191-GLI EX REGNANTI SPARISCONO DAL CARCERE DI DORINDA

Gli amori tra Iveonte e Lerinda, così pure quelli tra Francide e Rindella, procedevano a gonfie vele, senza che qualche intoppo di qualsiasi genere venisse ad essere loro di intralcio. Oramai i quattro giovani innamorati vivevano la loro passione amorosa con la massima soddisfazione, attingendo da essa le migliori delizie e le gioie più insperate. Al riguardo, nessuno di loro due poteva lamentarsi per qualche motivo, siccome ciascuno si considerava massimamente baciato dalla fortuna.

Fu un pomeriggio di una splendida giornata di sole che Iveonte, com'era abituato a fare a giorni alterni, si recò a trovare la sua Lerinda, allo scopo di rivivere insieme con lei i soliti momenti felici. Quel giorno, approfittando di una ennesima andata a Casunna di suo fratello Cotuldo, egli si propose di visitare ancora i reparti carcerari. Il giovane desiderava incontrarsi con gli ex regnanti di Dorinda, poiché la volta precedente non aveva avuto modo di scambiare nemmeno una parola con loro. Ne era stato la causa il misterioso fenomeno che lo aveva investito improvvisamente, il quale gli aveva perfino fatto perdere i sensi, mentre si trovava nel carcere. Adesso Iveonte intendeva farlo per due motivi importanti: primo, lo avvertiva dentro di sé come una esigenza irrinunciabile; secondo, dopo avere avuto l'incontro con loro, ne avrebbe parlato con Lucebio. Infatti, egli era persuaso che la sua visita agli ex regnanti di Dorinda avrebbe fatto cosa molto gradita al saggio uomo.

Così, una volta superata la iniziale resistenza che la sua preoccupata Lerinda aveva opposta alla repentina volontà da lui manifestata, alla fine Iveonte la convinse ad accontentarlo. In verità, ella si era mostrata contraria soltanto perché temeva che gli potesse succedere la stessa cosa della volta scorsa. Quanto alle guardie carcerarie, esse non fecero alcuna opposizione alla loro richiesta di volere ancora visitare i numerosi detenuti del carcere. Da parte loro, infatti, non ci furono obiezioni, tenuto conto del fatto che i due richiedenti erano persone di altissima considerazione, essendo l'una la sorella del sovrano e l'altro colui che aveva sconfitto il Talpok. Perciò i due giovani poterono dare inizio alla loro visita carceraria, la quale, più che l'interesse per gli altri reclusi, aveva come esclusivo obiettivo l'incontro con l'ex re Cloronte e con la sua consorte regina Elinnia. Invece, contrariamente alle loro previsioni, quel giorno il loro desiderio di incontrarli non poté essere appagato per una semplice ragione. Sia il re che la regina erano misteriosamente spariti dalla cella nella quale si sarebbero dovuti trovare, come era stato sempre da anni. Allora la scomparsa dei due ex regnanti dalla loro cella fece preoccupare molto i due innamorati. Anzi, li fece perfino spaventare parecchio, poiché temettero che gli fosse accaduto qualcosa di spaventoso. A quella evenienza inattesa, da loro non gradita, la principessa Lerinda chiamò presso di sé uno dei carcerieri che erano di turno quel giorno nelle carceri. Mostrandogli poi la cella in questione, gli chiese che fine avessero fatto i due anziani carcerati che l'occupavano. Alla domanda della sorella del sovrano, il secondino le rispose in modo vago, usando queste testuali parole:

«Personalmente, non ne so niente, nobile principessa; ma posso assicurarti che è trascorso oltre un trimestre, da quando essi non vi sono più rinchiusi, per essere stati trasferiti altrove. Un mattino, dopo aver ripreso servizio, un mio collega, che aveva appena smesso il turno di notte, mi fece presente che nella nottata si era presentato nelle carceri l'illustre Croscione in persona. Egli, scortato da una decina dei suoi soldati, era venuto a prelevare i due reclusi per condurli via. Da quel giorno, i due anziani coniugi non hanno più fatto ritorno nei reparti carcerari. Ma posso garantirvi che essi, a parte il loro stato di salute debilitato, fino a quel momento non avevano accusato alcuna grave forma di malattia. Perciò le ragioni del loro trasferimento in altro luogo dovettero essere ben altre. E siccome non le ho mai conosciute, non sono in grado di riferirvele.»

La sparizione degli ex regnanti di Dorinda dalla loro cella rese sconsolati Iveonte e Lerinda, i quali, mentre se ne allontanavano, si andavano domandando perché mai li avessero condotti via, trasferendoli altrove. In pari tempo, si auguravano che il loro allontanamento dalla loro cella non fosse stato operato per qualcosa di terribilmente funesto. Conoscendosi il re Cotuldo, si poteva immaginare ogni cosa a tale riguardo; ma entrambi preferirono pensare che si fosse trattato di uno spostamento dettato da una semplice precauzione e non da qualcosa che potesse far pensare tristemente all'evento. Una volta che si furono ritrovati del tutto soli nel reparto personale della principessa Lerinda, siccome la nutrice Telda se n'era allontanata da poco tempo, la ragazza si mostrava tremendamente allarmata. Perciò provò a chiedere al suo caro amato:

«Mi dici, Iveonte, cosa ne pensi del trasferimento dalla loro cella del re Cloronte e della regina Elinnia in altro posto? Ad esserti franca, mi frullano per la testa soltanto pensieri lugubri! Ma spero che mi stia agitando per nulla e che ai due coniugi regali non sia successo alcunché di irreparabile! Tu, invece, amore mio, quale idea ti sei fatta, in relazione al nuovo provvedimento preso da mio fratello? In merito alla vicenda, ci tengo a conoscere soprattutto la tua opinione!»

«Anch'io sono perplesso sull'accaduto, Lerinda, siccome il loro allontanamento dalla loro cella mi sembra molto strana. A ogni modo, sono propenso a credere che non sia stato fatto alcun male ai due poveretti. Secondo me, la cosa migliore è quella di informarne al più presto Lucebio. Perciò mi tocca correre dal savio uomo e parlarne con lui, se voglio arrivare a qualche conclusione più probabile. Ed è proprio ciò che farò adesso, senza perdere un attimo di tempo!»

Dopo aver risposto alla sua donna in ansia ed averla caldamente salutata, Iveonte abbandonò subito la reggia. Quando poi pervenne al campo dei ribelli, in quel luogo trovò il suo vegliardo amico che era impegnato nell'altra sua passione, la quale era quella di dedicarsi al suo orto. In esso, egli riusciva a coltivare ortaggi ed alcune piante aromatiche assai utili nella preparazione delle varie pietanze. Infatti, quando l'uomo non faceva lavorare la sua mente, gli piaceva star dietro al suo prezioso campicello per seminarvi i peperoni, le melanzane, le patate, le cipolle, l'aglio ed altri ortaggi utili alla cucina.

Vedendoselo arrivare prima del solito, diversamente dai suoi compagni che non erano ancora rientrati, Lucebio comprese che al giovane era capitato qualcosa di increscioso. Anche perché glielo si leggeva perfino sul volto. La qual cosa lo costrinse a lasciare il suo lavoro campestre. Dopo averlo raggiunto, il saggio uomo non esitò a domandargli:

«Mi dici, Iveonte, quale brutta nuova sei venuto a recarmi? E poi come è possibile che possano capitare proprio a te cose talmente terribili da impensierirti nella maniera che il tuo volto mi palesa? Oramai sono abituato a credere che niente e nessuno potrebbe spuntarla contro di te. Perciò mi metti a conoscenza di ciò che nella reggia ti è capitato di molto strano? L'avvenimento ti ha reso perfino agitato, come appari!»

«Lucebio, reggiti forte e prepàrati a ricevere una brutta notizia! Nelle carceri è successo qualcosa che ti procurerà molto dispiacere! Riguardo ad esso, non ho potuto fare niente per evitarlo, considerato che il fatto era accaduto già molto tempo prima che venissi a saperlo! Lo abbiamo scoperto stamani io e la mia ragazza, quando siamo andati a fare una nuova visita al tuo amico re Cloronte e alla sua consorte. Ero così felice di incontrarli e di riferirti in seguito quanto c'era stato tra di noi! Invece il mio desiderio è rimasto inappagato. Adesso comprendi dove voglio arrivare, amico mio?»

«Non può assolutamente essere vero quanto vuoi farmi intendere, Iveonte, perché il destino del re Cloronte è ben altro, a meno che tu non lo abbia visto morto con i tuoi stessi occhi! L'oniromante Virco vaticinò che egli sarebbe sopravvissuto alla sua prigionia ed avrebbe anche abdicato in favore del suo primogenito. E così sarà!»

«In verità, Lucebio, non sono venuto ad annunciarti che essi sono stati uccisi, per avere qualcuno scorto i cadaveri degli ex regnanti di Dorinda. Anche se una supposizione del genere c'è stata in noi, volevo solamente rapportarti che non li abbiamo più trovati nella cella in cui si trovavano l'altra volta. Quindi, dovrai essere tu a valutare il caso e a congetturare sulla loro probabile scomparsa, in modo che le tue sagge riflessioni mi illuminino, liberandomi dai miei foschi e tristi pensieri attuali, i quali sono anche della mia Lerinda!»

«Tu e la tua ragazza, Iveonte, almeno avete chiesto ai secondini quando, come e da chi i coniugi regali sono stati condotti via dalla cella, in cui stavano fino ad alcuni mesi fa? Oppure non lo avete fatto? Ecco quanto per adesso ho bisogno di sapere da te!»

«Non appena abbiamo visto che non ci stavano più nella loro cella, Lerinda ha chiesto ad uno dei carcerieri come mai i due anziani coniugi vi erano spariti. Allora egli l'ha informata che era stato Croscione, tre mesi fa, a farli portare via dalla sua scorta, qualche ora dopo la mezzanotte; ma non era a conoscenza del vero motivo del loro trasferimento. Comunque, ci ha assicurato che le loro condizioni fisiche non erano tali, da definirsi gravi a causa di qualche malattia. Perciò, stando le cose come le conosciamo, soltanto Croscione potrebbe svelarci il mistero del loro trasferimento in un posto sconosciuto!»

«Iveonte, secondo me, l'ex consigliere del re Cotuldo giammai vorrà tradire il suo sovrano, in particolar modo adesso che dipende totalmente da lui, a causa della sua cecità. Anche se a chiederglielo sarai tu! Perciò dobbiamo essere noi ad attribuire un significato plausibile alla sparizione dalla loro cella dei figli dei due più grandi strateghi della storia. Ti garantisco che prima o poi ci riusciremo senza meno, amico mio! Perciò abbi pazienza ed aspettiamo il momento che ci sarà favorevole!»

Invece, nonostante le loro numerose riflessioni, osservazioni e constatazioni, alla fine essi dovettero arrendersi e ripiegare, per una questione di comodo, sulla possibilità che il re Cotuldo avesse fatto tradurre altrove i suoi due preziosi prigionieri, ma esclusivamente per motivi di sicurezza. Infatti, secondo alcune voci, dopo la proditoria presa di Dorinda da parte degli altri re occupanti, gli era stato categoricamente vietato di punire con la morte il re Cloronte e la sua consorte. Al contrario, gli avevano imposto di riservare ai due sventurati coniugi, come punizione, il solo carcere a vita, in una cella non troppo penosa per loro.

Allora, se i due ex regnanti di Dorinda erano da considerarsi ancora vivi, in quale altro luogo essi adesso trascorrevano la loro reclusione? Sebbene fossero stati tanti i posti ritenuti più probabili, di nessuno di loro Iveonte e Lucebio si mostravano certi con una percentuale piena. Per cui si decise di rimandare tale ricerca ad un futuro che sarebbe apparso ad entrambi più propenso ad accogliere la loro richiesta. Intanto non smettevano di convincersi che la risposta alla loro domanda poteva darla solo Croscione, essendo egli colui che era stato incaricato dal re Cotuldo dello spostamento dei due regali consorti. Era così che essa, almeno attualmente, si lasciava supporre!

Più tardi fecero il loro rientro al campo anche Francide ed Astoride; ma i due amici per caso si erano incontrati lungo la via che conduceva al loro campo. Anche loro ben presto vennero a sapere della sparizione del re Cloronte e della regina Elinnia dalla loro cella. In merito alla quale essi si augurarono che non fosse successo a loro due niente di brutto. Dopo, essendosi abbandonato l'argomento riguardante gli ex regnanti di Dorinda, tutti e quattro si diedero a placare i morsi della loro fame con un abbondante pasto, essendo passata da un pezzo l'ora di pranzo.

Durante i giorni che seguirono, però, essi continuarono a pensare alla nuova ubicazione dell'attuale cella del re Cloronte e di sua moglie, poiché il pensiero che gli proveniva da essa non dava a nessuno di loro né tregua né pace. Fu il solo Astoride a sospettare che il re Cotuldo li avesse fatti tradurre a Casunna e resi ospiti di una cella del carcere casunnano. Ma non tutti furono propensi ad accogliere la sua idea come fortemente attendibile. Allora di nuovo i quattro residenti del campo dovettero arrendersi, pur lasciando il problema ancora aperto, non volendo rinunciare ad esso in modo definitivo.


In un successivo incontro di Iveonte con la sua ragazza, quando si era allentato il discorso sulla sparizione degli ex regnanti di Dorinda, la principessa Lerinda, la quale non smetteva di rimuginarci sopra, desiderò aprirlo di nuovo sui due sventurati prigionieri. Perciò, di punto in bianco, fece presente al suo amato giovane:

«Lo sai, amore mio, che l'altro giorno sono stata nella stanza di Croscione insieme con la mia nutrice? Siamo andate a trovarlo unicamente per pietà, al fine di non farlo sentire solo. Telda mi aveva già informata che prima ella c'era stata altre volte e mi assicurava che egli era radicalmente mutato. Non sembrava più l'uomo duro e spietato che era stato un tempo, come se la cecità gli avesse fatto cambiare indole. Inoltre, non vedeva più di buon occhio il suo re; ma preferiva parlare solo di te, poiché adesso ti ammira come nessun altro al mondo. Allora, incuriosita da ciò che ella mi riferiva su di lui, alla fine ho voluto accertarmene di persona. Ebbene, dopo averlo incontrato, anch'io l'ho trovato molto diverso, essendo divenuto più umano e assai pentito di tutto il male che aveva arrecato a tanta gente innocente, a volte per ordine di mio fratello altre volte di sua spontanea volontà. Mentre mi parlava, Croscione mi è apparso così sincero, che quasi mi sono sentita spronata a chiedergli che fine avessero fatto l'ex re Cloronte e la sua consorte. Ma poi, all'ultimo momento, mi sono trattenuta, volendo evitare di scoprire le mie carte. Credi che io abbia sbagliato a non chiederglielo? Tu che ne dici, a tale riguardo?»

«Invece hai fatto bene, Lerinda, a non domandarglielo. Di lui non possiamo ancora fidarci con una percentuale piena, anche se si dimostra ostile a tuo fratello e si manifesta generoso nei miei confronti, parlando bene di me e facendomi numerosi elogi. Fino a quando non avremo la certezza assoluta che egli davvero non è lo stesso uomo di un tempo, è meglio stare dalla parte di quel proverbio che ci mette in guardia, dicendo: "fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio". Invece, sai cosa penso di lui? Se sul serio si è ravveduto e ha fatto ammenda dei propri peccati, in un prossimo futuro mi manderà a chiamare e me ne renderà partecipe. Croscione è ormai convinto che con me non può assolutamente mentire e può parlare soltanto a cuore aperto, se ci tiene ad andare d'accordo con la mia persona! Vedrai che così avverrà in avvenire!»

«Ne sono certa anch'io, Iveonte, che egli un giorno si comporterà proprio come hai detto tu; anzi, mi meraviglio come non lo abbia ancora fatto. Così, in tale circostanza, approfitterai per chiedergli dei due coniugi regali e per farti dire la nuova destinazione che è stata assegnata ad entrambi. Non è vero, amore mio, che lo farai?»

«Certo che lo farò, mia cara Lerinda; ma non subito. Diamo tempo al tempo! È meglio non precipitare le cose, se prima non abbiamo la certezza della sua indubbia lealtà verso di noi. Ammesso che egli non finga, vedrai che sarà lui stesso a rivelarcelo volontariamente. Allora sapremo tutta la verità sul re Cloronte e sulla sua consorte Elinnia, sperando però che essa quel giorno non ci rattristi!»

«Hai ragione tu, Iveonte. Come al solito, noi donne non sappiamo ponderare bene le situazioni; ma ci lasciamo subito soggiogare dalle apparenze, senza neppure domandarci se è giusto assecondare l'istinto, senza prima interpellare la ragione. Perciò condivido ed approvo appieno la tua linea di condotta, la quale, tutte le volte, è quella che seguono le persone riflessive e massimamente prudenti!»

«Adesso, Lerinda, preoccupiamoci di altro. Oggi sono venuto qui da te per condurti a fare una bella passeggiata nei campi. In questa stagione, essi si presentano meravigliosamente verdeggianti e fioriti. Così potremo gustarci gli inimitabili spettacoli della natura, facendo estasiare i nostri spiriti come non mai. Allora, mio gioiello, sei pronta ad affrontare la scampagnata che ti ho proposta con sommo piacere, oltre che a sognare i nostri sospiri amorosi, che profonderemo tra gli olezzanti fiori?»

Lanciandosi allora con il massimo ardore tra le sue braccia e dandosi a baciarlo, come atto di riconoscenza, Lerinda gli ebbe a rispondere:

«Sono prontissima ad ubbidirti, Iveonte, se è ciò che vuoi sapere da me! Dammi soltanto il tempo di cambiarmi d'abito e di rendermi decente per l'uscita! Ti prometto che sarò un fulmine nell'eseguire entrambe le cose, senza farti attendere molto!»

La principessa Lerinda, come aveva promesso al suo innamorato, si rese disponibile in un attimo. Per cui essi non persero tempo a lasciare la reggia e ad uscire dalle mura di Dorinda, dove si diedero a galoppare per la sconfinata campagna circostante la città. Rientrarono un paio di ore dopo; ma al loro ritorno, essi mostravano dei volti appagati e raggianti di felicità, forse perché si erano divertiti tra l'amenità dei campi con una spensieratezza inesprimibile. Allora è possibile venire a conoscenza di come si era svolta realmente la loro scampagnata, la quale questa volta c'era stata senza la compagnia di Francide e di Rindella, oltre che di Astoride? Siccome ci farà piacere apprenderlo, possiamo anche metterci a seguirli nel passato che li aveva visti abbandonare la loro città due ore prima, allo scopo di dedicarsi alla loro escursione attraverso gli estesi campi fioriti. In verità, anche se i due giovani avevano deciso di allontanarsi di più dalla cinta delle poderose mura di Dorinda, la loro corsa di gran carriera era durata una decina di minuti, facendogli percorrere appena sei chilometri. Infatti, un episodio imprevisto li aveva obbligati a porre fine in quel luogo alla loro rapida galoppata.

Ebbene, mentre si davano a correre attraverso l'ubertosa pianura, Iveonte e Lerinda avevano scorto sul lato destro della carreggiata un ragazzo, dall'apparente età di dodici anni. Egli, correndo nella loro direzione e facendo vari segni con le mani, cercava di farsi notare a qualsiasi costo. Nel frattempo, si dava a gridare forte: "Aiuto! Aiuto!". Allora la sua improvvisa apparizione, anche se c'era stata ad un centinaio di metri di distanza da loro, affossando il loro bel progetto iniziale, li aveva costretti a bloccare le loro bestie e li aveva fatti lanciare in direzione di chi continuava a chiedere aiuto. Quando poi lo avevano raggiunto con il chiaro intento di soccorrerlo, Iveonte subito si era mosso a pietà del piangente minorenne e si era affrettato a chiedergli:

«Mi dici, ragazzo, cos'è che ti fa tanto agitare e disperare? A noi puoi dirlo, poiché siamo di quelli che stanno dalla parte dei buoni e dei giusti. Su, fìdati di noi e non temere niente da parte nostra!»

«Signori, degli uomini malintenzionati poco fa hanno assalito la nostra fattoria e stanno facendo del male ai miei genitori. Io sono riuscito a fuggire per miracolo, eludendo la loro sorveglianza!»

«Sai dirmi, ragazzo, in quanti sono i malfattori che hanno fatto irruzione nella tua casa? Comunque, ci 'interessa conoscere anche il tuo nome, se non ti dispiace.»

«Io mi chiamo Duben, cavaliere. Quanto a quelli che stanno razziando la nostra casa, essi non superano la decina. Ma bisogna recare subito aiuto ai miei genitori! Per favore, aiutateli!»

«Hai ragione, Duben, dobbiamo precipitarci all'istante a casa tua, se vogliamo salvarli. Perciò prima ti faccio prendere posto sulla groppa del mio cavallo e dopo ci accompagnerai alla tua fattoria, che spero non sia assai lontana! Quindi, dammi una mano per farti tirare su e galoppiamo alla volta della tua fattoria. Ma dovrai essere tu ad indicarci la strada che conduce ad essa. Ci siamo intesi, ragazzo in preda alla tristezza?»

«Certamente, cavaliere! Ma comincio a chiedermi se basterai tu da solo a tener testa a tanti di loro. Non vorrei mettere in pericolo pure la tua vita e quella della tua donna! Se voi periste nella lotta contro i predoni, anche la mia vita sarebbe a rischio!»

«Secondo te, Duben, se non fossi sicuro di averla vinta con quella gente di malaffare, verrei con te a salvare i tuoi genitori, ammesso che siamo ancora in tempo? Certo che no! Perciò tranquillìzzati ed indicaci bene la strada, che dovrà condurci a casa tua!»

La fattoria, la quale si trovava a tre miglia di distanza, era stata raggiunta dopo una galoppata di cinque minuti. Iveonte, però, prima di affrontare i dieci malviventi che tenevano in ostaggio i due coloni, aveva fatto nascondere in un rifugio sicuro sia Lerinda che il ragazzo. Di lì a poco, egli si era deciso a rendersi conto della situazione reale, valutando soprattutto il pericolo che stavano correndo i due coniugi contadini. A tale riguardo, ad evitare di insospettire anche minimamente i delinquenti razziatori, il giovane aveva stabilito di presentarsi ai padroni di casa come un pellegrino, il quale si trovava a passare casualmente da quelle parti e che aveva bisogno di un po' di acqua per dissetarsi. Così, intanto che si fosse dato a bere, avrebbe appurato meglio la situazione. Soprattutto avrebbe studiato in che modo metterli in salvo, prima di attaccare briga con i loro sequestratori. All'inverso, le cose erano andate in tutt'altro modo, poiché questi ultimi, che risultavano in sette all'esterno dell'abitazione, non avevano voluto farlo entrare per chiedere l'acqua alla sola padrona di casa, dal momento che il consorte di lei si trovava fuori legato al tronco di un albero. Inoltre, essi lo avevano minacciato che lo avrebbero riempito di pesanti botte, se non si fosse tolto alla loro vista all'istante, senza darsi mai a guardare indietro.

Da come si presentavano le cose, Iveonte aveva arguito che gli altri tre loro compari stavano violentando la sua donna dentro casa, dopo averla imbavagliata e legata, appunto per consumare lo stupro con comodo, ossia senza essere disturbati dalle sue urla e dalle sue reazioni. Perciò bisognava intervenire con urgenza contro i soprusi che si stavano commettendo ai danni di quella famigliola di umili contadini, da parte di persone prive di scrupoli. In quel modo, le avrebbe fatte pentire delle loro malefatte in atto. Quindi, il nostro eroe, evitando altro indugio, si era armato della sua spada e si era mostrato pronto a tenzonare con i sette arroganti malavitosi. Costoro, al palese gesto di colui che per loro rappresentava uno sconosciuto, senza perdere tempo erano ricorsi anch'essi alle armi, bramosi di punire severamente chi aveva osato sfidarli. Lo scontro che ne era seguito, com'era da aspettarselo, era durato brevissimo tempo, siccome Iveonte, con poche mosse tattiche, li aveva spediti tutti e sette al loro creatore. Ma dopo avere ucciso quelli che si trovavano all'esterno della casa, egli furiosamente si era lanciato nell'abitazione, dove aveva sorpreso gli altri tre banditi, mentre commettevano i loro abusi sessuali sulla povera donna, la quale era stata resa impotente a reagire a quanto di innominabile essi la stavano obbligando, spinti com'erano da una lussuria che non conosceva limiti. A quella scena riluttante, il giovane non aveva esitato ad impartire pure a loro tre la giusta punizione, decapitandoli tutti, senza provarne compassione. Infine aveva privato la donna del bavaglio e dei legacci, che le tenevano legati i polsi dietro la schiena.

Facendole subito dopo indossare una veste decorosa, Iveonte l'aveva accompagnata all'esterno dell'abitazione e condotta presso il marito, che ella stessa aveva slegato dall'albero a cui era stato legato. Allora entrambi, dopo un breve abbraccio, avevano ringraziato il loro salvatore. Invece il giovane aveva risposto ai poveretti:

«Non c'è bisogno che mi ringraziate, signori! Con immenso piacere sono venuto in vostro aiuto, poiché l'ho ritenuto un mio dovere. Sappiate che per me è un piacere aiutare i deboli, sottraendoli alla prepotenza dei più forti. Aggiungo che vostro figlio Duben è salvo e sta bene. È stato lui a mettermi al corrente della vostra situazione precaria. Prima di venire ad aiutarvi, l'ho lasciato in un luogo sicuro insieme con la mia fidanzata, per cui tra poco andrò a chiamarlo e lo metterò a conoscenza di quanto è accaduto in questo luogo. Inoltre, trovo giusto che sappiate anche il mio nome, che è Iveonte. Invece quelli vostri sono?»

«Il mio è Floet;» il colono si era affrettato a rispondergli «mentre quello della mia consorte è Gianir. Allora dobbiamo la nostra liberazione anche a nostro figlio, il quale è riuscito ad incontrarvi, facendoti così venire rapidamente in nostro soccorso!»

«Senza dubbio è così, Floet! Ma adesso corro a chiamare lui e la mia ragazza, perché entrambi stanno aspettando che io rechi loro la bella notizia che i vostri malfattori sono stati da me uccisi, la quale li farà precipitare subito in questo posto.»

Poco dopo c'era stato il ritorno di Iveonte alla fattoria. Insieme con lui c'erano anche la principessa Lerinda e il figlio dei coloni. Allora costoro si lanciarono entrambi ad abbracciarsi il loro unigenito, per essere stato molto in gamba a sottrarsi ai predoni e ad andare a chiedere aiuto in loro difesa. Anzi, era stato fortunato ad incontrare sulla sua strada la persona giusta che ci voleva al caso loro, visto che egli, da solo, era stato in grado di affrontare e di uccidere tutti e dieci i loro tormentatori.

Alcuni minuti più tardi, però, dopo che Lerinda si era presentata ai due coloni, i due giovani innamorati avevano deciso di congedarsi da quella famigliola per ritornarsene nella reggia. Ma si erano appena salutati e stavano per mettersi in viaggio, quando dall'interno della casa era provenuta una voce di donna, la quale non smetteva di gridare forte: "Non fate partire i nostri ospiti benefattori, prima che li abbia salutati anch'io! Ci tengo a conoscerli!". A quelle grida, le quali potevano essere di una vecchia, Iveonte aveva chiesto:

«Posso sapere, Floet, chi è la donna, la quale per forza desidera fare la nostra conoscenza? Se non sbaglio, la sua voce proviene da dentro casa tua, dove prima non l'ho scorta da nessuna parte!»

«Ella, coraggioso Iveonte, è la novantanovenne mia nonna Lubes. Si vede che prima la poveretta era stata segregata nello scantinato. Sono trent'anni che la sventurata è diventata cieca, a causa di una grave forma di malattia ad entrambi i suoi occhi.»

«Allora, Floet, vai da lei ed accompagnala da noi, poiché io e la mia Lerinda intendiamo appagare il suo grande desiderio. Intanto noi scendiamo dai nostri cavalli.»

Non appena il colono era venuto fuori dall'abitazione insieme con la nonna, tenendola per mano ed accompagnandola passo passo, i due giovani le erano andati incontro. Dopo averla raggiunta, Lerinda era stata la prima a porgerle la mano e a presentarsi a lei. Allora ella, stringendogliela forte, le si era rivolta, dicendo: "Grazie, nobile principessa!" I suoi familiari non avevano compreso perché mai l'avesse salutata con quel titolo nobiliare; i due giovani, invece, avevano evitato di chiarire loro ogni cosa. Comunque, se ne erano stupiti moltissimo e si andavano chiedendo com'ella avesse fatto a riconoscerla, pur essendo cieca e non avendola mai veduta prima, per il semplice fatto che Lerinda non era neppure nata nella sua città natale, quando Lubes aveva perso la vista.

Quando poi era toccato ad Iveonte stringerle calorosamente la mano, la donna, tenendosi attaccata ad essa, si era data ad esprimersi in questa maniera: “Dall'Eroe degli eroi potevo attendermi solo un grande beneficio, come sta avvenendo! Nonostante i miei molti anni, mi sento quasi rinascere, poiché sento in me agitarsi delle energie nuove, le quali mi procurano molto benessere. Ma cosa mi succede? I miei occhi avvertono un senso di bruciore; anzi, si aprono alla luce. La quale per il momento è solo nebulosa e non mi permette di vedere le cose nitidamente. Ora invece lo strato fosco inizia a diradarsi, permettendo ai miei occhi una visione limpida delle cose e delle persone. Posso perfino guardarti, eroe benedetto dagli dèi, la qual cosa deve essere considerata da me come un grandissimo privilegio. Un giorno nessun re della Terra potrà paragonarsi a te, poiché, se tu apparirai loro un fulgido sole, essi ti risulteranno appena delle insignificanti faville. Quanto alla tua donna, la quale oggi è soltanto la tua compagna, in futuro sarà la più fortunata delle regine, in quanto moglie del più celebrato dei sovrani. Grazie a te, Eroe degli eroi, da oggi in avanti e per i pochi anni che mi restano ancora da vivere, potrò godermi meglio mio nipote, la sua consorte e il loro bambino, siccome i miei occhi saranno paghi di guardarli con la massima gioia, ciò che non potevano fare fino a poco tempo fa.”

Dopo esserci state le parole profetiche della quasi centenne madre del colono Floet, Iveonte e Lerinda avevano stabilito di rinunciare alla loro gita attraverso i campi e di far ritorno in città. Intanto che ci si dirigeva verso Dorinda, procedendo in modo non proprio sostenuto, la principessa, rivolgendosi al suo ragazzo, gli aveva fatto presente:

«Non sei convinto anche tu, mio caro Iveonte, che oggi il tuo anello ha voluto esibirsi in un nuovo miracolo, stavolta a favore della cieca Lubes, donandole la vista? Io ne sono rimasta molto felice. Comunque, pure il tuo aiuto alla sfortunata famiglia di quella fattoria mi ha riempita di una immensa felicità. Tu invece cos'hai da dirmi in merito, se posso conoscere anche le tue impressioni avute sulla odierna vicenda?»

«Lerinda, se ci tieni a sapere ciò che ho provato di fronte al secondo prodigio del mio anello, ebbene, pure io ne sono rimasto immensamente lieto. Alla povera Lubes, anziché della scottatura, esso ha voluto procurarle sollievo e privarla della cecità. A questo punto, però, ci conviene accelerare la nostra corsa e non pensare più a nulla!»