189°-L'ASSALTO DEI TRE AMICI ALLA FORTEZZA DI ASUROK

Quando ebbe terminato il suo incredibile racconto, che secondo lui avrebbe distolto chiunque dall'andare avanti nelle proprie prodezze, Bulsot domandò ai tre giovani:

«Adesso che avete appreso ogni cosa su Asurok, intendete ancora perseguire il vostro obiettivo, il quale, come mi avete dichiarato, è quello di liberare gli sfortunati bambini dorindani? Oppure, come sarebbe più logico, giustamente vi è passata la voglia di andare avanti nel vostro insensato proposito? Desidero proprio apprenderlo da voi tre!»

«Invece sappi, Bulsot, che noi non ci arrendiamo di fronte a niente: neppure quando si tratta di una impresa impossibile oppure di un pericolo all'apparenza ritenuto da tutti mortale!» Iveonte gli rispose «Siamo qui per liberare i bambini e non saranno di certo i guerrieri di Asurok ad intimorirci, nonostante il loro numero sia assai esorbitante! Ciò che non sai è che nessuno e niente potrà mai farci paura e dissuaderci dal compiere quanto ci siamo prefissi di portare a termine per nostro dovere! Adesso, ammesso che tu abbia buona memoria, vogliamo apprendere da te quanti bambini hai consegnato al tuo potente signore fino alla giornata odierna. Ti invitiamo ad essere preciso nel risponderci!»

«Come posso rendermi conto, c'è qualcosa che non funziona nella vostra zucca, giovanotti! Sono certo che in essa manca qualche rotella o forse un po' di sale! Pur riconoscendo il vostro indubbio valore, per avermelo dimostrato proprio nella mia casa, sappiate che anche quello dei guerrieri di Asurok non è da meno, i quali, al momento attuale, sono ben millecinquecento! Perciò sono più che convinto che la vostra sarà una impresa impossibile. Ma che dico? Essa sarà un autentico suicidio! Lo volete comprendere, sì o no, e convincervi a recedere da essa?»

«Ti abbiamo forse chiesto qualche tuo parere in merito, Bulsot? Certo che no! Allora smetti di esprimerci le tue impressioni su ciò che intendiamo attuare e forniscici invece qual è il numero esatto dei bambini che hai consegnato ad Asurok fino alla data odierna! Pretendiamo da te che tu ci riferisca solamente il loro numero e niente altro!»

«Allora, giovanotto, se non vado errato, sommando tutti quelli delle consegne da me effettuate, ho già procurato al potente Asurok trecentododici fanciulli. Altri invece, di un numero ancora imprecisato, sarebbero dovuti arrivarmi nei giorni appena trascorsi, ma stranamente non mi sono ancora giunti. A tale riguardo, non riesco a capacitarmi come mai non ne ho avuto nessuna notizia fino a questo momento! Ci saranno stati senz'altro degli imprevisti, se non si trovano già da me, per essere condotti al potente signore!»

«Altroché, se ci sono stati dei contrattempi per le tue sei bande, Bulsot!» gli fece presente Iveonte «Esse, dopo aver rapito i bambini, hanno avuto a che fare con noi, per il qual motivo i loro membri si sono visti troncare per sempre l'esistenza in brevissimo tempo. Così hanno smesso di fare lo sporco lavoro, al quale si dedicavano in precedenza con grande disonestà e mostrandosi duri di cuore verso gli innocenti bambini, che toglievano all’affetto dei loro genitori!»

«Vuoi dirci anche, Bulsot,» a sua volta, gli domandò Francide «se ti sei mai trovato presente a qualcuno degli interventi mutilatori effettuati sui bambini da parte di Asurok? In caso affermativo, sei pregato di metterci al corrente di come in realtà avviene la castrazione dei piccoli Dorindani. Te ne saremmo molto grati, se tu lo facessi!»

«Più di una volta» gli rispose Bulsot «mi è capitato di assistere a questo genere di intervento chirurgico, il quale viene eseguito dalle mani esperte dello stesso Asurok. Vi assicuro che non è una cosa bella, a vedersi! Adesso ve ne descrivo i disgustosi particolari. Dopo aver fatto addormentare il bambino con una sostanza ipnotica che viene sciolta in una bevanda, egli lo denuda. Ottenuto il suo addormentamento, il potente signore lega molto strettamente alla sua base il suo scroto e recide poi con un coltello bene affilato l'intero sacco che contiene le gonadi maschili. Alla fine cauterizza con una lama arroventata il moncone del sacco scrotale rimasto e lo libera dal laccio emostatico che era servito per la legatura e per l'emostasi. Se qualcuno di voi si sta chiedendo che fine fanno poi i testicoli del bambino trattato chirurgicamente, ebbene lo accontento anche in questo. Asurok, dopo averli asportati, li lancia al suo cane, il quale si trova ogni volta presente all'intervento. La bestia allora li afferra a volo con le sue fauci spalancate e li ingoia, come se fossero dei teneri bocconcini di carne di qualche animale selvatico!»

«Asurok è senz'altro una persona ignobile, se arriva a fare una cosa simile nei confronti dei poveri bambini rapiti!» intervenne a dire Astoride «Ma è possibile, Bulsot, che i piccoli, durante la terribile mutilazione, non si sveglino e non si mettano a strillare forte, a causa del terribile dolore che sopravviene in loro? Se hai evitato di parlarcene, è perché gli viene a mancare tale sofferenza! Oppure mi sto sbagliando?»

«Certo che ti sbagli, giovanotto. Invece, non appena la lama infuocata sfiora e brucia ciò che è rimasto dello scroto asportato, essi si svegliano all'istante ed iniziano ad urlare fortemente per il dolore che si impossessa di loro. Riesce a calmarli almeno un poco l'unguento lenitivo che dopo viene applicato sulla parte bruciata, allo scopo di ammorbidirla come meglio può! I poveretti fanno una grande pena in quel momento!»

«La crudeltà di Asurok non ha limiti, amici cari.» Iveonte interloquì ancora, mostrando tantissimo sdegno per lui «Perciò bisognerà fargliela pagare a quel mostro di uomo! Egli dovrà pentirsi del suo mostruoso atteggiamento, che scelleratamente assume verso i nostri piccoli conterranei. Dopo averli fatti soffrire in maniera disumana, l'infame e tristo uomo li rovina a vita con l'evirazione, rendendoli così impotenti a procreare a vita! Come non si può mostrare ribrezzo di fronte a cose simili!»

«Siamo d'accordo con te, Iveonte!» approvò Francide anche a nome di Astoride «Quindi, occorre che mettiamo al più presto fine alle sue efferatezze contro i nostri fanciulli! Tu, amico nostro, in questo caso cosa suggerisci, perché un fatto del genere non si abbia mai più a ripetere, ma venga neutralizzato per sempre?»

«Ci toccherà condurci alla svelta alla fortezza di Asurok, allo scopo di arrecare a costui una morte immediata. L’immorale personaggio se la merita senza alcuna misericordia, tenuto conto dei suoi numerosi ed orrendi crimini! Perciò lo faremo, amico mio, senza alcuna esitazione e con fermo proposito! Perciò prepariamoci, senza ulteriore indugio, per portare a termine la nostra nobile missione. Il cui obiettivo sarà quello di far cessare in modo definitivo le ignobili crudeltà che abbiamo apprese dal qui presente Bulsot.»


Venuti a conoscenza dal tangalo Bulsot di tutto quanto interessava a loro tre, Iveonte, Francide e Astoride lasciarono la sua dimora. Poi, in groppa ai loro magnifici destrieri, si diressero in direzione della fortezza. La quale non si trovava molto lontana, considerato che erano appena cinque le miglia che la separavano dal villaggio di Nuskuf. Una volta che la ebbero raggiunta, i tre giovani ne poterono apprezzare l'enorme mole di pietra che la costituiva. Comunque, nella sua estensione, essa non riproduceva alcuna figura geometrica. Allora i tre impavidi amici ne percorsero un paio di volte l'intera lunghezza perimetrale, allo scopo di studiarsi bene le mura di cinta e di cercarvi la sua parte più facilmente accessibile. Invece non vi trovarono alcun punto nevralgico, il quale potesse agevolargli l’accesso in qualche modo. A quel punto, Iveonte e i suoi due amici, volendo stuzzicare la curiosità di quelli che vivevano nella fortezza, si piantarono davanti al suo ingresso, che risultava sbarrato da un enorme portone. Essi, in verità, se ne restavano fermi davanti ad esso; ma ad una distanza che non era superiore ai trenta metri. Così facendo, intendevano attrarre l'attenzione di quanti, dall'alto delle mura, sorvegliavano i suoi dintorni con scrupolosità.

Come previsto, siccome il loro strano atteggiamento durava da parecchio, ne venne informato immediatamente Asurok da una delle sentinelle, che prestavano servizio sulle mura e ne vigilavano i dintorni. Egli allora, essendo desideroso di comprenderci qualcosa sull'avvenimento, si condusse nella garitta soprastante all'ingresso della fortezza. Nel fare ciò, si fece accompagnare da Nelsuk, che era il capo dei suoi guerrieri. Da lassù, dopo aver dato una rapida occhiata ai tre ignoti cavalieri che continuavano a comportarsi allo stesso modo di prima, si diede a dialogare con il suo accompagnatore, parlandogli in questo modo:

«Secondo te, Nelsuk, chi possono essere quei tre cavalieri e che cosa possono volere da noi? Hanno forse intenzione di farsi assumere da me e diventare altri miei guerrieri? Oppure credi che lo scopo della loro presenza nei pressi della mia fortezza sia un altro? Se lo vuoi sapere, non so cosa pensare in merito alla loro visita, la quale sèguita a fare scena muta. Per cui non mi fanno comprendere se intendono farsi ricevere da me e, in caso affermativo, a quale scopo.»

«Anch’io, Asurok, non riesco ad immaginarmi qualcosa su di loro, considerato che mi trovo nella tua stessa situazione. A ogni modo, dubito che quei tre cavalieri siano qui per arruolarsi nel tuo piccolo esercito; altrimenti sarebbero venuti a bussare al portone ed avrebbero chiesto di parlarti, anziché restarsene a quella distanza. Ne deduco che il loro intento è ben altro, se continuano a comportarsi in quel modo! Comunque, lo conosceremo molto presto, secondo quanto penso io!»

«Probabilmente, hai ragione tu, Nelsuk. Per cui comincio a ritenere che essi stiano qui solo per cercarvi rogne. E noi saremo ben lieti di accontentarli! Oppure sei del parere che ci convenga appurare la verità su di loro, prima di procedere alla loro esecuzione? Per favore, dammi un tuo consiglio utile, il quale mi faccia poi risolvere nel modo giusto!»

«Invece, Asurok, non sono in grado di consigliarti alcunché, siccome mi trovi completamente spiazzato di fronte ad una situazione del genere! Ma essendo tu il padrone, puoi decidere quello che vuoi, anche se c'è qualcosa che non mi convince e non mi fa sentire del tutto tranquillo. È come se avvertissi dentro di me una insolita sensazione, la quale adesso mi porta più a preoccuparmi che a tranquillizzarmi!»

«Sei sicuro di sentirti bene, Nelsuk? Come fai a pensare che solo tre giovani cavalieri possano rappresentare un pericolo per tutti noi, che formiamo quasi un esercito? Dov'è finita la tua incrollabile fiducia nei tuoi invincibili guerrieri? Se i miei conti sono esatti, ce ne restano ancora millecinquecento, dopo le perdite che abbiamo subito durante lo scontro avuto con l'esercito del capo dei Tangali, il borioso Sungot. Inoltre, è mia convinzione che tu, da solo, te ne sbarazzeresti in un attimo!»

«Può darsi che sia come asserisci, Asurok. In questo momento, però, mi fai sapere come la mettiamo con quei tre cavalieri, dato che dobbiamo pur prendere un provvedimento nei loro confronti, il quale tenda a chiarirci quanto prima qualcosa sul loro conto?»

«Allora, comandante dei miei invincibili guerrieri, prendi con te cento dei tuoi guerrieri, esci dalla fortezza e vai a renderti conto di persona della verità su di loro, però chiedendogli prima a cosa è dovuta la loro presenza nei nostri paraggi. Se si rifiuteranno di rispondere alle tue domande oppure si dimostreranno insolenti nei vostri confronti, non esitare a farli uccidere come cani dai tuoi uomini. Ecco: questi sono i miei ordini, mio consigliere, che eseguirai immediatamente!»

«A mio avviso, Asurok, mi bastano soltanto una dozzina dei miei guerrieri per condurre a termine la missione contro i tre sconosciuti cavalieri. Essi, come facilmente prevedo, saranno sufficienti ad eliminarli senza esserci problemi di sorta! Non lo credi anche tu?»

«Fai come ti pare, Nelsuk; però sbrìgati a raggiungerli e a risolvere la questione con loro tre! Io seguirò da questa guardiola l'evolversi della vicenda, che sono sicuro sbrigherai rapidamente e con il migliore risultato. Vai, dunque, mio prode guerriero, e cerca di non deludermi! Ma come potrebbe poi derivarmi una delusione da un fatto del genere?»

Un istante dopo, Nelsuk già aveva lasciato la garitta, dovendo andare a scegliere la decina di guerrieri da condurre con sé all’esterno della fortezza. Avvenuta infine la scelta dei suoi uomini migliori, egli, stando alla loro testa, li condusse in fretta fuori le mura. All'esterno delle quali, spronarono i loro cavalli in direzione dei tre misteriosi cavalieri, i quali non smettevano di restare nello stesso posto e sempre muti come pesci. Giunti poi a pochi passi da loro, con molta alterigia Nelsuk si diede a parlargli con le parole riportate qui appresso:

«Il mio signore, che è il potentissimo Asurok, desidera sapere da voi cosa ci fate qui nell'ampio spiazzo antistante alla sua fortezza, seguitando a mantenere la medesima posizione, quasi vi foste incollati. Se non me lo dite alla svelta, io e i miei guerrieri saremo costretti a troncarvi per sempre l'esistenza! Allora cosa avete da dirci, a tale riguardo?»

«Bella presunzione è la tua!» gli rispose Iveonte «Al posto tuo, prima di lanciare minacce, mi farei un esame di coscienza, chiedendomi se sono davvero in grado di concretizzarle. Ad ogni modo, non abbiamo alcuna difficoltà a risponderti. Perciò ti dichiariamo senza indugio che è stata la prepotenza del tuo infame padrone a farci trasferire da queste parti. Il motivo? Vogliamo porre fine al suo agire dispotico e perfido. Adesso che hai appreso ogni cosa da noi, corri pure a riferirglielo, senza perdere altro tempo! Intanto noi attenderemo la sua reazione.»

«Ah, ah! Hai tacciato me di presunzione! Allora cosa dovrei dire di te, che pretendi cose irrealizzabili! Sappi che non andrò a dire un bel niente a colui che ora rappresenta l'autorità in questa regione. Anzi, quando sarò ritornato da lui, gli farò dono delle vostre tre teste mozze, per avere osato minacciarlo apertamente! Perciò preparatevi a diventare presto acefali, poiché è così che vi ritroverete ad essere tra poco!»

Alle aspre parole di Nelsuk, i suoi guerrieri all’istante diedero di piglio alle loro sciabole, essendosi convinti che era giunto il momento di fare a botte e di darle da orbi contro i tre giovani. I quali erano venuti a sfidare la potenza del loro signore Asurok. Nello stesso tempo, anche Iveonte e i suoi amici li imitarono, mostrandosi pronti a far fronte al loro assalto, il quale non sarebbe stato di sicuro un abbraccio colmo di affettuosità. In quel modo, la mischia non tardò ad accendersi tra loro, trovando sfogo in una gragnola di colpi possenti e micidiali, che piovevano da entrambe le parti. Quelli mortali, al contrario, si rivelarono solo i colpi dei tre amici. Per il qual motivo, essi si liberarono in breve tempo di coloro che avevano deciso di decapitarli e di ridurli in carne da macello.

Avendo seguito dalle mura della sua fortezza l'eccidio dei suoi guerrieri, avvenuto da parte dei tre imbattibili giovani, Asurok non ebbe dubbi nel ritenere che i tre sconosciuti cavalieri fossero assai straordinari nell'uso delle armi, oltre che degli arditi combattenti. Glielo comprovava il fatto che essi, pur essendo la quarta parte dei suoi uomini inviati contro di loro, ne avevano fatto piazza pulita in men che non si dica. Allora, senza chiedersi più il motivo per cui gli stessi si erano presentati davanti alla sua superba costruzione di pietra, inviò contro i tre cavalieri ancora un centinaio di guerrieri. Questa volta egli era convinto che i suoi uomini sarebbero bastati per sbarazzarsi dell'esiguo numero dei suoi spavaldi nemici. Così essi sarebbero stati eliminati per sempre. Invece, a onta di ogni aspettativa di Asurok, il suo ricorso ad altri cento dei suoi guerrieri ugualmente non si rivelò sufficiente per fargli raggiungere il suo scopo, con il quale si era prefisso lo sterminio dei suoi sgraditi visitatori. Anche loro, infatti, con un po' di tempo in più, si ritrovarono a subire il medesimo trattamento ricevuto dai loro undici commilitoni inviati prima. Dopo essersi impegnati in uno scontro furioso con i loro tre avversari, essendo desiderosi di annientarli e di vendicarsi dei compagni, li si videro cadere giù morti stecchiti dai loro cavalli, simili a dei fuscelli rinsecchiti. Quasi fosse stata la tempestosa veemenza di un ciclone a travolgerli dai loro imbizzarriti e focosi quadrupedi!

Allora, di fronte alla capacità battagliera dimostrata nuovamente da Iveonte e dai suoi due amici, Asurok rimase senza parola. Poi se ne restò a riflettere, al fine di decidere quale ulteriore provvedimento prendere nei loro confronti. Infine deliberò di ricorrere all'impiego di un nuovo squadrone di cavalleria, il quale sarebbe stato composto da trecento dei suoi guerrieri. Costoro, prima di allora, si erano sempre mostrati all'altezza del loro compito, senza mai andare incontro a fallimenti, ma riscuotendo tutte le volte il suo plauso. Essi, dunque, considerato anche il loro numero ingente, avrebbero dovuto finalmente dargli la massima soddisfazione. Ma sarebbe accaduto ciò che pensava oppure egli avrebbe continuato a riscuotere soltanto insuccessi? Al contrario, il nuovo ingente numero di guerrieri, nonostante avesse operato un accerchiamento, lo stesso non gli servì affatto dal punto di vista di una offesa efficace. Dal loro centro, infatti, si produsse una specie di vortice catastrofico, il quale, a mano a mano, si andò propagando fino alla periferia. Quella sua propagazione veniva a significare solo una carrellata di stragi e di morti nelle file dei guerrieri di Asurok. Essi si vedevano infilzare, decapitare e mutilare dai tre giovani invincibili ed indefessi nel combattere, poiché mostravano un furore infrenabile e massacratore; inoltre, si scatenavano sui loro nemici con una stizza furibonda e travolgente. Così facendo, non smettevano di seminare cumuli di cadaveri in ogni angolo, producendovi senza compassione eccidi immani. Per questo ovunque i forti lamenti si sommavano alle atroci sofferenze.

Anche al termine del terzo scontro, tutti i guerrieri di Asurok giacevano morti sull'insanguinato campo di battaglia, il quale adesso appariva in ogni sua parte incredibilmente orrendo, a causa del truce spettacolo da esso rappresentato. Invece vi restavano ancora illesi sui loro cavalli Iveonte, Francide ed Astoride, i quali apparivano soddisfatti ed orgogliosi della loro vittoria. La ragione della loro soddisfazione e del loro orgoglio? L’una e l’altro avevano significato la fine di altre persone che operavano a favore della prepotenza e lottavano infamemente al suo servizio, pur di costringere i più deboli a piegarsi al loro dispotico padrone. Quanto ad Asurok, egli non voleva assolutamente credere che erano bastati tre soli cavalieri a far fuori un intero battaglione dei suoi formidabili guerrieri. Allora decise di tentare il tutto per tutto, facendo uscire dalla fortezza i mille e cento uomini che gli restavano ancora. A suo parere, unicamente in quel modo sarebbe riuscito ad averla vinta contro quel terzetto di giovani impavidi ed irriducibili. Nello stesso tempo, pure Iveonte e Francide subodorarono ciò che sarebbe successo a momenti. Per questo i due giovani fecero allontanare il più possibile dal luogo della tenzone il loro amico Astoride, dovendo essi mettere in atto la tecnica della trottola contro i nuovi guerrieri di Asurok. Essa si rivelava un'arma terribilmente micidiale, essendo capace di mietere in poco tempo centinaia e centinaia di avversari. I due amici l'avrebbero attuata ciascuno per proprio conto, ossia stando molto distanti l'uno dall'altro, ad evitare di arrecarsi un mutuo danneggiamento. Per lo stesso motivo, essi avevano voluto che l'amico stesse lontano dai due campi di battaglia, che presto si sarebbero avuti nei dintorni della fortezza, in zone molto distanti l’una dall’altra.

Poco tempo dopo, cominciarono a venire fuori dalla fortezza i millecento guerrieri di Asurok. Egli, nella nuova circostanza, era convinto che per lo scarso numero dei suoi nemici era giunta l'ora fatale. Ma metteva pure in conto che tra i suoi combattenti non sarebbero mancate vittime in gran quantità. A lui, però, non interessava la loro morte, visto che essi potevano essere rimpiazzati in ogni momento e senza che la loro sostituzione rappresentasse un grosso problema. Invece gli importava l'annientamento di coloro che, fino a quell'istante, gli avevano fatto suggere un sacco di veleno. Perciò attendeva con ansia che essi venissero trafitti a morte dai suoi restanti guerrieri con suo sommo appagamento, facendone una sanguinosa poltiglia. Così, non appena i numerosi guerrieri di Asurok misero in atto la loro uscita dalla fortezza in duplice fila, in pari tempo i due amici abbandonarono la loro posizione iniziale, ossia quella che li teneva insieme. Ora essi correvano in direzioni opposte, precisamente Iveonte verso destra e Francide verso sinistra. I loro nemici, però, non li fecero andare da soli. Avendoli visti allontanarsi ognuno per proprio conto, immediatamente si lanciarono al loro inseguimento. Infatti, di ogni coppia di guerrieri che usciva dalla fortezza, l'uno si era dato ad inseguire Iveonte e l'altro si era messo a rincorrere Francide. Così, in numero di cinquecentocinquanta ciascuno, ogni gruppo di guerrieri cercò di avvicinarsi al proprio avversario, correndogli dietro con grande accanimento.

Ad un certo momento, Iveonte e Francide, essendosi accorti che essi adesso si trovavano ad una ragionevole distanza l'uno dall'altro, interruppero la loro corsa e si fecero raggiungere dai loro inseguitori. Inoltre, prima di essere accerchiati dai nemici, balzarono dai loro cavalli e li mandarono via, non volendo vederli feriti od uccisi dalla terribile macchina bellica, che si preparavano a porre in azione. Essa, infatti, si lasciava eseguire esclusivamente stando appiedati e reggendosi sulla solida punta di un solo piede. Il quale, alternandosi con l'altro nel suo piroettare incessante, si sarebbe dato ad agire contro i nemici, come se fosse il chiodo di una trottola. Dal canto loro, dopo aver effettuato l'accerchiamento, i guerrieri di ogni gruppo, volendo imitare il rivale che stavano per assalire, si liberarono anch'essi dei loro cavalli. Subito dopo, invece, si lanciarono di corsa contro l'unico loro avversario che li attendeva intrepido. Ma prima che avvenisse l'impatto con ciascuno di loro, Iveonte da una parte e Francide dall'altra, impugnarono le rispettive spade con entrambe le mani. Poi, tenendole allungate in avanti, iniziarono a girare su sé stessi con un moto vorticoso. Grazie al quale, a causa della vertiginosa velocità raggiunta, essi sparirono alla vista dei nemici, pur agendo in mezzo a loro con la massima concretezza.

Allora la presenza dei giovani, se non si faceva scorgere tra i numerosi guerrieri, si faceva senz'altro avvertire in maniera letale, arrecandovi delle enormi stragi. Pareva che si fosse presentata nelle loro file l'invisibile morte, la quale si mostrava assetata di stermini orribili, come appunto li cagionava nei confronti dei guerrieri di Asurok. Costui, dal canto suo, non si rendeva conto di ciò che stava accadendo nelle schiere dei suoi armati. Comunque, in mezzo a loro, poteva avvistare ammazzamenti e mutilazioni a loro danno, siccome non si vedeva neppure l'ombra dei due giovani da loro assaliti. Combattendosi in quel modo, i due squadroni di cavalleria, che si erano trasformati in fanti, nello stesso tempo venivano costretti da Iveonte e da Francide ad assottigliarsi sempre di più nel loro numero. Difatti ogni squadrone andava diminuendo paurosamente a vista d'occhio. Quando poi in ciascuno esso scese ad una trentina di unità, allora i due giovani battaglieri posero fine alla tecnica sterminatrice della trottola e ricomparvero ai loro irosi nemici. La loro apparizione, però, ci fu soltanto per ultimare la loro massiccia opera massacratrice. Essa allora fu portata a termine dai due amici poco dopo tra i rimanenti guerrieri di Asurok, prima decimandoli ulteriormente e poi azzerandoli in modo micidiale.

Anche Astoride aveva assistito da lontano alla vittoria di Iveonte e di Francide, per cui non tardò a riportarsi al loro fianco, poiché oramai adesso dovevano soltanto tentare insieme di scalare le ciclopiche mura della fortezza del potente signore. Per farlo, essi si servirono di una lunga corda ottenuta con le redini di alcuni cavalli. Dopo averla lanciata e fatta avvolgere intorno ad uno dei merli, ne legarono un capo ad un cavallo. All'altro, invece, si appese Iveonte per farsi tirare su dalla bestia. Nel frattempo, però, Francide ed Astoride vigilavano perché nessuno della fortezza si avvicinasse alla fune per spezzarla. Così quei pochi che tentarono di approssimarsi ad essa per reciderla furono fulminati dalle loro saette infallibili. Quando infine Iveonte fu sopra le mura, Astoride lo raggiunse, salendo allo stesso modo suo; invece Francide, per affiancarli, dovette farsi tirare su dagli amici.


Dalla sommità delle mura, Iveonte, Francide e Astoride si trasferirono poco dopo in una delle vie della fortezza, dove si fecero spiegare da un residente del luogo come pervenire al palazzo di Asurok. Costui, da parte sua, dopo aver constatato l'eccezionalità battagliera della coppia di combattenti, che da soli avevano fatto tabula rasa di tutti i suoi millecinquecento guerrieri, non aveva perso tempo ad abbandonare le mura e a svignarsela, riparando nel suo sontuoso palazzo. Quando infine i tre giovani vincitori vi pervennero e gli furono al cospetto, egli incominciò a parlare loro in questo modo:

«Ciò che siete stati in grado di fare, invincibili cavalieri, mi ha davvero sbalordito! Per cui non vi reputo delle persone normali. Il vostro è stato un prodigio, che soltanto delle vere divinità potevano compiere! Non mi era mai capitato di assistere ad imprese simili e, se mi avessero parlato di quanto voi siete stati capaci di dare dimostrazione, non ci avrei mai creduto! Adesso mi è permesso di apprendere da voi perché siete venuti da me come nemici, mettendo fuori combattimento la totalità dei miei prodi guerrieri?»

«La ragione è molto semplice, Asurok.» gli rispose Iveonte «Noi veniamo da parte di quei genitori dorindani, ai quali, a causa della tua deviazione sessuale, sono stati crudelmente rapiti i figli da persone infami. Avendo appreso in questa regione che sei stato tu a commissionare il loro rapimento, essi possono solo trovarsi nella tua residenza. Perciò siamo venuti a liberarli e a riportarli alle loro madri disperate.»

«Se è solamente questo che volete da me, guerrieri insuperabili, subito mi metto a vostra disposizione. Non ho nulla in contrario a consegnarvi i trecentododici bambini, che fino adesso mi sono stati portati da colui che conoscete bene e che vi ha anche indirizzati da me. Così dopo mi lascerete in pace, non avendo più niente a che fare con me!»

«Non credo, Asurok, che le cose andranno esattamente come hai immaginato. Intanto ti faccio presente che siamo noi a riprenderci con la forza i bambini dorindani e non sei tu a restituirceli, spinto da un atto di altruismo. Se si trattasse della sola accusa di rapimento, forse avremmo anche potuto chiudere un occhio, risparmiandoti la vita. Invece, da quanto ci è stato detto, ti sei macchiato di una colpa ben più grave nei loro confronti. La quale non ci permetterà di indulgere nei tuoi confronti e ci indurrà ad essere duri ed inflessibili, come non lo siamo mai stati con nessun altro nostro nemico fino ad oggi! Quindi, persona corrotta, ti rendi conto che, grazie al nostro intervento, hai smesso di essere il potente uomo di una volta, il quale, ricorrendo alla forza, otteneva senza difficoltà tutto quanto desiderava?»

«Non capisco di quale reato mi si accusa, mio interlocutore forestiero. Non credo che mi si possa incolpare di un fatto così immane, da farmi meritare da voi la morte, senza alcuna attenuante! Perciò mi palesi il reato al quale ti sei voluto riferire, per favore?»

«Secondo te, Asurok, l'evirazione di tanti bambini è un'azione che rientra nella normalità? Se la pensi così, interpreti nel modo errato la legge morale, la quale si prefigge ben altri obiettivi, tra cui quello del rispetto della persona umana. Al contrario, mutilandoli come tu hai fatto, hai trattato come bestie degli esseri umani e, di conseguenza, hai calpestato tale legge. Ma anche se lo avessi fatto a delle bestie, saresti stato ugualmente un essere ignobile! Quindi, avendo mutilato i bambini come sai, non c'è dubbio che tu abbia messo sotto i piedi la loro dignità, poiché il tuo atteggiamento può essere considerato unicamente obbrobrioso. Ecco perché meriti la morte non una sola volta, ma per quante volte hai eseguito la castrazione a danno di ogni piccolo sventurato! A questo punto, ti intimiamo di farci condurre in questa sala dai tuoi servi i bambini, che con infamia sono stati portati via ai loro afflitti genitori e sono stati poi rovinati da te per tutta la loro esistenza di uomini!»

All’intimazione di Iveonte, Asurok si affrettò a dare disposizioni ad alcuni suoi inservienti presenti, perché i piccoli dorindani fossero condotti in quel luogo al più presto. Allora non era trascorso neppure un quarto d'ora, allorché furono scorti i bambini mentre facevano ingresso nel salone. Essi erano raccolti in dieci gruppi, ciascuno dei quali era guidato da una persona adulta, il quale rappresentava il loro precettore. Quando infine tutti gli spauriti minorenni furono entrati, quelli che li avevano condotti nella sala si staccarono da loro ed andarono a porsi in semicerchio ai fianchi e alle spalle del loro signore. Ma una volta assunta quella posizione, essi tirarono fuori dei lunghi pugnali e, al grido sdegnoso di "Morte al satrapo scellerato, per avere danneggiato tante esistenze maschili!", in un attimo lo aggredirono con ferocia. Fu a quel punto che si diedero a pugnalarlo senza sosta. Smisero di colpirlo, solamente quando lo videro crollare al suolo sanguinante e privo di vita. Da parte loro, i tre giovani amici non intervennero a fermarli, ma li lasciarono fare, fino a quando non lo uccisero, essendo convinti che era più che giustificato il loro sfogo, che aveva il sapore di una vendetta. Dopo che in quelle dieci persone infuriate ebbe termine il loro bollente atto vendicativo, Iveonte non poté fare a meno di chiedergli:

«Mi dite per quale ragione avete assassinato il vostro padrone? Come mai l'odiavate a morte? A ogni modo, vi ringraziamo per averlo fatto voi al posto nostro, evitandoci così un compito che ci sarebbe risultato insopportabilmente ingrato!»

«Asurok» gli rispose uno dei precettori «tempo fa si era già comportato nei nostri confronti, come ha iniziato a fare da poco con questi fanciulli, rovinando noi e loro per tutta la vita. Perciò adesso ci ritroviamo ad essere degli eunuchi, totalmente privati della nostra virilità, senza la quale ci è anche negato di vivere come degli autentici maschi. La qual cosa ci mette nella impossibilità di provare quelle sensazioni di tipo sessuale che provengono ad un uomo, quando viene a contatto con una donna! Adesso, però, dovete scusarmi, se prima ho dimenticato di dirvi subito il mio nome, il quale è Uop!»

«Io e i miei amici comprendiamo il vostro stato d'animo e non possiamo che darvi ragione, Uop. A questo punto, però, noi abbiamo difficoltà ad accompagnare tanti bambini dai loro genitori. Sapresti tu consigliarci come superare l'ostacolo? Di certo non possiamo portarli a piedi oppure farli salire tutti sui nostri tre cavalli. Inoltre, a poche miglia da qui, ce ne sono ancora una settantina da condurre dai loro genitori!»

«Come mi rendo conto, voi avete bisogno di una trentina di carri per trasportare tutti i trecentottantadue bambini nella vostra terra. Per fortuna, essi non costituiscono un problema, poiché qui nella fortezza ce ne sono un centinaio. Basta andare a prenderli presso il reparto delle bestie, dove sarò io stesso a condurvi. Sono sicuro che coloro che li hanno in consegna non vorranno affatto rifiutarveli, siccome rappresentate gli invincibili guerrieri che hanno sgominato e distrutto l'intera armata di Asurok. Anzi, essi si metteranno subito a vostra completa disposizione, non volendo rischiare la loro pelle!»

Le cose andarono proprio come aveva previsto l'eunuco Uop, per cui Iveonte e i suoi due amici poterono abbandonare la fortezza senza alcuna difficoltà, pur portando con loro i numerosi bambini, poiché essi erano stati collocati sui trenta carri trainati da robusti cavalli. Ma prima di abbandonare definitivamente il territorio tangalico, i tre giovani ripassarono per il centro di raccolta, dove prelevarono gli altri bambini, ai quali Kasten stava facendo la sua preziosa compagnia da molto tempo, tranquillizzandoli alla meglio. Invece Iveonte, Francide e Astoride, visto che tra i ragazzi salvati c'era pure suo figlio, evitarono di avvilirlo almeno per il momento con la tremenda notizia. Perciò si astennero dal riferirgli il penalizzante intervento che l'ignominioso Asurok aveva fatto subire ai bambini dorindani rapiti, che si trovavano già nelle sue mani. Così facendo, non gli avevano intossicato l'esistenza anche per tutto il tempo che non avevano raggiunto la regione edelcadica.