186-IVEONTE E I SUOI AMICI VERSO IL REMOTO NORD

Il giorno seguente, i tre giovani e i sette delegati del nord, avendo già fatto un bastevole rifornimento di acqua, partirono alla volta dell'estrema regione settentrionale. Essa apparteneva al territorio di Dorinda e confinava con la Tangalia. I dieci viaggiatori prevedevano di arrivarci dopo cinque giorni di galoppate, salvo quegli imprevisti che si fossero presentati accidentalmente durante il viaggio. Questi ultimi, infatti, potevano sempre esserci sul loro percorso, anche quando non erano previst. Ma prima della partenza, non era mancato il caldo saluto dei tre giovani al saggio Lucebio. Egli, da parte sua, gli aveva augurato un ottimo viaggio ed una splendida riuscita nella loro nuova missione che essi stavano per intraprendere, la quale era da considerarsi senza meno nobile. Siccome la loro partenza c'era stata ai primi chiarori dell'alba, adesso già erano cominciati ad intravedersi ad oriente i primi strati di cielo, mentre si andavano liberando dei loro ultimi strascichi di buio. Nello stesso tempo, gli stessi venivano invasi dalla serica luce e si presentavano tratteggiati qua e là da grappoli rosei e turchini. Invece l'aria, in quelle prime ore del mattino, si mostrava alquanto frizzante. Comunque, i cavalli la preferivano, poiché essa risultava refrigerante ai loro corpi, i quali erano iniziati a surriscaldarsi a causa della loro celere corsa. Al contrario, i loro cavalcatori la tolleravano appena un poco.

Quando infine il sole ritornò ad essere sfolgorante ovunque, i dieci cavalieri avevano già percorso un buon tratto di strada. Anzi, esso li aveva fatti allontanare dalle mura della città così tanto, che non si riusciva più ad intravedere in lontananza neppure le sue parti più alte. Infatti, se avessero dato un'occhiata alle loro spalle, sull'orizzonte essi non avrebbero più scorto neanche una briciola del suo torreggiante maschio centrale. Perciò, a maggior ragione, erano sparite interamente ai loro occhi le massicce e turrite mura di cinta di Dorinda. Ma in seguito si stabilì che le loro soste andavano effettuate ogni volta nei pressi di qualche macchia. Con tale precauzione, i tre amici, oltre che fare riposare le loro bestie, si davano a cacciare nella sua ricca vegetazione la selvaggina da cuocere allo spiedo, facendola rosolare od arrostire, a seconda del tipo di carne. La qual cosa permetteva ai componenti del gruppo di cibarsi sempre di carne fresca, quella che si erano appena procurata con la caccia. Inoltre, quando incontravano qualche sorgiva sul loro percorso, essi svuotavano i loro otri della vecchia acqua rimasta e ve la sostituivano con quella nuova, riempiendoli fino all'orlo. Comunque, non si astenevano dall'abbeverarsi con essa a sufficienza, essendo attratti dalla sua limpidezza cristallina. In pari tempo, pure i loro cavalli ne approfittavano per dissetarsi abbondantemente. Così facendo, recuperavano i liquidi consumati con l'ingente sudore causato dalle frequenti galoppate. Le quali venivano affrontate da coloro che li montavano con un'andatura, che era da considerarsi quasi sempre piuttosto sostenuta.

Durante la loro prima sosta notturna, dopo esserci stata la consumazione della cena, prima di concedersi la dormita che tanto bramavano, tra di loro prese avvio una interessante conversazione. Ad essa parteciparono un ristretto numero di interlocutori, mentre gli altri preferirono soltanto ascoltare quelli che si davano a parlare con un certo interesse. Iveonte fu il primo ad aprire bocca, rivolgendo la seguente domanda al più loquace dei sette delegati:

«Mi dici, Siskum, come fate ad asserire con certezza che i Tangali, i quali rapiscono periodicamente i vostri bambini, appartengono a bande diverse, per cui esse sarebbero più di una? Ne avete forse le prove oppure non ci sono degli accertati riscontri a farvelo sospettare? Mi piacerebbe conoscere questo particolare, non avendo ancora compreso se sono delle vostre supposizioni a spingervi ad immaginarlo o se siete in possesso di prove inconfutabili.»

«Iveonte, nell'ultimo dei nostri raduni annuali, ai quali di solito prendono parte una grandissima quantità di coloni stanziati lungo l'intero nostro confine con la Tangalia, si è preso atto di una verità, di cui noi eravamo stati all'oscuro fino a quel momento. Siccome nella mattinata successiva al precedente plenilunio c'erano state le loro incursioni contemporaneamente in zone molto distanti tra di loro, ciò ci portò alla consapevolezza che ad operare sulle nostre terre non c'era una sola banda, ma dovevano essercene più di una, precisamente sei. Inoltre, ciascuna era formata da non meno di una cinquantina di uomini.»

«Se è in questo modo che ve ne siete accertati, Siskum, molto probabilmente sarà proprio così, per la qual cosa il numero complessivo dei rapitori si aggirerebbe sulle trecento unità. Allora, se le cose stanno come adesso ci siamo resi conto, saremo obbligati ad effettuare sei scontri separati, se vogliamo distruggere tutte le bande coinvolte nei rapimenti dei vostri bambini. Il qual fatto, rendendola più lunga, la nostra missione richiederà molto più tempo!»

«Invece, Iveonte, avrei supposto il contrario! Un conto è affrontare solo cinquanta rapitori e un altro conto è combattere contro trecento di loro! Ci avrei scommesso che la pensavate pure voi così! Mi spieghi come mai tu ed io la pensiamo in maniera diversa?»

«Devi sapere, Siskum, che per me e i miei amici non fa alcuna differenza, se il loro numero sia composto da cinque decine o da trecento unità. Per cui, se li avessimo contro tutti insieme, ciò ci faciliterebbe di molto il compito. In questo modo, li elimineremmo ugualmente con molta facilità, ma senza perdere il tempo di andare a cercarli in varie parti del territorio, le quali sono assai distanti l'una dall'altra. Esattamente sarà ciò che ci toccherà fare, una volta arrivati a destinazione! Mi ti sono spiegato per bene adesso?»

«Hai ragione, Iveonte! Mi era sfuggito un particolare importante, ossia che voi siete dei guerrieri invincibili. Per questo chiedo venia a te e ai tuoi amici, per aver commesso un errore di valutazione così madornale nei vostri confronti. Vi garantisco che non mi capiterà mai più di cadere in uno sbaglio di questo tipo, poiché terrò sempre a mente tale particolare, al quale poco fa non ho pensato neppure lontanamente!»

«Non c'è bisogno di scusarti da parte tua, Siskum! Qui occorre soltanto trovare un modo per ovviare ad una grande perdita di tempo. Essa sottoporrebbe anche le nostre bestie ad una immane fatica, se le tenessimo impegnate in una operazione su vasta scala. Difatti i nostri cavalli verrebbero a percorrere un sacco di miglia in più nella nostra ricerca e nella distruzione delle sei bande di rapitori!»

«Secondo me, Iveonte,» intervenne nella discussione pure Francide «ci sarebbe un modo di evitare la grande fatica di metterci sulle tracce delle sei bande. La quale non ci darebbe neppure la garanzia che, andando a cercarle, riusciremmo ad intercettarle tutte nelle varie zone e a sbaragliarle dalla prima all'ultima! Te lo garantisco!»

«Davvero dici, Francide!? Allora cosa aspetti a rendercene partecipi? Voglia il cielo che tu abbia ragione, se credi di aver trovato sul serio la maniera di evitarci le sei sfacchinate che ci attendono! Avanti, spiegaci come possiamo ovviare ad esse, amico mio!»

«Da quanto abbiamo appreso da Siskum, le bande tangaliche, dopo aver rapito gli sventurati bambini, li conducono tutti al medesimo posto di smistamento, il quale si trova sottoterra. Mi riferisco, Iveonte, a quello scoperto da Kasten, il conterraneo di Siskum. Se davvero le cose avvengono con tale accorgimento da parte loro, ci basta aspettarle tutte e sei in quel luogo. Così dopo noi le faremo fuori via via che esse vi si faranno vive; inoltre, libereremo pure i bambini appena rapiti dalle varie bande. Prima, però, ci toccherà entrare nel loro centro di raccolta, che si trova nel sottosuolo. Una volta in esso, elimineremo gli addetti alla sorveglianza dei piccoli, ammesso che ce ne siano in quel momento. Il sito, inoltre, ci occorrerà per celarvi i bambini fino alla definitiva sconfitta delle sei bande rapitrici. Allora, amico mio, non ti pare un buon piano quello da me ideato, che adesso ho messo a conoscenza di tutti?»

«Ti dico che è davvero formidabile, Francide! Perciò lo seguiremo alla lettera, non appena saremo giunti alla nostra meta! Ma dovrà venire con noi anche Kasten per due motivi: primo, egli dovrà condurci al centro di raccolta; secondo, dovremo usarlo come interprete, nel caso che occorresse costringere un rapitore a metterci sulla strada esatta per trovare i bambini già smistati. Mi riferisco a quelli che sono stati già portati via dal centro di raccolta nei giorni precedenti.»

«Anch'io trovo il piano di Francide studiato nella maniera giusta.» aggiunse Siskum «Riguardo a Kasten, egli vi seguirà senza meno. Anche perché la vostra opera prettamente umanitaria sarà rivolta tanto a recuperare i nostri bambini rapiti, quanto a privare tutti gli altri del rischio di rapimento. Ma adesso, Iveonte, posso sapere quando tu e i tuoi amici avrete intenzione di agire contro coloro che rapiscono i nostri bambini, una volta che avremo raggiunto le nostre terre? Se tu me lo dicessi, mi faresti un favore!»

«Ci metteremo all'opera il mattino dopo, Siskum, poiché non intendiamo soggiornare a lungo nelle vostre zone. Anzi, vogliamo sbarazzarci al più presto dei vostri persecutori e ritornarcene in fretta a tranquillizzare le nostre donne! Per quanto riguarda i bambini rapiti, sapresti dirmi a quanto ammonta il loro numero fino ad oggi? Dopo, se sarà necessario, aggiungeremo al computo già effettuato quelli che nel frattempo saranno diventati le vittime dei nuovi rapimenti! Allora me lo riferisci?»

«Se non sono in errore, Iveonte, al momento della nostra partenza per Dorinda, esso già superava, anche se di poco, la ragguardevole cifra di duecento unità! Come vedi, i bambini vittime dei ratti operati dai Tangali erano già molti, quando noi abbiamo lasciato le nostre terre!»

«Quindi, Siskum, prima di porre fine alla nostra scrupolosa missione, innanzitutto bisognerà controllare se tornano i conti dei bambini salvati e recuperati, nonché di quelli eventualmente periti. Altrimenti dovremo accertarci della fine che hanno fatto quelli che risulteranno mancanti alla nostra conta! Non ti sembra che sia abbastanza logico il mio ragionamento, quando dico che intendo recuperare tutti i bambini rapiti?»

«Certo che dovrà avvenire nel modo che tu hai affermato, Iveonte! Ti assicuro che la gente, che abita le contrade prossime al confine, saprà ragguagliarti con precisione sul numero dei bambini portati via ai loro genitori fino al nostro arrivo. Perciò tu e i tuoi amici, al momento del loro controllo, ne sarete in possesso senza il minimo errore! Così saprete come comportarvi di conseguenza, una volta sconfinati nella Tangalia!»

«Siskum, speriamo soltanto che Kasten rammenti esattamente il luogo dove vengono condotti i bambini rapiti! In caso contrario, il piano del mio amico Francide incontrerebbe grosse difficoltà nella sua messa in opera. Perciò sarà essenziale il ricordo di esso da parte del tuo conterraneo, se vogliamo condurre a buon fine la nostra missione e liberare al più presto i bambini strappati alle loro madri fino alla data odierna!»

«Come potrebbe non ricordarlo bene, Iveonte? Egli conosce il territorio tangalico come le sue tasche, siccome ha frequentato per lungo tempo sia il territorio che la gente della Tangalia. Prima avevo scordato di farvi presente che Kasten ha sposato la tangala Saskuep, la quale è nativa del villaggio di Murtux e dalla quale ha avuto anche tre figli maschi. Il suo terzogenito, di cui adesso non ricordo bene il nome, fu portato via dai rapitori nell'ultima incursione che subimmo tre mesi fa.»

«Stando così le cose, Siskum, io e i miei amici possiamo essere certi che siamo in buone mani, poiché non potremmo avere una guida migliore! Adesso, però, essendosi fatta notte inoltrata, ci conviene consegnarci al sonno, il quale sa fare riposare nel modo migliore le nostre stanche membra. C'è solo da metterci d'accordo sulla veglia notturna, che non dovrà assolutamente mancare nel nostro campo, se vogliamo sentirci abbastanza tranquilli, mentre dormiamo durante la notte!»

«Se non ci sono obiezioni da parte vostra, Iveonte, saremo solamente io e i miei amici a vegliare durante la nottata. Ovviamente, non tutti insieme, poiché staremo desti un'ora ciascuno. Alla fine del settimo turno, come sappiamo, già sarà giunta l'alba di nuovo. Allora, fatta la nostra colazione, saremo pronti per la ripresa del viaggio. Risparmiandovi, avrete la possibilità di essere riposati, al vostro risveglio!»

«Considerando che ci farà assai comodo quanto ci proponi e visto che l'idea è partita da te, Siskum, questa notte permetteremo a te e ai tuoi amici la completa sorveglianza sul nostro campo. Ora, però, bando alle chiacchiere, poiché vi invito tutti a concedervi al sonno, eccettuato il primo turnista, considerato che egli dovrà iniziare a vegliare.»


Quando il giorno successivo la natura si ripresentò in totale rinascita, dopo che la nottata era trascorsa in una calma assoluta, nel campo dei nostri dieci viaggiatori non dormiva più nessuno. Allora, consumata una parca colazione, essi si rimisero in viaggio, siccome non volevano farlo risultare più lungo del previsto. Anche i cavalli ripresero la loro corsa con foga ed animosità, poiché, dopo il riposo notturno, avvertivano una gran voglia di darsi ad un'alacre galoppata. Ma non era giunto ancora mezzogiorno, allorché essi scorsero davanti a loro, per esattezza a mezzo miglio di distanza, una sessantina di uomini a cavallo. Essi, stando fermi sulle loro bestie con intenzioni non ancora del tutto palesi, sembravano proprio che volessero sbarrare il passo al loro gruppo. All'improvvisa apparizione di tanti ignoti cavalieri, Iveonte diede ordine ai suoi amici e agli altri di arrestare la loro corsa, volendo cercare di capirci qualcosa sulla loro presenza e sui loro reali propositi. Poco dopo, però, essi videro che dal gruppo degli sconosciuti si staccò un uomo, il quale, di gran carriera, si lanciò verso di loro. Quando infine li ebbe raggiunti, stoppando la sua rapida corsa a pochi metri dai nuovi arrivati e facendo inalberare il suo nero quadrupede, si diede ad urlare forte:

«Ehi, voi, cavalieri capitati da queste parti! Se volete salva la pelle, vi toccherà lasciarci i vostri cavalli e proseguire poi a piedi il vostro cammino! Nel caso che vi rifiutaste di ubbidire, dopo potreste unicamente pentirvene! Allora cosa decidete? Attendo una vostra celere risposta!»

Alle parole minacciose di chi non poteva essere altro che un lurido predone, mentre i delegati del nord se ne preoccuparono con una certa tremarella, i tre giovani amici mostrarono ad esse un atteggiamento visibilmente irrisorio. Ad ogni modo, fu Iveonte a rispondergli poco dopo per tutti quanti, usando le seguenti parole:

«Ci dici chi siete e a cosa vi servono le nostre bestie? Se vuoi saperlo, non ci piace regalarli a gente sconosciuta, che ha deciso di impadronirsene con la forza, senza neppure chiederci se eravamo d'accordo!»

«Vi accontento subito, curiosi della malora! Quelli che vedete davanti a voi fanno parte della banda di Polsuz, per conto del quale sono venuto a parlamentare con voi. Adesso che sapete a chi andranno i vostri cavalli, datemi subito la vostra risposta oppure ci costringerete a reagire alla nostra maniera. Ma non vi converrà sperimentarla, siccome essa vi risulterà molto dura, venendovi compresa anche la morte!»

«Ti ringraziamo, sconosciuto, per avercelo fatto presente. Solo che non ci azzardiamo a lasciare qui i nostri cavalli privi della nostra sorveglianza, siccome essi potrebbero scappare via. La qual cosa, risultando sgradita al tuo capo, potrebbe farci trovare in cattive acque! Perciò intendiamo consegnarglieli brevi manu, come si suol dire. Così si eviterà di correre dei reali rischi di perderli tanto da parte vostra quanto da parte nostra! Non sei del mio stesso parere anche tu? Se lo sei, avvìati a raggiungere i tuoi compagni, poiché tra poco ti seguiremo con i nostri cavalli per farne dono al tuo capo Polsuz!»

«Bene, saggi viaggiatori, vi dico che avete preso la decisione giusta, che è quella migliore per voi. Adesso corro a riferire al mio capo ciò che intendete fare con le vostre bestie. Ma vi consiglio di essere solleciti e puntuali a portarcele, se non volete che egli si spazientisca e venga a farvi passare un brutto quarto d'ora! Ci siamo intesi, sconosciuti?»

Naturalmente, il gruppo dei delegati del nord non ci aveva capito un accidente del parlare di Iveonte, rifiutandosi di credere alle loro orecchie che egli avesse adoperato con il predone un linguaggio remissivo ed accondiscendente. Era mai possibile una cosa del genere? Dov'erano finite la loro indiscussa bravura nelle armi e la loro indubbia invincibilità? Insomma, non sapevano spiegarselo in nessun modo! Dal canto loro, Francide ed Astoride non la pensavano affatto come loro, essendo consapevoli che il loro amico aveva solo finto di mostrarsi in quella maniera verso il predone. Anzi, entrambi si erano già preparati a far fronte al nuovo sanguinoso scontro. Esso sarebbe seguito entro breve termine con la prepotente banda dei predoni malfattori, i quali già consideravano letteralmente sbaragliata e distrutta. Difatti, dopo che l'uomo di Polsuz li ebbe lasciati per raggiungere gli altri malandrini della numerosa banda, Iveonte, rivolgendosi ai delegati del nord, gli precisò:

«Voi aspettate qui, intanto che i miei amici ed io andiamo a dare il benservito a quei masnadieri! Unicamente perché temevo per la vostra salvezza, ho preferito che lo scontro con quei predoni avvenga lontano da questo posto. Vi promettiamo che saremo di ritorno tra una decina di minuti! Perciò non vi preoccupate per noi!»

Alle nuove parole di Iveonte, Siskum e i suoi conterranei si resero finalmente conto che in precedenza egli non aveva parlato sul serio con l'ambasciatore della malvagia banda. Al contrario, aveva voluto soltanto fargli intendere ciò che in verità non pensava neppure minimamente. Per tale motivo, oltre a rallegrarsene molto, essi si convinsero che stavano per assistere ad uno scontro di sicuro ciclonico, questa volta per davvero. Dal quale, come si mostravano persuasi, la banda di Polsuz assai presto sarebbe uscita ben conciata, se la dimostrata valentia dei tre impavidi giovani non si fosse smentita!

Quando infine i tre giovani furono ad una ventina di metri dai predoni, che attendevano il loro arrivo insieme con i loro dieci cavalli, si arrestarono all'istante. Dopo essere giunti in quel luogo, di lì a poco, Iveonte, apparendo piuttosto fiero, mise mano alla favella così:

«Vuoi dirci dove te ne stai nascosto, miserabile Polsuz?» egli incominciò a rivolgersi al capo della banda in modo derisorio «Se vieni avanti e ti fai vedere a viso aperto, abbiamo da comunicarti una notizia importante. Spero che tu non abbia paura di farti vedere da noi! Oppure ci temi davvero e cerchi di nasconderlo ai tuoi uomini?»

All'invito del giovane, il capo della banda non si fece attendere. Anzi, si staccò all'istante dal grosso di essa, spalleggiato da due suoi uomini fidati, che gli restavano attaccati ai fianchi, quasi fossero le sue guardie del corpo. Stando poi di fronte a quelli che lo avevano sfidato ed assumendo un tono minaccioso, Polsuz rispose ad Iveonte:

«Ah, ah! Avrei io paura di voi tre? A proposito, dove sono gli altri cavalli? Io vedo solo quelli che cavalcate voi ? Non eravate convenuti con il mio vice che ce li avreste portati tutti, nessuno eccettuato? Oppure devo credere che gli altri vostri compagni si siano rifiutati di cederveli e di permettervi di portarceli? Se le cose sono andate come ho sospettato, guai a loro sette! Ti prometto che presto essi se ne pentiranno!»

«Se lo vuoi sapere, Polsuz, le cose non stanno come tu le hai volute intendere! E poi neppure noi siamo venuti a consegnarti i nostri cavalli! Anche se tutti avevamo intenzione di mantenere la parola data al tuo uomo, all'ultimo momento, è sorto un serio problema che non era stato da noi previsto. Ci dispiace per voi predoni, ma è andata così la cosa!»

«Mi dici che sorta di problema avete avuto? Comunque, posso sempre risolvervelo io, se voi non ci riuscite! Vi faccio presente che ho un mio metodo particolare per sbrogliare anche le situazioni più ingarbugliate: esso è quello di estirparle alla radice! Adesso mi riferisci quale inconveniente è sopravvenuto in poco tempo, il quale non vi ha consentito di farci dono delle vostre bestie? Ma guai a voi, se si tratta unicamente di una banale scusa, allo scopo di imbrogliarmi! Pure voi non ne uscireste vivi in alcun modo!»

«I nostri cavalli non intendono cambiare i propri padroni. Essi si sono affezionati a noi a tal punto, che adesso si rifiutano di essere montati da altre persone che non siamo noi. Ce lo hanno affermato chiaramente. E con un tono assai deciso! Per questo ci toccherà accontentarli, volenti o nolenti, se non vogliamo inimicarceli! Ora conosci il nostro problema!»

«Come vedo, ti stai burlando di me, infischiandoti dei brutti guai, che tra poco pioveranno addosso a te e ai tuoi amici! Comunque, ce l'avete voluta voi, se ho deliberato di risolvere il vostro problema nel modo a cui mi sono riferito prima. Vi garantisco che sarò drastico e risolutivo, come nessun altro potrebbe mai fare! Peccato che dopo non potrete nemmeno pentirvene, poiché ai trapassati non è consentito di farlo. Non sei anche tu d'accordo?»

All'evidente minaccia del capobanda, soltanto Iveonte, seguitando a restare sul proprio cavallo, si avvicinò ancora di più a lui e ai suoi due spavaldi fiancheggiatori. Un attimo dopo, facendosi particolarmente serio, il giovane gli aggiunse:

«Se sei in gamba come dici, allora inizia da me a risolvere una parte del nostro problema! Dimostra ai tuoi uomini che sei bravo sia a parole che con i fatti! È così che si comportano quelli che si considerano dei veri capi, se vogliono assicurarsi la loro totale obbedienza! Tu dovresti già saperlo benissimo! Allora cominci a risolvercelo?»

Iveonte ebbe appena finito di pronunciare le sue frasi, allorché si scorse Polsuz scagliarsi contro di lui, con l'intenzione di finirlo con un sol colpo di spada. Invece fu lui a cadere dal suo cavallo sanguinante e moribondo, essendo stato infilzato dal giovane. Egli lo aveva trafitto, senza che né l'avversario né gli uomini al suo comando riuscissero a prendere coscienza del magistrale colpo da lui inferto. La stessa cosa accadde a quelli che lo fiancheggiavano, mentre cercavano di vendicare il loro capo con il loro subitaneo intervento. Infatti, fulminei e fulminanti si erano dimostrati anche gli altri suoi due colpi, che avevano decapitato l'uno e troncato un arto superiore all'altro con tempestività incredibile. Allora le azioni offensive del loro amico avevano spinto Francide e Astoride a raggiungerlo immediatamente e ad affiancarlo, prevedendo un immediato impatto del resto della banda con il loro compagno. Essi non si erano sbagliati a pensarla in quel modo, dato che ciò si verificò in un batter di ciglio. Così i cinquantasette predoni rimasti ancora vivi, in un primo momento ebbero un attimo di esitazione, la quale era stata causata dalla penosa impressione che i tre fatti di sangue avevano provocato nel loro animo. Dopo, essendosi riavuti da quest'ultima, apparvero più decisi e passarono all'istante alla controffensiva. Ma essi erano ignari che non sarebbe bastato il loro numero ad intimidire i tre avversari. I quali, essendo già con la spada in pugno, non indugiarono ad affrontarli e ad assegnare anche a tutti quanti loro una morte violenta e assai impietosa, considerato che essi se la stavano meritando.

Così la zuffa esplose poco dopo immane e cruenta, siccome Iveonte e i suoi amici iniziarono subito a mietere nelle file dei predoni una gran quantità di cadaveri, sbalzandoli da cavallo e facendoli finire in grandi pozze di sangue. Quanto più gli assalitori apparivano furiosi e tremendi, tanto più i tre amici li accoglievano con determinazione. La quale sapeva solamente sfociare in una reazione devastante, nonché in uno sterminio spaventoso ed inesorabile. La terna di guerrieri giustizieri, oramai, si era messa totalmente al servizio della morte, come se fossero diventati le sue braccia intente a seminare orrore e strage tra coloro che avevano liberamente scelto di vivere al servizio del male. Essi erano lieti di arrecare una orrenda fine a quei malviventi, che combattevano all'insegna della prepotenza, senza avere a sdegno il maltrattamento della giustizia. Nel frattempo, le morti si moltiplicavano in mezzo al gruppo dei malavitosi. Costoro, anziché darsene pensiero, continuavano a battagliare con il proposito di vedere i tre giovani avversari venire maciullati sotto i propri colpi possenti. Invece erano loro stessi a subire la medesima sorte del loro capo e dei suoi guardaspalle, senza neppure accorgersi di quanti di loro non smettevano di soccombere e di perire nel duro scontro.

Infine la banda di Polsuz rimase interamente sgominata e distrutta. La qual cosa fece evitare a parecchia gente di avere in avvenire degli sgradevoli incontri con essa, restandone indelebilmente scottata. La sua distruzione allietò moltissimo anche i delegati del nord, i quali ebbero una concreta conferma della indubbia capacità combattiva di Iveonte e dei suoi amici. Inoltre, ebbero la certezza che i tre validi giovani erano le persone giuste che ci volevano per la loro gente. A loro parere, essi senza difficoltà l'avrebbero liberata dai crudeli rapitori dei loro bambini.

Dopo il combattimento, lasciate le carogne dei predoni in pasto alle iene e agli avvoltoi, i quali erano già sopraggiunti numerosi, i tre amici e i sette delegati ripresero il loro cammino verso le terre del nord.