185-I DELEGATI DEL NORD VENGONO OSPITATI DA LUCEBIO
Dopo una manciata di minuti, Iveonte era già all'ingresso della reggia, essendo desideroso di contattare la delegazione del nord. Avendo poi scorto in quel posto un gruppo di sette persone, non gli fu difficile arguire che esse erano proprio quelle che lo stavano aspettando. Allora le avvicinò e si diede a parlargli in questo modo:
«Io sono Iveonte, il fidanzato della principessa Lerinda. Posso sapere se siete voi che stavate aspettando il mio arrivo? A giudicarvi dal vostro numero, sono propenso a credere di sì. Comunque, sarà la vostra conferma a darmene la certezza e a farci intraprendere la nostra amichevole conversazione! Quindi, mi confermate che siete proprio voi?»
«Certo, Iveonte, che siamo noi le persone che stai cercando!» gli rispose Siskum «Speriamo che quanto la tua nobile ragazza ha detto su di te e sui tuoi amici corrisponda al vero! Anche il fratello re Cotuldo ce lo ha confermato; ma non so per quale motivo c'è stata la sua conferma in merito. Da parte nostra, ignoriamo se egli lo abbia fatto per sbarazzarsi di noi al più presto oppure se ne sia persuaso pure lui quanto lo è la principessa sua sorella!»
«Conoscendolo, Siskum, quasi certamente egli lo avrà ammesso per entrambe le cose che sono state da te supposte. Al re di Dorinda interessa solo che i sudditi gli paghino i tributi; ma poi evita di correre in loro soccorso, quando vengono a trovarsi in cattive acque. Purtroppo è questa la cruda realtà nella città di Dorinda, dove chi regna si dà esclusivamente a tartassare il suo popolo senza applicare la giustizia, ogni volta che c'è bisogno di essa! Allora mi dite cosa posso fare per voi? Sappiate che sono a vostra completa disposizione!»
«Hai descritto esattamente la situazione, Iveonte, riguardo a tuo cognato. Voglio augurarmi che pure la tua compagna abbia fatto lo stesso, quando si è riferita a te! Anche perché non si intravede davanti a noi un'altra via di sbocco, che possa condurci ad una soluzione positiva del nostro grave problema. Che la fortuna, quindi, ci assista e ci protegga, facendoci trovare in te e nei tuoi amici le persone giuste di cui abbiamo una grande necessità! Ma voglio esserti sincero e dirti che voi tre formate un gruppo abbastanza esiguo per risolvere il nostro problema.»
«Non preoccuparti per questo, Siskum, poiché la tua gente non poteva trovarsi in mani migliori! Ma non è questo il luogo dove possiamo discutere di certe cose; perciò dovete avere la compiacenza di seguirmi altrove, ossia in un luogo assai appartato e tranquillo, che si trova fuori città. Lì i miei amici ed io avremo l'opportunità di approfondire con calma il vostro complesso problema. Inoltre, pianificheremo le varie strategie atte a rimuoverlo dai vostri territori in maniera ottimale e duratura. A questo punto, vi prego di seguirmi, riponendo la massima fiducia in noi.»
Più tardi, dopo aver recuperato i loro cavalli ed essere montati sulle loro groppe, Iveonte e i delegati del nord raggiunsero le mura della città. Una volta che ne furono usciti, essi presero la direzione che conduceva al campo di Lucebio. Il giovane aveva deciso di condurre in quel posto i sette membri della delegazione, allo scopo di farli incontrare anche con i suoi due amici Francide ed Astoride. Naturalmente, oltre ad ospitarli, Lucebio, trovandosi presente, avrebbe preso anche lui parte alla loro delicata conversazione. Così, dopo una mezzoretta piena di sostenuta galoppata, essi giunsero alla loro meta, dove avvennero le presentazioni tra i sette coloni del settentrione e i tre amici di Iveonte, tra i quali era compreso anche il saggio capo dei ribelli. Quest'ultimo, dopo avere anticipato ai forestieri che sarebbero stati suoi ospiti graditi a pranzo, invitò tutti ad accomodarsi sotto la chioma di un gigantesco albero di abete, poiché la discussione doveva avvenire all'ombra dei suoi folti rami. Quell'angolo era da considerarsi veramente magnifico, poiché, oltre che della sua frescura, si poteva godere di una dolce e soave polifonia. La quale veniva offerta dai molteplici canti di uccelli ed era composta dai trilli, dai gorgheggi e dai cinguettii delle varie specie aviarie, che non smettevano di esibirsi in una fantastica sinfonia canora.
Poco dopo, stando riuniti e seduti in quel luogo oltremodo piacevole, fu Iveonte ad aprire la conversazione, dandosi a parlare ai suoi compagni e a Lucebio in questa maniera:
«Amici, i sette nostri ospiti qui presenti sono venuti dal re Cotuldo per chiedergli l'invio di un suo esercito sulle loro terre, dove opera una banda di Tangali senzadio. Costoro, con le loro sistematiche incursioni, rapiscono numerosi bambini del luogo e se li portano via oltrefrontiera. Ma egli, come risposta, ha dichiarato ai poveretti che non intende prendersi delle incombenze, le quali poi potrebbero trasformarsi in vere gatte da pelare. Allora la sorella Lerinda, essendosi mossa a pietà di questi infelici coloni, dopo aver criticato duramente il germano per il suo ingiusto rifiuto, è intervenuta a loro favore e li ha instradati verso di noi. Ella è convinta che noi rappresentiamo la loro unica àncora di salvezza. Non credete anche voi che la mia ragazza abbia fatto bene a prendere una tale iniziativa per rasserenarli e per accendere in loro la speranza?»
«La principessa Lerinda, Iveonte, non ha avuto torto a pensarla in tal modo!» gli confermò Lucebio «Anch'io, quanto lei, sono persuaso che soltanto da te e dai tuoi due amici i coloni del nord potranno ricevere l'aiuto di cui abbisognano, dal momento che voi tre valete più di un esercito del tiranno! Adesso, però, se i nostri ospiti sono pienamente d'accordo, vorrei avere da loro delle dilucidazioni sui vari aspetti dell'odissea che la loro gente è costretta a vivere sulle loro terre, a causa di uomini crudeli e totalmente privi di scrupoli.»
«Noi, gentilissimo Lucebio, siamo qui per rispondere alla totalità delle vostre domande.» gli rispose a sua volta lo stesso portavoce della delegazione nordica «Perciò non devi fare altro che iniziare a farcele, possibilmente una alla volta! Esse, a patto che non esulino dalle nostre conoscenze, ti assicuro che verranno tutte soddisfatte da me, dalla prima all'ultima! È il minimo che possiamo fare per voi, che avete deciso di essere i nostri generosi benefattori!»
«In verità, Siskum, non ho molte domande da rivolgervi; però le risposte che seguiranno potranno avere una importanza fondamentale per Iveonte, per Francide e per Astoride. Non vorrei che essi partissero alla volta delle vostre terre con l'obiettivo che sappiamo, senza essere prima in possesso di tali notizie! Le quali, d'altronde, necessiteranno a loro tre per portare a buon fine la loro impresa. Perciò innanzitutto essi hanno bisogno di apprendere da voi qualcosa di più definito sulla famigerata banda, la quale da mesi ha iniziato a torchiarvi con i loro malvagi rapimenti, facendoli diventare continuativi.»
«Invece, Lucebio, non è semplice dare una risposta esaustiva a questa tua domanda, essendo anche noi scarsamente informati su di essa e sulla sua attività oltreconfine. Come pure ignoriamo quale fine i banditi fanno fare ai nostri bambini, dopo averceli rapiti con la forza. Infatti, non ci è stata mai data una risposta precisa in merito, quando lo abbiamo chiesto agli stessi rapitori. Essi si sono limitati a risponderci solo che la cosa non ci riguardava e che, se non volevamo peggiorare la nostra situazione, era meglio non fare domande relative alla sorte dei nostri bambini. La qual cosa ci ha costretti a dispensarcene, pur venendo il loro rapimento ad affliggerci parecchio.»
«Possibile, Siskum, che mai nessuno, specialmente tra i genitori, si è presa la briga di andare ad indagare su un particolare così allarmante per loro? Eppure esso avrebbe dovuto metterli al corrente del destino a cui andavano incontro i loro figlioli, dopo essere stati sottratti alle loro madri disperate! Perché mai essi si sono astenuti dal farlo? Oso pensare che sia stata la paura a non farli opporre ed agire come dovevano!»
«Invece non è stato come dici, Lucebio! In verità, qualcuno ha tentato di ficcare il naso negli affari dei rapitori, con l'unico scopo di conoscere almeno cosa essi ne facessero dei nostri numerosi bambini, dopo averceli portati via. Ma poi il suo ritorno dalla Tangalia è stato atteso invano dai familiari e dagli altri suoi conterranei, che erano al corrente del suo tentativo. Soltanto uno, fra quelli che si sono prefissi lo stesso scopo, ha avuto la fortuna di ritornare dal suo viaggio intrapreso nel territorio tangalico. Egli, però, non è riuscito ad impadronirsi delle notizie che vi aveva invano cercato. Il suo nome è Kasten e lo si può ritenere un buon conoscitore della lingua dei Tangali. Anzi, è stato grazie alla sua buona conoscenza del loro idioma, se non è stato scoperto dai predoni tangalici nelle sue avviate ricerche. Il guaio è che egli le ha potute condurre soltanto parzialmente!»
«Siskum, sapresti dirci qualcosa di più su di lui, facendoci anche apprendere fin dove lo condussero le sue ricerche e cosa lo spinse poi a non andare più oltre? Magari le nuove frammentarie notizie in tuo possesso, ovviamente quelle riguardanti il viaggio di Kasten, possono già risultare di fondamentale importanza ad Iveonte e ai suoi amici! Perciò, se ce le riferisci, dopo sapremo noi in che modo valutarle ed usarle!»
«Ebbene, saggio Lucebio, il mio ardito conterraneo, nell'ultima razzia dei banditi tangali, dopo averne ucciso uno, si impadronì del suo cavallo e dei suoi abiti. Così, cavalcando l'uno e vestendo gli altri, si unì al resto dei rapitori e li seguì nel loro territorio. Siccome quella volta essi avevano catturato una decina di bambini, Kasten si prefisse di rendersi conto dove essi venivano portati e per quale motivo ve li conducevano. Il viaggio fu lungo parecchie miglia, al termine del quale essi raggiunsero uno strano posto, dove si scorgeva scavata nel terreno una buca rettangolare avente le dimensioni di tre e sei metri. Da essa prendeva avvio, con una forte pendenza, un sentiero che sprofondava nel sottosuolo. Allora colui che guidava la banda dei Tangali, che non superavano le cinquanta unità, comandò ai cavalieri che avevano in consegna i bambini rapiti di scendere dalle loro bestie insieme con loro e di seguirlo sottoterra. Invece agli altri disse che potevano ritornarsene presso le loro famiglie, siccome per quel giorno il loro lavoro era terminato.»
«Mi dici adesso, Siskum, cosa avvenne immediatamente dopo?»
«Prima di inoltrarsi nella cavità sotterranea e di sparirvi con gli altri del gruppo che avevano i ragazzi, egli, indicando con il dito il mio conterraneo, gli ordinò a voce alta: "Tu solo non farai ritorno alla tua famiglia, poiché ho da darti il seguente incarico. Ti condurrai nel villaggio di Nuskuf e riferirai a chi sai tu che la merce è già pronta nel luogo che conosce lui. Quindi, potrà venire a ritirarla, quando ne avrà voglia! Dopo mi farai conoscere anche la sua risposta. Ma adesso sbrìgati, per favore!" Allora Kasten, senza scomporsi, gli rispose prontamente: "Lo farò senza meno: puoi stare tranquillo! Adesso mi precipito subito a recargli l'ambasciata da te ricevuta! A tra poco!" Ecco, Lucebio: è tutto quello che egli ci ebbe a raccontare sul suo inseguimento oltrefrontiera dei Tangali rapitori! Più di quanto vi ho detto, non so riferirvi nient'altro.»
«Adesso, Siskum, visto che hai dimenticato di dircelo, vorrei sapere da te come si comportò il tuo conterraneo Kasten, dopo aver ricevuto l'ordine dal Tangalo, se non sapeva neppure chi contattare in Nuskuf. Ammesso che egli conoscesse il villaggio in questione!»
«Egli decise di fare la sola cosa logica, Lucebio. Ossia, se ne ritornò tra la sua gente, dove raccontò agli altri coloni quel poco che gli era stato consentito di scoprire nel territorio tangalico, dopo essersi unito alla banda dei rapitori. In verità, in tale circostanza, qualcuno suggerì di tentare un attacco improvviso al luogo dove venivano custoditi i nostri bambini. Ma nessuno ebbe il coraggio di affrontare una impresa del genere per vari motivi, tra i quali la sua grande lontananza dal confine, la difficoltà ad accedervi e la nostra poca dimestichezza con le armi. Inoltre, non sapevamo neppure se ce li avessimo trovati, siccome dopo essi sarebbero stati trasferiti altrove.»
«Comprendo, Siskum, il giustificato rifiuto dei coloni di avventurarsi in una simile impresa. Adesso, però, avrete dalla vostra parte tre ottimi combattenti, i quali non avranno difficoltà a sconfiggere e ad eliminare le varie bande che operano in sintonia tra di loro sulle vostre terre, attenendosi ad un disegno comune. Esse, secondo ciò che ho potuto comprendere, sono tutte collegate tra di loro ed hanno un unico obiettivo, ossia il rapimento dei vostri bambini. Speriamo che abbiano in comune anche il loro centro di consegna e di smistamento dei piccoli rapiti, nel caso che a costoro vengano fatte prendere in seguito destinazioni differenti per ragioni a noi ignote!»
«Ma noi coloni, Lucebio, possiamo essere certi di quanto affermi tu e ci ha anche garantito la principessa Lerinda? Volendo esserti sincero, non riesco a convincermi che basteranno i soli tre giovani qui presenti, anche se bravi quanto intendi farci credere, a sgominare le feroci bande di cui vi ho parlato. Esse si sono stanziate sul territorio tangalico confinante con il nostro, per potere sconfinare facilmente ed assaltare le nostre fattorie, dandosi al rapimento dei bambini che vi trovano.»
«Certo, Siskum, che potete porre la massima fiducia nei tre validissimi giovani, che ora ci stanno facendo compagnia! Essi sono dei guerrieri imbattibili e sono in grado di far fronte anche ad un intero esercito! Secondo te, l'altruista principessa Lerinda vi avrebbe mai proposto il proprio ragazzo, se ci fosse stato in lei il timore di un insuccesso da parte sua e dei suoi amici, con il pericolo di fargli rimettere la pelle? La qual cosa dovrebbe già tranquillizzarvi e convincervi che essi sono senz'altro all'altezza del compito, di cui hanno voluto farsi carico spontaneamente. Perciò potete esserne certi che Iveonte e i suoi amici non falliranno nella loro missione, per quanto ardua essa possa presentarsi! Inoltre, non dimenticate che i nostri tre campioni verranno ad aiutarvi a titolo gratuito, senza nulla chiedervi in cambio, essendo mossi a farlo dal loro raro filantropismo. In virtù del quale, essi si dimostrano sempre pronti a soccorrere i bisognosi e ad intraprendere, per il loro unico bene, anche le missioni ritenute impossibili!»
«Ciò che ci hai fatto presente, Lucebio, è tutto vero; però ci sarebbe piaciuto vederli in azione in qualche modo, desiderando venirne colpiti a tal punto, da rafforzare la nostra fiducia in loro. Lo so che noi stiamo esagerando nella nostra richiesta e non dovremmo comportarci in questa maniera per il loro rispetto. Anzi, potremmo perfino offendere coloro che, prodigalmente e di loro spontanea volontà, si stanno mettendo a nostra completa disposizione!»
«Non preoccuparti, Siskum,» Iveonte intervenne a rassicurarlo «perché i miei amici ed io non siamo per niente permalosi. Come pure non ci offendiamo, quando chi mostra dei dubbi sul nostro conto lo fa esclusivamente perché non vuole far correre altri rischi a coloro che hanno già da piangersi i loro malanni, per averne fin sopra i capelli. Comunque, pur di accrescere la vostra fiducia in noi, siamo disponibili a fare esibizione della nostra abilità nelle armi e nelle arti marziali, nonché in alcune tecniche di difesa e di offesa, quelle che nessun altro al mondo conosce. Vedrai che stupiremo, oltre ogni immaginazione, te e gli altri tuoi conterranei presenti in questo riposto ritrovo, dove ci viviamo con Lucebio.»
«Grazie, Iveonte, per aver preso la decisione di appagare il mio piccolo desiderio. Ma adesso che tu e i tuoi amici avete stabilito di accondiscendere alla mia superflua richiesta, non vedo l'ora di vedervi in azione e di ammirare la vostra valentia. La quale non potrà che stupirci! Infatti, sono certo che essa potrà essere solo straordinaria e sbalorditiva, se alcuni vedono in voi degli eroi valorosi, giusti ed invincibili!»
«Lo sarà senza meno, Siskum. Ma i miei amici ed io potremo esibirci solamente nelle ore pomeridiane, poiché in mattinata Francide ed io abbiamo da sbrigare alcune faccende in città, tra le quali anche quella di mettere al corrente le nostre donne del viaggio e della missione che stiamo per intraprendere. Ti anticipo che la nostra partenza dovrà avvenire all'alba di domani. Così prima partiremo e più presto inizieremo ad operare sui vostri territori e su quelli oltreconfine. Durante la nostra assenza, voi ve ne resterete nel nostro campo a fare compagnia al savio Lucebio, il quale è un pozzo di scienza, oltre che di saggezza. Ma ti diamo assicurazione, Siskum, che, per l'ora di pranzo, saremo già ritornati nel campo, per cui pranzeremo tutti insieme in gaia compagnia.»
«Per noi fa lo stesso, Iveonte. Ma prima che voi partiate per Dorinda, voglio ringraziarvi, anche a nome degli altri coloni, del bene che intendete prodigarci, senza pretendere nulla in cambio. Spero che il dio Matarum guidi la vostra mano, quando darete battaglia ai persecutori di quanti risiedono lungo il confine con la Tangalia, facendovi riportare una brillante vittoria contro i crudeli rapitori!»
Poco dopo, i due amici fraterni avevano già abbandonato il campo ed ora si trovavano a percorrere il sentiero che li avrebbe condotti direttamente alle porte di Dorinda. Quando le ebbero raggiunte, essi si introdussero in città. Una volta entrati, Francide prese la strada che lo avrebbe avviato per il palazzo del facoltoso Sosimo, dove erano ospitate Rindella e Madissa. Invece Iveonte inforcò quella che lo avrebbe condotto dritto alla reggia, dove lo attendeva con ansia la sua dolce Lerinda. La sorella del sovrano attendeva che egli andasse a ragguagliarla sugli sviluppi che c'erano stati nella vicenda dei coloni del nord. Perciò, dopo avere appreso dal suo ragazzo che egli e i suoi amici li avrebbero aiutati a liberarsi dai Tangali rapitori, se ne rallegrò immensamente. Sul suo volto, però, si poté leggere pure un'ombra di mestizia, al pensiero che le sarebbe ancora mancato il suo Iveonte per un tempo indeterminato.
Anche Rindella accolse felicemente dal suo Francide ciò che egli e i suoi amici intendevano compiere a favore dei disgraziati contadini residenti nelle terre del nord; però non si può negare che, in pari tempo, ella si amareggiò parecchio. Infatti, la rattristò in parte il pensiero che non avrebbe più rivisto il suo ragazzo per un numero imprecisato di giorni. Comunque, prevalse in lei la ragione, stimando indispensabile ciò che i tre amici si erano ripromessi di attuare lungo i confini settentrionali, ritenendolo un'opera nobilissima.
Quando Iveonte e Francide fecero ritorno al loro campo, era quasi l'ora di pranzo. Per questo non si perdette tempo e, tutti insieme, si diedero subito a consumare il pasto di mezzogiorno, il quale fu divorato dai commensali con molto gusto. Lucebio, il quale si dimostrava un cuoco provetto, in quanto amante dell'arte culinaria, si era messo subito a cucinare l'abbondante selvaggina che era stata cacciata da Astoride. Così ne aveva ricavato in poco tempo delle squisite pietanze. Ma più tardi, dopo la breve siesta pomeridiana, i tre amici decisero di mantenere la promessa fatta ai loro ospiti, esibendosi in prove che risultarono senza dubbio incredibili. Specialmente quelle, di cui si erano resi artefici Iveonte e Francide, stupefecero i delegati del nord, lasciandoli a bocca aperta. Essi avrebbero giurato che mai nessuno sarebbe stato capace di compiere dei prodigi del genere, neppure quelli che si vantavano di essere i non plus ultra nell'arte del combattimento sia con le armi che con le sole braccia. Ma adesso vediamo in cosa erano consistite le esibizioni dei tre validissimi campioni.
Con le loro prime due prove, Iveonte e i suoi due amici avevano evidenziato la loro infallibilità nel tiro dell'arco e in quello del giavellotto. I due diversi tipi di tiri erano stati eseguiti sia da fermi sia stando sui loro cavalli in corsa; nonché a bersaglio sia immobile che in movimento. Ebbene, in tutte le specialità di tiro, gli eccezionali giovani erano riusciti a centrare ogni volta il loro bersaglio, il quale era venuto a trovarsi sempre a grande distanza, senza mai fallire un solo colpo. Ogni volta esso, che era costituito da sagome umane, era stato fatto apparire all'improvviso da ogni lato. Anche in quel difficile tipo di prova, che per altri sarebbe risultato qualcosa di impossibile, i due amici se l'erano cavata brillantemente, sbalordendo i membri della delegazione, i quali non volevano credere ai loro occhi, nel vederli compiere simili prodigi. Infine i due amici fraterni erano passati a dare dimostrazione delle fenomenali due tecniche che soltanto loro due erano in grado di rendere possibili. La prima aveva riguardato il controllo e l'arresto della freccia scagliata dall'avversario. Ognuno di loro, infatti, senza alcuna difficoltà, era stato capace di afferrarla e di arrestarla, mentre era ancora in volo e si trovava a mezzo metro dal proprio corpo. Con la seconda tecnica, essi, reggendo con le mani la spada allungata in avanti e in posizione orizzontale, a un certo punto, si erano messi a girare su sé stessi. A un certo punto, la loro velocità era divenuta talmente rapida, da rendere invisibili l'arma e quelli che la maneggiavano, strabiliando a non dirsi gli stessi spettatori, i quali alla fine li credettero delle vere divinità. Ad ogni modo, anche lo scontro con le spade, il quale c'era stato tra i due fenomenali campioni a scopo dimostrativo e li aveva visti fare ricorso anche alle arti marziali, era apparso qualcosa di stupefacente, che non poteva non essere accolto con la massima ammirazione. Esso, facendo mostra di un'arte schermistica totalmente nuova e di acrobazie del corpo inverosimili ed inimmaginabili fino a quel momento, si era dimostrato clamoroso ed impressionante, ma soprattutto mozzafiato.
Dopo avere assistito alle esibizioni dei tre giovani, specialmente a quelle di Iveonte e di Francide, i coloni del nord si resero conto che sulla terra non potevano esserci dei guerrieri più insuperabili ed imbattibili di entrambi. Per loro, quindi, era stata una vera fortuna averli incontrati. Inoltre, essi adesso si sentivano immensamente tranquilli, al pensiero che presto tali eroici guerrieri, capaci di sconfiggere anche un esercito, si sarebbero messi a loro disposizione, con l'intento di liberarli dai feroci rapitori dei loro bambini. La quale speranza portò a tutti loro su il morale, rendendoli più ottimisti e fiduciosi in un futuro provvido e munifico.