo dovesse capitarti? Oppure hai cambiato completamente opinione nei miei confronti e mostri più fiducia verso la mia persona? Avanti, per favore palesami con sincerità ciò che adesso stai pensando di me, se non vuoi che io mi offenda!»
«Come potrei continuare a dubitare di te, Francide, dopo che mi hai dimostrato di avere una inusitata prodezza? Grazie, per non aver permesso al gruppo dei Katuros di catturarmi e di condurmi via con loro, perché così mi hai strappata ad un destino spietato, che non auguro a nessuna donna. A questo punto, se ci tieni ancora a farlo, vorrei che tu mi conducessi nel luogo dove si trovano i tuoi amici. Lì essi, oltre ad offrirmi la loro amicizia, sono convinta che vorranno anche sfamarmi con un ottimo pasto, siccome sono digiuna da parecchi giorni e sto soffrendo di molti languori di stomaco!»
«Ti garantisco che su questo non ci piove, Liasen! I miei tre amici non sono dei pitocchi e la loro generosità è proverbiale. Quando si troveranno davanti alla tua paurosa gracilità, si metteranno subito all'opera per farti rimettere in sesto. Perciò ci conviene raggiungerli al più presto, anche perché il buio pesto è già in arrivo per annerire ogni cosa!»
Una volta che si furono messi in cammino, Francide e Liasen, strada facendo, a un tratto furono sorpresi da un nubifragio, per difendersi dal quale furono obbligati a ripararsi sotto una quercia secolare. Il giovane aveva deciso in tal senso, unicamente perché il fortunale non si stava manifestando con ripetuti lampeggiamenti. Sia lui che l'amico fraterno Iveonte erano stati istruiti dal loro Babbomeo che, quando il temporale era accompagnato da fulmini, nel modo più assoluto non andava evitata la pioggia, rifugiandosi sotto la chioma di un albero. Se essi lo avessero fatto, avrebbero corso il pericolo della visita di qualcuno di loro, che, oltre ad incendiare l'albero, avrebbe anche folgorato loro stessi, facendoli morire di colpo. Comunque, la pioggia battente fu breve, poiché smise di piovere, prima che l'imbrunire calasse totalmente.
Dopo che furono giunti al campo, Francide, fatte le dovute presentazioni, pregò i suoi due amici e Lucebio di fare domande alla ragazza, solo dopo che ella si fosse ben nutrita, a causa del suo digiuno prolungato. A pranzo avvenuto, però, a cominciare da lui stesso, tutti vollero che Liasen li informasse della propria storia e di quella del suo popolo. Allora ella, con un groppo alla gola, incominciò a riferire ai suoi quattro ascoltatori entrambe le storie, esattamente come da loro richiesto.