182-L'ANELLO DI IVEONTE RIMETTE IN SESTO LERINDA

Il mattino seguente, dopo i fatti accaduti nel giorno precedente nel campo di Lucebio, a proposito dell'anello del dio Osur, Iveonte si condusse alla reggia di buon'ora. Una volta che vi fu giunto, egli sollecitò la simpatica nutrice Telda a svegliare la sua ragazza, poiché doveva parlarle con una certa urgenza. Quando Lerinda seppe della visita del suo amatissimo ragazzo, sebbene ancora in preda ad un sonno irresistibile, all'istante si buttò giù dal letto. Una volta che si fu agghindata alla meglio, avendolo fatto in fretta e furia, lo raggiunse in un battibaleno nell'atrio principale del fastoso palazzo reale. In quel luogo, dopo gli usuali abbracci e baci ardenti, i due innamorati si appartarono nel parco, dove iniziarono a discorrere piacevolmente. Il giovane, siccome era venuto a parlarle di cose importanti, aprì per primo il discorso, mettendosi a dirle:

«Allora, Lerinda, amore mio, non sei contenta di apprendere che, dalla notte appena trascorsa, i sogni che facevamo insieme hanno smesso di esserci? Sono venuto a comunicarti appunto che essi non ci saranno più durante il nostro sonno! Lo sai che ne sono stato messo al corrente ieri pomeriggio, quando mi è stata assicurata la loro cessazione dalla passata notte, finché noi due non decidiamo altrimenti in merito?»

«Adesso che ci penso, Iveonte, davvero questa notte non c'è stato il nostro solito sogno!» osservò la ragazza «Ma tu come sei venuto a conoscenza già da ieri pomeriggio che essi non si sarebbero verificati più? Mi dici anche chi è stato a darti assicurazione che nelle ore notturne non ce ne sarebbero stati più in avvenire, almeno fino a quando fosse venuta a mancare la nostra volontà di farli? Mi interessa saperlo, amore mio!»

«Lerinda, nel pomeriggio di ieri, ne sono stato informato dalla mia spada, la quale mi ha garantito che noi due non avremmo continuato ad avere i nostri consueti sogni. Infatti, come abbiamo potuto rendercene conto, già da stanotte essi hanno evitato di coinvolgerci. La mia arma, la quale ha il nome di Kronel, ogni notte li organizzava e li faceva accadere solo per compiacerci. In un certo senso, tesoro mio, tu avevi visto giusto, quando hai sospettato che la mia prodigiosa arma si intromettesse ogni volta nelle nostre effusioni amorose! Ma adesso pretendo che tu, ridandoti a mangiare come prima, ti rimetta in sesto al più presto. Non voglio più vederti con quelle ossa che ti appaiono come spigoli sottopelle! Non vuoi mica obbligarmi a sostituirti con un'altra donna?»

«Certo che no, mio caro Iveonte! Invece ora perché non mi dici come ha fatto la tua spada a metterti a conoscenza delle cose che sei venuto a riferirmi? Ti ha forse parlato? Essa è forse una dea, per cui ti si è presentata all'improvviso? Se l'hai vista, vorrei che tu mi dicessi come ella è fatta! Su, rispondi ad ogni domanda che ti ho rivolta, anziché preoccuparti del mio fisico attuale e della mia salute! A quanto pare, tu non me le racconti giuste le cose! E forse a ragion veduta!»

«Invece, tengo a precisarti, Lerinda, che la mia spada non rappresenta alcuna divinità femminile, ma è soltanto un'opera divina. È stato il dio Osur a fare da intermediario e da interprete tra me e la mia arma portentosa, dal momento che egli poteva parlare contemporaneamente sia con essa che con me. Perciò cerca di non mostrarti gelosa della mia arma fatata, la quale è solo un pezzo metallico senz'anima e senza volto! Allora vuoi darmi retta, per favore, senza metterti a fare la parte della gelosa in questa circostanza, la quale è del tutto fuori luogo?»

«Ma come hai fatto, Iveonte, a conoscere questo dio Osur?! Da dove è sbucato fuori pure lui? Ho ragione di credere che sia tutto frutto della tua fantasia! Non credo che una divinità ti si sia presentata a un tratto, mettendosi poi a conversare con te! Vuoi forse darmi ad intendere che la spada sia opera di tale divinità? Se di ciò vuoi convincermi, ebbene, sappi, amore mio, che giammai otterrai da me questo risultato!»

«Invece è avvenuto proprio così, Lerinda! Mica voglio fartelo credere per qualche motivo particolare, come quello di prenderti in giro! Il dio Osur mi si è presentato al nostro campo, mentre mi trovavo da solo. Egli andava in cerca appunto di Kronel, ossia della mia spada, la quale è una sua opera, per rendersi conto in quali mani era finita. Così ne è venuta fuori una conversazione a tre, durante la quale è stato anche chiarito il fatto che era Kronel a rendere effettive le nostre esperienze sessuali di ogni notte. Ma essa le ha rese reali unicamente per fare un piacere a noi due! Io le ho voluto esprimere in forma esplicita il nostro parere discorde sull'argomento, ossia che non intendevamo fare più sogni di quel genere. Allora la mia spada, senza prendersela per niente a male, ha accolto subito la mia richiesta. Poi, sempre col tramite del dio, mi ha promesso che già dalla notte successiva non ne avremmo più fatti. E, come abbiamo constatato, la nostra protettrice è stata di parola!»

«A questo punto, mio caro Iveonte, vorrei aver chiarito da te il motivo per cui il dio Osur cercava la spada, la quale adesso ti appartiene per esserne entrato in possesso. Tu sei in grado di rispondere anche a questa mia nuova domanda oppure vorresti ancora scantonare?»

«Egli la cercava, dolce Lerinda, poiché temeva che il suo prodotto divino potesse incontrare qualche divinità malefica più agguerrita. Nel qual caso, le cose si sarebbero messe male per essa. Così ha deciso di venire ad incrementare i suoi poteri taumaturgici per non farle correre un simile rischio, che poteva essere sempre in agguato. Adesso ti è chiara la cosa, come desideravi, oppure mi toccherà rispiegarti daccapo tutto quanto ti ho riferito? Spero proprio di no, per favore!»

«Invece direi di sì, Iveonte; però vorrei che tu mi palesassi in che modo il dio ha potenziato le facoltà della tua benefica spada. Di preciso, voglio apprendere ciò che egli ha fatto alla tua arma effettivamente, rendendola in questa maniera più agguerrita che non lo fosse già.»

«Alla mia spada il dio non ha fatto assolutamente niente, Lerinda! Ha preteso solo che io mi infilassi questo anello al dito medio della mano destra. Così, quando impugno la spada, esso, venendone a contatto, trasmette all'arma dei poteri soprannaturali illimitati. Quando è unita all'anello, Kronel può tenere testa anche alle più potenti divinità malefiche esistenti nel nostro mondo. Se avessi avuto questo prezioso anello, quando ho affrontato il Talpok, stanne certa che quell'abominevole mostro oggi non esisterebbe più sulla terra. Esso sarebbe stato disintegrato dal prezioso amuleto, di cui mi è stato fatto dono ieri pomeriggio!»

«Posso essere certa, Iveonte, che tu non ti stai prendendo gioco di me? Se devo esserti sincera, quest'anello, ad osservarlo da vicino, non mi pare affatto diverso dagli altri! Mi viene da pensare che tu lo abbia trovato da qualche parte per puro caso! Comunque, fammelo toccare, siccome desidero appurare quali sensazioni esso mi trasmette, mentre lo sfioro e lo frego a mio piacimento. Allora mi consenti di toccarlo?»

«Invece non posso soddisfare la tua richiesta, Lerinda. Al solo suo tocco, ti procureresti all'istante una bella scottatura! Un fatto del genere è capitato già ai miei due amici e al saggio Lucebio. Perciò non vorrei che succedesse pure a te tale accidente spiacevole! Adesso mi comprendi, se sono costretto a non accontentarti, amore mio adorato?»

«Non c'è niente da capire, Iveonte, visto che stai celiando! Oppure dici sul serio? Ah, ah! Comincio a sospettare che quanto mi hai detto fino a questo istante sia stata tutta una burla! Ed io che stavo già credendo alle tue parole, facendo la figura della stupida! Devo ammettere, però, che questa notte il sogno veramente non c'è stato, come sei venuto a riferirmi. Soltanto la mancanza del solito sogno nella trascorsa nottata mi fa avere ancora un po' di fiducia in te!»

«Anche ogni altra cosa da me appresa è vera, Lerinda. Sappi che non sono mai stato così serio, come in questo momento! Pensa che ieri già Lucebio e i miei due amici hanno tentato di toccarlo; ma il dolore della bruciatura li ha costretti a ritrarre la loro mano in un attimo, per evitare una grave ustione. Prima neppure io ne ero al corrente, cioè fino a quando essi non si sono scottati, avvertendo del dolore. Così ci siamo resi conto che esso vuole stare solo al mio dito e produce del danno a chiunque altro si azzardi anche a sfiorarlo! Per il tuo bene, quindi, nel modo più assoluto, ti conviene non tastarlo: ti sono stato chiaro?»

«Allora, Iveonte, perché l'anello non ha causato alcuna scottatura alla mia persona? Non ricordi che siamo venuti nel parco, tenendoci per mano? Eppure la mia mano sinistra non ha avvertito alcuna sensazione di bruciore, benché venisse stretta da quella tua, che era la destra, cioè quella che porta l'anello! Come mi spieghi l'eccezione che essa ha voluto fare nei miei confronti? Non è stato forse così oppure vorresti negarlo?»

«Hai veramente ragione, Lerinda! Con te l'anello non si è dimostrato ostile, come si è comportato con i miei amici e con Lucebio. Non ha negato alla tua mano di venire a contatto con esso ed ha evitato di procurarti qualche danno fisico, tipo scottatura. Allora posso consentirti di toccarlo, poiché, risultandogli simpatica, ti dà il consenso di farlo! Perciò puoi sfiorarlo, senza il pericolo di una dolorosa bruciatura!»

Così dicendo, Iveonte porse la mano destra alla sua ragazza. Ella, dopo avere afferrato l'anello con i diti pollice e indice di tale parte anatomica, si diede a fregarlo in continuazione. Mentre lo soffregava senza interruzione, lo trovava immensamente piacevole e sentiva il suo fisico rinvigorirsi. Allora Lerinda fece presente al suo amato:

«Lo sai, Iveonte, che più sfrego l'anello, più da esso proviene all'intero mio corpo una gradevole sensazione di benessere fisico e spirituale? Dentro di me, vado avvertendo un pullulare di energie nuove, le quali mi rendono gagliarde le forze, mi tonificano i muscoli e mi ritemprano le membra. Invece il mio animo ne trae dei benefici indescrivibili, che lo arricchiscono di una dolce e rasserenante estasi. Anche a te, Iveonte, l'anello procura quanto sto provando io in questo istante? Oppure si tratta di un episodio isolato, poiché l'anello ha deciso di agire in questa maniera soltanto nei miei confronti, essendo io la tua donna?»

«Niente affatto, Lerinda! Volendo essere schietto con te, non percepisco niente di quanto mi stai riferendo. Sebbene tu lo possa trovare strano, l'anello mi risulta del tutto indifferente al dito. Per cui, quando ce l'ho infilato, mi sento nelle medesime condizioni di prima sia nel fisico che nello spirito, proprio come se ne fossi sprovvisto! Mi hai inteso?»

Iveonte ebbe appena finito di esprimere alla sua ragazza che l'anello non gli procurava alcuna sensazione di benessere, come capitava a lei, allorché essi scorsero il viceré Raco avvicinarsi a loro. Il fratello di Lerinda, non appena li ebbe avvistati e raggiunti con una certa celerità, tutto contento si diede ad esclamare ad entrambi:

«Eccovi finalmente scovati, miei cari piccioncini innamorati! Se non lo sapete, stavo appunto cercando voi due in ogni angolo della reggia! Ma se in questo istante dovessi risultarvi di qualche disturbo, ragazzi, possiamo anche vederci in un'altra circostanza! Perciò ditemi con la massima franchezza se preferite che io vada e vi lasci soli.»

«No, non ci disturbi affatto, caro Raco. Perciò resta pure con noi!» si affrettò a rispondergli Iveonte «Avanti, vieni a sederti qui accanto a noi, sotto questo incantevole pergolato di odoroso glicine. Sappi che il fratello prediletto della mia Lerinda, il quale da poco ne è diventato anche il salvatore, per averle evitato di svenarsi, è più che benaccetto da me! Su, accòmodati e resta a conversare con noi, poiché la tua compagnia ci giunge assai gradita!»

Mentre gli si rivolgeva con queste parole, Iveonte si alzò dalla panchina di granito e porse la mano al cognato, per una reciproca stretta cordiale. Anche il viceré di Casunna si precipitò a fare la medesima cosa con lui. Ma le loro mani si furono appena congiunte, allorché il fratello della ragazza, ritraendo in fretta la sua, gridò forte al cognato:

«Ahi, Iveonte, che bruciore! Hai forse del fuoco attaccato al palmo della mano?! Appena ho cercato di stringertela, all'istante mi sono sentito scottare, come se avessi toccato un ferro arroventato! Vuoi spiegarmi cosa mi è successo, considerato che non riesco a comprenderlo? Ma alla tua mano perché non ha procurato lo stesso effetto, di cui sono rimasto vittima io? Non dirmi che non sai niente di questo fenomeno!»

«Mi devi scusare, Raco: non l'ho fatta apposta! Mi ero scordato che il mio anello disdegna il tocco delle mani, quando esse non sono le mie. Perciò, non appena lo sfiorano le altre persone, esso subito diventa rovente e le fa bruciare! È tutto qui, caro cognato! Perciò mi scuso con te, se distrattamente ti ho permesso di porgermi la mano!»

«Allora è tutto vero, Iveonte, quanto mi hai asserito prima!» stupita, intervenne a dirgli Lerinda «Io non ti avevo preso affatto sul serio, amore mio! Ma adesso che mio fratello me lo ha confermato personalmente con il suo grido di dolore provato, ti credo anch'io! Perciò ti chiedo scusa, per la scarsa fiducia avuta in te un momento fa!»

«Certo che era vero, mia cara! Come avrei potuto mentire a te, che sei la mia delizia? Devi sapere che a te non direi mai bugie. Se lo facessi, dopo non mi sentirei tranquillo e me ne pentirei con rincrescimento!»

«Ma tu, Iveonte,» intervenne a commentare il fratello di Lerinda «mi dici come fai a non scottarti come tutti gli altri?! Se non ti dispiace, vorrei proprio sapere di quale diavoleria è opera questo anello che porti al dito! Secondo me, deve trattarsi di un grande mistero di difficile interpretazione, se si comporta in quel modo!»

«Invece non si tratta di nessuna diavoleria, Raco. Esso è solo un dono di una divinità, cioè di Osur, che è il dio della saggezza. Egli me lo ha donato ieri pomeriggio per conferire alla mia spada un potere maggiore di quello che già aveva. Fino a questo momento, l'unica persona a essere stata risparmiata dall'anello, permettendole di toccarlo senza scottarsi, è stata tua sorella Lerinda. Ella ha precisato anche che, mentre lo sfiorava, ha avvertito che la sua persona ne traeva un grande beneficio di natura sia fisica che spirituale! È stato come se l'anello abbia voluto prediligerla agli altri ed apportarle un grandissimo benessere!»

«È vero, fratello!» gli attestò la ragazza «L'anello, oltre a lasciarmi indenne da ogni bruciatura prevista, mi ha anche infuso una vigoria nuova nel corpo ed una serenità ascetica nell'animo! Non ho mai provato sensazioni così sublimi durante la mia vita!»

«Mi compiaccio per te, Lerinda, visto che pure su di te vigilano gli occhi benigni degli dèi. Comunque, non farti delle illusioni, sorellina! Mettiti bene in testa che essi ti proteggono, solo perché sei la ragazza di Iveonte! Ma adesso, cambiando discorso, sono curioso di sapere perché stamani il mio futuro cognato è corso a trovarti così presto. Da parte mia, sono convinto che egli è venuto a darti qualche bella notizia!»

Subito dopo, preso dalla curiosità, il viceré smise di rivolgersi alla sorella. Invece non esitò a domandare al suo fortunato cognato:

«Allora, Iveonte, quale nuova importante sei venuto a recare alla mia sorellina? Sono proprio ansioso di conoscerla, poiché essa è potuta essere unicamente stupenda!»

«Ieri pomeriggio, Raco, sono venuto a sapere che era la mia spada ad organizzare i nostri sogni e a farli avverare. Inoltre, dall'arma ho avuto anche la promessa che non ce ne sarebbero stati più in avvenire. Ecco perché stamani mi sono precipitato da Lerinda per metterla al corrente di entrambe le cose. A ogni modo, mi sono recato da lei di gran carriera, principalmente per parlarle della visita ricevuta dal divino Osur e del prodigioso anello, di cui egli ha voluto farmi dono! Questo è tutto!»

«Le notizie che hai recato a Lerinda, Iveonte, sono senz'altro meravigliose. Perciò scommetto che l'avranno risollevata molto dall'abiezione nella quale si trovava in precedenza. Anch'io, per il bene che le voglio, le sto apprendendo con sommo gradimento. Sapessi quanto gliene ho voluto in passato del mio schietto e disinteressato bene! Devi convincerti che ho sempre soddisfatto ogni capriccio di mia sorella. Anzi, ti confesso che, quando ella era una bambina ghiribizzosa, gliele ho date sempre tutte vinte! E lei ben lo sa, non avendolo mai dimenticato!»

«Non li definirei capricci, mio prediletto fratello! Perciò sbagli a considerarli tali!» lo riprese la sorella «I miei desideri e le mie pretese nascevano sempre da buoni propositi. Ma tu, poiché non te ne accorgevi o non volevi accorgertene, finivi sempre per considerarli dei miei autentici ghiribizzi. Questa è la pura verità, Raco!»

«È vero, devo ammetterlo, Iveonte. Il formidabile intuito di mia sorella non l'ha mai tradita e le ha permesso di fare ogni volta le scelte giuste. A proposito, cognato mio, lo sai perché Lerinda, pur essendo io il suo fratello preferito, venne ad abitare a Dorinda e a stare insieme con Cotuldo? Ebbene, lo fece, unicamente perché una megera di sedicente maga, cioè la cieca Zusca, le aveva predetto che a Dorinda avrebbe trovato la sua fortuna. Così, tutto in una volta, ella si incaponì di venire a vivere in questa città. A quel tempo, a nulla valsero i miei consigli che cercavano di dissuaderla dalla sua repentina ed avventata decisione. Le feci perfino presente che un giorno si sarebbe pentita di essere andata ad abitare presso un fratello con cui non andava per niente d'accordo. Ma lo stesso la tua amata Lerinda si mostrò più testarda di una mula, per cui caparbiamente non è mai ritornata sui suoi passi! Ecco com'è fatta la mia cara sorella! Ella ha voluto sempre dare credito a ciò che al momento considerava giusto! Gliene do atto!»

«Invece oggi, fratello mio, a distanza di tanto tempo, non puoi negare che ero io ad avere ragione e tu ad essere nel torto, in merito alla maga Zusca. Qui, nella città di Dorinda, ho trovato veramente il mio inestimabile tesoro, proprio come ella mi aveva vaticinato. Il quale è appunto il mio adorato Iveonte qui presente! Non sei d'accordo?»

«Certo che hai avuto ancora ragione tu, sorellina mia, se oggi valutiamo i risultati della tua decisione! Se fosse vivo nostro padre, egli sarebbe orgoglioso di avere una figlia in gamba come te. La quale, con grande discernimento, sa dove mettere gli occhi e come sbrogliarsela in ogni situazione! Forse ti avrebbe pure scelta quale sua erede al trono!»

«Invece, adesso che è morto, il nostro genitore starà sicuramente stramaledicendo nostro fratello Cotuldo, per tutte le sofferenze che sta facendo patire al popolo dorindano e al suo re! Non sei del mio stesso parere, fratello Raco? Dimmi che questa è la pura verità, se vuoi essere sincero con me e non vuoi più mentire a te stesso!»

«Cara sorella, lo sai come la penso di nostro fratello; anzi, sai anche quanto disapprovo le sue angherie e i metodi repressivi, che va adottando indistintamente tanto a Dorinda quanto a Casunna. Ma per favore, tienimi fuori da questa discussione, poiché non vorrei trovarmi a giudicare chi, oltre ad essere il mio fratello maggiore, è pure il mio sovrano. Perciò ti invito a parlare di altro che interessi più noi due, anziché lui, ad iniziare dal tuo stato di salute! A tale riguardo, Lerinda, posso chiederti come esso procede in questi giorni? Spero almeno benino, perché ciò sarebbe meglio di male!»

Fu quella sua stessa domanda ad indurre il viceré Raco a controllare anche con lo sguardo lo stato fisico della sorella, il quale fino al giorno precedente si mostrava che faceva davvero pena. Così, mentre effettuava con molta minuziosità il suo attento controllo, per rendersene conto da vicino, all'improvviso egli si diede ad esclamare:

«Come hai fatto, sorella, a ristabilirti a meraviglia nel giro di una nottata! Il tuo corpo è ritornato ad essere esattamente quello di venticinque giorni fa! Se lo vuoi sapere, davvero non riesco a credere ai miei occhi basiti! Oso asserire che sei stata miracolata da qualche divinità a te favorevole! Non può essere altrimenti, secondo me!»

«Ma che cosa dici, Raco!» all'istante lo corresse Iveonte «Il ristabilimento di Lerinda è avvenuto nel giro di qualche ora! Stamattina, quando l'ho incontrata e l'ho abbracciata, si presentava ancora interamente magra ed ossuta! L'ho anche invitata a recuperare al più presto possibile i chili perduti, se non voleva sembrare una strega e spaventarmi a morte! Così sono andate effettivamente le cose!»

«Secondo me,» fu il parere della ragazza «l'ottimale recupero del mio stato di salute è avvenuto in un paio di minuti, ossia durante il poco tempo che ho tenuto fra le dita il prodigioso anello. Quindi, sono certa che lo devo al suo intervento taumaturgico, se ho recuperato in un attimo la mia integrità fisica, quella che mi avevano portata via le paure e le tante preoccupazioni dei giorni scorsi!»

«Ne sono convinto anch'io, Lerinda.» approvò Iveonte «Tu stessa, mentre fregavi il prodigioso anello, hai fatto accenno all'immenso giovamento che te ne stava derivando, in senso fisico e spirituale. Quindi, il miracolo, il quale ti ha guarita in un batter d'occhio, può esserti provenuto esclusivamente dal mio generoso anello!»

«Ciò vuol dire, Lerinda,» osservò il viceré Raco «che Iveonte, anche se non è un principe, è senz'altro superiore a tutti i re della terra. Nelle sue mani sono stati riposti dagli dèi sia una spada invincibile sia un anello, che è un vero portento, poiché opera prodigi di qualunque genere. Lo scettro dei regnanti è ben misera cosa, a paragone di tali strumenti straordinariamente miracolosi! Ma adesso ci conviene rientrare a corte per portare la bella nuova a nostro fratello Cotuldo e alla tua nutrice Telda. Sono convinto che specialmente lei farà dei salti di gioia dalla contentezza! Una volta dentro, approfitteremo anche per consumare una speciale e lauta colazione per festeggiare l'evento. Ce la faremo preparare proprio dalla tua impagabile nutrice. Ella si è dimostrata ogni volta bravissima nell'arte culinaria, rendendo la nostra tavola molto deliziosa, oltre che assai gustosa!»

Nel tardo pomeriggio, quando finalmente Iveonte decise di far ritorno al suo campo, era già iniziato a dilagare in ogni angolo della zona il rossastro tramonto. Ma prima che si affacciasse l'imbrunire sulla volta celeste e sotto di essa, il giovane vi era già rientrato. Così fece anche la sua doverosa visita a Lucebio, al quale raccontò del miracolo operato dall'anello del dio Osur a favore della sua Lerinda. Allora il saggio uomo, compiacendosene, ne fu immensamente felice.