19°-IL DIVINO IVEON CONTRO LE CREATURE DEL MALE

Nel frattempo dov’era finito il dio Iveon, dopo aver lasciato la capanna del capo del villaggio? Egli aveva fatto menzione di certe faccende da spicciare, prima di intraprendere la sua lotta contro le Creature del Male e contro il dio che aveva dato loro origine. Ma a che cosa il dio dell’eroismo si era voluto riferire in modo particolare? Cerchiamo di rendercene conto fino in fondo, mettendoci a seguire i suoi passi da vicino. Se non altro, lo facciamo per appagare la nostra curiosità, la quale in noi si mostra sempre avida di conoscenze. Ebbene, avvenuto il suo allontanamento da Cerpus, egli si era diretto verso la selva che si trovava sul lato settentrionale del villaggio, ad un centinaio di miglia da esso. Nel ricollegarci ora a lui, vediamo che il dio positivo già vi era giunto e stava cercando nella vegetazione locale una pianta rara. Si trattava della deicela, la cui essenza, una volta spalmata sul corpo della divinità umanata, riusciva a nascondere la sua natura divina alle altre entità soprannaturali. Un fatto del genere si verificava, anche se veniva ad esserci tra di loro una distanza minima. Con tale espediente, l’eroe divino mirava ad avvicinarsi al suo rivale, per conoscerne il grado. A priori, però, era certo che quello dell'ignoto dio non poteva essere superiore al suo, non potendo esserci in Kosmos l’Imperatore delle Tenebre.

Dopo averla portata a termine, la sua prima missione gli aveva dato modo di apprendere che il dio negativo era una divinità maggiore come lui. Alla qual cosa non aveva dato alcun peso, poiché una divinità positiva riusciva sempre ad avere la meglio su una divinità malefica di pari grado. Inoltre, egli era un dio dalle infinite risorse, oltre che essere dotato di uno spirito battagliero ed audace fuori del comune. Innanzitutto, però, doveva pensare a come far fuori le invise Creature del Male del dio suo rivale, volendo evitare che esse arrecassero ulteriori mali ai travagliati Cerpusini. In verità, i Torchidi non potevano essere distrutti da una divinità che avesse un grado pari a quello della divinità che li aveva prodotti, a meno che non fosse essa medesima a distruggerli. Comunque, essendo tali mostri della sua stessa natura, era possibile anche a uno di loro sterminare tutti gli altri, attaccandoli e disintegrandoli di sorpresa. Insomma, si richiedeva un'energia equipollente, se si voleva annientarli. Per tale motivo, quando la divinità sua avversaria non era di grado superiore, solo il dio Trauz, oppure l'energia di un suo prodotto, poteva far cessare di esistere le terribili Creature del Male.

Basandosi su quella considerazione che gli proveniva dalla sua conoscenza in merito, il dio Iveon si era adoperato per escogitare quanto prima un espediente valido che gli facesse riprodurre una situazione di quel tipo, ossia quella che avrebbe indotto i Torchidi alla propria autodistruzione. Ma in che maniera riuscire in tale ostica impresa? Alla fine il dio positivo era stato in grado di trovare la giusta soluzione al proprio problema, poiché aveva deciso di ricorrere al fenomeno della riflessione. Secondo lui, essa gli avrebbe consentito di rinviare i raggi fiammigeni dei nemici contro il proprio stesso corpo. A tale scopo, perciò, aveva generato un tipo di scudo parabolico indistruttibile avente una superficie interna assai riflettente. Un'arma di quel tipo, dopo aver convogliato dapprima i raggi delle Creature del Male nel proprio interno, subito dopo avrebbe dovuto rifletterli e rinviarli contro i loro stessi emittenti. Agendo in quel modo, essi sarebbero stati colpiti dalla loro medesima energia, la quale era in grado di distruggerli senza la minima difficoltà. Adesso, però, se vogliamo aggiornarci sula vicenda in questione, occorre ricondurci in Cerpus per seguirvi lo svolgimento dell'ennesimo sacrificio.

Nel primo mattino del giorno dell'olocausto, ogni capofamiglia che aveva nel proprio nucleo familiare una giovane vergine, com’era abituato a fare in quella giornata funesta, si era affrettato ad uscire dalla capanna. Egli voleva accertarsi che durante la notte non fosse stata deposta davanti all’uscio della propria abitazione la detestata corona di fiori. La cui presenza significava che la giovane illibata che vi abitava era stata prescelta a versare l’odioso tributo di sangue al divino Trauz, mediante la sua ignobile immolazione. Nell’ipotesi che ciò fosse accaduto, egli doveva preparare la vittima designata e condurla dal capo del villaggio per consegnarla nelle sue mani. Costui, a sua volta, nella tarda mattinata, seguito da una processione di gente in lacrime, avrebbe accompagnato le tre giovani vittime alla pira. Essa era stata già approntata nel pomeriggio del giorno precedente nell’unico ampio spiazzo di Cerpus. Si sapeva anche che, se in una capanna scelta dai Torchidi ci fossero state più sorelle vergini, sarebbe dovuta essere immolata la maggiore di loro, a condizione che ella non avesse superato i venti anni.

Per un caso strano, quel mattino neppure uno dei capifamiglia si era ritrovato con la brutta sorpresa davanti a casa sua. Di conseguenza, nessuno di loro si era dovuto rattristare insieme con il restante nucleo familiare, siccome erano stati tutti risparmiati da una simile sventura. Ma com'era stato possibile un fatto del genere? Di sicuro non si era trattato di una negligenza da parte delle Creature del Male. Esse giammai avrebbero scordato di svolgere il loro lavoro, il quale era quello di fare da messaggeri di morte! Invece era stato il dio Iveon a fare sparire le tre corone dalle capanne prescelte, pur sapendo che con quella sua iniziativa egli avrebbe messo in grande difficoltà i Cerpusini. Allora perché aveva deciso di renderle irreperibili? Lo sapremo alquanto presto.

Naturalmente, nessuna delle tre famiglie cerpusine scelte dai mostri del dio Trauz si era accorta che la composizione floreale era sparita, già prima che si svegliasse il loro capofamiglia. Per questo ognuna di loro aveva creduto che fosse stata una delle favorite dalla sorte pure quella volta. Allora essa aveva ripreso a soddisfare il resto del sonno che le restava da godere. Un inghippo di quel tipo, però, non era sfuggito al capo del villaggio, poiché egli, già allo spuntare del sole, era incaricato di attendere i rispettivi genitori con le loro giovani vittime. Ma vedendo che a quell’ora nessuna delle ragazze era stata ancora accompagnata dal padre davanti alla sua capanna per consegnargliela, aveva iniziato ad impensierirsi sul serio. Anzi, più il tempo trascorreva veloce, più il poveretto si allarmava, poiché nessuna delle tre vergini prescelte per il sacrificio si faceva ancora viva presso la sua capanna. Alla fine Arbes aveva dato ordine ai cornisti di destare l’intera popolazione, volendo invitare tutti i capifamiglia a riunirsi nei pressi del rogo. Avvenuto poi il loro raduno nel luogo da lui indicato, egli, dopo aver preso posto sulla catasta di legna, si era rivolto a tutti loro, chiedendo molto preoccupato:

«Miei cari conterranei, non è possibile che i Torchidi si siano dimenticati di far trovare la fatidica corona di fiori sull’uscio delle capanne prescelte! Se ci credessi, sarei un autentico grullo! Perciò scommetto che stamane tre di voi hanno deciso di fare i furbi. Si vede che i trasgressori sono immemori che saranno scoperti con facilità dai Torchidi. Allora i mostruosi esseri del dio Trauz, come già ci hanno fatto presente, uccideranno l’intero nucleo familiare di ognuno dei tre Cerpusini che, ribellandosi, si sono rifiutati di ubbidire. Quindi, lo sappiano essi!»

Dopo che Arbes aveva terminato di parlare, dalla folla dei presenti si era levato un coro di voci, le quali gridavano la medesima frase: "Ti garantisco, capo, che all'alba davanti alla mia capanna non c’era alcuna corona di fiori!" Di fronte alle risposte negative provenute dalla totalità dei capifamiglia presenti, Arbes era apparso confuso, per cui non aveva potuto fare altro che stringersi nelle spalle. Infine, rivolgendosi di nuovo ai numerosi preoccupati Cerpusini, che non sapevano spiegarsi l'accaduto, aveva tratto le seguenti conclusioni:

«A questo punto, non ci è consentito di prendere alcuna iniziativa, mancandoci il tempo materiale per fare qualcosa. Tra poco arriveranno le Creature del Male e vi assicuro che esse non prenderanno la cosa a cuor leggero, né tanto meno con filosofia! Tra di voi, c’è forse qualcuno in grado di proporre una soluzione appropriata al nostro increscioso caso che è venuto a darci preoccupazione? Se c’è, egli venga subito avanti e ce la esponga, prima che arrivino gli scellerati Torchidi!»

Non appena il padre di Grael aveva formulato il suo invito ai numerosi capifamiglia interessati, ma senza alcuna speranza di ricevere da loro qualche risposta positiva, era sbucato dal pubblico un giovane, il quale imbracciava uno scudo dorato totalmente fiammeggiante. Egli, facendo la sua fulminea apparizione, era saltato all’istante sulla pira ed aveva affiancato l’impensierito Arbes. Ma costui, pur sapendo chi era il giovane, aveva finto di non conoscerlo. Allora il forestiero, che si trovava accanto al capo del villaggio, si era espresso così ai Cerpusini:

«Non temete, abitanti di Cerpus, poiché, da oggi in avanti, nessuno più sarà in grado di procurarvi del male! Sono stato io a far sparire le tre corone di fiori, togliendole dalle capanne delle vergini prescelte. Quando i vostri aguzzini si presenteranno in questo posto, me ne addosserò l’intera colpa. Ciò per me non costituirà alcun problema, per il fatto che dovranno essere i Torchidi a preoccuparsi della loro incolumità. Dovete sapere che oggi, attraverso il mio intervento, vi permetterò di chiudere per sempre i conti con loro. Li scorgerete fare una fine miseranda, esattamente come essi sono avvezzi a condannare quelli come voi. Vedete questo mio scudo? Esso sarà la mia arma vincente contro di loro. Quindi, gioitene e cominciate a ringraziare le divinità buone e giuste! Esse, che hanno avuto pietà di voi Cerpusini, per gli ingenti sacrifici ai quali venite sottoposti ogni mese, prodigalmente hanno deciso di venire in vostro soccorso, inviando me a liberarvi dal loro maligno giogo.»

Allora Arbes, sempre fingendo di non conoscerlo, gli aveva chiesto:

«Ammesso pure che tra poco sarai in grado di avere la meglio sulle tre Creature del Male che sono addette a sistemare il terzetto di vergini sul rogo, chi ci assicura che dopo non subiremo la tremenda ritorsione da parte del loro adirato dio? Ce lo garantisci forse tu, che sembri di sapere il fatto tuo? Ecco cosa vogliamo sentirci dire da te, dal momento che sei l’inviato delle generose divinità benefiche!»

«Certo che ve ne do piena garanzia! Credete forse che il mio lavoro sarà terminato con la morte dei tre Torchidi e degli altri che sono altrove? Invece no! Vi faccio presente che, dopo avere eliminato tali mostruose creature, mi metterò sulle tracce del dio che le ha generate, allo scopo di renderlo impotente a crearvi altri guai. Anche se prevedo che il mio compito non sarà facile, vi do assicurazione che alla fine riuscirò nel mio intento, ponendo termine al sacrificio delle vostre adolescenti figlie rimaste ancora vergini! Perciò siatene tutti abbastanza lieti!»

«Adesso, giovane protetto dalle divinità benefiche, che cosa ci suggerisci di fare, in attesa del grande evento? Dobbiamo rimanere qui ad aspettare i Torchidi insieme con te oppure ci consigli di andare in cerca di un buon rifugio per sottrarci ai contraccolpi del vostro tremendo scontro? Secondo me, sarebbe meglio nasconderci, fino a quando l’imminente confronto non si sarà risolto a tuo favore!»

«Voi potete anche restare in questo luogo. Almeno così vi prenderete il gusto e la soddisfazione di vedere crepare tre di quelli che per dieci anni vi hanno costretti ad immolare tante vostre giovani fanciulle! Invece io, in attesa che arrivino le Creature del Male, siederò tranquillamente su questa catasta di legna, dove sarebbero dovute esserci le tre vittime designate. Perciò decidete voi come intendete comportarvi!»

Tutti i Cerpusini presenti avevano stabilito di restare ed assistere all’arrivo dei Torchidi. Quando poi mancava ancora mezzora a mezzogiorno, si erano presentati al rogo del sacrificio Zulk e i suoi due accompagnatori. Il capo delle Creature del Male, da parte sua, non scorgendo le tre vittime sacrificali sulla pira, dove invece al loro posto era visibile un giovane, subito si era adombrato. Inoltre, aveva stabilito di punire i responsabili dell'assenza delle vergini sulla pira. Anzi, prendendosela con il capo di Cerpus, lo aveva assalito, usando il seguente linguaggio:

«Arbes, esigo da te delle spiegazioni in merito a questa messinscena, che trovo di cattivo gusto! Se poi appurerò che essa è da definirsi un atto di ribellione da parte del tuo popolo, in quel caso per te e per esso sarà la fine! Vedrai che non un solo abitante del tuo villaggio sarà risparmiato dalla nostra furia! Dunque, capo cerpusino, cosa mi rispondi a tale riguardo e come devo giudicare questa vostra disubbidienza?»

Il dio Iveon, prima che il confuso padre di Grael aprisse bocca, anche perché il poveretto non sapeva neppure quale scusa addurre a Zulk per giustificarsi dell’assenza delle tre vergini, si era affrettato ad intervenire al posto suo e a toglierlo dall’imbarazzo. Così, mostrandosi piuttosto determinato e manifestando di non temerlo, aveva chiarito al Torchide:

«Forse ti sei rivolto alla persona sbagliata, Zulk, perché sono io colui che ti deve delle giustificazioni. Lo sai perché? Te lo dico subito. Prima dell’alba, mi sono dato da fare a togliere le tre corone di fiori dove voi le avevate deposte. Perciò, non essendo state esse rinvenute davanti a nessun uscio di casa, gli abitanti di Cerpus non hanno saputo come regolarsi. Allora, in qualità di reo confesso, mi sono offerto di prendere il posto delle tre giovani vergini. Non trovi simpatica la mia pensata? Ti prometto che saprò cavarmela meglio di loro, quando il vostro divino protettore mi raggiungerà in questo luogo per il motivo che conosci!»

«Invece la trovo esiziale per te, siccome essa ti recherà una morte celere! Per tua fortuna, non abbiamo tempo di cagionarti un supplizio lento ed atroce, come meriteresti, considerato che bisogna rimediare in fretta all’inconveniente causato dalla tua sventataggine. Ma prima è necessario che io ordini ai Cerpusini l’immediato recupero delle giovani vittime da sistemare sul rogo e da sacrificare al nostro dio.»

Poco dopo, il capo dei Torchidi aveva preso a caso tre dei capifamiglia presenti. Essendosi poi accertato che essi avevano nel loro nucleo familiare almeno una giovane figlia vergine, aveva ordinato loro:

«Presto, andate a prendere le vostre verginelle e conducetele in questo posto, senza perdere molto tempo! Il nostro potente dio giungerà qui a momenti e voglio evitare che non le trovi già sulla catasta di legna sistemate come egli desidera!»

Impartito l’ordine che non doveva farlo sfigurare con il divino Trauz, dal quale era derivata la loro l'esistenza, Zulk aveva poi deciso di punire il giovane. Perciò si era rivolto al suo spigliato interlocutore ed aveva aggiunto con molta rabbia:

«Giovane imprudente, avendo dimostrato di non avere neppure un grammo di senno, adesso ti faccio sparire allo stesso modo che hai fatto dileguare le nostre corone di fiori, costringendoti a pentirti della tua folle iniziativa! Ma cosa dico mai! Come potrebbe un morto pentirsi di non essersi impicciato degli affari suoi? Vorrà dire che ti esimerai dal farlo.»

In pari tempo, Zulk, mediante gli occhi, gli aveva scagliato contro una coppia di raggi azzurrognoli, essendo intenzionato ad avvilupparlo in un bagno di fuoco e ad incenerirlo. Ma il dio Iveon era stato lesto a pararli con il suo indistruttibile scudo, il quale, dopo averli convogliati nella sua parte concava ed averli riflessi, li aveva rispediti all’istante al loro mittente. Così il capo dei Torchidi era stato investito dai medesimi raggi distruttori da lui emessi. Allora essi prima lo avevano avvolto in una grande fiammata e, poco tempo dopo, lo avevano disintegrato completamente, facendolo svanire nel nulla.

A quell’episodio, tutti i Cerpusini presenti erano rimasti felicemente allibiti. Al contrario, le altre due Creature del Male non ne erano state altrettanto entusiaste, per cui si erano adoperate per vendicare il loro capo. Perciò anche dai loro occhi era partita una coppia di raggi mortali, i quali si erano comportati allo stesso modo di quelli lanciati da Zulk. Essi, dopo avere colpito lo scudo del dio ed essersi riflessi sulla sua superficie interna, in un attimo avevano fatto ritorno ai rispettivi emittenti, condannandoli alla medesima fine subita dal loro capo. In seguito a simili episodi mirabolanti, non era rimasta neppure l’ombra dei tre Torchidi che si erano presentati al sacrificio e si erano dati a minacciare i Cerpusini presenti, a causa della mancanza delle tre vergini sul rogo. Il dio Iveon, invece, dopo aver eliminato i tre Torchidi con l'espediente che abbiamo visto, si era dato a parlare alla popolazione cerpusina che gli si era accalcata gioiosa intorno, esprimendosi con tali parole:

"Adesso mi tocca annientare i rimanenti mostri del dio Trauz, che sono di stanza ad un paio di miglia dal vostro villaggio. Una volta che li avrò scovati e distrutti, non dovrete più temere la loro pericolosità e potrete ricominciare a vivere felici e spensierati, come nel tempo passato. Per questo, dopo che sarà arrivato il mio cavallo, lo monterò e volerò via con esso. Oramai sono intenzionato a dare la caccia a coloro che, approfittando della loro maggiore potenza, per un decennio sono stati la causa delle vostre afflizioni angoscianti. Vi invito a stare tranquilli, poiché ci riuscirò senza meno!"

Non appena il dio aveva terminato di parlare, quanti erano presenti avevano udito un forte nitrito. Essendosi poi voltati a guardare verso il luogo da dove era provenuto il verso equino, essi avevano scorto uno stupendo stallone bianco. Il quale, mostrando la sua sventolante criniera, superbamente si era esibito in una fiera impennata. A quella maestosa visione offerta dal rampante esemplare di cavallo, il dio Iveon aveva abbandonato la catasta di legno e si era dato a raggiungerlo. Mentre si dirigeva verso la sua magnifica bestia, egli si era rivolto ai capifamiglia di Cerpus, gridando: "Amici, è giunto il momento di lasciarvi, dovendo portare a termine il lavoro appena iniziato. Il mio focoso quadrupede, che è venuto a prendermi per portarmi via, mi sollecita a salire sulla sua groppa, poiché anch’esso è impaziente di vedermi far fuori i detestabili Torchidi. Vi prometto che ritornerò in mezzo a voi, non appena li avrò raggiunti e debellati, dal primo all'ultimo!"

Montato a cavallo, il dio Iveon si era allontanato dal villaggio con una velocità impressionante. A quel punto, quanti avevano assistito stupefatti al prodigioso fenomeno si erano convinti che l'opera compiuta dallo straniero poteva essere attribuita soltanto ad una autentica divinità.

Dopo che lo sconosciuto giovane era andato via, i capifamiglia cerpusini avevano fatto ritorno alle loro capanne, in preda ad una grande euforia. Lì avevano riferito ai loro familiari l'incredibile prodigio, al quale avevano assistito gaudenti presso la pira del sacrificio. Essi, inoltre, erano stati allietati da due belle notizie apprese dai loro mariti e genitori. La prima li aveva messi al corrente che in avvenire nel villaggio non ci sarebbero stati più sacrifici umani. La seconda aveva annunciato loro che, da quel giorno in poi, le giovani fanciulle non sarebbero più vissute nell’incubo di poter essere immolate ad un dio infame e crudele. Anzi, anch'egli presto sarebbe stato messo fuori gioco.

Nel frattempo, come promesso agli abitanti di Cerpus, il divino Iveon si era dato a distruggere gli altri novantasette Torchidi rimasti. Li aveva trovati accampati in una brughiera che si trovava nelle vicinanze. Provocandoli mordacemente, egli li aveva indotti a reagire con lanci di raggi letali. Nel farlo, le Creature del Male non si rendevano conto che essi causavano unicamente loro distruzione. Operata la disintegrazione anche dell’ultimo Torchide, il divino Iveon si era deciso a fare ritorno in mezzo al festante popolo cerpusino. Il quale lo aveva accolto come persona meritevole di ogni loro attenzione, essendo stato, almeno per il momento, il loro prodigo liberatore dai tremendi Torchidi! Ma soprattutto si augurava che egli avrebbe affrontato e sconfitto pure il dio Trauz.


Al calare delle tenebre, erano terminate le ovazioni a favore del prodigioso forestiero e si erano anche affievolite le ultime effusioni festose nei cuori dei Cerpusini. Costoro allora si erano affrettati a rientrare nelle loro capanne. Da parte sua, il dio Iveon, prima di lasciare il villaggio, aveva voluto trattenersi un poco nella casa del capo Arbes. In quel luogo, non erano tardati ad esserci dei commenti su ciò che era avvenuto e su quanto doveva ancora accadere, perché Cerpus fosse liberato per sempre dal malefico dio Trauz. In quella circostanza, erano presenti in casa pure i due figli maschi del capo del villaggio, ossia Dusop e Gesp, per cui la famiglia era da considerarsi al completo. In presenza dell’illustre ospite, i due giovanotti, sebbene fossero più grandi della sorella rispettivamente di uno e due anni, facevano chiaramente intendere di provare più soggezione di lei. Grael, ad essere obiettivi, più che mostrarsi intimorita, appariva disinvolta e, in alcuni momenti, si dimostrava anche particolarmente briosa. Il quale suo atteggiamento era dovuto al fatto che il misterioso Iveon era andato ad onorare la sua casa per la seconda volta in poco tempo, rendendola felicissima. Forse in lei c’era stato un principio d'innamoramento nei confronti del giovane; comunque, si era ritrovata ad invaghirsi di lui inconsciamente, ossia senza proporsi di fargli la corte o di adescarlo con varie blandizie femminili.

Adesso veniamo alla serie di osservazioni scaturite da parte di ciascuno di loro intorno agli avvenimenti che si erano svolti durante la giornata, i quali risultavano ancora caldi e suscettibili di forti emozioni. Riguardo ad essi, Grael era stata la prima ad aprire bocca, mostrandosene radiosa. Al dio, che in quella circostanza rappresentava soltanto l’uomo dei suoi sogni, ella aveva affermato con soddisfazione:

«Come vedo, Iveon, già ti sei attenuto ad una parte delle promesse che ci avevi fatte. Per cui sono convinta che presto non verrai meno alle altre che ancora ti restano da onorare! È così che si comportano le persone che hanno carisma e per niente al mondo infangherebbero la propria onorabilità! Oggi hai reso al nostro popolo un servigio, il quale è da considerarsi senz’altro eccezionale. Ma che dico? Esso è stato per noi di vitale importanza! Quando infine la tua opera si sarà conclusa a loro favore, i Cerpusini te ne dovranno essere riconoscenti per l’eternità, senza mai cancellare il tuo ricordo dalla loro memoria. Stanne certo che essi lo faranno tutti, nessuno eccettuato!»

«Iveon, mia figlia ha proprio ragione!» aveva confermato Arbes «Il tuo intervento provvidenziale, oltre che risultarci prezioso, si è rivelato un autentico atto divino. Devo dedurne che lassù hai davvero qualche potente divinità, la quale ti protegge e ti fa compiere imprese che sono impossibili agli esseri umani! Osi negarlo forse? Oppure puoi giustificare altrimenti i tuoi prodigiosi poteri? Secondo me, non puoi farlo!»

Prima che scaturisse la risposta dal loro ospite, la quale di sicuro ci sarebbe stata, era intervenuta la moglie Fenula a rispondergli, come se ne avesse avuto la certezza:

«Iveon non ha bisogno della protezione di nessuna divinità per operare simili prodigi, mio caro Arbes. Egli è già di per sé un dio con tutte le carte in regola. Per questa ragione, si dimostra capace di risolvere i nostri problemi umani. Sono convinta che porterebbe a soluzione anche quelli che sono di autentica fattura divina! Ce lo potrebbe attestare lui stesso, se non continuasse a nasconderlo a noi esseri umani!»

«Adesso non esagerare, brava donna!» l’aveva contraddetta il dio Iveon «Io possiedo soltanto dei poteri straordinari, dei quali mi ha fatto dono una divinità benefica e giusta. Essa me li ha donati, dopo aver letto nel mio cuore l’immenso desiderio di aiutare quanti soffrono o sono perseguitati dalle forze del male. La mia prodigiosità sta tutta qui e non si tratta di nient’altro. Te lo posso garantire!»

«Ne parli, Iveon, come se una cosa del genere fosse roba da niente!» gli aveva fatto osservare il capo del villaggio «Magari fossi anch'io protetto da un dio ed avessi le medesime facoltà, di cui egli ha dotato te! In quel caso, mi sentirei il più fortunato e il più soddisfatto della terra, come del resto lo sarai senza dubbio anche tu!»

«Quello che conta, Arbes, è avere una coscienza pulita ed essere pago di ciò che gli dèi giusti ci hanno assegnato. Esclusivamente in questo modo, non ci mancheranno mai la serenità e la felicità nella nostra vita di questo mondo. Perciò ti invito a tenerlo sempre a mente, se vuoi vivere tranquillo e senza pensieri che ti preoccupano!»

«Invece, simpatico e straordinario Iveon, se alla nostra rassegnazione aggiungessimo anche un pizzico di aiuto divino, ti garantisco che la vita ci diventerebbe più gradevole e sopportabile. Chi più di te può saperlo meglio di noi, dal momento che hai la fortuna di fruirne già, diversamente da noi? A mio parere, proprio nessuno!»

«Se lo dici tu, Arbes, sarà così senza meno! A ogni modo, la prima regola per vivere in pace con sé stesso, la quale corrisponde anche a trascorrere un'esistenza spensierata, ve l’ho enunciata con limpidezza poco fa. Chi ne farà profitto non avrà di che lamentarsi durante la sua esistenza! A questo punto, però, devo assentarmi, amici miei, siccome devo recarmi altrove, dove mi aspettano altri compiti difficili da portare a termine al più presto, se voglio averla vinta sul dio Trauz.»

«In verità, Iveon, ero convinto che ti saresti fermato a cenare con noi. Per questo non sai quanto mi rattrista la tua inattesa decisione! Ma spero che sarà per un’altra volta! Ti dico che, quando ciò accadrà, con piacere immenso ti avremo ospite a tavola, siccome la onorerai senz’altro! Per questa volta, quindi, ti permettiamo di andare.»

Anche Grael era rimasta un po’ delusa all’annuncio dell'eroico dio. Ecco perché, unendosi al genitore, non aveva perduto tempo ad invitarlo a restare con una certa insistenza. Infatti, rivolgendosi a lui un po' risentita e quasi amareggiata, gli si era espressa così:

«Iveon, perché vuoi lasciarci proprio adesso? Per favore, non andartene e rimani a cena con noi! Se tu restassi, non sai quanto ne sarei contenta e te ne sarei per sempre grata! La tua compagnia non ha prezzo per noi tutti della famiglia, specialmente per me, che ero sicura che saresti rimasto a cenare nella nostra umile casa!»

«Vi ringrazio di cuore per il sincero invito al vostro pasto serale e mi duole di non poterlo accettare, Grael. Mi farebbe un gran piacere, se voi mi accompagnaste tutti insieme fino al mio cavallo, che sta nitrendo per l’impazienza di andare. Quando ho detto tutti, ovviamente mi sono riferito pure a quei due giovanotti di poche parole, che sono i tuoi fratelli! Allora posso contare sulla loro presenza all'esterno della capanna?»

«Certo che verremo tutti a salutarti fuori, Iveon!» lo aveva rassicurato il capofamiglia «Ti prometto che ci saranno anche i miei due figli maschi. Perciò anche Dusop e Gesp, insieme con gli altri membri della famiglia, ti accompagneranno fuori della nostra dimora e ti saluteranno con cordialità, allo stesso modo dei loro genitori e della loro sorella!»

Una volta che l’intera famiglia si era trasferita fuori, il divino Iveon si era accomiatato dai singoli familiari con una salda stretta di mano. Infine era balzato sul suo splendido cavallo e, in un batter d’occhio, era scomparso nell’oscurità della notte, divenendo così invisibile a Grael e ai suoi dispiaciuti familiari. Ma prima di rientrare nella loro abitazione, tutti loro erano ignari che all’interno di essa li avrebbe attesi una meravigliosa sorpresa. Infatti, dopo avervi fatto ritorno, i vari componenti della famiglia avevano trovato la loro tavola colma di ingenti e squisite cibarie, le quali, a occhio e croce, potevano bastare per una decina delle loro normali cene! Essi, però, avevano preferito non tenersi interamente per sé tutto quel ben di dio, per cui non avevano badato a conservarselo per i giorni avvenire. Invece avevano voluto invitare anche le famiglie vicine a prendere parte alla miracolosa mensa, compiendo in quel modo un grande atto di generosità. Secondo il loro parere, quella loro decisione, chiaramente colma di altruismo, senza dubbio sarebbe stata apprezzata moltissimo dal loro magnanimo e caritatevole benefattore!

Intanto che gli altri commensali si erano dati a mangiare a sazietà, la ragazza aveva preferito tenersi lontana dal desco, senza toccare cibo. In lei si era fatto avvertire un altro tipo di fame, per cui ella, pur di riuscire a soddisfarla appieno, avrebbe fatto chissà che cosa! Avrebbe voluto trovarsi accanto al suo Iveon, spasimare tra le sue braccia, suggellare un po’ del suo tempo in un amplesso incantevole con il suo dio umanato. Facendo compenetrare la sua esistenza con quella dell'amato, ella avrebbe dato ad essa il migliore significato possibile, cioè quello che l’avrebbe resa assai orgogliosa. Più tardi, dopo essersi coricata, mentre gli altri familiari si erano dati a dormire profondamente, Grael aveva preferito starsene a sognare ad occhi aperti. Soltanto in quella maniera, ella poteva immaginare di stare ad amoreggiare con lui, venirne deflorata tra estasianti sensazioni e dolci brividi. In quegli attimi inesprimibili, non si asteneva dal toccarsi la parte più vulnerabile del proprio corpo, sessualmente inteso, fino a provarne un immenso piacere. Infatti, la masturbazione ben presto le aveva procurato un godimento orgasmico ineffabile ed incontenibile. Quando infine si era sentita spossata nel fisico ed inebriata nello spirito dall’autoerotismo, la ragazza si era lasciata prendere dal sonno con magica dolcezza.

Nei giorni successivi, invece, al solo pensiero che egli potesse essere un dio, Grael aveva voluto rinunciarci su due piedi. Perciò si era adoperata per disinnescare quanto già di passionale stava per esplodere in lei. Ma volere imporsi un determinato atteggiamento non sempre significa, da parte nostra, avere il sopravvento su di esso e riuscire a pilotarlo a nostro piacere, obbligandolo a seguire la nuova rotta da noi desiderata od imposta. Al contrario, spesso càpita che esso si ribelli perfino a chi l’ha fatto germinare in sé, senza nessuna voglia di arrendersi. Per cui combatte perché non venga sacrificato sull’altare della rinuncia e lotta senza desistere, affinché gli si dia la dovuta e appagante considerazione!

Proprio un fatto di quel genere era avvenuto nella sprovveduta ragazza, la quale adesso si vedeva costretta a vivere il simpatico giovane in due diverse realtà. A volte, considerandolo un uomo, gli dedicava con la mente il suo amore a tutto spiano. Altre volte, invece, ritenendolo un verace dio, si sentiva in dovere di sbattere la porta in faccia alla passione amorosa per non sentirne più parlare nel proprio animo. Ma il voler rinunciare ad essa le si rivelava un sacrificio inevitabile e un dovere categorico, da parte della sua coscienza. A Grael, per come stavano veramente le cose, risultava arduo ripudiare la seconda realtà e rigettarla nell’assurdo luogo di origine, dandosi ad estinguerla in una logica umana, la quale poteva risultare unicamente tirannica e beffarda. Alla fine, per un evidente opportunismo, ella si era adagiata sulla non soluzione del problema e su un marcato disinteresse per esso, manifestamente simulato. Assumendo quell'atteggiamento, la ragazza non si sentiva più obbligata nell'intimo ad abdicare in modo definitivo a chi le sfuggiva come dio e l’allettava incommensurabilmente come uomo.